Corte di Cassazione, penale, Sentenza|16 novembre 2020| n. 32166.
In tema di detenzione di materiale pedopornografico, è configurabile l’aggravante dell’uso di mezzi atti ad impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche, di cui all’art. 602-ter, nono comma, cod. pen., nel caso in cui l’agente ponga in essere una qualunque azione volta ad impedire la sua identificazione, eludendo le normali modalità di riconoscimento, a partire da quelle relative all’accesso fisico al computer fino a quelle di inserimento nella rete stessa. (Fattispecie in cui l’imputato aveva adoperato un computer ed un “client” di accesso a lui non riconducibili in quanto appartenenti ad altro soggetto, utilizzando, altresì, identità telematiche – c.d. “nickname” – differenti per operare sulla piattaforma di condivisione di file con modalità “peer-to-peer” denominata “Gigatribe”).
Sentenza|16 novembre 2020| n. 32166
Data udienza 8 ottobre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Pedopornografia – Art. 600 quater, commi 1 e 2 – Art. 602 ter comma 9, cp – Detenzione di materiale pedopornografico – Circostanze aggravanti – Utilizzo di mezzi atti ad impedire l’identificazione dei dati di accesso alla rete – elementi – Configurabilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NICOLA Vito – Presidente
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. SEMERARO Luca – rel. Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere
Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 10/12/2019 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. DI NARDO Marilia;
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza del 10 dicembre 2019 la Corte di appello di Bologna ha confermato la condanna inflitta il 14 marzo 2019, nel giudizio abbreviato, dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna a (OMISSIS) alla pena di 2 anni e 4 mesi di reclusione ed Euro 4.000 di multa, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, ed alle pene accessorie, per i reati ex articolo 600 quater c.p., commi 1 e 2, articolo 602 ter c.p., comma 9, perche’ consapevolmente si procurava e deteneva un ingente quantitativo di materiale pedopornografico (511 file video), con l’uso di mezzi atti ad impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche (in (OMISSIS)).
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato.
2.1. Con il primo motivo si deduce l’erronea applicazione dell’articolo 602 ter c.p., comma 9, che troverebbe applicazione solo nell’ipotesi in cui l’agente schermi la propria identita’ informatica all’atto dell’accesso alle reti informatiche.
La Corte di appello avrebbe ritenuto sussistente la circostanza aggravante per l’utilizzo di un computer e di una connessione non di proprieta’ del ricorrente e per la creazione di diversi profili, dette utenze in sentenza, ritenute studiate e messe in atto perche’ funzionali ad ostacolare la propria identificazione.
Il mancato possesso del computer nell’abitazione non avrebbe rilevanza perche’ il computer e la connessione adoperati erano quelli della Polisportiva in cui lavorava il ricorrente, al quale potevano avere accesso poche persone, sicche’ non sarebbero stati posti in essere mezzi per impedire l’identificazione. Neanche l’uso del software Gigatribe – programma di condivisione in rete con modalita’ peer to peer – sarebbe un mezzo per ostacolare l’identificazione. L’accesso alla rete sarebbe stato effettuato con una connessione non protetta intestata alla polisportiva in cui lavorava il ricorrente; l’accesso ad internet sarebbe stato effettuato senza particolari precauzioni; i nickname erano quelli per accedere a Gigatribe, all’interno della cui piattaforma avviene lo scambio di file tra gli iscritti, e non quelli per l’accesso alle reti informatiche.
2.2. Con il secondo motivo si deduce l’erronea applicazione dell’articolo 133 c.p. e l’omessa la risposta al motivo di appello con cui si deduceva che il quantitativo di merce sequestrato sarebbe stato valutato sia ai fini della determinazione della pena base che della circostanza aggravante, tenuto conto altresi’ della irrogazione della pena massima. La motivazione sulla pena sarebbe generica perche’ fondata sulla gravita’ del fatto e la personalita’ del ricorrente, gravato di precedenti specifici e soggetto che lavorava in luogo in cui aveva contatti con adolescenti. Il ricorrente sarebbe incensurato, avrebbe due pendenze in corso di indagini e non precedenti specifici, come indicato nella sentenza impugnata; non risulterebbe che l’attivita’ lavorativa svolta abbia avuto una connessione con il delitto commesso. Non sarebbe stato valutato il percorso di recupero intrapreso all’atto della scarcerazione, di cui si darebbe atto nella sentenza di primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo, con cui si’ deduce l’erronea applicazione dell’articolo 602 ter c.p., comma 9, e’ infondato.
