In sede di ricorso per cassazione

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 13 settembre 2019, n. 22883.

La massima estrapolata:

In sede di ricorso per cassazione, qualora il ricorrente intenda lamentare la mancata ammissione da parte del giudice di appello della prova testimoniale – non ammessa in primo grado perché superflua e riproposta in secondo grado – deve dimostrare, a pena di inammissibilità, di aver ribadito la richiesta istruttoria in sede di precisazione delle conclusioni davanti al giudice di appello.

Ordinanza 13 settembre 2019, n. 22883

Data udienza 11 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 24918-2017 proposto da:
(OMISSIS) SPA in persona del suo legale rappresentante pro tempore (OMISSIS), domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3248/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 12/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/06/2019 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA.

RILEVATO

che:
1. La (OMISSIS) s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, contro (OMISSIS), avverso la sentenza del 12 luglio 2017, con la quale la Corte d’Appello di Napoli – in accoglimento del primo motivo di appello del (OMISSIS) ed in riforma della sentenza resa in prime cure inter partes dal Tribunale di Napoli nel luglio del 2009, previo assorbimento degli altri motivi dell’appello e dell’appello incidentale di essa ricorrente – ha rigettato la domanda proposta da quest’ultimo nell’aprile del 2004 per ottenere l’accertamento del suo inadempimento contrattuale, quale suo procuratore generale e quale direttore tecnico in relazione alla vicenda relativa all’esecuzione di un contratto di appalto con il Comune di Andora, nonche’ la condanna del medesimo al risarcimento dei danni (nella misura di Euro 172.958,72 per danno emergente e dell’importo pari all’utile che la (OMISSIS) avrebbe potuto realizzare dall’affare a titolo di lucro cessante, ovvero della somma maggiore o minore accertanda) ed al rendimento del conto della sua gestione nella doppia veste attribuitagli.
2. Il tribunale partenopeo, sulla base delle sole risultanze documentali e ritenendo irrilevante la prova testimoniale dedotta dall’attrice, con la sua sentenza aveva riconosciuto in capo al (OMISSIS) la qualita’ di direttore tecnico di cantiere quanto all’indicato appalto e lo condannava in parziale accoglimento nel quantum della domanda, al pagamento della somma di Euro 109.158,33.
Investita dell’appello principale del (OMISSIS) e di quello incidentale della (OMISSIS), la corte napoletana disponeva c.t.u. e, quindi, pronunciava la sentenza qui impugnata.
3. Al ricorso per cassazione ha resistito con controricorso il (OMISSIS).
4. La trattazione dei ricorsi e’ stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 380-bis.1 e, in vista dell’adunanza della Corte, non sono state depositate conclusioni del Pubblico Ministero, ne’ memorie delle parti.

