Affinche’ un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 8 ottobre 2018, n. 24707.

La massima estrapolata:

Affinche’ un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, in quanto destinati a un pubblico servizio ai sensi dell’articolo 826 c.c., comma 3, deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volonta’ dell’ente titolare del diritto reale pubblico (e, percio’, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volonta’ dell’ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio) e dell’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio, ravvisando la manifestazione di volonta’ formale della P.A. di assoggettare il bene alla destinazione di pubblico servizio.

Ordinanza 8 ottobre 2018, n. 24707

Data udienza 20 luglio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 1209-2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
COMUNE SAN FERDINANDO, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) in virtu’ di procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 160/2014 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 15/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/07/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale dott. SERVELLO GIANFRANCO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
Lette le memorie depositate da parte ricorrente.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Il Tribunale di Palmi rigettava la domanda di usucapione promossa da (OMISSIS) ed avente ad oggetto l’immobile sito in (OMISSIS) riportato in (OMISSIS), con la condanna dell’attore al risarcimento del danno per lite temeraria.
La sentenza di primo grado rilevava che il Consiglio Regionale della Calabria aveva attribuito al Comune di San Ferdinando gli alloggi, i locali e le attrezzature urbane realizzati con il finanziamento della Cassa per il Mezzogiorno in localita’ (OMISSIS), a seguito degli espropri posti in essere ad (OMISSIS) per la realizzazione del porto di (OMISSIS), e che uno di tali alloggi era appunto occupato dall’attore, sebbene formalmente assegnato a tal (OMISSIS).
Tuttavia lo stesso non era suscettibile di usucapione, in quanto facente parte del patrimonio indisponibile del Comune attesa la sua destinazione ad un pubblico servizio, aggiungendo altresi’ che appariva inverosimile che l’istante potesse occupare da oltre venti anni un bene di cui risultava conduttore un soggetto diverso, che era stato anche diffidato dal Comune al pagamento dei canoni di locazione.
Avverso tale sentenza proponeva appello l’attore e la Corte d’Appello di Reggio Calabria con la sentenza n. 160 del 28 aprile 2014 ha rigettato il gravame.
In primo luogo disattendeva la richiesta di sospensione del processo ex articolo 295 c.p.c. in attesa della definizione del procedimento penale scaturente dalla denuncia dell’attore, atteso che non risultava essere stata esercitata l’azione penale. Ancora disattendeva la richiesta di giuramento decisorio formulata dall’appellante con le note depositate in prossimita’ dell’udienza di discussione, ritenendo che il giuramento non puo’ vertere sull’esistenza ovvero inesistenza di rapporti giuridici o di situazioni giuridiche, ne’ puo’ essere deferito per provocare l’espressione di apprezzamenti od opinioni e tantomeno valutazioni giuridiche, potendo avere ad oggetto unicamente fatti storici che siano caduti sotto la percezione del giurante, requisiti questi che i capitoli formulati non avevano, occorrendo altresi’ evidenziare che il giuramento era privo del carattere della decisivita’.
Dopo essersi ribadita la regolare costituzione in grado di appello del Comune, stante la regolarita’ della delibera autorizzativa della resistenza alla lite, disattendeva il motivo di appello con il quale si lamentava che la sentenza di primo grado fosse stata adottata previa separazione delle domande unitariamente proposte da vari occupanti di vari appartamenti, con invito alla discussione orale, impedendo di poter illustrare le posizioni difensive dell’istante inizialmente unitarie, e cio’ perche’ non era stata adottata alcuna pronuncia a sorpresa, avendo il Tribunale unicamente deciso sulle questioni che erano state poste alla sua attenzione dalle difese delle parti, mentre, quanto alla riunione, trattavasi di decisione giustificata dall’assenza di un litisconsorzio necessario e dalla differenza delle posizioni dei vari attori.
