In tema di compensi spettanti al personale del Ssn, ai fini dell’indennità di esclusività, il servizio può essere svolto anche in base a contratti a termine e ciò non costituisce “soluzione di continuità”.

segue pagina antecedente
[…]

che, per una migliore comprensione della decisione, deve essere, in primo luogo, precisato che l’attuale ricorrente – dopo la sua assunzione a tempo indeterminato (a decorrere dal 21 agosto 2001) quale Dirigente Medico di primo livello, area funzionale di Chirurgia, disciplina di Chirurgia generale, alle dipendenze del SSN, avvenuta in seguito al superamento di un regolare concorso – ha instaurato il presente giudizio domandando che – ai fini dell’indennita’ di esclusivita’, dell’indennita’ di posizione e di ogni altro istituto collegato all’elemento dell’anzianita’ di servizio – gli anni di servizio prestati alle dipendenze del SSN, a decorrere dal 24 aprile 1997 fino alla suddetta assunzione, in base ad una serie di otto contratti a termine reiterati, antecedenti l’immissione in ruolo tutti relativi alla copertura dello stesso posto – fossero computati nell’anzianita’ di servizio secondo quanto previsto dall’articolo 12 del CCNL, 1998-2001, aggiungendo che, ai sensi della L. n. 230 del 1962, articolo 2, comma 2, e dell’articolo 16 del CCNL, 1994-1997, doveva considerarsi del tutto irrilevante ai fini della configurazione di un unico rapporto ininterrotto a tempo determinato il differimento della decorrenza dell’ultimo contratto deciso dell’Amministrazione, visto che la stipulazione di tale contratto era avvenuta mentre era in esecuzione il penultimo contratto e con trasferimento delle ferie maturate sull’ultimo (il che dimostrava la perdurante unicita’ del rapporto a tempo determinato);
che la Corte d’appello, confermando la sentenza di primo grado, ha respinto la domanda sul principale assunto secondo cui il combinato disposto degli articoli 5 e 12 del CCNL 1998-2001 dell’Area relativa alla Dirigenza medica e veterinaria deve essere interpretato nel senso che l’espressione “senza soluzione di continuita’” che il comma 3 riferisce al servizio prestato ai fini dell’attribuzione dell’indennita’ di esclusivita’ (di cui all’articolo 5) comporta che, anche se si tratta di servizio svolto in base a contratti a tempo determinato, si deve trattare di situazione lavorativa nella quale non si riscontri alcuna interruzione, pur se di minima entita’, come accade nella specie;
che – a prescindere dalla improprieta’ dei riferimenti contenuti nella sentenza impugnata alla non convertibilita’ del rapporto di lavoro nonche’ alla giurisprudenza di questa Corte che ha escluso che ai fini del computo dell’anzianita’ di servizio per l’indennita’ di esclusivita’ si possa tenere conto del periodo âââEurošÂ¬Ã‹Å”di servizio in rapporto di convenzione, visto che e’ pacifico sia che il (OMISSIS) non abbia mai chiesto alcuna conversione del rapporto sia che abbia sempre prestato servizio come dipendente del SSN, restando a disposizione del Servizio stesso per tutto il periodo di stipulazione dei contratti a termine – la suddetta interpretazione non e’ condivisibile;
che, premesso che come si e’ detto la presente questione non e’ mai stata espressamente esaminata dalla giurisprudenza di questa Corte, va precisato che la doverosa utilizzazione del canone dell’interpretazione conforme a Costituzione in particolare al principio di razionalita’-equita’ di cui all’articolo 3 Cost. (interpretazione di cui ricorrono tutte le condizioni applicative: vedi Corte cost. n. 36 del 2016), rinforzato dal concorrente canone vincolante per l’ordinamento interno dell’interpretazione non contrastante con la normativa UE (direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999, allegato Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, clausola 4, come interpretati dalle sentenze della CGUE 26 ottobre 2006, causa C-371/04 cit.; 8 settembre 2011, causa C-177/10; 18 ottobre 2012, cause riunite da C-302/11 a C305/11) porta al diverso risultato di escludere che determinino “soluzione di continuita’” ai fini dell’indennita’ di esclusivita’ e di ogni altro istituto collegato all’elemento dell’anzianita’ di servizio gli intervalli temporali richiesti dalla legislazione e dalla contrattazione collettiva tra i diversi contratti a termine e, quindi, a maggior ragione intervalli minimi come quelli che si riscontrano nella specie;
