In tema di aggravante di cui al n. 7 dell’art. 625 cod. pen.

Corte di Cassazione, penale, Sentenza 21 ottobre 2020, n. 29171.

In tema di aggravante di cui al n. 7 dell’art. 625 cod. pen., la “ratio” dell’aggravamento della pena non è correlata alla natura – pubblica o privata – del luogo ove si trova la “cosa”, ma alla condizione di esposizione di essa alla “pubblica fede”, che ricorre anche se la cosa si trovi in luogo privato cui, per mancanza di recinzioni o sorveglianza, si possa liberamente accedere. (Fattispecie di danneggiamento aggravato nella quale la Corte ha escluso la ricorrenza dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede, atteso che il parcheggio in cui si trovava l’autovettura era sottoposto a continua sorveglianza ed accessibile solo a soggetti detentori di “pass”, sottoposti a controllo all’ingresso da parte di personale di guardia).

Sentenza 21 ottobre 2020, n. 29171

Data udienza 8 settembre 2020

Tag – parola chiave: Danneggiamento – Autovettura – Parcheggio – Luogo non aperto al pubblico – Area vigilata da militari accessibile solo con pass – Aggravante ex art. 625 co 7 c.p. – Esposizione alla pubblica fede – Configurabilità – Cosa che si trovi in un luogo pubblico o privato con recinzioni o sorveglianza – Libero accesso

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGO Geppino – Presidente

Dott. IMPERIALI Luciano – Consigliere

Dott. PELLEGRINO Andrea – rel. Consigliere

Dott. PARDO Ignazio – Consigliere

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall’avv. (OMISSIS), di fiducia;
avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, n. 557/2018, in data 04/02/2019;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Dr. Andrea Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale Dr. Tocci Stefano, che ha concluso chiedendo di disporsi l’annullamento con rinvio in relazione al capo B) e di dichiarare inammissibile nel resto il ricorso;
udita la discussione del difensore della parte civile (OMISSIS), avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso con conferma dell’impugnata sentenza e la condanna dell’imputato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile che indica in Euro 6.030,00 oltre accessori ed oneri di legge;
udita la discussione del difensore del ricorrente, avv. (OMISSIS), comparsa in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 04/02/2019, la Corte d’appello di Lecce, in riforma della pronuncia di primo grado resa dal Tribunale di Taranto in data 28/03/2018, appellata da (OMISSIS), riduceva la provvisionale a 1000 Euro e riconosceva allo stesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, con conferma nel resto della sentenza impugnata: sentenza che aveva condannato il (OMISSIS) alla pena di mesi sette di reclusione per i reati, ritenuti avvinti dal vincolo della continuazione, di cui all’articolo 635 c.p., comma 2, n. 3 (capo A) e articolo 61 c.p., n. 2, L. n. 110 del 1975, articolo 4 (capo B): fatti commessi il (OMISSIS).
2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di Flavio (OMISSIS), viene proposto ricorso per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p., per chiederne l’annullamento lamentando quanto segue.
-Primo motivo: violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera b) ed e) in relazione all’articolo 635 c.p..