Nell’esaminare i motivi da tre a sette dell’appello che investivano la questione relativa all’appartenenza del bene al patrimonio indisponibile del Comune, la decisione d’appello rilevava che emergeva che l’immobile era stato realizzato con fondi della Cassa del Mezzogiorno e che in seguito era stato trasferito al Comune senza mutamento della sua destinazione originaria a pubblico servizio, e cioe’ quella di offrire un’abitazione a canone contenuto a chi era risultato destinatario dell’espropriazione dell’abitato di (OMISSIS).
Risultavano quindi ricorrenti le condizioni per ritenere il bene appartenente al patrimonio indisponibile e cio’ sia per la presenza di una manifestazione di volonta’ dell’ente titolare del diritto reale, sia per la sussistenza dell’oggettiva destinazione del bene al pubblico servizio (senza che risultasse una formale declassificazione successiva).
In particolare nella Delib. regionale 29 dicembre 1980, con la quale l’immobile era stato trasferito dalla Cassa al Comune, erano stati previsti concreti e dettagliati vincoli di utilizzazione formale e materiale, posti a carico dello stesso ente locale, predeterminandosi le condizioni contrattuali di locazione o assegnazione in proprieta’ consentite, stabilendosi inoltre che i frutti civili tratti dai beni erano destinati esclusivamente a fini pubblici, con il costante richiamo alla normativa in tema di edilizia residenziale pubblica (Testo Unico sull’edilizia popolare ed economica).
Ne’ poteva reputarsi intervenuta una sclassificazione, prima di fatto e poi formale, sul presupposto che dopo oltre venti anni di godimento da parte dell’attore, e senza alcuna turbativa ad opera del Comune, la Giunta Comunale aveva deliberato in data 24 luglio 2012 l’inserzione del cespite nell’elenco di cui al piano delle dismissioni ed alienazioni correlate all’attuazione della L. n. 133 del 2008.
In tal senso la Corte distrettuale rilevava che non era mai stato precisato quando aveva avuto inizio il suo possesso, ne’ le prove chiarivano tale aspetto; la Delib. del luglio 2012 prevedeva che il piano di dismissioni dovesse produrre effetto nel triennio (OMISSIS), ma non ha ritenuto che tale piano fosse stato gia’ anteriormente attuato, nemmeno prevedendone la retroattivita’, parlandosi a ben vedere di immobili destinati ad essere dismessi, e quindi ne’ prima ne’ contestualmente dismessi.
Ne derivava che medio tepore non vi era stata alcuna formale declassificazione, e che pertanto il bene aveva sempre conservato la sua natura di bene appartenente al patrimonio indisponibile, essendo inammissibile una prova volta a dimostrare una sclassificazione in via di mero fatto.
A cio’ aggiungeva che anche nell’ipotesi in cui fosse stata prevista ab origine la cessione in proprieta’ dei beni aventi una destinazione pubblicistica, la sottrazione al patrimonio indisponibile interviene solo nel momento in cui la proprieta’ risulta trasferita al privato, non essendo quindi nelle more suscettibili di usucapione.
Quindi disattendeva il motivo di appello con il quale era stata accolta la domanda ex articolo 96 c.p.c., atteso che emergeva la coscienza dell’infondatezza della domanda proposta in capo all’attore, risultando infine congrua la liquidazione delle spese di lite, atteso il valore della controversia.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), sulla base di tre motivi.
Il Comune di San Ferdinando ha resistito con controricorso.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione di legge per travisamento dei fatti, per omessa valutazione di circostanze rilevanti ai fini della decisione in relazione all’indisponibilita’ dei beni per i quali e’ stata avanzata domanda di usucapione, con espresso riferimento all’articolo 826 c.c., comma 3 ed articolo 830 c.c..
Assume la parte che la Corte d’Appello abbia fatto applicazione dei principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 391/1999, senza pero’ tenere conto della documentazione prodotta e di quanto precisato nelle difese della parte, riportando al punto 3 del mezzo di gravame parte del contenuto dell’atto di appello e della memoria del 22/10/2013.
