In ordine alle norme previste dagli articoli 2727 e 2729 c.c.

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 8 ottobre 2018, n. 24696.

Le massime estrapolate:

Ove la domanda di simulazione sia proposta da creditori o da terzi, l’articolo 1417 c.c.consente, com’e’ noto, la prova per testimoni e, quindi, per presunzioni (articoli 2727 e 2729 c.c.), senza limiti. La ratio di tale norma e’ quella che i terzi ed i creditori non sono in grado di procurarsi la controdichiarazione, che normalmente e’ in possesso delle sole parti contraenti, e cio’ giustifica la possibilita’ per essi e solo per essi di ricorrere alla prova testimoniale o indiziaria. Ora, le norme previste dagli articoli 2727 e 2729 c.c., stabiliscono che il giudice puo’ desumere la prova di un fatto ignorato partendo da un fatto noto, per mezzo di una deduzione logica ma puo’ utilizzare soltanto presunzioni che siano precise, gravi e concordanti.
Sull’interpretazione di questi due precetti:
a) in primo luogo, a livello terminologico, che la “presunzione” e’ il procedimento logico-deduttivo col quale il giudice raggiunge la prova del fatto ignorato, mentre l’indizio” di cui all’articolo 2729 c.c. e’ il “fatto noto” dal quale prende le mosse il ragionamento deduttivo: l’articolo 2729 c.c., la’ dove stabilisce che il giudice non possa ammettere se non presunzioni “gravi, precise e concordanti”, va, quindi, letto nel senso che tali requisiti devono essere posseduti dai fatti noti e certi posti a fondamento della prova presuntiva; di una presunzione, in quanto deduzione logica, non si puo’, dunque, esigere che sia “grave, precisa e concordante”, perche’ essa e’ una valutazione, ed una valutazione deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile; di un fatto, invece, e’ ben possibile esigere la certezza, ai fini della sua utilizzabilita’ quale tesi di un argomentare sillogistico, giacche’ di un fatto concreto si puo’ predicare la sua oggettivita’ o meno, ma non la sua “logicita’”; cio’ vuol dire, in sintesi, che l’articolo 2729 c.c. esige la certezza dei fatti posti a fondamento della prova presuntiva, e la logicita’ della deduzione con la quale il giudice ricava la seconda dai primi;
b) in secondo luogo, a livello metodologico, che la deduzione del fatto ignorato muovendo dal fatto noto, ai sensi dell’articolo 2727 c.c., deve avvenire in due momenti: dapprima, il giudice deve ricostruire i fatti, escludendo quelli incerti e quelli che, pur certi, sono intrinsecamente privi di rilevanza ai fini del decidere; dopo avere cosi’ circoscritto il materiale probatorio utilizzabile, il giudice deve valutare complessivamente tutti gli indizi in precedenza isolati per accertare se siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva; da cio’ discende, a contrario, che viola l’articolo 2729 c.c. il giudice che, dinanzi ad indizi molteplici, li valuti separatamente ed atomisticamente, escludendo la rilevanza di ciascuno di essi dopo averlo valutato in se’ e per se’ e senza tener conto di tutti gli altri;
c) in terzo luogo, a livello logico, che, per potersi risalire da un fatto noto ad un fatto ignorato, non e’ necessario che il secondo sia una conseguenza ineluttabile ed univoca del primo, ma e’ sufficiente che sia una conseguenza probabile, e cio’ per due ragioni: la prima ragione e’ che dall’esistenza di un fatto possono di norma trarsi una infinita’ di deduzioni in merito all’esistenza di altri infiniti fatti; se, dunque, si pretendesse di usare a fini probatori solo inferenze esclusive, l’ambito della prova presuntiva verrebbe a ridursi in modo irragionevole e certamente contrario alla volonta’ del legislatore; la seconda ragione e’ che, anche ad ammettere l’ipotizzabilita’ di fatti tra loro legati da un rapporto di inferenza esclusiva, proprio tale rapporto renderebbe superfluo il ricorso alla prova presuntiva; se, infatti, un fatto non possa derivare che da uno ed un solo altro fatto, diremmo che l’esistenza di quest’ultimo sara’ non gia’ indizio, ma vera e propria prova storica dell’esistenza del primo; scosi’, ad esempio, l’esistenza di un uomo e’ prova, e non gia’ indizio, del fatto che quell’essere abbia avuto una madre ed un padre; la prova logica, qual e’ appunto quella presuntiva, presuppone invece non la certezza, ma la mera probabilita’ d’un legame logico-causale tra fatto noto e fatto ignorato; se cosi’ non fosse, del resto, svanirebbe del tutto qualsiasi distinzione tra la prova storica e la prova logica;
d) in quarto luogo, a livello quantitativo, che il rapporto inferenziale probabilistico tra fatto noto e fatto ignorato non va valutato in termini puramente quantitativi, per cui tale rapporto debba ritenersi sussistente solo se la probabilita’ che il fatto “A” dimostri l’esistenza del fatto “B” sia superiore alla probabilita’ contraria; al contrario, esiste una inferenza presuntiva tra fatto noto e fatto ignorato quando il secondo sia probabilmente la conseguenza piu’ attendibile del primo.