Si censura la ritenuta ricorrenza dell’aggravante dell’esposizione a pubblica fede essendosi dimostrato come il luogo ove si verifico’ il fatto di reato (complesso appartenente alla Marina Militare e come tale munito di recinzioni e di sorveglianza) non risultava accessibile agli estranei essendo sottoposto a continua sorveglianza in quanto nello stesso era consentito l’ingresso solo ai titolari muniti di apposito pass. – Secondo motivo: violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera b) ed e) in relazione agli articoli 190, 468 e 495 c.p.p. con riferimento all’ordinanza di revoca della prova orale del 28/03/2018 e vizio di motivazione con riferimento alla richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
Si insiste nella censura dell’operato del primo giudice che, all’udienza del 28/03/2018, aveva revocato la prova orale gia’ ammessa (esame teste (OMISSIS)) senza nulla argomentare sulla superfluita’ della stessa. Il teste in questione avrebbe dovuto riferire in ordine al capo B), e segnatamente sulla circostanza che gli oggetti sequestrati e rinvenuti all’interno dell’autovettura non erano nella disponibilita’ del (OMISSIS) allorquando l’auto della (OMISSIS) venne danneggiata. In seguito alla revoca dell’ordinanza di ammissione dei testimoni, il giudizio di primo grado si era cosi’ concluso senza l’audizione di alcun teste a discarico, avendo il giudice fondato il proprio convincimento solo su quanto affermato dall’accusa. La Corte territoriale, in merito a tale specifica doglianza, statuiva che la nullita’ eccepita dalla difesa si era sanata perche’ non immediatamente dedotta. In realta’, il Tribunale aveva revocato l’ordinanza ammissiva del teste immediatamente prima della dichiarazione di chiusura dell’istruttoria dibattimentale e dell’invito alle parti a discutere: pertanto, il primo momento utile per poter eccepire la nullita’ e’ rappresentato appunto dalla discussione orale e tanto veniva effettuato dalla difesa che reiterava la propria censura nell’atto di appello richiedendo la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Terzo motivo: violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione all’insussistenza della circostanza aggravante di cui all’articolo 61 c.p., comma 1, n. 2 e alla mancata applicazione della L. n. 110 del 1975, articolo 4, comma 3.
Si evidenzia come il rinvenimento degli oggetti di cui al capo B (cesoia di cm. 37, mazza di ferro ricoperta in gomma di cm. 45 e quattro cacciaviti di diversa lunghezza) non si verificava nell’immediatezza dei fatti ma a distanza di tempo dal danneggiamento dell’autovettura della parte civile e per tale ragione non era possibile affermare oltre ogni ragionevole dubbio che uno di questi attrezzi fosse stato utilizzato per commettere il reato di danneggiamento, atteso che l’utilizzo degli stessi e’ del tutto compatibile con lo svolgimento di attivita’ quotidiane.
-Quarto motivo: violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in relazione all’articolo 131 bis c.p..
Si evidenzia come il diniego di riconoscimento della speciale causa di non punibilita’ viene argomentato in modo illogico rispetto alle proprie decisioni in punto di concessione della sospensione condizionale della pena (che ha posto l’accento sull’occasionalita’ della vicenda e sulla formulabilita’ di una prognosi favorevole in ordine all’astensione in futuro dalla commissione di ulteriori condotte di reato) e di riduzione dell’ammontare della provvisionale (che ha riconosciuto la sproporzionalita’ rispetto al danno relativo alla rottura di un pneumatico, il cui valore notoriamente non supera i 200 Euro).
Quinto motivo: violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione agli articoli 62 bis e 133 c.p..
Si deduce come le argomentazioni addotte al riguardo appaiano inidonee a supplire alla doglianza denunciata che evidenziava lo scarso allarme sociale derivante dal fatto. In particolare, si evidenzia come se e’ vero che il giudice d’appello non e’ tenuto ad un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti e che, in una visione globale, deve fornire l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi per il proprio decisum, e’ altrettanto vero come nella fattispecie le argomentazioni difensive del ricorrente siano state del tutto trascurate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso risulta fondato in relazione al primo motivo (in cui viene assorbito il quinto) ed infondato (per alcune censure, anche in modo manifesto) nel resto.
2. Fondato, e come tale pienamente accoglibile, e’ il primo motivo.
Il processo ha fatto emergere con certezza che il parcheggio ove si trovava parcheggiata l’autovettura danneggiata di proprieta’ di (OMISSIS) non era aperto al pubblico. L’area infatti risultava vigilata da personale della base navale denominata Centro Addestramento Aereonavale Maricentadd di proprieta’ della Marina Militare, era accessibile dall’esterno solo al personale ivi in servizio ovvero a soggetti esterni solo se muniti di pass che veniva controllato dai militari del Corpo di guardia all’ingresso.
