In merito alle procedure di bonifica

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 6 aprile 2020, n. 2301.

La massima estrapolata:

L’art. 252 d.lgs. n. 152/2006, in relazione ai siti di interesse nazionale, devolve al Ministero dell’Ambiente la sola competenza in merito alle procedure di bonifica, lasciando, invece, inalterata la competenza della Provincia, desumibile dall’art. 244 del testo unico in materia ambientale, ad ordinare l’adozione delle misure ritenute in via provvisoria necessarie per la messa in sicurezza di emergenza, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente del sito di competenza statale.

Sentenza|6 aprile 2020| n. 2301

Data udienza 5 marzo 2020

Tag – parola chiave: Inquinamento – Bonifica di siti contaminati – Siti di interesse nazionale – Procedimento ex art. 244, D.Lgs. n. 152/2006 – Discariche e acque di falda – Ordinanza provinciale – Misure di prevenzione – Misure di messa in sicurezza e rimozione rifiuti – Operazioni di bonifica e di ripristino ambientale – Competenze di Ministero e Provincia – Individuazione responsabilità dell’inquinamento

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3079 del 2019, proposto dalla Ed. s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Re. Vi., An. Degli Es. e Wl. Fr. Tr., con domicilio eletto presso lo studio dei primi due in Roma, via (…);
contro
la Provincia di Pescara, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Di To., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Vi. Ce. Ir., in Roma, via (…);
nei confronti
il Comune di (omissis) (Pescara), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati El. Vi. e An. Be., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Cr. Be., in Roma, viale (…);
il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, la Regione Abruzzo e l’Agenzia Regionale per la Tutela dell’Ambiente – ARTA Abruzzo, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliati in Roma, via (…);
la So. Sp. Po. It. s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Fa. Ci. e Gi. Lo Pi., con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via (…);
la Azienda Usl di Pescara, in persona del legale rappresentante p.t., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, n. 86 del 20 marzo 2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Pescara, del Comune di (omissis), del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, della Regione Abruzzo, dell’Agenzia Regionale per la Tutela dell’Ambiente – Arta Abruzzo e della So. Sp. Po. It. S.p.A.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 marzo 2020 il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti l’avvocato Ri. Vi., l’avvocato Ma. Di To., per sé e su delega dell’avvocato El. Vi., l’avvocato Fa. Ci. e l’avvocato dello Stato Cr. Ge.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il T.a.r. per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, con la sentenza 20 marzo 2019, n. 86, ha respinto il ricorso proposto dalla Ed. s.p.a. avverso l’ordinanza del 26 agosto 2018, con cui la Provincia di Pescara, ai sensi dell’articolo 244 del d.lgs. n. 152 del 2006, ha ordinato al gruppo societario Ed. s.p.a. “di provvedere a continuare ed eventualmente integrare le misure di prevenzione in atto ai sensi dell’articolo 242 del titolo V della Parte Quarta del Dlgs 152/2006 nelle aree discariche 2A e 2B e aree limitrofe (estremi catastali dettagliati nell’Allegato 1) e nelle acque di falda sottostanti nel termine di 30 giorni dal ricevimento della presente ordinanza; di adottare tempestivamente le misure di messa in sicurezza ai sensi e nei termini del Titolo V della Parte Quarta del d.lgs. 152/2006 nelle aree discariche 2A e 2B, aree limitrofe (estremi catastali dettagliati nell’Allegato 1), nelle e per le acque di falda sottostanti; di rimuovere tutti i rifiuti depositati in modo incontrollato nelle discariche realizzate nelle aree 2A e 2B e aree limitrofe (estremi catastali dettagliati nell’Allegato 1) e rimuovere altre eventuali fonti di contaminazione sulle medesime aree ai sensi e termini del titolo V del d.lgs. 152/2006; di provvedere alle ulteriori operazioni di bonifica e di ripristino ambientale che comunque si rendessero necessarie nelle aree discariche 2A e 2B e aree limitrofe (estremi catastali dettagliati nell’Allegato 1) nel rispetto dei termini e delle condizioni stabilite dalle disposizioni del Titolo V della Parte Quarta del d.lgs 152/2006”.
2. L’appello è articolato nei seguenti motivi di impugnativa:
2.1. Per quanto riguarda l’individuazione di Ed. quale presunto soggetto responsabile dell’inquinamento (motivi I, II, IV, VI del ricorso di primo grado).
Incompetenza. Violazione dell’art. 252 del d.lgs. n. 152 del 2006.
L’art. 252 del d.lgs. n. 152 del 2006 attribuisce alla competenza del Ministero dell’Ambiente la gestione dell’intero procedimento di bonifica concernente i Siti di Interesse Nazionale, a partire dall’individuazione del responsabile.