Pertanto lamenta che sarebbe stata affermata l’appartenenza del bene al patrimonio indisponibile del Comune senza che ne ricorressero le condizioni sia oggettive che soggettive.
Il secondo motivo di ricorso denuncia l’illegittimita’ e/o nullita’ della sentenza impugnata per omessa e corretta valutazione delle deduzioni difensive e documentali decisive e rilevanti ai fini di un’adeguata verifica degli elementi probatori emergenti dall’istruttoria svolta con violazione di legge e/o falsa applicazione, con espresso riferimento all’onere della prova e comunque omessa valutazione delle richieste istruttorie (articolo 2697 c.c. e articoli 115 e 116 c.p.c.).
Si deduce che la Corte d’Appello ha estrapolato solo una parte delle risultanze probatorie, limitando il suo giudizio solo ad alcuni atti, omettendo un esame complessivo delle risultanze documentali.
Quindi si riporta il contenuto di parte dell’atto di appello e della memoria del 15 gennaio 2014 depositata dinanzi alla Corte d’Appello, con il richiamo ai documenti che, a detta del ricorrente, comproverebbero la fondatezza della propria domanda.
Il terzo motivo di gravame denuncia poi l’illegittimita’ e/o nullita’ della sentenza per violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articoli 2736, 2737, 2738 e 2739 c.c. e articolo 233 c.p.c.) in ordine alla mancata ammissione del giuramento decisorio, avente ad oggetto circostanze essenziali e fondamentali ai fini di una corretta decisione.
Si trascrivono i capi del giuramento come articolati nelle memorie del 15/1/2014 assumendosi che gli stessi soddisfino i requisiti per l’ammissione del mezzo di prova.
3. I primi due motivi possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, e sono infondati.
Deve essere in primo luogo sottolineata la genericita’ dei motivi di ricorso ove parametrati al contenuto della motivazione della sentenza d’appello, avuto riguardo in particolare al fatto che, a fronte della puntuale individuazione da parte della Corte Distrettuale delle ragioni per le quali andava confermata l’appartenenza del bene oggetto di causa al patrimonio indisponibile, con la conseguente impossibilita’ di invocare l’usucapione, i motivi dopo avere riportato in rubrica l’indicazione delle norme asseritamente violate, non si peritano di confutare analiticamente le argomentazioni del giudice di appello, limitandosi in maniera del tutto generica a dolersi della mancata valutazione delle proprie richieste istruttorie e della documentazione prodotta, supportando tale affermazione con la trascrizione integrale di alcuni degli scritti difensivi predisposti nelle fasi di merito, senza nemmeno avvedersi che molte delle considerazioni ivi spese avevano invece trovato risposta nella decisione oggi gravata.
Passando in ogni caso alla disamina nel merito delle censure mosse, va esclusa la dedotta violazione degli articoli 826 ed 830 c.c. in punto di individuazione del bene come appartenente al patrimonio indisponibile del Comune convenuto.
A tal fine va richiamato il pacifico principio secondo cui il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di legge ex articolo 360 c.p.c., n. 3, consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione della fattispecie astratta di una norma di legge e, percio’, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, con la conseguenza che il ricorrente che presenti la doglianza e’ tenuto a prospettare quale sia stata l’erronea interpretazione della norma in questione da parte del giudice che ha emesso la sentenza impugnata, a prescindere dalla motivazione posta a fondamento di questa (Cass. n. 26307/2014). Al contrario, se l’erronea ricognizione riguarda la fattispecie concreta, il gravame inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, solo ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, (Cass. n. 8315/2013).
