In tema di danno patrimoniale da lesione della salute

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 gennaio 2024| n. 1607.

In tema di danno patrimoniale da lesione della salute

In tema di danno patrimoniale da lesione della salute ove, in conseguenza dell’illecito, il danneggiato abbia subito una perdita della capacità lavorativa specifica e un conseguente demansionamento che abbia determinato una riduzione della retribuzione precedentemente percepita, è risarcibile, a titolo di danno futuro, da valutare in via prognostica, non solo la componente fissa della retribuzione, ma anche tutti i relativi accessori ed i probabili aumenti retributivi, in ossequio al principio di integralità del risarcimento. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che, nella liquidazione del danno patrimoniale, non aveva tenuto conto delle somme che il danneggiato avrebbe percepito a titolo di indennità per la specifica prestazione di macchinista precedentemente svolta alle dipendenze di Trenitalia S.p.A., e che, a seguito dei postumi permanenti riportati in un incidente stradale, consistenti in “acufeni con ipoacusia”, non aveva più potuto svolgere, con conseguente suo impiego in mansioni tecnico amministrative presso la stessa società).

Ordinanza|16 gennaio 2024| n. 1607. In tema di danno patrimoniale da lesione della salute

Data udienza 21 novembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Risarcimento del danno – Valutazione e liquidazione – Danni futuri danno da perdita di capacità lavorativa specifica – Demansionamento in conseguenza dell’illecito – Riduzione del trattamento retributivo – Danni futuri – Risarcibilità – Fondamento – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere-Rel./Est. –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26541/2021 R.G. proposto da:

Ci.Ra., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, con domicilio digitale (…), rappresentato e difeso dall’avvocato SI.NA.;

-ricorrente-

contro

(…) SPA (già GE.AS. SPA), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA (…), presso lo studio dell’avvocato MI.CL., con domicilio digitale (…), che la rappresenta e difende;

nonché contro

F.LLI Mo. SRL;

-intimata-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 702/2021, depositata il 18/03/2021 .

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2023 dal Consigliere ENZO VINCENTI.

In tema di danno patrimoniale da lesione della salute

RITENUTO CHE:

1. Ci.Ra. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Verona, le società F.lli Mo. S.r.l. e la compagnia di assicurazioni (…) S.p.A. per sentirle condannare al risarcimento del danno patrimoniale da perdita di capacita lavorativa dallo stesso patito a seguito del sinistro stradale in cui era stato coinvolto a causa della condotta illecita tenuta dal conducente di un autocarro di proprietà della società F.lli Mo.

1.1. A sostegno della pretesa, l’attore dedusse che le conseguenze derivanti dal sinistro – “acufeni con ipoacusia destra”, valutate, sotto il profilo medico legale, in un periodo di inabilita temporanea di 100 giorni, con postumi invalidanti a carattere permanente indicati nell’8% e una incapacità lavorativa specifica accertata – furono tali da determinare un demansionamento: dal ruolo di macchinista, fu immesso, a far data dal 2.03.2012, nelle funzioni di impiegato tecnico-amministrativo con conseguente rideterminazione, in peius, del relativo trattamento salariale.

1.2. Riconosciuta la corresponsione ante causam della somma di euro 90.000, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, da parte di (…), l’attore, in particolare, agi per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale derivante dalla perdita di capacita lavorativa specifica, quantificato nella somma di euro 552.244,22.

Tale somma, successivamente rideterminata in euro 693.377,86, era comprensiva: a) del danno da lucro cessante, derivante dal mancato guadagno sofferto dalla data del sinistro alla data della citazione;

b) del danno da lucro cessante futuro, derivante dal mancato guadagno sofferto successivamente all’avvio dell’azione, nonché comprensivo della riduzione dell’assegno pensionistico;

c) del danno da perdita di chance;

d) del danno emergente, derivante dalle spese giudiziali medio tempore sostenute.

1.3. Rimasta contumace la società F.lli Mo., si costituiva in giudizio la sola società (…) deducendo l’infondatezza delle pretese attoree in ragione della loro piena soddisfazione mediante la già corrisposta somma di euro 90.000.