L’azione di simulazione proposta dal creditore di una delle parti di un contratto di compravendita immobiliare risulti fondata su elementi presuntivi che, in ottemperanza a quanto previsto dall’articolo 2697 c.c., indichino il carattere fittizio dell’alienazione, il compratore ha l’onere di provare l’effettivo pagamento del prezzo, potendosi, in mancanza, trarre elementi di valutazione circa il carattere apparente del contratto: onere che non puo’, tuttavia, ritenersi soddisfatto dalla dichiarazione relativa al versamento del prezzo contenuta nel rogito notarile, in quanto il creditore che agisce per far valere la simulazione e’ terzo rispetto ai soggetti contraenti.
In tema di azione diretta a far valere la simulazione di una compravendita che sia proposta dal creditore di una delle parti del contratto stesso, alla dichiarazione relativa al versamento del prezzo, pur contenuta in un rogito notarile di una compravendita immobiliare, non puo’ attribuirsi valore vincolante nei confronti del creditore, atteso che questi e’ terzo rispetto ai soggetti che hanno posto in essere il contratto

Sentenza 8 ottobre 2018, n. 24696

Data udienza 30 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 10925-2015 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS) S.A.S. in liquidazione e (OMISSIS) S.A.S., rappresentati e difesi, anche disgiuntamente, dall’Avvocato (OMISSIS), dall’Avvocato (OMISSIS) e dall’Avvocato (OMISSIS), presso il cui studio in (OMISSIS) elettivamente domiciliano per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), e (OMISSIS) S.A.S. (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’Avvocato (OMISSIS), presso il cui studio in (OMISSIS), elettivamente domicilia per procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1854/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 20/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 30/5/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;
sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica, Dott. PATRONE IGNAZIO, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
sentito, per i ricorrenti, l’Avvocato (OMISSIS);
sentito, per i controricorrenti, l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS), la (OMISSIS) s.a.s. e la (OMISSIS) s.a.s., con citazione notificata in data 24/11/2011, hanno convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Torino, (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS).
Gli attori, dopo aver premesso che:
– (OMISSIS), in data 25/7/1977, aveva venduto, con contestuale riserva di usufrutto in suo favore, la nuda proprieta’ dell’immobile sito a (OMISSIS) alla (OMISSIS) s.s., costituita il giorno stesso della vendita, della quale erano soci lo stesso (OMISSIS) e (OMISSIS);
– nel maggio del 1996, gli attori avevano agito in giudizio nei confronti del (OMISSIS), della (OMISSIS) e della (OMISSIS) s.s., per l’accertamento della simulazione della predetta compravendita;
– il tribunale di Torino, con sentenza n. 9326 del 2001, ha dichiarato la nullita’, per simulazione assoluta;
– tale sentenza e’ stata confermata dalla corte d’appello di Torno con sentenza n. 696 del 2004;
– la Corte di cassazione, con sentenza n. 21027 del 2010, ha respinto il ricorso proposto da (OMISSIS) erede della (OMISSIS), nei confronti della predetta sentenza, la quale, pertanto, e’ passata in giudicato;
– dopo la sentenza del tribunale di Torino, il (OMISSIS) ha nuovamente venduto la nuda proprieta’ del suddetto alla (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS), storico prestanome del (OMISSIS), poi divenuta (OMISSIS), la quale, a sua volta, con atto del 20/1/2004, ha venduto la stessa nuda proprieta’ alla (OMISSIS), con sede nel (OMISSIS) ed in persona di (OMISSIS);
– il tribunale di Torino, con sentenza n. 4361 del 2010, ha dichiarato la nullita’ delle vendite alla (OMISSIS) ed alla (OMISSIS), per simulazione assoluta;
– gli attori, in forza del giudicato formatosi sulla prima vendita, hanno trascritto pignoramento sull’immobile in questione scoprendo che, con contratto dell’11/12/2006, il (OMISSIS) aveva venduto l’usufrutto sullo stesso alla s.a.s. (OMISSIS);
hanno dedotto che anche tale vendita e’ simulata: il (OMISSIS), infatti, hanno osservato gli attori, approfittando della complicita’ di vari altri soggetti, ha provveduto ad occultare dietro opportuni schermi le sue varie proprieta’, delle quali continua a godere ed a disporre; al (OMISSIS), invero, fanno capo varie accomandite, fra le quali ha distribuito le sue proprieta’, mettendole, cosi’, al riparo del rischio di aggressioni da parte di terzi e, segnatamente, degli attori, i quali sono creditori nei suoi confronti in forza di vari titoli esecutivi per un ingente importo; la vendita dell’usufrutto con l’atto dell’11/12/2006, in particolare, ha “spezzettato” la proprieta’ dell’immobile di (OMISSIS), con la cessione dell’usufrutto a soggetti solo in apparenza diversi, trattandosi dei suoi storici prestanome, e cioe’ il (OMISSIS) e la (OMISSIS) succedutisi anche nella (OMISSIS) s.a.s.; gli indizi della simulazione, oltre alla storia della proprieta’ del (OMISSIS) sull’anzidetta proprieta’ immobiliare, sono: 1) la riconducibilita’ della (OMISSIS) s.a.s. allo stesso (OMISSIS); 2) l’irrisorieta’ del prezzo della vendita dell’usufrutto, pari a circa 140.000 Euro per un ventennio; 3) l’oggetto del contratto, non comprendendosi quale possa essere l’utilita’ patrimoniale che dall’usufrutto possa ricavare una societa’ immobiliare, ceduto nel 2006, quando era ancora pendente in Cassazione il giudizio sulla cessione della nuda proprieta’ dello stesso alloggio; 4) il contegno del (OMISSIS), costantemente mirato alla frode dei suoi creditori.