Inoltre va ricordato che, trattandosi di sentenza adottata all’esito di un giudizio di appello introdotto in data successiva all’11 settembre 2012, e che ha deciso la controversia confermando la decisione di primo grado, risulta applicabile l’ultimo comma dell’articolo 348 ter c.p.c. che esclude la possibilita’ di dedurre il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, conclusione questa che rende inammissibile ogni censura volta nel complesso, ed una volta rivelatasi l’insussistenza della violazione di legge, a contestare la valutazione del materiale istruttorio ancorche’ sub specie di omessa valutazione di alcune delle prove versate in atti (sul punto si veda in ogni caso Cass. S.U. n. 8054/2014 che ha altresi’ sottolineato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per se’ vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie).
Parte ricorrente in realta’ non contesta i principi di diritto e l’interpretazione delle norme di cui denuncia la violazione, come operata dal giudice di appello, ma nella sostanza assume che si sarebbe affermata l’appartenenza al patrimonio indisponibile del Comune senza pero’ riscontrare i requisiti soggettivi ed oggettivi a tal fine previsti.
Al contrario, i giudici di appello hanno richiamato la giurisprudenza di questa Corte dando seguito al principio secondo cui (cfr. Cass. S.U. n. 6019/2016) affinche’ un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, in quanto destinati a un pubblico servizio ai sensi dell’articolo 826 c.c., comma 3, deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volonta’ dell’ente titolare del diritto reale pubblico (e, percio’, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volonta’ dell’ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio) e dell’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio (in termini si veda anche Cass. S.U. n. 14865/2006, Cass. n. 26402/2009, ed ancor prima Cass. S.U. n. 391/1999, richiamata anche nella motivazione della sentenza gravata), ravvisando la manifestazione di volonta’ formale della P.A. di assoggettare il bene alla destinazione di pubblico servizio (costituita appunto dall’esigenza di assegnare un nuovo alloggio a coloro che erano stati interessati dall’espropriazione di (OMISSIS), al fine della realizzazione del porto di (OMISSIS)) nella Delib. della Regione Calabria 29 dicembre 1980 con la quale i beni erano stati trasferiti dalla Cassa per il mezzogiorno al Comune resistente, imponendo determinati vincoli di utilizzazione con il richiamo alla normativa in tema di edilizia residenziale pubblica (all’epoca la L. n. 513 del 1977). Al contempo ha riscontrato che il compendio immobiliare, nella qual era incluso anche il bene oggetto di causa, aveva poi ricevuto una concreta destinazione, essendosi provveduto alla concessione in locazione provvisoria ai singoli fruitori (cfr. Cass. n. 7269/2003, a mente della quale la concreta ed effettiva destinazione di un bene ad un pubblico servizio, come in caso di assegnazioni di alloggi ai senza tetto per cause di guerra – si verifica non appena la costruzione sia realizzata, non essendo necessario che la sua destinazione ad un pubblico servizio, gia’ affermata dalla legge, abbia poi concreta ed effettiva attuazione attraverso un successivo provvedimento amministrativo).
La decisione ha avuto cura anche di evidenziare che non poteva avere seguito la tesi del ricorrente secondo cui il bene avesse perso il carattere dell’indisponibilita’ da epoca remota e comunque tale da consentire l’usucapione, rilevando che, oltre a non risultare provato da quando effettivamente il ricorrente fosse nel possesso del bene, non risultava adottato alcun formale provvedimento di sclassificazione e che, anche a voler prendere in esame la Delib. Giunta Comunale 24 luglio 2012, alla stessa non poteva assegnarsi efficacia ricognitiva di una sclassificazione gia’ avvenuta nel passato, posto che in parte aveva addirittura carattere programmatico, avendo individuato i beni da inserire in un piano di dismissioni da adottare nel corso del triennio (OMISSIS), il che oltre a confermare che non potesse avere alcuna portata retroattiva, denotava altresi’ che nemmeno risultava contestuale la dimissione.
I principi ai quali si e’ attenuta la decisione gravata risultano del tutto condivisibili.
In tal senso si e’, infatti, rilevato che (Cass. S.U. n. 4430/2014) la dismissione di un bene incluso nella categoria dei beni patrimoniali indisponibili di un Comune, ex articolo 826 c.c., comma 3, con conseguente regressione al patrimonio comunale disponibile (nella specie un impianto sportivo), necessita di una manifestazione di volonta’, espressa in un atto amministrativo, e la materiale cessazione della destinazione al servizio pubblico, non essendo sufficiente, a tale scopo, una trascurata gestione dell’impianto, sebbene prolungata.
Assolutamente pertinente rispetto alla vicenda in esame appare il richiamo a quanto affermato da Cass. n. 2962/2012 che con riguardo agli alloggi costruiti con il contributo dello Stato in conseguenza di terremoti per far fronte alle esigenze delle popolazioni colpite dagli eventi sismici, ha chiarito che ancorche’ la legge ne preveda la cessione in proprieta’, cio’ non declassifica in maniera automatica, ne’ espressamente, ne’ implicitamente, tali beni, prevede una dell’assegnazione ai privati, la quale soltanto determina, in una con l’effetto traslativo, la perdita della qualita’ pubblica degli alloggi stessi, con la conseguenza che questi ultimi, restando soggetti al regime del patrimonio indisponile fino alla conclusione del procedimento di assegnazione, non sono suscettibili di formare oggetto di usucapione della proprieta’ da parte dei soggetti occupanti.
Ne deriva quindi che la declassificazione dei beni appartenenti al patrimonio indisponibile non puo’, dunque, trarsi da una condotta concludente dell’ente proprietario, postulando la cessazione tacita della patrimonialita’ indisponibile, cosi’ come della demanialita’, che il bene abbia subito un’immutazione irreversibile, tale da non essere piu’ idoneo all’uso della collettivita’, senza che a tal fine sia sufficiente la semplice circostanza obiettiva che detto uso sia stato sospeso per lunghissimo tempo. Ne deriva che, con riguardo agli alloggi costruiti a carico dello Stato per far fronte alle esigenze delle popolazioni colpite da eventi sismici, la cui inclusione nell’ambito del patrimonio indisponibile si ricava dagli articoli da 252 a 255 del Testo Unico delle disposizioni sull’edilizia popolare ed economica, deve escludersi la stessa ipotetica configurabilita’ di una declassificazione tacita per effetto dell’attivita’ concludente posta in essere dall’ente proprietario, nonche’ la possibilita’ che questa abbia anche soltanto innescato la sospensione dell’uso pubblico.
In termini si veda anche Cass. n. 12608/2002 a mente della quale i beni del patrimonio indisponibile di un ente pubblico possono essere sottratti alla pubblica destinazione soltanto nei modi stabiliti dalla legge, e quindi certamente non per effetto di usucapione da parte di terzi, non essendo usucapibili diritti reali incompatibili con la destinazione del bene dell’ente al soddisfacimento del bisogno primario di una casa di abitazione per cittadini non abbienti.
Tali considerazioni consentono quindi da un lato di ribadire che l’asserita violazione delle norme in tema di individuazione del bene come appartenente al patrimonio indisponibile non deriva da un’erronea ricognizione della fattispecie astratta, quanto dalla negazione degli elementi di fatto viceversa valorizzati dal giudice di merito per riscontrare il duplice requisito soggettivo ed oggettivo richiesto per l’inclusione del bene nel novero di quelli di cui all’articolo 826 c.c..
Dall’altro si riscontra nella sentenza un’esauriente risposta alle avverse deduzioni, sia in merito alla tesi dell’intervenuta sclassificazione dei beni, per effetto del solo interpello agli assegnatari circa l’intenzione di rendersene acquirenti, sia in ordine alla dedotta incidenza, sempre ai fini della declassificazione, della successiva Delib. Giunta luglio del 2012, non potendo nemmeno spiegare efficacia ai fini auspicati dal ricorrente, le eventuali anomalie ed irregolarita’ nella concreta gestione dei beni, non essendosi verificata alcuna radicale trasformazione dei beni ed essendo, anche nel caso di occupazione da parte di soggetti diversi dai legittimi assegnatari, restata intatta l’idoneita’ del bene a soddisfare l’interesse pubblico al quale sono stati destinati.