1.4. Il Tribunale di Verona, in parziale accoglimento delle pretese attoree, condanno le parti convenute, in solido tra loro, alla corresponsione in favore di Ci.Ra. della somma complessiva pari ad euro 664.078,97, comprensiva del danno da lucro cessante, passato e futuro, e del danno emergente derivante dalle spese processuali sostenute; respinse, invece, la domanda di risarcimento da perdita di chance, ritenendo non raggiunta la prova in giudizio, e la domanda di risarcimento del danno futuro per riduzione dell’assegno pensionistico, in quanto domanda nuova.

2. Avverso tale sentenza proponeva appello la (…) S.p.A., deducendo la erroneità della base di calcolo (valore medio mensile della perdita di retribuzione patita dal danneggiato) presa in considerazione dal Tribunale ai fini della quantificazione del danno emergente, sia passato che futuro.

In particolare, l’appellante sosteneva che tale base di calcolo – quantomeno a partire dalla data di verificazione del sinistro ovvero dalla data in cui Ci.Ra. aveva subito il demansionamento avrebbe dovuto essere comprensiva solo della parte fissa del salario (costituita dal minimo contrattuale, dagli aumenti periodici di anzianità, del salario professionale, dell’elemento distinto di retribuzione), non anche di quelle componenti accessorie che, avendo natura e funzione indennitarie e cioè compensativa della “maggiore penosità e gravosità del lavoro da svolgere”, possono essere corrisposte solo in caso di effettivo svolgimento delle relative prestazioni (lavoro notturno, lavoro straordinario, allontanamento dalla residenza, etc.).

In tema di danno patrimoniale da lesione della salute

Sicché, la compagnia assicuratrice, assumendo l’infondatezza delle pretese attoree avanzate in primo grado, concludeva: in via principale, per la condanna alla restituzione della somma di euro 354.479,68 corrisposta a Ci.Ra. in data 19.4.2018, in esecuzione della sentenza appellata, tenuto altresì conto degli euro 90.000 già versati il 19.6.2012 e, in ogni caso, per la sua condanna, in via subordinata, alla restituzione della somma pari alla differenza tra l’effettivo importo che dovesse risultare dovuto in eccesso rispetto alle somme già versate in ragione della erroneità dei calcoli cosi come sopra dedotti.

2.1. Nel contraddittorio con l’appellato, la Corte d’Appello di Venezia, con sentenza resa pubblica il 18 marzo 2021, in parziale accoglimento del gravame, condannava Ci.Ra. a restituire a (…) la somma di euro 288.707,10, ponendo invece a carico di quest’ultima le spese di lite, che liquidava in favore dell’appellato.

2.1.1. La Corte territoriale, a fondamento della decisione (per quanto ancora rileva in questa sede), osservava che: a) in riferimento al danno c.d. passato, la base di calcolo (perdita reddituale media mensile) da prendere in considerazione per quantificare il lucro cessante sofferto tra la data del sinistro e quella del demansionamento (1.3.2012; e ciò diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, che aveva considerato il danno passato sino alla pronuncia di primo grado) doveva tenere conto non solo delle componenti fisse, ma anche di quelle variabili, cioè anche degli accessori della prestazione lavorativa con funzione indennitarià e che, a causa delle conseguenze derivanti dal sinistro, il lavoratore non ha potuto percepire; b) con riferimento, invece, al danno cd. futuro – consistente nel danno che il Ci.Ra. ha patito in seguito al sinistro e per effetto del demansionamento subito (a far data dall’1.3.2012) – la base di calcolo (perdita reddituale media mensile) da prendere in considerazione per quantificare tale voce di danno doveva essere epurata delle componenti variabili alla retribuzione, poiché, avendo tale corresponsione funzione indennitarità, esse avrebbero potuto essere liquidate nel solo caso di prestazioni effettivamente eseguite; c) ne conseguiva che: c.1) il danno c.d. passato andava quantificato in euro 17.528,51, oltre accessori [cosi determinato tenuto conto della devalutazione, a partire dal credito risarcitorio pari ad euro 103.316,84 (calcolato su euro 2.348,11, a titolo di perdita reddituale media mensile complessiva moltiplicata per n. 44 mensilità in cui il danneggiato non ha potuto svolgere attività lavorativa), e detratta la somma di euro 90.000,00 corrisposta da (…), oltre rivalutazione e interessi compensativi]; c.2) il danno c.d. futuro ammontava alla somma di euro 45.266,72, oltre accessori [composto da: euro 1652,42, calcolato in base alla corresponsione di euro 118,03 (perdita reddituale mensile riferita alla sola parte fissa della retribuzione) x 14 mensilità; euro 27.3942, a titolo di danno permanente da incapacità di guadagno cosi come quantificato alla luce del coefficiente di capitalizzazione pubblicato su “Quaderni del CSM, 1990 n. 41”]; d) avendo il Tribunale quantificato il risarcimento dovuto in complessivi euro 503.721,51 e considerato che a seguito della quantificazione operata in appello al Ci.Ra. sarebbe dovuta spettare una somma pari ad euro 65.772,58 (a titolo di danno c.d. passato e di danno c.d. futuro, oltre accessori)e ferma in ogni caso la detrazione della somma gia ad esso versata di euro 354.479,68, sussisteva un saldo finale di segno negativo per la parte danneggiata pari ad euro 288.707,10.

