Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 22 marzo 2018, n. 13307.

In tema di abusivo esercizio di una professione, lo svolgimento dell’attivita’ di odontoiatra da parte dei cittadini dell’Unione Europea in possesso del diploma rilasciato da uno Stato dell’Unione non configura gli estremi del reato previsto dall’articolo 348 c.p. solo se l’interessato abbia presentato domanda al Ministero della Sanita’ e questo, dopo aver accertato la regolarita’ dell’istanza e della relativa documentazione, abbia trasmesso la stessa all’ordine professionale competente per l’iscrizione.
Nel caso di specie l’atteggiamento, al momento del controllo, dell’indagato e delle tre assistenti, tutti vestiti con camice verde all’interno di uno studio perfettamente attrezzato, l’assenza di medici odontoiatri all’interno della struttura, la presenza di documentazione fiscale attestante una collaborazione di medici odontoiatri alle attivita’ eseguite nella struttura estremamente modesta rispetto alle dimensioni della stessa, la qualita’ del ricorrente di socio accomandatario della societa’ titolare dello studio, sono tutte circostanze che, allo stato, sulla base di criteri logico-giuridici di valutazione non manifestamente illogici, sono stati ritenuti quali indizi da cui desumere l’abusivo esercizio di una professione, quella odontoiatrica, per il cui svolgimento e’ necessaria l’abilitazione statale.

Sentenza 22 marzo 2018, n. 13307
Data udienza 22 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOGINI Stefano – Presidente

Dott. AGLIASTRO Mirella – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere

Dott. CORBO Antonio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza in data 10/11/2017 del Tribunale di Vicenza;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dr. Perelli Simone, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
udito, per il ricorrente, l’avvocato (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 10 novembre 2017, il Tribunale di Vicenza ha rigettato l’istanza di riesame presentate nell’interesse di (OMISSIS), indagato per il reato di esercizio abusivo della professione di odontoiatra avverso un provvedimento di sequestro preventivo avente ad oggetto lo studio dentistico recante l’insegna ” (OMISSIS) s.a.s.” e le relative attrezzature ed apparecchiature.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe l’avvocato (OMISSIS), quale difensore di fiducia di (OMISSIS), articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’articolo 321 c.p.p., a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), avendo riguardo all’insussistenza del fumus commissi delicti.
Si deduce che il Tribunale ha ritenuto sussistente il fumus commissi delicti solo perche’ l’indagato era all’interno dello studio dentistico con indosso un camice verde in assenza di altro medico odontoiatra, sebbene all’interno dei locali non fosse presente alcun paziente, ed il ricorrente non stesse eseguendo alcuna attivita’ riservata agli iscritti all’albo dei medici odontoiatri. L’assenza di qualunque elemento per ritenere che il reato ipotizzato fosse stato commesso avrebbe dovuto impedire l’applicazione della misura del sequestro preventivo: l’articolo 321 c.p.p. non prevede una “sorta di misura di prevenzione, che si fonda su ipotesi e previsioni future”, ma presuppone che “uno specifico fatto-reato (…) sia gia’ stato integrato e (…) possa essere ritenuto dimostrato, quanto meno sotto il profilo indiziario”.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’articolo 348 c.p. e al Decreto Legislativo n. 206 del 2007, articolo 10, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo riguardo alla configurabilita’ del reato di esercizio abusivo della professione di medico odontoiatra.
Si deduce che l’indagato ha ottenuto in Portogallo l’abilitazione all’esercizio della professione odontoiatrica fin dal 2003, e che tale qualifica professionale, a norma delle direttive comunitarie n. 786/78 e n. 787/86, del principio di non discriminazione tra i diversi cittadini dell’Unione Europea e del Decreto Legislativo n. 206 del 2007, articolo 10, consente di compiere interventi, anche senza l’iscrizione all’albo professionale italiano, perfino in assenza di alcuna comunicazione al Ministero della Salute, quanto meno nei casi di prestazioni urgenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ complessivamente infondato per le ragioni di seguito precisate.