Si afferma in giurisprudenza che la ratio dell’aggravamento della pena previsto dall’articolo 625 c.p., n. 7, terza ipotesi, non e’ correlata alla natura – pubblica o privata – del luogo ove si trova la cosa, ma alla sua condizione di esposizione alla pubblica fede, che ricorre quando la cosa trovi protezione solo grazie al senso di rispetto per l’altrui bene da parte di ciascun consociato; e’ percio’ possibile ritenere che questa condizione possa sussistere anche se la cosa si trovi in un luogo privato a cui, per mancanza di recinzioni o sorveglianza, si possa liberamente accedere (si veda in questo senso Sez. 5, n. 9022 del 08/02/2006, Giuliano, Rv. 233978; Sez. 2, n. 24131 del 19/04/2017, PG vs. Posti, n. m.). Per la sussistenza dell’aggravante de qua, occorre pertanto che la cosa trovi protezione solo in base ad una sorta di senso civico e che il bene si trovi in un luogo privato privo di recinzioni o sorveglianza ove chiunque possa accedere liberamente. Nella fattispecie, tutto cio’ non e’ accaduto, atteso che, come si e’ detto, il locus delicti commissi e’ sottoposto a continua sorveglianza, e’ accessibile dall’esterno solo ai detentori di pass e ogni soggetto che vi fa ingresso viene controllato da personale militare.
Alla luce di quanto sopra, appare evidente che nei confronti del (OMISSIS) non possa ritenersi sussistente il delitto di danneggiamento aggravato non essendo il bene danneggiato esposto per necessita’, consuetudine o destinazione alla pubblica fede, non essendo intervenuta alcuna violenza alla persona o minaccia ed essendosi il fatto verificato in luogo privato custodito e protetto, nell’accezione sopra precisata: da cio’ discende che il giudice di merito avrebbe dovuto emettere sentenza di non doversi procedere per intervenuta depenalizzazione del reato di danneggiamento non aggravato a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7.
Da qui l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al capo A) perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato.
3. Infondato e’ il secondo motivo.
Dal consentito – in ragione della tipologia di vizio dedotto accesso agli atti, risulta che all’udienza del 28/03/2018, il Tribunale, preso atto che (come gia’ avvenuto in precedente udienza) la notifica al teste di difesa (OMISSIS), non comparso, non risultava essere andata a buon fine, sentite le parti, disponeva la revoca dell’ordinanza ammissiva del teste, ritenendo la superfluita’ della sua audizione.
La sentenza impugnata ha rigettato il motivo analogo d’appello sulla base della giurisprudenza di legittimita’ secondo cui la nullita’ che deriva dalla revoca dell’ordinanza ammissiva di un teste della difesa non sorretta da adeguata motivazione sulla superfluita’ della prova ha natura non assoluta ma relativa, ovvero – secondo altra opzione – di carattere intermedio, ed in tal caso e’ da ritenersi sanata se non immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell’articolo 182 c.p.p., comma 2.
3.1. Il Collegio evidenzia al riguardo che, se e’ certamente principio condiviso quello secondo cui e’ nulla l’ordinanza con la quale il giudice abbia revocato il provvedimento di ammissione dei testi della difesa in difetto di reale motivazione sul necessario requisito della loro superfluita’, integrando una violazione del diritto della parte di “difendersi provando”, stabilito dall’articolo 495 c.p.p., comma 2, corrispondente al principio della “parita’ delle armi” sancito dall’articolo 6, comma 3, lettera d), della CEDU, al quale si chiama l’articolo 111 Cost., comma 2, in tema di contraddittorio tra le parti (Sez. 5, n. 51522 del 30/09/2013, Abatelli, Rv. 257892), la nullita’ che si produce non e’ certamente assoluta, non rientrando nel novero di quelle definibili come tali dall’articolo 179 c.p.p..
Invero, secondo l’opzione dominante, cui il Collegio aderisce, detta nullita’ e’ di ordine generale a regime intermedio (cfr., Sez. 5, n. 16976 del 12/02/2020, Polise, Rv. 279166; Sez. 6, n. 53823 del 05/10/2017, D M., Rv. 271732; Sez. 2, n. 9761 del 10/02/2015, Rizzello, Rv. 263210; Sez. 5, n. 51522 del 30/09/2013, Abatelli, Rv. 257891, gia’ citata per altro profilo, e Sez. 5, n. 18351 del 17/02/2012, Biagini, Rv. 252680).
3.2. Alla luce della disciplina prevista dal codice di rito, detta nullita’ deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell’articolo 182 c.p.p., comma 2, con la conseguenza che in caso contrario essa e’ sanata. Infatti, il disposto dell’articolo 180 c.p.p., secondo cui la nullita’ di ordine generale verificatasi nel corso del giudizio e’ deducibile dalla parte, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo, trova un limite nella disposizione dell’articolo 182 c.p.p., comma 2, che prevede una eccezione alla regola della deducibilita’ appena illustrata, con riferimento al caso in cui la parte assista al compimento dell’atto nullo. Per tale ipotesi e’ sancito che la parte, se non puo’ eccepire la nullita’ prima del compimento dell’atto stesso, deve farlo immediatamente dopo. Altro orientamento ritiene la nullita’ di natura relativa, evidenziandone, peraltro, il regime di deducibilita’ pur sempre ai sensi dell’articolo 182 c.p.p., comma 2, (cfr. Sez. 5, n. 2511 del 24/11/2016, dep. 2017, Mignogna, Rv. 269050).
3.3. Nel caso di specie, la revoca del teste di difesa (OMISSIS) e’ avvenuta con motivazione di riconosciuta superfluita’ della relativa audizione. Peraltro, quand’anche si volesse ritenere che detta motivazione sia del tutto apparente e, come tale, inesistente, appare incontestabile come la parte deducente risulti decaduta dalla facolta’ di proporre detta eccezione nei termini di legge. Dagli atti risulta infatti che, dopo la pronuncia dell’ordinanza in parola, preceduta dalla richiesta difensiva di “insistere per l’ascolto”, il Tribunale ha disposto la chiusura dell’istruttoria dibattimentale invitando le parti alla discussione.
In questo contesto la difesa dell’imputato e’ rimasta del tutto silente in quanto, senza eccepire la pretesa nullita’ dell’ordinanza ammissiva del proprio teste, si e’ acquietata sul provvedimento ed ha proceduto alla discussione. Ebbene, proprio alla luce di tale dato, la doglianza tardivamente proposta in sede di appello (non “recuperabile” attraverso la surrettizia richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale) era, quindi, inammissibile per intervenuta decadenza.
Deve essere altresi’ ribadito, per confortare ancor di piu’ l’infondatezza del motivo di ricorso, che, qualora il giudice dichiari chiusa la fase istruttoria senza che sia stata assunta una prova in precedenza ammessa e le parti, corrispondendo al suo invito, procedano alla discussione senza nulla rilevare in ordine alla incompletezza dell’istruzione, la prova in questione – se non espressamente revocata, come nella fattispecie – deve comunque ritenersi implicitamente revocata a seguito dell’acquiescenza delle parti medesime (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 7108 del 14/12/2015, dep. 2016, Sgherri, Rv. 266076; Sez. 3, n. 29649 del 27/03/2018, Bulletti, Rv. 273590).
4. Aspecifico, evocativo di non consentite censure in fatto e comunque manifestamente infondato e’ il terzo motivo.
4.1. Il motivo reitera pedissequamente motivi di appello, propone non consentite censure di merito insistendo su letture alternative dei fatti e non si confronta con le giustificate motivazioni e conclusioni rese dal giudice del gravame.