3. Per la cassazione di tale sentenza ricorre Ci.Ra., affidando le sorti dell’impugnazione a quattro motivi. Resiste con controricorso (…) Direct S.p.A., già (…)

S.p.A.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.

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CONSIDERATO CHE:

1. Con il primo mezzo e prospettata violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056 e 1223, c.c., nonché violazione e falsa applicazione delle norme previste dal CCLN delle Attività Ferroviarie del 16.04.2003 (artt. 21 e 63 ss.), per avere la Corte territoriale escluso dalla quantificazione del danno futuro patito dal ricorrente le “componenti accessorie della retribuzione di macchinista” sulla base della erronea premessa per cui tali componenti, avendo natura indennitarià, sarebbero legate allo svolgimento effettivo delle ulteriori prestazioni lavorative.

Escludendo tali “componenti” dalla quantificazione del danno – lamenta il ricorrente – la Corte avrebbe non soltanto violato il principio generale di integralità del risarcimento del danno, facendo cosi gravare sulla vittima dell’illecito le conseguenze pregiudizievoli arrecate dal suo autore, ma avrebbe altresì violato le disposizioni di legge che disciplinano l’inquadramento retributivo della figura del macchinista.

Da queste ultime si evincerebbe, secondo la ricostruzione attorea, che tali componenti – di cui la Corte ha sostenuto erroneamente la natura accessoria e la funzione meramente indennitarià – farebbero parte del “trattamento economico normale” della figura professionale del macchinista e, come tali, rientranti nel mancato guadagno che il ricorrente, a causa dell’illecito altrui, ha patito.

2. Con il secondo mezzo e denunciata nullità della sentenza per motivazione incomprensibile e per violazione del minimo costituzionale di cui all’art. 111 Cost. e degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., per avere la Corte territoriale, erroneamente e in assenza di qualsiasi ragionevole giustificazione, liquidato il danno passato e il danno futuro sulla base di due criteri differenti.

Il giudice di appello sarebbe caduto in un’insanabile contraddizione nella parte in cui, dapprima, ha ancorato la corresponsione delle “componenti accessoria” alla effettiva esecuzione delle prestazioni per affermare, poi, la loro debenza nella liquidazione del danno passato (tra il sinistro e il demansionamento) e loro non spettanza nella liquidazione del danno futuro (successivamente al demansionamento).

In tal modo la Corte territoriale avrebbe, in assenza di una plausibile argomentazione, individuato come discrimine tra le due ipotesi la astratta impossibilita di effettuare quelle “ulteriori” prestazioni a causa del demansionamento e del fatto che Trenitalia non avrebbe potuto piu assegnargliele, circostanza, tuttavia, irrilevante ai fini del risarcimento del danno da perdita della specifica capacita di lavoro come macchinista quale conseguenza del fatto illecito.

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3. Con il terzo mezzo e dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione, per essersi la Corte, in violazione dell’art. 112 c.p.c., erroneamente pronunciata su una causa petendi difforme da quella prospettata dalla parte ricorrente, essendo la pretesa di risarcimento del danno fondata sul fatto dell’illecito altrui non anche sul fatto della permanenza o meno della qualifica di macchinista in capo al Ci.Ra..

4. Con il quarto mezzo e prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione dell’art. 91 c.p.c., per aver la Corte territoriale “immotivatamente e contraddittoriamente provveduto nel PQM a compensare le spese delle CTU espletate a carico di entrambe le parti”.

5. Il primo motivo e fondato nei termini di seguito precisati.

5.1. Giova premettere che il principio (essenziale nel sistema della responsabilità civile) di integralità del risarcimento, enucleabile dall’art. 1223 c.c. e applicabile in ambito extracontrattuale mediante il rinvio contenuto nell’art. 2056 c.c., impone di ristorare la parte danneggiata da tutte le conseguenze pregiudizievoli ad essa derivanti dall’illecito, indipendentemente dal fatto che tali conseguenze si siano verificate immediatamente ovvero spiegheranno la loro forza lesiva, con certezza (processuale), in futuro.

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Nell’ambito del risarcimento del danno da perdita di capacita lavorativa subita dal danneggiato-lavoratore in conseguenza degli effetti negativi prodotti dall’illecito, questa Corte ha affermato che, la dove il danneggiato dimostri di avere perduto un preesistente rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui era titolare, a causa delle lesioni conseguenti ad un illecito, il danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come perdita dei redditi futuri, va liquidato tenendo conto di tutte le retribuzioni (nonché di tutti i relativi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici) che egli avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base a quello specifico rapporto di lavoro, in misura integrale e non in base alla sola percentuale di perdita della capacita lavorativa specifica accertata come conseguente alle lesioni permanenti riportate, salvo che il responsabile alleghi e dimostri che egli abbia di fatto reperito una nuova occupazione retribuita, ovvero che avrebbe potuto farlo e non lo abbia fatto per sua colpa, nel qual caso il danno potrà essere liquidato esclusivamente nella differenza tra le retribuzioni perdute e quelle di fatto conseguite o conseguibili in virtù della nuova occupazione (Cass. n. 28071/2020; Cass. n. 14241/2023).

5.2. Le situazioni prese in considerazione dal principio di diritto sopra richiamato sono due e ineriscono, in particolare, sia al caso in cui a causa delle conseguenze dell’illecito il danneggiato abbia perduto l’attività lavorativa esercitata, sia al diverso caso in cui il danneggiato, impossibilitato a svolgere la precedente attività lavorativa, abbia comunque trovato impiego aliunde.

In entrambi i casi, tuttavia, il principio di integralità del risarcimento e affermato dalla Corte con la medesima forza.

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Nel primo caso, il danneggiato ha diritto alla integralità della retribuzione che avrebbe potuto ragionevolmente percepire se avesse proseguito nella sua attività lavorativa.

Nel secondo, il danneggiato ha diritto alla (eventuale) differenza tra le retribuzioni spettanti alla luce della attività lavorativa perduta (a causa dell’illecito) e quella corrisposta in ragione della nuova attività lavorativa; reimpiego che il danneggiato e stato costretto a cercare per effetto della perdita della precedente attività.

5.3. Tali considerazioni non possono che essere estese, per identità di ratio, anche al caso oggetto del presente giudizio, ove l’attore ha subito una riduzione del trattamento retributivo in conseguenza del demansionamento disposto da Trenitalia S.p.A. per effetto della accertata incapacità a svolgere le funzioni di macchinista a causa delle lesioni subite dall’illecito.

Gli effetti del demansionamento, cioè l’adeguamento in peius del trattamento retributivo rientrano tra le conseguenze “dirette” dell’illecito, benché future (ma certe), e che, come tali, devono essere valutate ai fini della quantificazione del risarcimento del danno ai sensi degli artt. 1223 e 2056, c.c.

In assenza delle conseguenze lesive riportate a causa dell’incidente stradale cagionato dall’illecita condotta altrui, infatti,

il Ci.Ra. avrebbe con certezza proseguito nella sua attività lavorativa di macchinista e continuato a percepire la maggiore retribuzione corrispondente alla qualifica professionale per la quale era stato assunto.

Se, dunque, il risarcimento in sede civile svolge una funzione tendenzialmente compensativa – riportando il patrimonio del danneggiato nella medesima curva di indifferenza in cui si sarebbe trovato in assenza delle conseguenze derivanti dall’illecito – non si può non riconoscere, nel caso di specie, il diritto del Ci.Ra. alla differenza sussistente tra la retribuzione percepita quando ricopriva l’incarico di macchinista e la retribuzione percipienda in qualità di funzionario amministrativo.