In forza di tali fatti, gli attori hanno chiesto, in via principale, di accertare e dichiarare la simulazione assoluta e la conseguente nullita’ dell’atto stipulato, con atto dell’11/12/2006, trascritto il 28/11/2006, tra (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.a.s. di (OMISSIS), avente ad oggetto la vendita del diritto di usufrutto sull’immobile in (OMISSIS), e dichiarare, pertanto, che la proprieta’ anche effettiva e la formale intestazione dell’immobile competono a Mario (OMISSIS). In via subordinata, gli attori hanno chiesto che fosse dichiarata la nullita’, per mancanza di causa, della cessione operata con l’atto di vendita di cui sopra, in quanto non vi e’ equivalenza, almeno approssimativa o tendenziale, delle prestazioni corrispettive (diritti alienati e prezzo), ovvero l’inefficacia dell’atto stesso. Gli attori hanno, infine, chiesto, in ogni caso, di dichiarare che, indipendentemente dal nomen iuris, l’intestazione formale dei beni e’ difforme rispetto alla titolarita’ effettiva e che la titolarita’ effettiva del diritto di nuda proprieta’ sull’immobile va riconosciuta a (OMISSIS), ordinando, per l’effetto, ove necessario o opportuno, ogni trascrizione che dia atto della reale intestazione e proprieta’ dei beni.
I convenuti si sono costituiti ed hanno, in sostanza, eccepito l’effettivita’ della volonta’ traslativa sottesa al contratto di vendita, neutralizzabile solo con l’azione revocatoria, peraltro non proponibile, a fronte della capienza del patrimonio del (OMISSIS) anche a voler ipotizzare crediti degli attori per 6.000.000 di Euro, e del decorso del termine di prescrizione.
Il tribunale di Torino, con sentenza del 11/2/2014, ha ritenuto che le circostanze emerse in giudizio, considerate nel loro complesso, concordano nel senso della sussistenza di un accordo simulatorio in ordine al contratto oggetto del presente giudizio, tale che (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.a.s. non hanno, in realta’, voluto concludere alcun contratto di trasferimento del diritto di usufrutto sull’immobile, bensi’ solo evitare, attraverso la simulazione assoluta dell’attribuzione di un diritto reale sull’immobile ad un diverso soggetto, la completa aggressione del medesimo bene da parte del creditore, ed ha, quindi, ha accolto la domanda proposta in via principale dagli attori, dichiarando la simulazione assoluta del contratto impugnato e condannando i convenuti, ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, al pagamento della somma di Euro 22.800,00.
(OMISSIS) e la (OMISSIS), con citazione notificata il 4/3/2014, hanno proposto appello al quale gli appellati hanno resistito.
La corte d’appello, con sentenza del 20/10/2014, ha accolto l’appello ed, in riforma della sentenza impugnata, ha rigettato la domanda proposta da (OMISSIS), dalla s.a.s. (OMISSIS) e dalla s.a.s. (OMISSIS).
La corte, in sostanza, ha ritenuto che il tribunale, “manifestando una evidente confusione concettuale”, abbia dichiarato la simulazione assoluta del contratto impugnato alla stregua di prove concernenti la revocatoria ordinaria: le parti appellate, ha osservato la corte, “avrebbero dovuto dedurre e provare… non gia’ la volonta’ del (OMISSIS) e della (OMISSIS) di frustrare la realizzazione del credito” che le stesse vantano nei confronti del (OMISSIS), “posto che si tratta di un effetto indubbiamente esistente ma strutturalmente irrilevante ai fini di una simulazione assoluta, ma la non volonta’ di trasferimento dell’usufrutto dal (OMISSIS) alla (OMISSIS)”, dimostrando che il (OMISSIS), pur dopo il contratto stipulato con quest’ultima, abbia continuato a disporre dei frutti dell’unita’ immobiliare, senza soluzione di continuita’, “come diretto e personale fruitore” ovvero incassando i canoni delle locazioni da lui stipulate, del tutto escludendosi una qualsiasi gestione del bene da parte della societa’ acquirente: cio’ che le parti appellate non hanno mai dedotto quale oggetto di prova, offrendo, invece, ha continuato la corte, di provare la consapevolezza della frode ai creditori perpetrata da entrambi i soggetti che hanno stipulato il contratto impugnato, il che integra la scientia damni propria dell’azione revocatoria ordinaria ex articolo 2901 c.c. che, pero’, e’ del tutto irrilevante ai fini della simulazione assoluta, richiedendosi solo la prova della non volonta’ dei contraenti degli effetti propri del contratto stipulato.
Tale prova – ha aggiunto la corte – si sarebbe potuta desumere dalla ininterrotta prosecuzione nella percezione dei frutti da parte del (OMISSIS) nonche’ “dall’assenza di pagamento di alcun prezzo, che le parti appellate avevano l’onere di dimostrare attesa l’inopponibilita’ ai terzi appellati della quietanza di avvenuto pagamento contenuta nel rogito (OMISSIS)”, od anche dalla vilta’ del prezzo convenuto: ma di tutto cio’ non v’e’ traccia degli scritti difensivi che le stesse hanno depositato in primo ed in secondo grado.
E neppure, ha osservato ancora la corte, puo’ rilevare il fatto che le disposizioni patrimoniali del (OMISSIS) circolino sempre fra societa’ da lui controllate ed a lui riconducibili: ed infatti, ove non si dimostri l’abuso in relazione alla singola societa’, si tratta pur sempre di centri di imputazione di diritto ed obblighi diversi e distinti da quelli dei loro soci anche accomandatari.
Nel caso in esame, quindi, “la presenza fra i soci della (OMISSIS) certamente del (OMISSIS), ma anche di altre societa’ e della (OMISSIS) personalmente, esclude – salva la prova, neppure offerta, della qualita’ di socio tiranno in capo al (OMISSIS) – gia’ in ipotesi che si possa trattare di simulazione”, tanto piu’ se considera che il (OMISSIS) in proprio non era originariamente socio della (OMISSIS), essendolo divenuto solo nel 2010. Ed il fatto che lo sia divenuto quattro anni dopo la compravendita dell’usufrutto, ha aggiunto la corte, e’ semplicemente irrilevante, nulla dimostrando che la sua originaria assenza fosse preordinata alla cessione di quel diritto reale.
La corte, quindi, escluso ogni rilievo alle argomentazioni delle appellate circa lo scarso rilievo economico e finanziario del trasferimento dell’usufrutto nel patrimonio sociale della (OMISSIS), in quanto utili ai fini di una revocatoria, ma non della simulazione, al pari dei dati, “pur veri”, della qualita’ di storici prestanomi da parte del (OMISSIS) e della (OMISSIS), poiche’ sarebbe stato necessario dimostrare che lo furono nel caso concreto, e neppure sarebbe stato sufficiente, stante la presenza giuridicamente insuperata del centro autonomo d interessi costituito dalla societa’ in accomandita semplice, ha accolto l’appello ed ha, quindi, in riforma della sentenza impugnata, rigettato la domanda proposta dagli attori.
(OMISSIS), la s.a.s. (OMISSIS) in liquidazione e la s.a.s. (OMISSIS), con ricorso notificato il 20/4/2014, hanno chiesto, per sei motivi, la cassazione della sentenza resa dalla corte d’appello, dichiaratamente non notificata.
Hanno resistito, con controricorso, (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS).
I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione degli articoli 112 e 346 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4 ed, in subordine, all’articolo 360 c.p.c., n. 5, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha speso una parola sull’eccezione, che peraltro le competeva d’ufficio, di inammissibilita’ dell’appello per difetto di specificita’ dello stesso, in tal modo violando l’articolo 346 c.p.c., nel testo successivo alle modifiche apportate dal il Decreto Legge n. 83 del 2012, per il quale l’appello deve indicare le modifiche che vengono richieste in ordine alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado e le circostanze da cui deriva la violazione della legge e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Nel caso in esame, invece, gli appellanti hanno del tutto ignorato tanto l’accertamento compiuto dal tribunale circa la prossimita’ tra il (OMISSIS) e coloro ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) hanno posto in essere, quale accomandatario e procuratore della (OMISSIS), l’atto dell’11/12/2006, che non hanno sottoposto ad alcuna censura, quanto la questione relativa alla mancata prova del prezzo, a fronte dell’inopponibilita’ ai terzi della quietanza di pagamento contenuta nell’atto, ne’ hanno censurato la sentenza di primo grado in ordine alla affermata necessita’ di una ricostruzione globale degli indizi da cui desumere la simulazione.