che, ai fini della presente controversia, assume rilievo centrale la parte dell’articolo 12, comma 3 del CCNL 1998-2001 cit. in cui si stabilisce che per l’applicazione del precedente articolo 5 (sull’indennita’ di esclusivita’) la maturazione dell’anzianita’ complessiva di servizio puo’ indifferentemente avvenire sia per effetto di “un rapporto di lavoro a tempo determinato” sia per effetto di un rapporto a tempo indeterminato;
che la parte successiva della disposizione ove si specifica – “senza soluzione di continuita’ anche in aziende ed enti diversi del Comparto” – puo’ logicamente e giuridicamente venire in considerazione solo se si e’ in presenza di un valido ed efficace rapporto di lavoro di uno dei due tipi contemplati prima;
che per quanto riguarda il rapporto di lavoro a tempo determinato – oggetto del presente giudizio – la suddetta norma deve essere posta in relazione sia con la dichiarazione delle OO.SS. del 5 dicembre 1996 nella quale le Parti sociali hanno convenuto sulla necessita’ di riformulare l’articolo 16 del CCNL 1994-1997 per l’Area della Dirigenza Medica e Veterinaria, “attesa l’importanza strategica dell’istituto del contratto a tempo determinato ai fini del regolare andamento e della continuita’ dei servizi sanitari delle aziende ed enti” sia con l’Accordo sindacale 5 agosto 1997 contenente il nuovo testo del citato articolo 16, prevedente, fra l’altro, una normativa conforme alla L. n. 230 del 1962 (all’epoca vigente) per la proroga o il rinnovo del termine del contratto a tempo determinato e la sanzione della nullita’ in caso di assunzioni successive a termine intese ad eludere la normativa legislativa o contrattuale anche con riguardo ai richiesti intervalli tra la stipulazione di un contratto e quello successivo;
che, pertanto, sia l’articolo 3 Cost. sia la citata giurisprudenza della CGUE portano a ritenere che laddove le Parti sociali hanno posto sullo stesso piano, per la maturazione dell’anzianita’ complessiva di servizio ai fini dell’indennita’ di esclusivita’, il rapporto di lavoro a tempo determinato e quello a tempo indeterminato lo abbiano fatto sulla premessa della conformita’ dei relativi contratti alla relativa disciplina legislativa e contrattuale vigente;
che, quindi, laddove il servizio dal dirigente si sia svolto sempre e soltanto alle dipendenze del SSN – come accade nella specie – non costituisce “soluzione di continuita’” la presenza di intervalli temporali tra i diversi contratti a termine che siano conformi a quelli richiesti dalla suddetta disciplina;
che laddove tali intervalli siano insussistenti o minimi – come si e’ verificato nella presente vicenda – e la parte interessata rinunci a far valere la prevista nullita’, a maggior ragione, e’ da escludere che possa configurarsi una “soluzione di continuita’” nel rapporto;
che la diversa soluzione sostenuta dalla Corte d’appello appare, in primo luogo, del tutto irragionevole e tale da rendere la affermata equiparazione, ai fini che qui interessano, tra i rapporti a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato (di cui all’articolo 12, comma 3, del CCNL 1998-2001 cit.) priva di una reale applicazione se non nei casi di assunzioni successive a termine intese ad eludere la normativa legislativa o contrattuale;
che, d’altra parte, tale soluzione appare altresi’ discriminatoria per i lavoratori con contratti a termine e quindi in contrasto con il diritto UE in materia, come interpretato dalla Corte di Giustizia;
che infatti, come affermato da questa Corte anche di recente (Cass. 12 luglio 2017, n. 17223), l’obbligo posto a carico degli Stati membri UE di assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato “comparabile”, sussiste a prescindere dalla legittimita’ del termine apposto al contratto, giacche’ detto obbligo e’ attuazione, nell’ambito della disciplina del rapporto a termine, del principio della parita’ di trattamento e del divieto di discriminazione che costituiscono “norme di diritto sociale dell’Unione di particolare importanza, di cui ogni lavoratore deve usufruire in quanto prescrizioni minime di tutela” (CGUE, sentenza 9 luglio 2015, causa C-177/14, punto 32);
che la clausola 4 del citato Accordo quadro e’ stata piu’ volte oggetto di esame da parte della Corte di Giustizia UE che ha ne riconosciuto il carattere incondizionato ai fini della disapplicazione di qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (CGUE sentenze 15 aprile 2008, causa C-268/06; 13 settembre 2007, causa C-307/05; 8 settembre 2011, causa C-177/10), escludendo ogni interpretazione restrittiva della clausola stessa, sull’assunto secondo cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’articolo 137, n. 5, del Trattato (oggi 153, n. 5), non puo’ “impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorche’ proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (C-307/05 cit., punto 42);
che la CGUE ha evidenziato che le maggiorazioni retributive derivanti dalla anzianita’ di servizio del lavoratore costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (CGUE 9 luglio 2015, in causa C-177/14, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata) e che a tal fine non e’ sufficiente che la diversita’ di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, non rilevando la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perche’ la diversita’ di trattamento puo’ essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalita’ di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (C-177/14 cit., punto 55 e, con riferimento ai rapporti non di ruolo negli enti pubblici italiani, CGUE sentenze 18 ottobre 2012, cause riunite da C-302/11 a C-305/11 cit.; 7 marzo 2013, causa C393/11);
che l’interpretazione delle norme UE e’ riservata alla Corte di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante per il giudice nazionale – che puo’ e deve applicarle anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa – ed hanno valore di ulteriore fonte del diritto della Unione Europea, nel senso che esse indicano il significato ed i limiti di applicazione delle norme UE, con efficacia erga omnes nell’ambito dell’Unione (fra le piu’ recenti in tal senso Cass. 8 febbraio 2016, n. 2468);
che nella sentenza impugnata la Corte territoriale non solo non ha preso in considerazione la disciplina del CCNL in materia di contratti a termine, ma neppure ha esaminato tali ultimi profili della questione – cui fa da sfondo il principio di non discriminazione – che certamente non possono considerarsi implicitamente assorbiti nella pronuncia, diversamente da quanto si sostiene nel controricorso;
che, per tutte le anzidette ragioni, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, la quale si atterra’, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche al seguente:
“in tema di compensi spettanti al personale del Servizio Sanitario Nazionale, l’articolo 12, comma 3 del CCNL 1998-2001 per la Dirigenza medico veterinaria, nella parte in cui stabilisce che ai fini dell’indennita’ di esclusivita’ (di cui al precedente articolo 5) la maturazione dell’anzianita’ complessiva di servizio puo’ avvenire anche per effetto di “un rapporto di lavoro a tempo determinato”, “senza soluzione di continuita’” anche in aziende ed enti diversi del Comparto – in conformita’ con l’articolo 3 Cost. nonche’ con la direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 e allegato Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, clausola 4, come interpretati dalle sentenze della CGUE 26 ottobre 2006, causa C-371/04 cit.; 8 settembre 2011, causa C-177/10; 18 ottobre 2012, cause riunite da C-302/11 a C-305/11- deve essere inteso nel senso che laddove il servizio dal dirigente si sia svolto, in base a contratti a termine, sempre e soltanto alle dipendenze del SSN non costituisce “soluzione di continuita’” la presenza di intervalli temporali tra i diversi contratti a termine che siano conformi a quelli richiesti dalla suddetta disciplina e che, a maggior ragione, e’ da escludere che possa configurarsi una “soluzione di continuita’” nel rapporto laddove tali intervalli siano insussistenti o minimi e la parte interessata rinunci a far valere la prevista nullita’”.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

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