La competenza della Provincia, con riferimento ai SIN, rimarrebbe al più circoscritta ai provvedimenti che impongono misure emergenziali.
La giurisprudenza ha chiarito che la competenza provinciale ex art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006, quanto alle aree inserite in un SIN, non sarebbe affatto esclusiva, in quanto l’art. 252 conferirebbe per dette aree al Ministero dell’Ambiente tutte le misure, comprese quelle di prevenzione, necessarie per tutelare l’ambiente.
Pertanto, in alcun modo sarebbe dato riconoscere alla Provincia il potere di sostituirsi in toto al Ministero nella conduzione dell’istruttoria per l’accertamento della responsabilità o, peggio, nella imposizione di misure di vera e propria bonifica.
L’ordinanza gravata in primo grado non mirerebbe soltanto all’imposizione alla Ed., comunque illegittima, di attività del MISE, ma pretenderebbe di individuare il responsabile della contaminazione e, addirittura, di contemplare la rimozione integrale di tutti i rifiuti depositati in modo incontrollato e di altre eventuali fonti di contaminazione, attività che si inserirebbero nella più ampia nozione di “procedimento di bonifica”, di pacifica attribuzione ministeriale.
La sistematica normativa intenderebbe attribuire, in presenza di siti di particolare rilevanza per dimensioni e complessità, la competenza relativa alla gestione dell’intero procedimento di bonifica, non essendo consentito suddividere il medesimo in “subfasi” sotto l’egida di enti distinti, pena lo svuotamento della ratio dell’attrazione verticale delle attribuzioni al livello amministrativo superiore.
2.2. Violazione dei principi di certezza del diritto e legittimo affidamento. Violazione dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale. Falsa applicazione del principio “chi inquina paga” e dell’art. 3 ter d.lgs. n. 152 del 2006. Violazione dell’art. 1 del protocollo 1 alla CEDU. Violazione e falsa applicazione degli artt. 242 e 244 d.lgs. n. 152 del 2006.
Fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 22 del 1997 (cd. decreto Ronchi), nessuna disposizione di legge avrebbe imposto ai titolari di impianti industriali obblighi di carattere rimediale volti ad assicurare il ripristino ambientale dei siti gestiti, sicché non sarebbe lecito ricondurre una condotta cessata “prima del 1981” nell’alveo delle ipotesi di responsabilità tratteggiate dall’art. 17 del decreto Ronchi in virtù del carattere irretroattivo della norma in esso contenuta.
Fino a tutto il 2006, nessuna disposizione di legge avrebbe obbligato il proprietario di un sito industriale a porre rimedio ad eventuali contaminazioni o inquinamenti derivanti da fatti verificatisi prima del 1997, se non addirittura del 1999.
La direttiva 2004/35/CE non si applicherebbe al danno causato da un evento che si sia verificato prima del 30 aprile 2007 o che, pur verificandosi dopo tale ultima data, derivi da un’attività posta in essere antecedentemente alla stessa.
La tutela assicurata dall’ordinamento sovranazionale al diritto di proprietà osterebbe a che, in base ad un parametro normativo non previamente conoscibile da parte del privato, sia lesa l’integrità patrimoniale del soggetto inciso.
La corretta applicazione dei principi che regolano la materia patrimoniale del soggetto inciso, in una prospettiva che tenga in debito conto la dimensione temporale del fenomeno di contaminazione in esame, condurrebbe ad escludere la legittimità dell’addebito di responsabilità nei confronti di Ed..
L’inquinamento rappresenterebbe una compressione del bene ambiente tutelato e la responsabilità andrebbe individuata in relazione alla condotta in base alla normativa vigente in quel momento, risultando inapplicabili disposizioni sopravvenute, anche ove si dovesse constatare ancora la presenza di effetti riconducibili a quella condotta. Una condotta lecita non diventerebbe illecita perché produce effetti analoghi a quelli di una condotta che è illecita in forza di una norma in quel momento vigente.
Solo un’applicazione retroattiva del decreto Ronchi consentirebbe di giustificare l’affermazione secondo cui una normativa sopraggiunta può qualificare come illecita la condotta omissiva in relazione al sopravvenuto obbligo di bonifica. Viceversa, non potrebbe dar luogo a responsabilità una condotta che, all’epoca, non costituiva inquinamento.
2.3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere per violazione del principio del contraddittorio procedimentale. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2325 c.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2504-bis c.c. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto. Difetto di istruttoria.