La mancanza di specificita’ del motivo, invero, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericita’, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non puo’ ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita’ che conduce, a norma dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), alla inammissibilita’ della impugnazione (cfr., Sez. 2, n. 29108 del 15/07/2011, Cannavacciuolo non mass.; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/02/2002, Palma, Rv. 221693).
4.2. Scrivono i giudici di secondo grado: “… diversamente da quanto ha argomentato l’appellante, il rinvenimento nell’autovettura dell’imputato del materiale di cui al capo B) alle ore 13.20, cioe’ dopo qualche ora dal danneggiamento, non vale certo a smentire che quegli oggetti fossero stati portati appresso allo scopo di effettuare il danneggiamento. Del resto, la persona offesa ha narrato di essere da tempo vittima delle “attenzioni” dell’imputato, che era solito seguirla e che giorni prima non aveva esitato a rimproverarla per un parcheggio errato, contesto dimostrativo di fastidiarla con uno degli oggetti che si era portato appresso. Che e’ quanto quel giorno avvenne. Ne’ il fatto analiticamente descritto al capo 8) puo’ considerarsi di lieve entita’ proprio per la presenza del manganello, che si colloca fra gli oggetti descritti al comma 1 e non gia’ dalla L. n. 110 del 1975, articolo 4, comma 2″.
5. Aspecifico, evocativo di non consentite censure in fatto e comunque manifestamente infondato e’ anche il quarto motivo.
Richiamate le considerazioni esposte nel precedente paragrafo 4.1. del considerato in diritto, evidenzia il Collegio come la Corte territoriale abbia ritenuto, con argomentazione congrua e priva di vizi logico-giuridici, che il fatto non potesse ritenersi di particolare tenuita’ in ragione del contesto in cui si sono verificati i fatti (il danneggiamento e’ l’epilogo di una lunga condotta di persecuzione; il fatto e’ stato commesso da soggetto che doveva sorvegliare sulla sicurezza del luogo ove si sono verificati i fatti).
6. Il sesto motivo, in punto diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e omesso adeguamento della pena inflitta, e’ assorbito sotto due profili: il primo, perche’ con riferimento al reato di cui al capo A), viene pronunciata – come detto – sentenza di annullamento senza rinvio perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato; il secondo, perche’ con riferimento al capo B), reato ad oggi non prescritto per le ragioni che si andranno ad esporre, a seguito del dichiarato rigetto del ricorso, viene pronunciata sentenza di annullamento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio, il cui giudizio, anche in punto meritevolezza o meno delle circostanze attenuanti generiche, viene rimesso al giudice del rinvio.
7. Un ultimo punto attiene alla verifica in ordine all’avvenuta maturazione o meno della prescrizione del reato di cui al capo B).
Il reato contravvenzionale in parola, commesso in data (OMISSIS), e’ sottoposto al termine ordinario quadriennale di prescrizione, termine che va aumentato di anni uno per il verificarsi di evento interruttivo (decreto di citazione a giudizio emesso in data 27/03/2015) prima del suo spirare e di ulteriori mesi dieci e giorni venticinque per gli intervenuti differimenti in primo grado delle udienze tenutesi rispettivamente del 02/12/2015 (rinviata al 17/03/2016, per complessivi mesi tre e giorni quindici) e del 12/04/2017 (rinviata al 22/11/2017, per complessivi mesi sette e giorni dieci): differimenti disposti a seguito di adesione del difensore alle agitazioni indette dalla categoria professionale di appartenenza. E cosi’, l’originario termine di prescrizione risulta essere prorogato al 24/04/2020, data che rientra nel periodo di sospensione delle udienze a causa dell’emergenza Covid-19. Prima di verificare le conseguenze di detta sospensione sull’ulteriore durata della prescrizione, occorre procedere a qualche breve considerazione di sistema.