Del pari riconfigurabile e’ la violazione delle norme di cui alla rubrica del secondo motivo, occorrendo a tal fine ricordare che la violazione dell’articolo 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioe’ attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’articolo 115 e’ necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioe’ abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioe’ dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioe’ giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si puo’ ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., che non a caso e’ rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. S.U. n. 16598/2016).
Ne consegue che, anche a voler superare la sovrapposizione nell’esposizione di parte ricorrente dei vari atti difensivi prodotti nelle fasi di merito, e cercando quindi di riscontrare una censura riferibile alla sentenza gravata, risulta con evidenza come nella sostanza le critiche attengano alla complessiva valutazione dei fatti di causa, come operata dal giudice di appello, sollecitandosi a tal fine una non consentita rivalutazione, preclusa al giudice di legittimita’.
4. Altrettanto infondato si palesa poi il terzo motivo di ricorso. Ed, invero, va ribadita la correttezza del principio richiamato in sentenza secondo cui (Cass. n. 10184/2013) il giuramento, sia decisorio che suppletorio, non puo’ vertere sull’esistenza o inesistenza di rapporti giuridici o di situazioni giuridiche, ne’ puo’ deferirsi per provocare l’espressione di apprezzamenti od opinioni, e, tantomeno, di valutazioni giuridiche, dovendo la sua formula avere ad oggetto circostanze determinate, che, quali fatti storici, siano stati percepiti dal giurante con i sensi o con l’intelligenza (conf. Cass. n. 5163/1993).
Costituisce poi principio altrettanto pacifico quello secondo cui (cfr. Cass. n. 9831/2014) la formula del giuramento decisorio attese le finalita’ di questo speciale mezzo di prova – deve essere tale che, a seguito della prestazione del giuramento stesso, altro non resta al giudice che verificare l'”an iuratum sit”, onde accogliere o respingere la domanda sul punto che ne ha formato oggetto, cosi’ che a valutazione (positiva o negativa) della decisorieta’ della formula del giuramento e’ rimessa all’apprezzamento del giudice del merito, il cui giudizio circa l’idoneita’ della formula a definire la lite e’ sindacabile in sede di legittimita’ con esclusivo riferimento alla sussistenza di vizi logici o giuridici attinenti all’apprezzamento espresso dal predetto giudice (Cass. 24025/2009).
Il capitolato articolato sul punto dal ricorrente, come altresi’ rimarcato dalla decisione di appello, e’ evidentemente carente del requisito della decisivita’ come sopra inteso, in quanto mentre il capo b) ha carattere addirittura esplorativo (vertendo sull’esistenza o meno nella documentazione del Comune di un qualsiasi atto appartenente al ricorrente che riconosce il diritto di proprieta’ in capo all’ente), ed il capo c) presuppone a monte risolto il profilo dell’usucapibilita’ del bene (dimostrazione circa l’esistenza di una contestazione del possesso ultraventennale da parte del convenuto), il capo a) vorrebbe dimostrare che il bene sarebbe stato inserito nelle poste attive del bilancio comunale sin dal 1981, come appartenente al patrimonio disponibile dell’ente, implicando una valutazione ad opera di colui che sarebbe chiamato a renderlo, e trascurando di considerare l’irrilevanza, come sopra esposto, di una sclassificazione priva di un formale provvedimento dell’ente proprietario del bene, sicche’ il mancato rendimento del giuramento comunque non porterebbe alla decisione favorevole alla parte.
5. Al rigetto del ricorso consegue che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
6. Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater del testo unico di cui – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge;
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, articolo 1 bis.

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