L’Amministrazione, in forza dei principi giurisprudenziali dalla medesima richiamati, avrebbe dovuto rivolgersi a Mo. s.p.a., poi incorporata in Au. s.p.a., a sua volta incorporata dalla So. e, quindi, alla stessa So.. In sostanza, l’Amministrazione avrebbe dovuto concludere per la responsabilità di So..
L’ambito di applicazione della concezione “sostanzialistica di impresa” sarebbe limitato alla materia della tutela della concorrenza.
L’Amministrazione non avrebbe in alcun modo dimostrato o tentato di dimostrare l’ingerenza della capogruppo Mo. s.p.a. nelle scelte contingenti effettuate dalla controllata Au. s.p.a.
Nella vigenza dell’art. 2325 c.c., secondo cui “per le obbligazione sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio”, non potrebbe sussistere alcuna responsabilità in capo alla holding Mo. in relazione alle obbligazioni contratte dalla propria controllata società operativa.
Un’interpretazione estensiva che conducesse a ritenere responsabile la controllante per un preteso illecito di natura amministrativa posto in essere dalla controllata si tradurrebbe in un palese disequilibrio nella razionale distribuzione del rischio, come codificata dal legislatore.
2.4. Violazione e falsa applicazione degli artt. 242, 240, comma 1, lett. m), e t), d.lgs. n. 152 del 2006. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e carenza di istruttoria.
La normativa in materia di misure di prevenzione e messa in sicurezza d’emergenza (art. 240, lett. i) ed m) richiede il previo accertamento di presupposti che non si rinverrebbero nella vicenda in esame.
2.5. Per quanto riguarda il presunto obbligo di Ed. di procedere alla rimozione dei rifiuti (motivi III, V e VII del ricorso di primo grado).
La sentenza di primo grado ha dichiarato inammissibile il ricorso nella parte in cui investe l’obbligo di rimuovere i rifiuti, stante l’inesistenza di tale obbligo.
In vista di futuri provvedimenti che pretendano di imporre tale obbligo, la Ed. s.p.a. ha riproposto pure tali motivi.
3. L’Avvocatura generale dello Stato, la Provincia di Pescara, il Comune di (omissis) e la So. Sp. Po. It. s.p.a., con articolate memorie, hanno contestato la fondatezza delle censure dedotte, concludendo per il rigetto del gravame.
4. Le parti hanno depositato altre memorie a sostegno ed illustrazione delle rispettive difese.
5. All’udienza pubblica del 5 marzo 2002, la causa è stata trattenuta per la decisione.
6. L’appello è infondato e va di conseguenza respinto.
6.1. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con la nota del 23 febbraio 2017, indirizzata alla Provincia di Pescara e, per conoscenza, alla Regione Abruzzo e all’ARTA Abruzzo – in considerazione della prossima conclusione della procedura di affidamento per progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori, degli interventi di bonifica delle “Aree esterne So.” in (omissis), disposta con decreto del Commissario delegato n. 240 del 14 dicembre 2015 – ha chiesto alla Provincia di Pescara di voler portare a conclusione, con la massima solerzia, il procedimento ex art. 244 d.lgs. n. 152 del 2006, finalizzato all’individuazione del responsabile della contaminazione, con specifico riferimento alle aree oggetto degli interventi.
La Provincia di Pescara, con l’avversato provvedimento del 26 giugno 2018, ha ordinato al gruppo societario Ed. s.p.a.:
1) di provvedere a continuare ed eventualmente integrare le misure di prevenzione in atto ai sensi dell’articolo 242 del titolo V della Parte Quarta del d.lgs. n. 152/2006 nelle aree discariche 2A e 2B e aree limitrofe (estremi catastali dettagliati nell’Allegato 1) e nelle acque di falda sottostanti nel termine di 30 giorni dal ricevimento della presente ordinanza;
2) di adottare tempestivamente le misure di messa in sicurezza ai sensi e nei termini del Titolo V della Parte Quarta del d.lgs. n. 152/2006 nelle aree discariche 2A e 2B, aree limitrofe (estremi catastali dettagliati nell’Allegato 1), nelle e per le acque di falda sottostanti;
3) di rimuovere tutti i rifiuti depositati in modo incontrollato nelle discariche realizzate nelle aree 2A e 2B e aree limitrofe (estremi catastali dettagliati nell’Allegato 1) e rimuovere altre eventuali fonti di contaminazione sulle medesime aree ai sensi e termini del titolo V del d.lgs. n. 152/2006;
4) di provvedere alle ulteriori operazioni di bonifica e di ripristino ambientale che comunque si rendessero necessarie nelle aree discariche 2A e 2 B e aree limitrofe (estremi catastali dettagliati nell’Allegato 1) nel rispetto dei termini e delle condizioni stabilite dalle disposizioni del Titolo V della Parte Quarta del d.lgs. 152/2006.