2. Le censure formulate con il primo motivo contestano la configurabilita’ e sussistenza del fumus commissi delicti, in quanto all’interno dello studio non era presente alcun paziente, ne’ risulta che l’indagato stesse eseguendo attivita’ riservate agli iscritti all’albo dei medici odontoiatri.
2.1. Il tema degli indizi necessari per poter procedere a sequestro preventivo ha dato luogo a diversificati orientamenti di giurisprudenza.
Secondo un orientamento, la verifica del fumus commissi delicti non puo’ estendersi fino ad un vero e proprio giudizio di colpevolezza, essendo sufficiente la semplice indicazione di una ipotesi di reato, in relazione alla quale sussista la necessita’ di escludere la libera disponibilita’ della cosa pertinente a quel reato, potendo essa aggravarne o protrarne le conseguenze (cosi’, tra le tante, Sez. 2, n. 2248 del 11/12/2013, dep. 2014, Mirarchi, Rv. 260047).
Secondo l’indirizzo piu’ attento alle esigenze di garanzia dell’indagato, invece, ai fini dell’emissione del sequestro preventivo il giudice deve valutare la sussistenza in concreto del fumus commissi delicti attraverso una verifica puntuale e coerente delle risultanze processuali, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta, all’esito della quale possa sussumere la fattispecie concreta in quella legale e valutare la plausibilita’ di un giudizio prognostico in merito alla probabile condanna dell’imputato (Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015, Macchione, Rv. 265433).
Pur nell’ambito di questa piu’ rigorosa prospettiva, e’ tuttavia frequente la sottolineatura che la plausibilita’ del giudizio prognostico non deve spingersi sino a sindacare la fondatezza dell’accusa (Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014, Armento, Rv. 261677), o, comunque, che non e’ necessario un compendio indiziario che si configuri come grave ai sensi dell’articolo 273 c.p.p. (Sez. 3, n. 37851 del 04/06/2014, Parrelli, Rv. 260945).
2.2. Con riferimento alla ricostruzione della materialita’ della fattispecie, l’ordinanza impugnata premette che la polizia giudiziaria, procedendo ad un controllo fiscale e di contrasto al lavoro nero presso lo studio della ” (OMISSIS) s.a.s.”, aveva rinvenuto all’interno dello studio le persone di (OMISSIS), di (OMISSIS), socia della ” (OMISSIS) s.a.s.”, e di tre dipendenti con mansioni di segretarie e assistenti alla poltrona; sia (OMISSIS), sia le tre assistenti indossavano un camice verde. Aggiunge che gli operanti, verificata l’assenza di iscrizione di (OMISSIS) all’Ordine dei Medici e Chirurghi e Odontoiatri italiano, avevano sottoposto a sequestro sia lo studio, composto da sala d’attesa, ufficio del personale e tre studi attrezzati con poltrone odontoiatriche, sia l’attrezzatura rinvenuta.
Il Tribunale indica, come elementi posti a fondamento del fumus commissi delicti: -) l’atteggiamento di (OMISSIS) e delle tre assistenti, tutti vestiti con camice verde; -) la struttura dello studio oggetto di accesso, i cui locali “erano allestiti e pronti all’uso”; -) l’assenza nello studio di un medico odontoiatra abilitato all’esercizio della professione; -) la disponibilita’, da parte della societa’ ” (OMISSIS) s.a.s.”, di un altro studio dotato di strutture omogenee; -) la posizione dell’indagato di socio accomandatario della medesima impresa; -) l’allegazione di sole due fatture al mese per tre medici, eccessivamente modesta rispetto alla complessiva struttura della societa’, dotata di due separate strutture, ciascuna dotata di tre sale e di tre assistenti con funzione di assistenti di poltrona.