CONSIDERATO

che:
1. Con il primo motivo di ricorso si prospetta: “Nullita’ della sentenza per illogicita’, contraddittorieta’ e contrasto irriducibile di affermazioni in relazione all’articolo 132 n. 4” ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4.
Il motivo si articola dalla pagina 21 sino alla meta’ della pagina 44.
Nella illustrazione non si argomenta la censura denunciata nella intestazione nei termini indicati dalla giurisprudenza di questa Corte, ma, in realta’ si procede ad una critica di essa, peraltro evocata in alcuni passi, con riguardo all’apprezzamento di varie risultanze degli atti e della c.t.u. espletata in appello e, dunque delle risultanze probatorie, al fine di prospettare una diversa ricostruzione della quaestio facti relativa alla posizione del (OMISSIS).
1.1. In tal modo, il contenuto argomentativo, basato non gia’ sulla sola motivazione della sentenza per evidenziarvi intrinseche “illogicita’, contraddittorieta’ e contrasto irriducibile di affermazioni”, ma sul confronto di essa con le cennate risultanze ed un loro diverso apprezzamento, palesa in modo manifesto che l’effettiva struttura del motivo e’, in realta’, riconducibile al paradigma del vecchio n. 5 dell’articolo 360 c.p.c. e, dunque, ad un vizio che non risulta piu’ denunciatile.
Il motivo non e’ dunque ammissibile, in quanto cio’ che vi si deduce esula dal contenuto che al detto paradigma hanno attribuito Cass. sez un. 8053 e 8054 del 2014, secondo le quali: “La riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.”; “L’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli articoli 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.”.
Nel solco di dette decisioni gia’ Cass. Sez. Un., 22 settembre 2014, n. 19881, ha ulteriormente rilevato che da un lato, il sindacato sulla motivazione e’ ormai ristretto ai casi di inesistenza della motivazione in se’, cioe’ alla “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, alla “motivazione apparente”, al “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, alla “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; dall’altro lato, il controllo previsto dal nuovo n. 5 dell’articolo 360 c.p.c., concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioe’ che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia): l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.”.
A maggior ragione dopo una tale novella legislativa resta fermo il principio, gia’ del tutto consolidato (e com’e’ ormai ribadito da giurisprudenza tralaticia) dell’esclusione del potere di questa Corte di legittimita’ di riesaminare il merito della causa, essendo ad essa consentito, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformita’ a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilita’ e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove c. d. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile): sicche’ sarebbe inammissibile (perche’ in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimita’) una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) si’ come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, non potendo darsi corso ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimita’ in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilita’ maggiore o minore di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per cio’ solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre piu’ consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilita’ nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimita’. In particolare, opera il principio di diritto secondo cui: “Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non da’ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), ne’ in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, – da’ rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.” (Cass., n. 11892 del 216, seguita da numerose conformi).
1.2. Poiche’ l’illustrazione del motivo non si articola con i contenuti indicati dalle Sezioni Unite, il motivo e’, per cio’ solo, inammissibile.
1.3. Tanto non esime, sebbene solo ad abundantiam, dal rilevare che il motivo e’ anche inosservante dell’onere dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, sia quanto alla localizzazione in questo giudizio di legittimita’ del ricorso ai sensi dell’articolo 414 c.p.c. su cui si fonda, sia della c.t.u. la cui condivisione da parte della sentenza impugnata critica. Riguardo ad essa non dice di averne prodotto copia e nemmeno dice ai fini dell’osservanza dell’articolo 366, n. 6 – di voler fare riferimento alla sua presenza nel fascicolo d’ufficio della corte d’appello, come ammette, ma per esentare il ricorrente dall’onere di cui all’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, Cass., Sez. Un., n. 22726 del 2011.
2. Con un secondo motivo si prospetta: “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, articolo 360 c.p.c., n. 5, nonche’ violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed omessa motivazione con riferimento agli articoli 115, 116 e 356 c.p.c., articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche’ omessa e/inesistente motivazione, articoli 115 e 116 c.p.c., articolo 132 c.p.c., n. 4, articolo 356 c.p.c., articolo 360 c.p.c., n. 4”.
2.1. L’illustrazione del motivo – che procede dalla meta’ della pagina 44 sino alla meta’ della pagina 53 – si risolve in una manifestazione di dissenso dalla valutazione delle emergenze probatorie documentali ed in una sollecitazione a valutarle diversamente in funzione di una critica alle conclusioni della c.t.u. fatte proprie dalla sentenza impugnata.