Il provvedimento è stato adottato:
– preso atto che il Ministero dell’Ambiente è soggetto attuatore delle procedure di bonifica in sostituzione e in danno del soggetto responsabile, così come previsto dall’art. 252 del d.lgs. n. 152 del 2006, in seguito al decreto del 29 maggio 2008, pubblicato sulla G.U. serie generale n. 172 del 24 luglio 2008, in cui le aree suindicate sono entrate a far parte del Sito di Bonifica di Interesse Nazionale (SIN) di (omissis);
– verificato che, ai sensi dell’art. 244, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, la Provincia è tenuta a provvedere ai sensi del titolo V del d.lgs. n. 152 del 2006.
I passaggi motivazionali salienti dell’atto possono essere così individuati:
a) nelle aree site a monte dello stabilimento chimico sono localizzate due discariche autorizzate dalla Giunta Regionale d’Abruzzo, rispettivamente con delibera del 14 febbraio 1983 (discarica 2A per rifiuti urbani e speciali di circa 12.000 mq) e con delibera del 5 maggio 1998 (discarica 2B per rifiuti speciali tossici e nocivi di circa 8.000 mq), ma che risultano prive di opere di copertura e di messa in sicurezza ed in cui sono stati smaltiti rifiuti diversi da quelli autorizzati;
b) all’intorno delle due discariche per circa 35.000 mq sono stati depositati in modo incontrollato ingenti quantitativi di rifiuti, oltre all’area denominata “magazzini ex iprite” che sarebbe stata utilizzata per stoccare la produzione del materiale bellico chimico aggressivo (gas iprite) durante il periodo prebellico e bellico della seconda guerra mondiale e, successivamente (conferenza dei servizi presso il Ministero dell’ambiente in data 6 febbraio 2015), “le peci clorurate pesanti provenienti dal Reparto cloro metani unitamente ai rifiuti tossici e nocivi provenienti dal reparto clorosoda”;
c) dalle indagini documentali archivistiche (documenti storici, planimetrie storiche, foto aeree disponibili e le evidenze ricavate dalla caratterizzazione del 2004 da parte della società proprietaria So. e successive integrazioni e dalla attività di scavo e campionamento eseguite dall’ARTA nel 2007 su disposizione della Procura della Repubblica di Pescara nelle aree delle discariche “autorizzate” e nelle aree adiacenti (“vecchia discarica”) poste a monte, nord, dello stabilimento di (omissis), e dai successivi monitoraggi è emerso che:
c1) le attività di deposito incontrollato di rifiuti/scorie industriali sono state realizzate nel periodo anteriore al 1981, precedente allo stesso iter di autorizzazione delle discariche 2A e 2B;
c2) i rifiuti rinvenuti nelle aree adibite a discarica contenenti vari metalli (soprattutto piombo, mercurio, arsenico, rame, alluminio e ferro), composti clorurati (quali tetracloroetilene, tricloroetilene e cloroformio, idrocarburi C< 12 e C> 12 e IPA) sono riconducibili alle produzioni e alle sostanze impiegate durante il periodo di proprietà e gestione diretta di Mo.;
c3) Mo. ha mantenuto la gestione delle suddette aree adibite a discarica anche dopo il 1981, ossia dopo che la proprietà del Sito di (omissis) era stata conferita ad Au. s.p.a., in quanto ha mantenuto il controllo di quest’ultima ed in generale ha continuato a gestire e coordinare le politiche ambientali di gruppo, anche in relazione al Sito di (omissis);
d) in virtù del periodo temporale, del tipo di sostanza e dei luoghi del loro rinvenimento, è possibile ipotizzare un nesso di causalità tra i cicli produttivi del polo industriale di loc. (omissis), i rifiuti prodotti e smaltiti, prima del 1981 e dal 1981 in violazione delle autorizzazioni regionali, nelle discariche 2A e 2B e aree circostanti e il superamento delle CSC riscontrato nei terreni e nelle acque sotterranee sottostanti alle aree suddette, in considerazione del principio del “più probabile che non” per cui il suo positivo riscontro può basarsi anche su elementi indiziari quali la tipica riconducibilità dell’inquinamento all’attività condotta nell’area dalla società Mo./Mo. anche per il tramite delle società dapprima precedentemente indicate.
6.2. La Ed. s.p.a., in primo luogo, ha dedotto l’incompetenza della Provincia di Pescara all’adozione del provvedimento contestato che, invece, sarebbe stato di competenza del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del mare.
Le doglianze, sebbene molto ben articolate ed esposte, non sono persuasive.
6.2.1. Il titolo V della parte IV del testo unico in materia ambientale (d.lgs. n. 152 del 2006) disciplina la bonifica di siti contaminati.
L’art. 242 del titolo V, al primo comma, prevede che, al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione; la medesima procedura si applica all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che possono ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione.
Ai sensi del successivo art. 244, le pubbliche amministrazioni che nell’esercizio delle proprie funzioni individuano siti nei quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, ne danno comunicazione alla regione, alla provincia e al comune competenti, mentre, ai sensi del secondo comma, la provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo.
L’art. 252 dello stesso titolo V prevede, al comma primo, che i siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, sono individuabili in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell’impatto sull’ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali. Il secondo comma indica che, all’individuazione dei siti di interesse nazionale, si provvede con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con le regioni interessate, secondo determinati principi e criteri direttivi e che, comunque, sono individuati quali siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, i siti interessati da attività produttive ed estrattive di amianto.
Il quarto comma dell’art. 252, poi, attribuisce la procedura di bonifica di cui all’art. 242 dei siti di interesse nazionale alla competenza del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il Ministero delle attività produttive.
6.2.2. Le aree in discorso sono entrate a far parte del SIN di (omissis) con decreto del 29 maggio 2008, sicché emerge con ogni evidenza la necessità di fornire una corretta esegesi al descritto corpus normativo al fine di tratteggiare il riparto di competenze tra il potere statale, vale a dire del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, attribuito dall’art. 252, ed il potere della provincia, attribuito dall’art. 244.
Il Collegio ritiene che l’interpretazione letterale e sistematica delle norme consente di individuare una coesistenza, relativa ad oggetti diversi ed a differenti segmenti temporali, tra poteri statali e locali anche con riferimento ai siti di interesse nazionale.
L’art. 252, comma 4, del codice dell’ambiente attribuisce alla competenza esclusiva del Ministero dell’ambiente il procedimento di bonifica, ordinariamente di competenza regionale, mentre non reca alcun riferimento alle differenti competenze enucleate dall’art. 244 che, in assenza di una esplicita previsione derogatoria, devono ritenersi confermate in capo all’Amministrazione provinciale, cui spettano in via ordinaria.
La finalità della norma di cui all’art. 252, con riferimento ai siti più rilevanti che, per questo, sono definiti di interesse nazionale, è quella di centralizzare in capo all’Autorità statale la competenza allo svolgimento del complesso delle operazioni di bonifica, laddove la fase preliminare alla bonifica, disciplinata dall’art. 244, comma 2, afferente alla pregiudiziale individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento ed alla conseguente diffida a provvedere, rimane incardinata in capo all’Ente provinciale.
In altri termini, in relazione ai SIN; tutte le attività precedenti e propedeutiche all’attività di bonifica in senso stretto sono di competenza della Provincia, mentre, una volta avviato il procedimento di bonifica, ai sensi dell’art. 242, comma 7, la competenza si radica in via esclusiva in capo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Pertanto, al Ministero è attribuita la competenza all’espletamento della procedura di bonifica, mentre alla Provincia è attribuita la competenza all’individuazione del responsabile della contaminazione ambientale ed alla diffida del responsabile individuato a provvedere alle attività previste dal titolo di bonifica dei siti contaminati, dovendo altresì comprendersi all’interno di tali attività propedeutiche anche le eventuali misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza.
La ratio del rapporto tra la disposizione dell’art. 244 e dell’art. 252, infatti, è quella di assicurare che l’ente più vicino al luogo della contaminazione possa agire tempestivamente, non quella di sottrarre al Ministero dell’Ambiente la competenza ad agire attribuendola alla provincia, per cui il fondamento della disposizione dell’art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006 è nel senso dell’attribuzione di poteri alla provincia, non sottrattivo di poteri al Ministero (cfr. Cons. Stato, II, n. 1762 del 2018).
Se tale è la ratio del sistema normativo, occorre quindi ritenere che, ferma restando la competenza statale esclusiva per il procedimento di bonifica, la Provincia, come detto, possa intervenire, in via di urgenza, imponendo le misure necessarie di prevenzione ed adottando misure di messa in sicurezza d’emergenza.
In tale ottica, la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che l’art. 252 d.lgs. n. 152/2006, in relazione ai siti di interesse nazionale, devolve al Ministero dell’Ambiente la sola competenza in merito alle procedure di bonifica, lasciando, invece, inalterata la competenza della Provincia, desumibile dall’art. 244 del testo unico in materia ambientale, ad ordinare l’adozione delle misure ritenute in via provvisoria necessarie per la messa in sicurezza di emergenza, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente del sito di competenza statale (cfr. Cons. Stato, VI, n. 2249 del 2011).
Il provvedimento adottato dalla Provincia di Pescara, sulla base della ricostruzione sistematica delle norme, è legittimo, in quanto adottato dall’Autorità competente per legge ad individuare il responsabile dell’inquinamento e a diffidare lo stesso a provvedere ai sensi del titolo V, parte IV, del codice dell’ambiente, imponendo, ove del caso, le misure di prevenzione ritenute necessarie o di messa in sicurezza d’emergenza.
Pertanto, con il detto provvedimento, l’Amministrazione provinciale ha accertato il responsabile dell’evento di contaminazione, ha imposto di provvedere a continuare ed eventualmente integrare le misure di prevenzione in atto ed ha motivatamente diffidato, con i numeri 2), 3) e 4) del dispositivo, il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere agli adempimenti in esso descritti.
Infatti, è evidente che tali “ordini” devono essere intesi come diffida motivata a provvedere ex art. 244, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, per cui gli stessi non sono dotati di immediata e diretta lesività, dovendo il loro contenuto costituire eventuale oggetto del procedimento di bonifica di competenza ministeriale.
In tal senso – ed è questo l’unico profilo della sentenza di primo grado che deve essere rettificato, meritando per il resto integrale conferma anche nel corredo motivazionale – deve essere qualificata come diffida a provvedere anche l’ordine di adozione tempestiva di misure di messa in sicurezza di cui al numero 2 del dispositivo, in quanto, non essendo specificamente indicate le condizioni emergenziali di cui all’art. 240, comma 1, lett. t), si riferisce evidentemente all’adozione di misura di messe in sicurezza permanenti e, quindi, di competenza statale.
In sostanza, l’Amministrazione provinciale ha esercitato il potere conferitole dall’art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006, senza imporre misure di vera e propria bonifica e, quindi, senza interferire nel relativo procedimento, in ordine al quale, essendo esso di esclusiva competenza statale, sarebbe stata evidentemente incompetente.
6.3. Con il secondo motivo di gravame, l’appellante ha dedotto la violazione del principio di irretroattività delle norme.
In particolare, ha sostenuto che, fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 22 del 1997 (cd. decreto Ronchi), nessuna disposizione di legge avrebbe imposto ai titolari di impianti industriali obblighi di carattere rimediale volti ad assicurare il ripristino ambientale dei siti gestiti, sicché non sarebbe lecito ricondurre la condotta in discorso nell’alveo delle ipotesi di responsabilità tratteggiate dall’art. 17 del decreto Ronchi in virtù del carattere irretroattivo della norma in esso contenuta.
La prospettazione non può essere condivisa.
6.3.1. In proposito, sono dirimenti i principi espressi dalla recente pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 2019.
La questione, oggetto di contrasti di giurisprudenza, rimessa alla Adunanza Plenaria ha riguardato la possibilità di ordinare la bonifica di siti inquinati ex art. 244 del c.d. codice dell’ambiente di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per un inquinamento di origine industriale risalente ad epoca antecedente a quella in cui l’istituto della bonifica è stato introdotto nell’ordinamento giuridico, ed inoltre nei confronti di una società non responsabile dell’inquinamento, ma da questa avente causa per effetto di successive operazioni di fusione di società per incorporazione.
La questione, quindi, per quanto concerne la possibilità di ordinare la bonifica per un inquinamento risalente a data antecedente l’entrata in vigore del c.d. decreto Ronchi, è simile a quella dedotta dall’appellante Ed. s.p.a.
Il supremo consesso della giustizia amministrativa ha affrontato i seguenti tre punti controversi, posti in rapporto di consecuzione logica:
a) innanzitutto se la condotta di inquinamento ambientale commessa prima che nell’ordinamento giuridico fosse introdotta la bonifica dei siti inquinati sia qualificabile come illecito, fonte di responsabilità civile per il suo autore, e in quale fattispecie normativa di quest’ultimo istituto il fatto possa essere inquadrato;
b) quindi, in caso di risposta positiva al primo punto, quali siano i rapporti tra la figura di illecito così individuato e la bonifica e pertanto se, incontestata la discontinuità normativa tra i due istituti, sia nondimeno possibile ordinare la bonifica per fatti risalenti ad epoca antecedente alla sua introduzione a livello legislativo;
c) infine, ammessa l’ipotesi positiva per il secondo punto, se gli obblighi e le responsabilità conseguenti alla commissione dell’illecito siano trasmissibili per effetto di operazioni societarie straordinarie quale la fusione, secondo la legislazione civilistica vigente a quell’epoca vigente.
Il principio di diritto affermato è stato il seguente: “la bonifica del sito inquinato può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell’inquinamento, ma che sia ad essa subentrata per effetto di fusione per incorporazione, nel regime previgente alla riforma del diritto societario, e per condotte antecedenti a quando la bonifica è stata introdotta nell’ordinamento giuridico, i cui effetti dannosi permangano al momento dell’adozione del provvedimento”.
Di talché, l’Adunanza plenaria ha concluso, sulla base di un cospicuo itinerario argomentativo che il Collegio condivide pienamente, che, anche prima dell’introduzione dell’istituto della bonifica, con l’art. 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997, il danno all’ambiente costituiva un illecito civile, sicché, nell’ipotesi, non sussiste alcuna retroazione di istituti giuridici introdotti in epoca successiva alla commissione dell’illecito, bensì l’applicazione da parte della competente autorità amministrativa degli istituti a protezione dell’ambiente previsti dalla legge al momento in cui si accerta una situazione di pregiudizio in atto.
6.3.2. Con una successiva memoria, depositata per l’udienza del 5 marzo 2020, l’appellante, in ordine al portato della sentenza dell’Adunanza plenaria n. 10 del 2019, ha osservato che, prima della introduzione del decreto Ronchi costituiva illecito ambientale solo il comportamento in contrasto con disposizioni specifiche, atteso che il fatto da cui dal 1997 consegue l’obbligo di bonifica, inteso prima come il superamento di determinati limiti tabellari (decreto Ronchi), poi come il superamento delle concentrazioni soglia di rischio (d.lgs. n. 152 del 20069, in epoca antecedente non era qualificabile come illecito, in quanto non contrastava con alcuna previsione legislativa.
Il Collegio, anche a voler prescindere dalla già rilevata esaustività e persuasività delle argomentazioni esposte nella sentenza in discorso, deve comunque rilevare che il provvedimento contestato ha individuato la responsabilità della Ed. s.p.a. per specifiche violazioni.
In particolare, come in precedenza riportato, l’Amministrazione ha individuato un nesso di causalità tra i cicli produttivi del polo industriale di (omissis), i rifiuti prodotti e smaltiti prima e dopo il 1981, “in violazione delle autorizzazioni regionali, nelle discariche 2A e 2B e aree circostanti” e “il superamento delle CSC riscontrato nei terreni e nelle acque sotterranee, sottostanti alle aree suddette”.
6.3.3. D’altra parte, accedere alla tesi secondo la quale le contaminazioni “storiche” non potrebbero mai porre in capo al loro autore un obbligo di bonifica, determinerebbe la paradossale conclusione che tali necessarie attività, a tutela della salute e dell’ambiente, debbano essere poste a carico della collettività e non del soggetto che le ha poste in essere e ne ha beneficiato.
Di talché, è del tutto ragionevole porre l’obbligo di eseguire le opere di bonifica a carico del soggetto che tale contaminazione ebbe in passato a cagionare, avendo questi beneficiato, di converso, dei corrispondenti vantaggi economici (sub specie, in particolare, dell’omissione delle spese necessarie per eliminare o, quanto meno, arginare l’immissione nell’ambiente di sostanze inquinanti).
L’ambiente, peraltro, è oggetto di protezione costituzionale diretta (art. 9) ed indiretta (art. 32), in virtù di norme non meramente programmatiche, ma precettive, che, pertanto, impongono l’ascrizione all’area dell’illecito giuridico di ogni condotta lesiva del bene protetto, tanto più se posta in essere:
– nello svolgimento di attività già per loro natura intrinsecamente pericolose;
– nell’ambito di un’iniziativa imprenditoriale, che, in quanto costituzionalmente conformata dal canone del rispetto della “utilità sociale” (art. 41), è inter alia vincolata alla salvaguardia della salubrità dell’ambiente, la cui compromissione è evidentemente contraria alla “utilità sociale”.
Ne consegue che il danno all’ambiente (inteso quale diminuzione della relativa integrità, anche mediante l’immissione, il rilascio o l’abbandono di sostanze non bio-degradabili) deve ritenersi ab imis ed ab origine ingiusto (cfr. la richiamata sentenza dell’Adunanza plenaria n. 10 del 2019).
6.4. Con un terzo, consistente, ordine di censure, l’appellante ha contestato la sua individuazione quale responsabile dell’inquinamento, sostenendo che l’Amministrazione avrebbe dovuto rivolgersi a Mo. s.p.a., poi incorporata in Au. s.p.a., a sua volta incorporata dalla So. e, quindi, alla stessa So., concludendo per la responsabilità di quest’ultima.
La tesi non può essere condivisa.