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5.4. Ciò posto, affinché il principio di integralità del risarcimento possa dirsi effettivo, non si può non precisare come l’ampiezza della retribuzione media (dell’attività lavorativa precedentemente svolta) e che costituisce la base di calcolo per la determinazione del danno futuro da perdita – nel nostro caso, “riduzione” – della capacita lavorativa, deve essere tale da comprendere non solo la componente fissa della retribuzione, ma anche tutti i relativi accessori e i probabili aumenti retributivi (cfr. la citata Cass. n. 28071/2020).

La determinazione del danno futuro, infatti, essendo un danno, si accertato in giudizio, ma che spiegherà i propri effetti lesivi in un secondo momento, non può che essere effettuata in via prognostica.

Attraverso un giudizio ex ante, dunque, il giudice del merito deve riportarsi mentalmente nelle circostanze concrete in cui versava il Ci.Ra. prima dell’illecito per poter arrivare alla conclusione che, in assenza di esso, avrebbe continuato a percepire la retribuzione corrispondente non solo agli “elementi retributivi fissi”, ma anche alle “componenti accessorie” (cosi denominate dalla sentenza impugnata a p. 10).

5.5. Ha, dunque, errato la Corte territoriale la dove ha affermato che la parte di retribuzione avente ad oggetto le componenti accessorie non avrebbe potuto costituire oggetto di liquidazione del danno futuro; e ciò, “proprio perché sono dirette a compensare tale maggiore penosità del lavoro esse presuppongono la prestazione effettiva del lavoro straordinario notturno, festivo o di altro genere, comunque correlato a speciali attività connesse alla funzione rivestita” (p. 12 sentenza di appello).

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La Corte territoriale ha, infatti, genericamente ricondotto l’intera categoria delle “componenti accessorie” della retribuzione al diverso ambito delle prestazioni che sono solo occasionalmente ed eccezionalmente prestate dal lavoratore in occasione di turni di lavoro straordinari o effettuati durante i giorni di riposo; soltanto in quest’ultimo caso, la dove vengano in rilievo prestazioni il cui espletamento e condizionato dal discrezionale potere direttivo del datore di lavoro, la retribuzione non può costituire oggetto, da parte del lavoratore, di alcuna pretesa essendo la stessa condizionata all’effettivo svolgimento di quella prestazione (Cass. n. 20801/2006).

Tuttavia, il giudice di appello avrebbe dovuto tenere conto della specifica “natura” delle mansioni proprie della figura professionale del macchinista e in forza di questa premessa individuare tutte le “componenti accessorie del salario” che – come anche qualificate dalla CTU espletata nel corso di giudizio (cfr. p. 10 della sentenza di appello) – erano “competenze strettamente collegate alla mansione svolta dal ricorrente (…) erogate per i mesi in cui vi e stata prestazione lavorativa (…)”.

In altri termini, la Corte territoriale, al fine di pervenire al risarcimento integrale del danno patito dal Ci.Ra., avrebbe dovuto tenere conto delle specifiche mansioni di inquadramento professionale del macchinista e scindere le componenti accessorie della retribuzione (fissa) correlate a prestazioni soltanto occasionali e derogatorie rispetto all’ordinario svolgimento di quelle mansioni dalle componenti accessorie della retribuzione (fissa) che, invece, essendo intimamente connaturate a quella particolare prestazione lavorativa, non sono da essa scorporabili.

6. L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento dei restanti motivi: il secondo e terzo motivo in quanto proponenti censure rivolte alla stessa statuizione già oggetto di cassazione in sede di scrutinio del primo motivo; il quarto motivo in quanto attinente alla statuizione sulle spese di lite, travolta, ai sensi dell’art. 336, primo comma, c.p.c., dalla cassazione della sentenza di appello, dovendo, quindi, il giudice del rinvio rinnovare totalmente la relativa regolamentazione alla stregua dell’esito finale della lite (Cass. n. 4887/2016).

7. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

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P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso nei termini cui in motivazione e dichiara assorbiti i restanti motivi;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di cassazione, in data 21 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2024.

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