2. Con il secondo motivo, i ricorrenti, lamentando l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, negando la rilevanza degli indizi valorizzati dal tribunale, ha ritenuto che nella specie occorresse provare che il (OMISSIS), pur dopo il contratto stipulato con la (OMISSIS), abbia continuato a disporre dell’alloggio senza soluzione di continuita’ come diretto e personale fruitore, del tutto escludendosi una qualsiasi gestione del bene da parte della societa’ acquirente, trascurando di considerare, quale fatto decisivo per il giudizio, che gli appellati, con la comparsa di risposta in secondo grado, avevano prodotto documenti sopravvenuti dai quali emerge incontrovertibilmente che il (OMISSIS) abbia continuato sempre e costantemente a possedere l’immobile.
3. Con il terzo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione degli articoli 2697, 2727 e 2729 c.c., in relazione agli articoli 1414 e 1417 c.c., in generale e circa la necessita’ di una valutazione globale degli indizi, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, a fronte di una sentenza di primo grado che aveva enucleato cinque punti integranti, ognuno singolarmente e poi nel loro insieme, elementi della simulazione (vale a dire: a) l’esistenza di pregressi rapporti tra le medesime parti del contratto di cessione del diritto di usufrutto; b) l’esistenza di precedenti cause instaurate da (OMISSIS), (OMISSIS) s.a.s. e (OMISSIS) s.a.s. contro (OMISSIS) allo scopo di far dichiarare la simulazione assoluta di altri contratti di cessione di diritti su immobili di sua proprieta’; c) la causa simulandi, desumibile dalla contiguita’ temporale tra la conclusione del contratto in esame e la pendenza del giudizio avente ad oggetto la simulazione del contratto con il quale lo stesso (OMISSIS) aveva precedentemente ceduto il diritto di nuda proprieta’ sullo stesso immobile; d) l’assunzione da parte del (OMISSIS), a partire dal mese di marzo del 2010, della carica di socio accomandatario della (OMISSIS) s.a.s.; e) il mancato pagamento del prezzo), ha negato, pur riconoscendone l’esistenza, che tali fatti fossero rilevanti ai fini della simulazione, senza confrontarsi con la necessita’ di esaminare globalmente i singoli elementi e di coordinarli tra di loro valutandoli gli uni per gli altri, come e’, invece, imposto dalle norme previste dagli articoli 2727-2729 c.c.. La corte, inoltre, hanno aggiunto i ricorrenti, non affronta i singoli elementi, come la causa simulandi di cui al punto c) e la vilta’ del prezzo. La corte, poi, hanno continuato gli appellanti, ha ritenuto che le parti appellate avessero l’onere di provare che la quietanza di avvenuto pagamento del prezzo, contenuta nel rogito, fosse a loro inopponibile, discostandosi, in tal modo, dall’insegnamento secondo il quale l’onere della prova del pagamento del prezzo in ipotesi si simulazione oggettiva spetta alle parti stipulanti. In realta’, hanno concluso i ricorrenti, i fatti esposto sono tutti indizi che, se considerati complessivamente, sono idonei a dimostrare la simulazione del contratto.
4. Con il quarto motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione degli articoli 2697-2727-2729 c.c., in relazione agli articoli 1414 e 1417 c.c., in generale e circa la necessita’ di una valutazione globale degli indizi, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la mancanza di volonta’ di trasferimento dell’usufrutto si sarebbe potuta dedurre dall’assenza di pagamento di alcun prezzo, che le parti appellate avevano l’onere di dimostrare attesa l’inopponibilita’ ai terzi appellati della quietanza di avvenuto pagamento contenuta nel rogito (OMISSIS), affermando che di tutto cio’ non vi e’ traccia negli scritti difensivi degli appellati in primo ed in secondo grado, laddove, in realta’, in caso di simulazione, poiche’ la dichiarazione di quietanza contenuta nell’atto non e’ opponibile al creditore del contraente, spetta alle parti la prova dell’effettivo pagamento del prezzo.
5. Con il quinto motivo, i ricorrenti, lamentando l’omesso esame di un punto essenziale, costituito dalla mancata prova del pagamento del prezzo da parte dei partecipi dell’atto simulato, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha contraddittoriamente ritenuto, per un verso, che le parti appellate avevano l’onere di prova il mancato pagamento del prezzo e, per altro verso, che la quietanza di pagamento contenuta nel rogito non e’ ad essi opponibile.
6. Con il sesto motivo, proposto alla condizione che i motivi principali siano rigettati, i ricorrenti, lamentando la violazione degli articoli 112 e 346 c.p.c. e la nullita’ della sentenza, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, dopo aver respinto la domanda principale, non si e’ pronunciata sulla domanda (di inefficacia o di nullita’ dell’atto di vendita per mancanza di equivalenza tra le prestazioni corrispettive) che gli appellati avevano proposto in via subordinata e che hanno semplicemente richiamato, dopo essere risultati vittoriosi in primo grado, nella loro comparsa costitutiva d’appello, ai sensi dell’articolo 346 c.p.c..
7. Il terzo, il quarto ed il quinto motivo, da esaminare congiuntamente perche’ connessi, sono fondati, con assorbimento degli altri.
8. Ove la domanda di simulazione sia proposta da creditori o da terzi, l’articolo 1417 c.c.consente, com’e’ noto, la prova per testimoni e, quindi, per presunzioni (articoli 2727 e 2729 c.c.), senza limiti. La ratio di tale norma e’ quella che i terzi ed i creditori non sono in grado di procurarsi la controdichiarazione, che normalmente e’ in possesso delle sole parti contraenti, e cio’ giustifica la possibilita’ per essi e solo per essi di ricorrere alla prova testimoniale o indiziaria. Ora, le norme previste dagli articoli 2727 e 2729 c.c., delle quali, infatti, i ricorrenti assumono la violazione, stabiliscono che il giudice puo’ desumere la prova di un fatto ignorato partendo da un fatto noto, per mezzo di una deduzione logica ma puo’ utilizzare soltanto presunzioni che siano precise, gravi e concordanti.
9. Sull’interpretazione di questi due precetti questa Corte, senza che occorra aggiungere altro, ha gia’ avuto modo di chiarire:
a) in primo luogo, a livello terminologico, che la “presunzione” e’ il procedimento logico-deduttivo col quale il giudice raggiunge la prova del fatto ignorato, mentre l’indizio” di cui all’articolo 2729 c.c. e’ il “fatto noto” dal quale prende le mosse il ragionamento deduttivo: l’articolo 2729 c.c., la’ dove stabilisce che il giudice non possa ammettere se non presunzioni “gravi, precise e concordanti”, va, quindi, letto nel senso che tali requisiti devono essere posseduti dai fatti noti e certi posti a fondamento della prova presuntiva; di una presunzione, in quanto deduzione logica, non si puo’, dunque, esigere che sia “grave, precisa e concordante”, perche’ essa e’ una valutazione, ed una valutazione deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile; di un fatto, invece, e’ ben possibile esigere la certezza, ai fini della sua utilizzabilita’ quale tesi di un argomentare sillogistico, giacche’ di un fatto concreto si puo’ predicare la sua oggettivita’ o meno, ma non la sua “logicita’”; cio’ vuol dire, in sintesi, che l’articolo 2729 c.c. esige la certezza dei fatti posti a fondamento della prova presuntiva, e la logicita’ della deduzione con la quale il giudice ricava la seconda dai primi;
b) in secondo luogo, a livello metodologico, che la deduzione del fatto ignorato muovendo dal fatto noto, ai sensi dell’articolo 2727 c.c., deve avvenire in due momenti: dapprima, il giudice deve ricostruire i fatti, escludendo quelli incerti e quelli che, pur certi, sono intrinsecamente privi di rilevanza ai fini del decidere; dopo avere cosi’ circoscritto il materiale probatorio utilizzabile, il giudice deve valutare complessivamente tutti gli indizi in precedenza isolati per accertare se siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva; da cio’ discende, a contrario, che viola l’articolo 2729 c.c. il giudice che, dinanzi ad indizi molteplici, li valuti separatamente ed atomisticamente, escludendo la rilevanza di ciascuno di essi dopo averlo valutato in se’ e per se’ e senza tener conto di tutti gli altri;
c) in terzo luogo, a livello logico, che, per potersi risalire da un fatto noto ad un fatto ignorato, non e’ necessario che il secondo sia una conseguenza ineluttabile ed univoca del primo, ma e’ sufficiente che sia una conseguenza probabile, e cio’ per due ragioni: la prima ragione e’ che dall’esistenza di un fatto possono di norma trarsi una infinita’ di deduzioni in merito all’esistenza di altri infiniti fatti; se, dunque, si pretendesse di usare a fini probatori solo inferenze esclusive, l’ambito della prova presuntiva verrebbe a ridursi in modo irragionevole e certamente contrario alla volonta’ del legislatore; la seconda ragione e’ che, anche ad ammettere l’ipotizzabilita’ di fatti tra loro legati da un rapporto di inferenza esclusiva, proprio tale rapporto renderebbe superfluo il ricorso alla prova presuntiva; se, infatti, un fatto non possa derivare che da uno ed un solo altro fatto, diremmo che l’esistenza di quest’ultimo sara’ non gia’ indizio, ma vera e propria prova storica dell’esistenza del primo; scosi’, ad esempio, l’esistenza di un uomo e’ prova, e non gia’ indizio, del fatto che quell’essere abbia avuto una madre ed un padre; la prova logica, qual e’ appunto quella presuntiva, presuppone invece non la certezza, ma la mera probabilita’ d’un legame logico-causale tra fatto noto e fatto ignorato; se cosi’ non fosse, del resto, svanirebbe del tutto qualsiasi distinzione tra la prova storica e la prova logica;
d) in quarto luogo, a livello quantitativo, che il rapporto inferenziale probabilistico tra fatto noto e fatto ignorato non va valutato in termini puramente quantitativi, per cui tale rapporto debba ritenersi sussistente solo se la probabilita’ che il fatto “A” dimostri l’esistenza del fatto “B” sia superiore alla probabilita’ contraria; al contrario, esiste una inferenza presuntiva tra fatto noto e fatto ignorato quando il secondo sia probabilmente la conseguenza piu’ attendibile del primo (in tal senso, pressoche’ testualmente, Cass. n. 5787 del 2014, in motiv.).
11. Cio’ premesso in punto di diritto, si tratta di verificare se, in fatto, la sentenza impugnata si e’, o meno, attenuta alle conclusioni esposte. La risposta e’ negativa. Gli attori, in effetti, per dimostrare, in via presuntiva, la simulazione assoluta dei contratti impugnati, avevano dedotto in giudizio innumerevoli fatti, vale a dire, per come emergono dalla loro incontestata riproduzione in ricorso (p. 7, 19, 20) e, sia pure in parte, dalla loro altrettanto incontestata utilizzazione da parte del tribunale (v. il ricorso, p. 6 ss., e la sentenza impugnata, p. 8 ss ed, in particolare, p. 11 ss.): a) l’esistenza di pregressi rapporti tra le medesime parti del contratto di cessione del diritto di usufrutto; b) l’esistenza di precedenti cause instaurate da (OMISSIS), (OMISSIS) s.a.s. e (OMISSIS) s.a.s. contro (OMISSIS) allo scopo di far dichiarare la simulazione assoluta di altri contratti di cessione di diritti su immobili di sua proprieta’; c) la contiguita’ temporale tra la conclusione del contratto in esame e la pendenza del giudizio avente ad oggetto la simulazione del contratto con il quale lo stesso (OMISSIS) aveva precedentemente ceduto il diritto di nuda proprieta’ sullo stesso immobile; d) il mancato pagamento del prezzo. La corte d’appello, come in precedenza esposto, ha preso in esame i predetti indizi ed ha concluso nel senso che nessuno di essi fosse univoco. Cosi’ facendo, tuttavia, la corte non ha fatto buon governo dei principi in precedenza esposti. La corte, infatti, ha trascurato di considerare che gli indizi posti a base d’una prova presuntiva devono essere indici non gia’ certi, ma solo accettabilmente probabili dell’esistenza del fatto ignorato. Non v’e’ dubbio, in effetti, che una societa’ possa essere interessata all’acquisto del solo usufrutto di un bene immobile, cosi’ come e’ ben possibile che la vendita in favore di una societa’ della quale il venditore divenga in seguito socio non sia affatto simulata. Se, tuttavia, si considera che, per quanto in precedenza osservato, l’articolo 2729 c.c. consente di fondare la prova presuntiva su meri indizi alla sola condizione che questi siano rappresentati da fatti concreti dai quali desumere l’esistenza probabile del fatto ignorato (Cass. n. 4306 del 2010, ove si afferma che la prova presuntiva deve fondarsi su “deduzioni logiche di ragionevole probabilita’ e non necessariamente di certezza”), puo’, allora, ben dirsi che, nel caso in esame, le affermazioni della corte d’appello appena riassunte non sono affatto coerenti con il canone logico della probabilita’, giacche’, a ben vedere, in tutte le circostanze sopra indicate, si sarebbe dovuto ritenere, se esaminate congiuntamente, piu’ probabile l’esatto opposto di quanto ritenuto dalla corte d’appello.