1.1. Una rete telematica consiste in un insieme di cavi, protocolli, apparati di rete che collegano tra loro computer distinti; puo’ comporsi in un certo numero di dispositivi autonomi interconnessi capaci di comunicare e di condividere le proprie risorse con gli altri.
Le reti telematiche possono avere diverse estensioni, essere cioe’ locali, fino a giungere alle reti delle reti (ad esempio internet) perche’ comprendono tutto cio’ che consente di condividere risorse (stampanti, calcolatori, dischi), di migliorare l’affidabilita’ del sistema, di accedere a informazioni remote (come Documenti o programmi) di comunicare tra persone (e-mail, chat, irc, news, bbs, videoconferenza), di fornire intrattenimento (video e musica on line).
Le reti possono essere fisse o mobili, pubbliche o private.
L’interazione fra due o piu’ macchine puo’ avvenire con due modalita’:
– client/server, che e’ una organizzazione gerarchica per cui una macchina (client) ha bisogno di un servizio ed un’altra macchina (server) fornisce quel servizio; il client deve contattare il server e chiedergli il servizio desiderato;
– peer-to-peer, detta organizzazione paritetica perche’ non c’e’ un client che fa le richieste e un server che le soddisfa ma vi e’ un insieme di macchine che si scambiano informazioni da pari a pari.
1.2. L’utilizzo di mezzi atti ad impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche si ha quando l’agente ponga in esse qualunque azione volta ad impedire la sua identificazione come soggetto che ha avuto accesso alla rete, eludendo le normali modalita’ di riconoscimento dell’autore dell’accesso, a partire da quelle relative all’accesso fisico al computer, primo momento di accesso alla rete, fino a quello di inserimento nella rete stessa, secondo i protocolli previsti per l’accesso dalle varie e diverse reti. Cio’ per l’interazione che si ha tra la macchina, il collegamento e l’uso stesso della rete.
1.3. Ne consegue che la Corte di appello ha correttamente ritenuto sussistente la circostanza aggravante in quanto il ricorrente ha adoperato un computer ed un client di accesso a lui non riconducibili in quanto – come indicato anche nel ricorso – della polisportiva presso cui lavorava come istruttore di nuoto. Dunque, la sua identificazione non sarebbe potuta avvenire in modo immediato e diretto mediante l’analisi dei dati relativi al proprietario del computer e dell’accesso in rete.
1.4. E’ poi altresi’ corretta la decisione della Corte di appello che ha ritenuto sussistente la circostanza aggravante anche per l’uso di nickname diversi sulla piattaforma Gigatribe.
GigaTribe e’ infatti una rete telematica di condivisione di file: ne consegue che l’uso di identita’ telematiche diverse, per altro reiterato, di “fantasia”, non riconducibili immediatamente all’autore dell’accesso alla rete costituisce un mezzo per impedire l’identificazione. L’efficacia dell’uso di tale mezzo per impedire l’identificazione, per altro, e’ stata aumentata dall’uso di un computer e di client di accesso relativi ad un soggetto terzo.
2. Il secondo motivo e’ infondato.
2.1. Secondo Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non e’ necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo e’ desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena.
2.2. La lettura complessiva della sentenza consente di ritenere che la motivazione sulla pena sia presente ed immune da vizi logici. La rappresentazione della gravita’ del fatto, parametro rilevante ex articolo 133 c.p., si rinviene nella motivazione della sentenza in cui sono descritte le modalita’ del fatto, per effetto dell’uso di uno specifico software e di un computer presente sul luogo di lavoro.