Ne segue che il motivo difetta di quanto corrisponde secondo la gia’ evocata giurisprudenza delle Sezioni Unite al paradigma dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
2.2. Non corrisponde a maggior ragione alla sostanza della censura di violazione dell’articolo 132, n. 4, peraltro nemmeno evocato nella illustrazione.
2.3. Inoltre, in disparte che gli articoli 115 e 116 nemmeno vengono evocati nella illustrazione, si rileva che Cass., Sez. Un. 16598, nella motivazione (non massimata) ha pienamente avallato i principi di diritto affermati da Cass. n. 11892 del 2016, gia’ citata, statuendo che: “per dedurre la violazione del paradigma dell’articolo 115 e’ necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioe’ abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioe’ dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioe’ giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si puo’ ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., che non a caso e’ rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016).
2.4. Nella parte finale della illustrazione il motivo si duole che la corte territoriale non abbia ammesso le prove testimoniali che la ricorrente aveva articolato in primo grado al fine di superare i dubbi sulla posizione rivestita dal (OMISSIS). Detta prova – i cui capitoli vengono trascritti – si assume dedotta in primo grado e riproposta in secondo grado, in quanto, si dice, non era stata ammessa per superfluita’ dal tribunale.
La censura, evidentemente riconducibile – ancorche’ non lo si dica all’indicata violazione dell’articolo 356 c.p.c., non puo’ trovare accoglimento: parte ricorrente omette di riprodurre direttamente o indirettamente, con precisazione della parte dell’atto di appello nella quale troverebbe corrispondenza l’indiretta riproduzione, il contenuto dell’atto di appello in cui aveva riproposto la prova testimoniale. In tale modo il motivo viola l’articolo 366 c.p.c., n. 6.
Non solo: si omette di precisare, dato che si assume che il giudice d’appello, se non fosse stato convinto della prospettazione della CEC all’esito della c.t.u., avrebbe potuto dare corso alla prova ed ammetterla, di dire se all’esito dell’istruzione disposta in appello con l’espletamento della c.t.u. (le cui conclusioni assume negli altri motivi di avere criticato) e comunque in sede di precisazione delle conclusioni si era richiesta l’ammissione della prova per testi.
La sentenza nulla dice al riguardo.
Ne consegue che, in mancanza di dimostrazione del mantenimento della richiesta di prova testimoniale in sede di precisazione delle conclusioni, al giudice d’appello non puo’ essere imputato di non avere ammesso la prova.
Il principio di diritto che viene in rilievo e’ il seguente: qualora il giudice di primo grado non abbia ammesso una prova per testi reputandola superflua, la parte che l’aveva dedotta e che e’ vittoriosa in primo grado, ove abbia riproposto in appello la prova e l’esito dell’appello le sia sfavorevole con la relativa sentenza, non puo’ lamentarsi in sede di legittimita’ della mancata ammissione della prova se non dimostri di avere formulato in sede di precisazione delle conclusioni davanti al giudice d’appello la richiesta dei ammissione della prova testimoniale gia’ riproposta.
3. Con il terzo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli articoli 1218, 1223, 1292 e 1294 c.c.” in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3″.
Si assume che, poiche’ la Corte d’Appello sarebbe pervenuta alla conclusione che il (OMISSIS) aveva rivestito la carica di direttore tecnico non in via esclusiva, ma insieme all’ingegner (OMISSIS), avrebbe dovuto ritenerlo solidalmente responsabile insieme al medesimo.
3.1. Il motivo e’ privo di fondamento, in quanto non si correla all’effettiva motivazione della sentenza impugnata.
Essa, nello scrutinare il significato delle pretese ammissioni che il primo giudice aveva ritenuto esistenti nel ricorso ai sensi dell’articolo 414 c.p.c. ha detto effettivamente che esse non potevano suffragare la conclusione che il (OMISSIS) fosse il direttore tecnico del cantiere di Andora o che lo fosse quantomeno in via esclusiva, cosi’ adombrano la possibilita’ che ricorresse questa seconda ipotesi.
Senonche’, ha poi, sempre a pagina 6, detto che non risultava decisivo verificare che il (OMISSIS) fosse direttore tecnico o direttore tecnico di cantiere, in quanto era necessario verificare se allo stesso fosse affidata la gestione del cantiere e le relative scelte decisionali ed ha, poi concluso, con la motivazione successiva fino alla pagina 8 che la (OMISSIS) non lo aveva provato.
4. Conclusivamente il ricorso e’ rigettato.
5. Le spese, tenuto conto del regime dell’articolo 92 operante con riferimento all’introduzione del giudizio in primo grado, avvenuta nel 2004, e considerato l’esito opposto dei gradi di merito, possono compensarsi in cio’ ravvisandosi giusti motivi. Tenuto conto che il dispositivo della presente decisione e’ di rigetto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si deve dare atto che giustifica la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso a norma del comma 1- bis del citato articolo 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto che il presente dispositivo giustifica la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso a norma del comma 1- bis del citato articolo 13.

 

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