12. E non solo: la Corte d’appello, infatti, ha del tutto trascurato di valutare gli indizi invocati dagli attori, come in precedenza esposti, in modo organico e complessivo. La sentenza impugnata, invero, si e’ limitata, al riguardo, ad affermare, per un verso, che non rileva “la volonta’ del (OMISSIS) e della (OMISSIS) di frustrare la realizzazione del credito” che gli attori vantano nei confronti del (OMISSIS), “posto che si tratta di un effetto indubbiamente esistente ma strutturalmente irrilevante ai fini di una simulazione assoluta”, al pari del compimento dell’atto impugnato in vantaggio di societa’ la quale, in mancanza di prova dell’abuso, costituisce pur sempre un autonomo centro di imputazione di diritto ed obblighi diversi e distinti da quelli dei loro soci anche accomandatari, e, per altro verso, che neppure rileva “la presenza fra i soci della (OMISSIS) del (OMISSIS)…”, essendo divenuto tale quattro anni dopo la compravendita dell’usufrutto, al pari della qualita’ di storici prestanomi del (OMISSIS) da parte del (OMISSIS) e della (OMISSIS). La corte territoriale, pero’, cosi’ facendo, ha finito per valutare gli indizi uno per uno, senza spiegare perche’ mai non solo individualmente presi, ma anche nel loro complesso non potevano assurgere al rango di prova presuntiva, violando, cosi’, il principio in forza del quale la valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non gia’ considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno dell’altro, con la conseguenza che, nel far cio’, il giudice non puo’ negare valore ad uno o piu’ indizi solo perche’ equivoci, ma deve stabilire se, considerati i suddetti indizi tutti insieme, sia possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare. Ed infatti, come si e’ in precedenza notato, quando la prova addotta sia costituita, come nella specie, da presunzioni, le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice del merito, rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneita’ degli elementi presuntivi a consentire inferenze che ne discendano secondo il criterio dell'”id quod prelumque accidit”, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimita’, a condizione, pero’, che tale valutazione sia stata ispirata al principio secondo il quale, appunto, i requisiti della gravita’, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi (Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 26022 del 2011). Il giudice, in particolare, ai fini della prova per presunzioni, e’ tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positivita’ parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, e’ doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimita’ la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (Cass. n. 9108 del 2012; Cass. n. 3703 del 2012; Cass. n. 5374 del 2017; conf., in tema di prova indiziaria della simulazione, Cass. n. 28224 del 2008, per la quale, ai fini dell’accertamento della simulazione, in assenza di controdichiarazione, la prova e’ indiziaria e presuntiva e trovano, quindi, applicazione i principi da tempo affermati in materia di presunzioni semplici, e cioe’ che “i requisiti della gravita’, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricercati in relazione al complesso degli indizi, soggetti a una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento cosi’ frazionato al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi, di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale”; Cass. n. 22801 del 2014; Cass. n. 2725 del 2014 in motiv.).
13. La corte d’appello, infine, ha del tutto trascurato di valutare alcuni dei fatti che pure gli attori avevano dedotto per dimostrare in via presuntiva la simulazione assoluta dei contratti impugnati, incorrendo, in tal modo, nel vizio, che i ricorrenti hanno infatti denunciato, previsto dall’articolo 360 c.p.c., n. 5, a norma del quale, ove la sentenza sia stata depositata, come quella impugnata, dopo l’11/9/2012, il ricorso per cassazione puo’ essere proposto per omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 7472 del 2017). Si pensi, in particolare, alla mancata dimostrazione dell’effettivo pagamento del prezzo asseritamente pattuito che, seppur invocata quale indizio dal quale inferire la simulazione dei contratti impugnati, la sentenza impugnato non ha, in concreto, trattato se non per affermare, invero contraddittoriamente, che le parti appellate (e cioe’ gli attori) “avevano l’onere di dimostrare” il pagamento del prezzo “attesa l’inopponibilita’ ai terzi appellati della quietanza di avvenuto pagamento contenuta nel rogito (OMISSIS)”: eppure si tratta di un fatto che, se e nella misura in cui corrispondesse al vero, sarebbe decisivo ai fini dell’accoglimento della domanda di simulazione proposta. Com’e’ noto, infatti, se, come nella specie, l’azione di simulazione proposta dal creditore di una delle parti di un contratto di compravendita immobiliare risulti fondata su elementi presuntivi che, in ottemperanza a quanto previsto dall’articolo 2697 c.c., indichino il carattere fittizio dell’alienazione (come, nella prospettazione attorea, l’esistenza di pregressi rapporti tra le medesime parti del contratto, la contiguita’ temporale tra la conclusione del contratto in esame e la pendenza del giudizio avente ad oggetto la simulazione del contratto con il quale lo stesso (OMISSIS) aveva precedentemente ceduto il diritto di nuda proprieta’ sullo stesso immobile), il compratore ha l’onere di provare l’effettivo pagamento del prezzo, potendosi, in mancanza, trarre elementi di valutazione circa il carattere apparente del contratto: onere che non puo’, tuttavia, ritenersi soddisfatto dalla dichiarazione relativa al versamento del prezzo contenuta nel rogito notarile, in quanto il creditore che agisce per far valere la simulazione e’ terzo rispetto ai soggetti contraenti. Questa Corte, in effetti, ha gia’ osservato che, in tema di azione diretta a far valere la simulazione di una compravendita che sia proposta dal creditore di una delle parti del contratto stesso, alla dichiarazione relativa al versamento del prezzo, pur contenuta in un rogito notarile di una compravendita immobiliare, non puo’ attribuirsi valore vincolante nei confronti del creditore, atteso che questi e’ terzo rispetto ai soggetti che hanno posto in essere il contratto (Cass. n. 5326 del 2017; Cass. n. 22454 del 2014; Cass. n. 15346 del 2010; Cass. n. 11372 del 2005).
14. Il ricorso proposto dev’essere, quindi, accolto, relativamente al terzo, al quarto ed quinto motivo, e la sentenza impugnata, per l’effetto, nei limiti dei motivi accolti, cassata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Torino che provvedera’ anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte cosi’ provvede: accoglie il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Torino che provvedera’ anche sulle spese del presente giudizio.

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