L’istituto della sospensione della prescrizione di cui alla L. n. 27 del 2020, articolo 83 va inquadrato nell’ambito della previsione di cui all’articolo 159 c.p., che costituisce una “norma in bianco” che demanda l’individuazione della causa di sospensione ad un’altra fonte normativa, nel caso di specie, appunto, la L. n. 27 del 2020, articolo 83. Come osservato dalla dottrina ed affermato da una prima pronuncia giurisprudenziale (Sez. 5, n. 25222 del 14/07/2020, Lungaro), la sospensione della prescrizione opera non in virtu’ di una norma sopravvenuta, ma in ottemperanza ad un principio generale e previgente contenuto appunto nell’articolo 159 c.p., rispetto al quale la norma emergenziale costituisce solo l’individuazione del fatto che genera la necessita’ della sospensione ed in tal senso consente anche il superamento dei dubbi di legittimita’ costituzionale trattandosi appunto di norma che esclude che possa prefigurarsi una modificazione in peius della norma penale in contrasto con l’articolo 25 Cost..
Peraltro, ancora prima di interrogarsi sulla operativita’ della sospensione della prescrizione nei procedimenti pendenti in sede di legittimita’, se cioe’ la prescrizione debba riguardare tutti i procedimenti pendenti al 9 marzo 2020 ovvero solo i procedimenti pendenti e iscritti tra il 9 marzo ed il 30 giugno 2020, questione in relazione alla quale pende giudizio innanzi alle Sezioni unite, occorrera’ verificare quale sospensione abbiano avuto i procedimenti – quale il presente pervenuti in cancelleria in epoca precedente al 9 marzo 2020 ma fissati in pubblica udienza in periodo di emergenza Covid-19 e per detta causa non potuti trattare. In particolare, nel caso che occupa, il processo era stato fissato una prima volta per l’udienza del 10/03/2020, ma ivi non veniva celebrato per l’emergenza epidemiologica e, fuori udienza, veniva differito con provvedimento del Presidente di sezione all’udienza del 3 giugno 2020; anche in questa data, tuttavia, per le medesime ragioni il processo non trovava celebrazione in quanto il Presidente di sezione lo differiva d’ufficio all’odierna udienza dell’8 settembre 2020 in applicazione dei precetti contenuti nella circolare del Primo Presidente della Suprema Corte n. 55 del 10 aprile 2020 che al punto B) n. 1, aveva espressamente previsto che “tutti i procedimenti gia’ fissati nelle udienze e nelle camere di consiglio nel periodo fino all’11 maggio 2020 sono rinviati d’ufficio e fuori udienza a una data successiva al 30 giugno 2020, fatti salvi quelli per cui ricorrono le ipotesi previste dal Decreto Legge n. 18 del 2020, articolo 83, comma 3”.
La scelta interpretativa alla base della questione che si dibatte (durata della sospensione della prescrizione) non puo’ non essere orientata dalla impostazione di fondo circa l’istituto della prescrizione che, evidentemente, risente della durata e dei tempi del processo posto che il decorso del tempo utile alla estinzione del reato (per prescrizione appunto), e’ una cosa (ed e’ collegato all’influenza del tempo sulla rilevanza del fatto per la societa’ e nelle valutazioni sociali), altra cosa e’ invece la durata del processo connessa a fattori esterni, di natura eccezionale che pur allungando i tempi del processo, non possono incidere sulla prescrizione. In generale, ritiene il Collegio come non possa darsi rilievo, a fini prescrizionali, al decorso tempo quando questo matura per effetto di fattori non in linea con la natura della causa estintiva.
Come e’ noto, il legislatore in un primo momento (Decreto Legge n. 18 del 2020) non aveva previsto una disciplina ad hoc per i procedimenti pendenti in sede di legittimita’; mentre in sede di conversione del decreto legge in parola (L. n. 27 del 2020) ha fornito un’indicazione specifica relativamente al giudizio di cassazione (articolo 83, comma 3 bis) prevedendo la durata della sospensione: “sino alla data dell’udienza e comunque non oltre il 31 dicembre 2020 e l’ambito di sua applicazione: “nei procedimenti pendenti dinanzi alla Corte di cassazione e pervenuti alla cancelleria della Corte nel periodo dal 9 marzo al 31 luglio (rectius, 30 giugno ex L. n. 70 del 2020) il decorso del termine di prescrizione e’ sospeso sino alla data dell’udienza fissata per la trattazione e, in ogni caso, non oltre il 31 dicembre 2020. Il significato da attribuire a tale specifica previsione non e’ univoco, come gia’ segnalato dall’Ufficio del Massimario (rel. n. 46/2020), in quanto la norma si presta ad una duplice lettura: la prima che vorrebbe i due presupposti ricorrere congiuntamente (come dimostrato dall’uso della congiunzione “e”) per cui la sospensione opererebbe con riferimento ai procedimenti pendenti dinanzi alla Corte di cassazione, laddove la pendenza e’ data dal pervenimento alla cancelleria centrale sino alla decisione, e tra quelli pendenti, a quelli pervenuti tra il 9 marzo e il 30 giugno; l’altra secondo cui il concetto di pervenimento e di pendenza sarebbero autonomi per cui la sospensione opererebbe con riferimento non solo ai procedimenti pervenuti tra il 9 marzo e il 30 giugno, ma a tutti i procedimenti pendenti anche se iscritti anteriormente al 9 marzo: da qui la necessita’ di porre la questione interpretativa al giudizio delle Sezioni Unite (proc. n. 3349/20, ric. Sanna, udienza fissata per il 24 settembre e differita al 26 novembre 2020).
Fermo quanto precede, ritiene il Collegio che la presente fattispecie (ripetiamo, udienza gia’ fissata nel periodo compreso tra il 9 marzo ed il 30 giugno 2020, ma differita d’ufficio per ben due volte con provvedimento presidenziale a data successiva al 30 giugno), proprio perche’: a) con udienza gia’ fissata nel periodo di lockdown ma non potutasi celebrare; b) soggetta ad un differimento d’ufficio a seguito di provvedimento presidenziale; c) con calendarizzazione bloccata o imposta, possa rappresentare una situazione del tutto peculiare che imponga di valutare necessariamente la durata della sospensione dei termini prescrizionali per tutto il periodo intercorrente fino alla data della consentita celebrazione d’udienza (ossia quella odierna, che e’ stata ritenuta essere la prima data utile in cui il processo potesse essere trattato). In applicazione di detto principio, la prescrizione, pertanto, finisce cosi’ per avere una sospensione che comprende l’intero periodo compreso tra il 9 marzo e l’8 settembre 2020. A decorrere da tale ultima data, si dovra’ poi tener conto dell’ulteriore periodo di sospensione “congelato” (intervenuto, come si e’ visto, per ragioni diverse da quelle epidemiche) dal 9 marzo al 24 aprile: periodo di complessivi quarantacinque giorni da “aggiungersi” alla data dell’8 settembre 2020. Ne consegue che, nella fattispecie, il termine finale di prescrizione risulta essersi cosi’ definitivamente prorogato alla data del 24 ottobre 2020.
8. Alla pronuncia di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in relazione al solo capo A) perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato, consegue:
– la revoca delle statuizioni civili e la conseguente reiezione delle
domande e delle richieste della parte civile;
-il rigetto nel resto del ricorso;
– la declaratoria di definitivita’ dell’accertamento della penale responsabilita’ dell’imputato in relazione al capo B);
– la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Lecce per la rideterminazione della pena per il capo B).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche’ il fatto di cui al capo A) non e’ previsto dalla legge come reato e, per l’effetto, revoca le statuizioni civili; rigetta nel resto il ricorso e dispone la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Lecce per la rideterminazione della pena per il residuo capo B) in relazione al quale dichiara definitivo l’accertamento di penale responsabilita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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