2.3. In considerazione dei principi giuridici sopra indicati, deve ritenersi corretta la conclusione dell’ordinanza impugnata in ordine alla sussistenza del fumus commissi delicti.
Ed infatti, nel caso in esame, vi e’ sia l’indicazione di una ipotesi di reato in relazione alla quale sussiste la necessita’ di escludere la libera disponibilita’ della cosa pertinente a quel reato, sia una verifica puntuale e coerente delle risultanze processuali, condotta anche avendo riguardo alla probabile condanna dell’imputato, ma in una prospettiva che non deve corrispondere a quella richiesta dall’articolo 273 c.p.p. e che non implica giudizi sulla fondatezza dell’accusa.
In questa ottica, l’atteggiamento, al momento del controllo, dell’indagato e delle tre assistenti, tutti vestiti con camice verde all’interno di uno studio perfettamente attrezzato, l’assenza di medici odontoiatri all’interno della struttura, la presenza di documentazione fiscale attestante una collaborazione di medici odontoiatri alle attivita’ eseguite nella struttura estremamente modesta rispetto alle dimensioni della stessa, la qualita’ del ricorrente di socio accomandatario della societa’ titolare dello studio, sono tutte circostanze che, allo stato, sulla base di criteri logico-giuridici di valutazione non manifestamente illogici, possono correttamente essere ritenute quali indizi da cui desumere l’abusivo esercizio di una professione, quella odontoiatrica, per il cui svolgimento e’ necessaria l’abilitazione statale.
3. Le censure formulate con il secondo motivo contestano la configurabilita’ del reato di esercizio abusivo della professione di odontoiatra in quanto il ricorrente ha ottenuto in Portogallo l’abilitazione all’esercizio della stessa.
3.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita’, condivisa dal Collegio, in tema di abusivo esercizio di una professione, lo svolgimento dell’attivita’ di odontoiatra da parte dei cittadini dell’Unione Europea in possesso del diploma rilasciato da uno Stato dell’Unione non configura gli estremi del reato previsto dall’articolo 348 c.p. solo se l’interessato abbia presentato domanda al Ministero della Sanita’ e questo, dopo aver accertato la regolarita’ dell’istanza e della relativa documentazione, abbia trasmesso la stessa all’ordine professionale competente per l’iscrizione (cosi’ Sez. 6, n. 47532 del 13/11/2013, La Barbera, Rv. 257455; nello stesso senso, in precedenza, Sez. 1, n. 16230 del 05/03/2001, Malli, Rv. 218607, e Sez. 6, n. 5672 del 22/04/1997, Rosa Brusin, Rv. 209314).
3.2. Il Tribunale, in proposito, rappresenta innanzitutto che la previsione di cui al Decreto Legislativo n. 206 del 2007, articolo 10 vieta al prestatore di opera proveniente da altro Stato membro di esercitare qualunque attivita’ professionale senza aver previamente informato con dichiarazione scritta l’autorita’ competente, “salvo i casi di urgenza”. Aggiunge, poi, che la disciplina in esame legittima prestazioni temporanee od occasionali, come tali non “includibili” in quelle coerenti con le capacita’ operative delle strutture sequestrate, che l’indagato non ha prodotto neppure la dichiarazione scritta di cui all’articolo 10 cit. e che l’abilitazione in Portogallo e’ risalente e non autorizza di per se’ ad esercitare la professione in Italia, in quanto a tal fine e’ necessario il controllo di requisiti minimi di preparazione.
3.3. In forza degli elementi indicati nell’ordinanza impugnata, in particolare l’assenza della dichiarazione scritta all’autorita’ competente prevista dal Decreto Legislativo n. 206 del 2007, articolo 10, e la strutturazione dello studio, predisposto per operare in termini di costante ordinarieta’, deve ritenersi corretta l’applicazione dei principi giurisprudenziali consolidati sopra riportati.
4. Alla complessiva infondatezza delle censure proposte segue l’infondatezza del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *