Al fine di stabilire se un determinato provvedimento abbia carattere di sentenza ovvero di ordinanza

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|6 novembre 2020| n. 24955.

Al fine di stabilire se un determinato provvedimento abbia carattere di sentenza ovvero di ordinanza, e sia, quindi, soggetto o meno ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, è necessario avere riguardo non già alla forma esteriore e alla denominazione adottata dal giudice che lo ha pronunciato, bensì al contenuto sostanziale del provvedimento stesso e, conseguentemente, all’effetto giuridico che esso è destinato a produrre, sicché costituiscano «sentenze – soggette agli ordinari mezzi di impugnazione e suscettibili, in mancanza, di passare in giudicato – i provvedimenti che, ai sensi dell’articolo 279 del codice di procedura civile contengono una statuizione di natura decisoria (sulla giurisdizione, sulla competenza, ovvero su questioni pregiudiziali del processo o preliminari di merito), anche quando non definiscono il giudizio», ravvisandosi, invece, un’ordinanza tutte le volte in cui il giudice «non ha pronunciato su alcuna delle questioni previste dall’articolo 279, comma 2, del codice di procedura civile ma si è limitato a provvedere per l’ulteriore svolgimento del processo, rimettendo la causa in istruttoria».

Ordinanza|6 novembre 2020| n. 24955

Data udienza 21 luglio 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Contratti e obbligazioni in genere – Appalto privato – Primo grado di giudizio – procura alle liti – Idoneità a consentire il patrocinio anche in appello – Condizioni

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 7290-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio c.c. dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
nonche’ contro
(OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 5710/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/09/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/07/2020 dal Consigliere Dott. GIAIME GUIZZI STEFANO.

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) ricorre, sulla base di sei motivi, per la cassazione della sentenza. n. 5710/17, del 12 settembre 2017, della Corte di Appello di Roma, che – dichiarando inammissibile, per difetto assoluto di procura, il gravame da esso esperito avverso la sentenza n. 685/14, del 21 novembre 2014, del Tribunale di Rieti – ha rigettato l’opposizione avverso il provvedimento monitorio emesso dal suddetto Tribunale che ingiungeva all’odierno ricorrente il pagamento, in favore di (OMISSIS), di Euro 36.347,06, per lavori edili, oltre spese legali.
2. Riferisce, in punto di fatto, il ricorrente di aver proposto opposizione ex articolo 650 c.p.c., avverso il suddetto decreto ingiuntivo, non solo deducendo che tutte le somme richieste dal (OMISSIS) per i lavori edili erano gia’ state corrisposte, ma proponendo anche domanda riconvenzionale, volta a far accertare vizi e difetti dell’opera realizzata.
Disposta, dall’adito giudicante – sul presupposto della ritenuta ammissibilita’ dell’opposizione tardiva (provvedimento, sottolinea l’odierno ricorrente, mai impugnato dal (OMISSIS), ne’ oggetto di riserva di appello, “nonostante fosse chiara la sua natura di sentenza non definitiva”) – la sospensione dell’efficacia del provvedimento monitorio, lo stesso concedeva termini alle parti ex articolo 183 c.p.c., comma 6, rinviando ad udienza successiva per la decisione sull’ammissione dei mezzi istruttori.
Mutato, tuttavia, “medio tempore” e piu’ volte, il giudice titolare della controversia, l’opposizione tardiva veniva dichiarata inammissibile dal Tribunale rietino.
Proposto gravame dall’attore in opposizione, sulla base di vari motivi, l’appellato (OMISSIS), nel costituirsi innanzi alla Corte capitolina, depositava querela di falso relativamente alla procura rilasciata dal (OMISSIS) in calce all’atto di appello. Di conseguenza, il difensore dell’appellante, al fine di evitare la sospensione del processo in attesa della decisione sull’incidente di falso, rinunciava ad avvalersi del documento, nella consapevolezza che la procura gia’ rilasciata per il primo grado fosse perfettamente idonea all’instaurazione anche del giudizio di appello. Cio’ nonostante, pervenuta la causa alla precisazione delle conclusioni (attraverso vari passaggi processuali, che non mette conto qui illustrare, comportanti, anche in questo caso, il mutamento della persona del giudice relatore), l’atto di appello veniva dichiarato inammissibile per difetto assoluto di procura.
3. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma ricorre per cassazione il (OMISSIS), sulla base – come detto – di sei motivi.
3.1. Con il primo motivo denuncia – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “violazione e/o falsa applicazione degli articoli 83, 157 e 159 c.p.c., nonche’ degli articoli 1362 e ss. c.c.”, e cio’ “alla stregua degli articoli 24 e 111 Cost.”.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver basato la propria statuizione su una duplice errata considerazione.
Per un verso, infatti, contesta l’affermazione secondo cui il conferimento di procura alle liti per l’appello implicherebbe, di per se’, il venir meno dei poteri derivanti da altre procure conferite allo stesso difensore, con la conseguenza che, avendo il legale del (OMISSIS) rinunciato ad avvalersi della procura per l’appello, non avrebbe potuto piu’ giovarsi di quella conferitagli per il primo grado.
Del pari, viene contestata l’affermazione secondo cui la procura alle liti conferita in primo grado non sarebbe stata idonea a sorreggere il proposto gravame, avendo la corte Capitolina ritenuto che essa recasse “una specifica imputazione solo per tale esclusivo giudizio, atteso che non viene mai richiamata una portata generale”, e, soprattutto, che l’espressione “in ogni stato e grado del giudizio” non fosse idonea a farla ritenere “procura valida anche per l’impugnazione”.
In tale modo, tuttavia, sarebbero stati disattesi – assume il ricorrente – i principi affermati da questa Corte, secondo cui la procura speciale rilasciata in primo grado “per il presente giudizio”, senza alcuna indicazione delimitativa, esprime la volonta’ della parte di estendere il mandato all’appello.
D’altra parte, a questo stesso esito – sottolinea sempre il ricorrente – dovrebbe condurre l’applicazione dei criteri ermeneutici in tema di interpretazione degli atti negoziali, operanti pure con riferimento alla procura “ad litem”, soggetta anch’essa al principio di conservazione dei negozi giuridici processuali.
3.2. Con il secondo motivo si denuncia – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – “nullita’ della sentenza” impugnata e del relativo procedimento “per ritenuto difetto di “ius postulandi”” in capo al difensore dell’appellante, per violazione degli articoli 83, 157, 159 e 161 c.p.c., nonche’ degli articoli 1362 e ss. c.c., e cio’ “alla stregua degli articoli 24 e 111 Cost.”.
Le medesime considerazioni poste a fondamento del primo motivo vengono dedotte sotto forma di denuncia di “un tipico “error in procedendo” implicante la nullita’ della sentenza impugnata alla stregua dell’articolo 161 c.p.c.”.
3.3. Con il terzo motivo, proposto subordinatamente ai primi due, e’ denunciata – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e/o falsa applicazione degli articoli 83 e 182 c.p.c.. In questo caso, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui, pur avendo erroneamente ritenuto la procura rilasciata in prime cure inidonea a conferire al legale lo “ius postulandi” per il grado di appello, ed avendo, di conseguenza, ritenuto di dover fare applicazione dell’articolo 182 c.p.c., ossia di promuovere la sanatoria della stessa, ha, tuttavia, affermato – del tutto inopinatamente – che la parte fosse stata posta in condizione di provvedervi nel momento in cui venne invitata a precisare le conclusioni, adempimento, tra l’altro, espletato anche con riferimento alla questione dell’ammissibilita’ dell’appello.
Reputa il ricorrente che la Corte territoriale abbia violato l’articolo 182 c.p.c., da interpretarsi anche alla luce della modifica apportata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, articolo 46, comma 2, (che pone a carico del giudice un vero e proprio “dovere” di promuovere la sanatoria), dal momento che essa non ha affatto invitato il legale dell’appellante a regolarizzare la procura, ne’ gli ha assegnato alcun termine per l’incombente in occasione dell’udienza di precisazione delle conclusioni.