2.3. Anche i profili relativi alla personalita’ dell’imputato, a prescindere dalla genericita’ dell’uso delle parole “precedenti specifici”, sono stati correttamente motivato, dalla Corte di appello. Nella sentenza si spiega chiaramente che l’imputato il 9 settembre 2015 aveva gia’ subito una perquisizione domiciliare ed informatica e per tale ragione non ebbe piu’ il computer nella sua residenza; che il 28 ottobre 2018, un mese prima dell’arresto del 29 novembre 2018, aveva subito un’altra perquisizione per il reato di adescamento on line. In tale occasione, la polizia giudiziaria trovo’ altro materiale pedopornografico. Il profilo di pericolosita’ sociale e’ stato pertanto correttamente ritenuto nel fatto che, nonostante la perquisizione dell’ottobre 2018, egli si fosse nuovamente collegato in rete per reperire e condividere altro materiale pedopornografico.
Risulta invece esplicitamente valutato il percorso psicologico: la Corte di appello ha valutato da un lato l’inesistenza di una prova su modalita’, impegno e esito, dall’altro la concessione delle circostanze attenuanti generiche per l’atteggiamento collaborativo.
2.4. Quanto all’omessa valutazione del motivo di appello sul ne bis in idem sostanziale, non sempre l’omessa valutazione di un motivo di appello o di una doglianza contenuta nel motivo di appello concretizza il vizio ex articolo 606 c.p.p., lettera e).
Il vizio di mancanza di motivazione, ex articolo 606 c.p.p., lettera e), sussiste quando le argomentazioni addotte dal giudice a fondamento dell’affermazione di responsabilita’ dell’imputato siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate con i motivi di appello e dotate del requisito della decisivita’ (Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013, dep. 2014, Dall’Agnola, Rv. 257967 – 01).
La doglianza formulata con i motivi di appello, oltre a dover avere il carattere della specificita’, deve anche essere decisiva; e’ decisiva se, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale che, ove valutata, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia, o quella che avrebbe intaccato la struttura portante della motivazione.
Si e’ infatti affermato (cfr. Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Sirica, Rv. 276741 – 01) che in sede di legittimita’ non e’ censurabile la sentenza, per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame, quando questa risulta disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio previsto dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa.
Secondo Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, Arcane, Rv. 265878 – 01, in tema d’impugnazioni, e’ inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile ab origine per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio. Nello stesso senso, Sez. 2, n. 35949 del 20/06/2019, Liberti, Rv. 276745 – 01.
2.5. La tesi della difesa della violazione del ne bis in idem sostanziale e’ manifestamente infondata.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, ai fini della determinazione della pena, il giudice puo’ tenere conto di uno stesso elemento che abbia attitudine a influire su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato piu’ volte sotto differenti profili per distinti fini e conseguenze (fattispecie in cui il giudice del merito aveva operato il giudizio di comparazione tra circostanze ritenendo subvalente l’attenuante del risarcimento del danno in ragione della gravita’ del reato, elemento questo che era stato gia’ considerato nella graduazione della sanzione; Sez. 2, n. 45206 del 09/11/2007, Grasso, Rv. 23851101).
L’insussistenza della violazione del ne bis in idem sostanziale e’ stata ribadita dalla giurisprudenza, quanto alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, in rapporto con la recidiva; si e’ affermato il principio per cui il giudice puo’ negare la concessione delle attenuanti generiche e, contemporaneamente, ritenere la recidiva, valorizzando per entrambe le valutazioni il riferimento ai precedenti penali dell’imputato, in quanto il principio del ne bis in idem sostanziale non preclude la possibilita’ di utilizzare piu’ volte lo stesso fattore per giustificare scelte relative ad istituti giuridici diversi (Sez. 6, n. 57565 del 15/11/2018, Giallombardo, Rv. 27478301).
Cfr. anche Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018 – dep. 2019, M, Rv. 27590403 per cui ai’ fini della determinazione della pena, il giudice puo’ tenere conto piu’ volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che cio’ comporti lesione, del principio del ne bis in idem (nella specie la Corte ha ritenuto immune da vizi la motivazione della Corte d’appello che ha fatto riferimento ai medesimi elementi indicativi della gravita’ del fatto per determinare la pena in misura superiore al minimo e per negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche).
3. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto’ imposto dalla legge.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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