3.4. Con il quarto motivo denuncia – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – “nullita’ della sentenza” impugnata e del relativo procedimento per violazione degli articoli 83, 161 e 182 c.p.c..
Le medesime considerazioni poste a fondamento del terzo motivo vengono dedotte sotto forma di denuncia di “un tipico “error in procedendo” implicante la nullita’ della sentenza impugnata alla stregua dell’articolo 161 c.p.c.”.
3.5. Con il quinto motivo e’ denunciata – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 279 c.p.c., comma 2, n. 4), e articolo 324 c.p.c., nonche’ dell’articolo 2909 c.c..
La cassazione della sentenza impugnata e’ richiesta, in questo caso, relativamente alla parte in cui ha ritenuto che l’ordinanza, emessa in prime cure dal Tribunale di Rieti, mediante la quale era stata riconosciuta l’ammissibilita’ dell’opposizione tardiva ex articolo 650 c.p.c., (dando anche gli ulteriori provvedimenti per l’istruzione della causa nel merito), fosse priva del carattere della decisorieta’ e, pertanto, sfornita della natura sostanziale di sentenza e, come tale, non idonea al passaggio in giudicato.
3.6. Con il sesto motivo e’ denunciata – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – “nullita’ della sentenza” impugnata e del relativo procedimento per violazione dell’articolo 161 c.p.c., articolo 279 c.p.c., comma 2, n. 4), e articolo 324 c.p.c., nonche’ dell’articolo 2909 c.c..
Le medesime considerazioni poste a fondamento del quinto motivo vengono dedotte sotto forma di denuncia di “un tipico “error in procedendo” implicante la nullita’ della sentenza impugnata alla stregua dell’articolo 161 c.p.c.”.
4. E’ rimasto intimato il (OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Il ricorso va accolto, sebbene nei limiti di seguito indicati.
5.1. I motivi primo e secondo di ricorso – da scrutinarsi congiuntamente, data la loro connessione – sono fondati.
5.1.1. La sentenza impugnata ha fatto errata applicazione della giurisprudenza di questa Corte in tema di procura alle liti, nel ritenere che il mandato “ad litem”, conferito dal (OMISSIS) al proprio legale in occasione del grado di giudizio celebrato innanzi al Tribunale di Rieti, non fosse idoneo a consentire al difensore di patrocinare il proprio assistito anche in appello.
In via preliminare, peraltro, occorre evidenziare quale fosse l’esatto contenuto della procura rilasciata in occasione dell’opposizione ex articolo 650 c.p.c., contenuto, peraltro, che – in ossequio al disposto di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6) – l’odierno ricorrente ha testualmente riprodotto alle pagg. 12 e 13 del proprio atto di impugnazione. Nelle stesse, infatti, si legge che l’espressione adoperata era del seguente tenore “Mando a rappresentarmi e difendermi nel presente procedimento (..) l’avv. (OMISSIS) conferendo alla medesima tutti i poteri di legge”.
Orbene, a fronte di siffatto tenore della procura alle liti, non corretta risulta la decisione della Corte capitolina di escludere che nella stessa fosse ricompreso il potere di proporre appello, esito al quale essa e’ pervenuta sul rilievo che “ogni qualvolta la parte non esprima esplicitamente nella procura speciale la volonta’ di estendere il potere di rappresentanza ai successivi gradi del processo, la procura dovra’ intendersi inevitabilmente conferita per il solo grado di giudizio”.
Per contro, questa Corte ha affermato – come non ha mancato di rammentare lo stesso ricorrente – che la procura speciale al difensore, “rilasciata in primo grado “per il presente giudizio” (o processo, causa, lite, etc.)”, ovvero, come nel caso che occupa, “nel presente procedimento”, e quindi “senza alcuna indicazione delimitativa”, esprime “la volonta’ della parte di estendere il mandato all’appello, quale ulteriore grado in cui si articola il giudizio stesso, ed implica il superamento della presunzione di conferimento solo per detto primo grado, ai sensi dell’articolo 83 c.p.c., comma 4, norma che deve considerarsi operante solo quando vengano utilizzati termini assolutamente generici o quando la procura si limiti a conferire la rappresentanza processuale senza alcuna indicazione” (da ultimo, Cass. Sez. Lav., sent. 6 dicembre 2016, n. 24973, Rv. 641984-01; nello stesso senso Cass. Sez. Lav., sent. 13 novembre 2009, n. 24092, Rv. 610147-01; Cass. Sez. Lav., sent. 17 marzo 1999, n. 2432, Rv. 524222-01; Cass. Sez. Un., sent. 17 maggio 1991, n. 5528, Rv. 472215-01).
5.2. I motivi terzo e quarto – del resto, proposti subordinatamente ai primi due – restano, invece, assorbiti dall’accoglimento del primo e secondo motivo di ricorso.
5.3. Infine, i motivi quinto e sesto – pure da vagliare in modo unitario, data la loro connessione – non sono fondati.
5.3.1. Al riguardo, infatti, va data continuita’ al principio secondo cui “al fine di stabilire se un determinato provvedimento abbia carattere di sentenza ovvero di ordinanza, e sia, quindi, soggetto o meno ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, e’ necessario avere riguardo non gia’ alla forma esteriore e alla denominazione adottata dal giudice che lo ha pronunciato, bensi’ al contenuto sostanziale del provvedimento stesso e, conseguentemente, all’effetto giuridico che esso e’ destinato a produrre”, sicche’ costituiscano “sentenze – soggette agli ordinari mezzi di impugnazione e suscettibili, in mancanza, di passare in giudicato – i provvedimenti che, ai sensi dell’articolo 279 c.p.c., contengono una statuizione di natura decisoria (sulla giurisdizione, sulla competenza, ovvero su questioni pregiudiziali del processo o preliminari di merito), anche quando non definiscono il giudizio”, ravvisandosi, invece, un’ordinanza tutte le volte in cui il giudice “non ha pronunciato su alcuna delle questioni previste dall’articolo 279 c.p.c., comma 2, ma si e’ limitato a provvedere per l’ulteriore svolgimento del processo, rimettendo la causa in istruttoria” (cosi’ da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 1, ord. 19 febbraio 2018, n. 3945, Rv. 647415-01).
L’evenienza da ultimo indicata e’ quella avvenuta nella specie, atteso che il giudice, sul presupposto che l’opposizione apparisse ammissibile (ma senza che tale valutazione pregiudicasse, in modo definitivo, la successiva decisione sul punto) ha dato i provvedimenti per l’ulteriore corso del giudizio.
6. All’accoglimento del ricorso segue la cassazione, in relazione, della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiarando assorbiti il terzo e il quarto, e rigettando il quinto ed il sesto, cassando, in relazione, la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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