6.4.1. Dallo stesso provvedimento impugnato, emerge che:
– nel 1966, dalla fusione per incorporazione di Mo. in Ed., è nata la Mo. Ed. s.p.a., denominata, dal 1969, Mo. s.p.a.;
– fino al 31 dicembre 1980 il sito di (omissis) e tutte le aree annesse sono state in proprietà e gestite da Mo. Ed. e poi da Mo.;
– con atto di conferimento del 31 dicembre 1980, Mo. ha trasferito, con effetto dal 1° gennaio 1981, alla controllata Au. (abbreviazione di Mo. Au.) la proprietà e la gestione di un complesso aziendale, comprensivo del sito di (omissis) e dei beni immobili di sua proprietà, comprese le cc.dd. aree esterne allo stabilimento di (omissis);
– da luglio 1981, Au. s.p.a. ha concesso in affitto alla propria controllata in via totalitaria Mo. s.p.a. (Mo. Pr. Fl. e Os. s.p.a.) il sito chimico di (omissis), con i relativi beni immobili, tra i quali le cc.dd. aree esterne allo stabilimento di cui Au. s.p.a. ha continuato a detenere la proprietà ;
– il 18 dicembre 1991, Au. s.p.a. ha incorporato direttamente la Mo. s.p.a., così consolidando la proprietà e la gestione del sito chimico di (omissis) e delle cc.dd. aree esterne allo stabilimento;
– dall’aprile 2002, la Mo. s.p.a. è stata denominata Ed. s.p.a., la quale, nel 2003, ha incorporato anche la sub-holding Mo. s.p.a.;
– a seguito del contratto di cessione di partecipazioni del 21 dicembre 2001, Mo. s.p.a. ha ceduto, con effetto dal 7 maggio 2002, la proprietà di Au. s.p.a. alla So..
6.4.2. La responsabilità della Mo. s.p.a., ora Ed., s,p.a., del tutto coerente con il principio di derivazione europea “chi inquina paga”, è stata accertata dall’Amministrazione, sulla base di un iter argomentativo decisamente plausibile, con una motivazione puntuale ed articolata.
La giurisprudenza ha affermato che l’individuazione della responsabilità per l’inquinamento di un sito si basa sul criterio causale del “più probabile che non”, sicché è sufficiente perché il responsabile si intenda legittimamente accertato che il nesso eziologico ipotizzato dall’Amministrazione sia più probabile della sua negazione (cfr. Cons. Stato, IV, n. 7121 del 2018 e n. 5668 del 2018).
La Provincia di Pescara, in ragione di cospicui elementi documentali, ha rappresentato che, in virtù del periodo temporale, del tipo di sostanza e dei luoghi del loro rinvenimento, è possibile ipotizzare un nesso di causalità tra i cicli produttivi del polo industriale di loc. (omissis) i rifiuti prodotti e smaltiti prima del 1981 e dal 1981 in violazione delle autorizzazioni regionali nelle discariche 2A e 2B e aree circostanti e il superamento delle CSC riscontrato nei terreni e nelle acque sotterranee sottostanti alle aree suddette, in considerazione del principio del “più probabile che non”.
In particolare, l’inquinamento è stato individuato come risalente a fatti illeciti antecedenti al 1981 e successivi al 1981.
6.4.3. Con riferimento al periodo precedente al 1981, nessun dubbio può sussistere sulla responsabilità di Mo. s.p.a. (ora Ed. s.p.a.), che ha gestito direttamente il sito di (omissis) e tutte le aree esterne.
6.4.4. Successivamente al 1981, è parimenti del tutto ragionevole ritenere che la responsabilità per la contaminazione gravasse su Mo. s.p.a. (ora Ed. s.p.a.), sebbene il sito fosse stato gestito prima da Au. s.p.a. (partecipata al 100% da Mo.) e poi da Mo. s.p.a. (partecipata al 100%) da Au. s.p.a.
L’Autorità amministrativa provinciale, con analitica motivazione, ha dapprima posto in rilievo che, su decisione della Mo., furono istituite 6 nuove società operative specializzate per settore produttivo, tra cui Au. s.p.a., che divenne la controllata del gruppo Mo. operante nel settore della produzione e della commercializzazione degli “intermedi e degli ausiliari chimici per l’industria” e, quindi, ha evidenziato che, anche a seguito del conferimento del ramo d’azienda, e del sito di (omissis), alla controllata Au., la capogruppo Mo. s.p.a. ha mantenuto presso di sé la direzione della politica ambientale, considerato quale settore strategico, come dimostrato dai seguenti documenti:
– il documento “Il Gruppo Mo.. Dati aggiornati al 31.12.80”, ove si afferma che “alla capogruppo (Mo. s.p.a.) sono stati affidati quattro compiti di fondo” tra cui “assicurare il coordinamento delle decisioni strategiche di Gruppo” e “assicurare le politiche di rilevanza generale nei confronti del contesto sociale (ambiente, sicurezza e immagine) sia in Italia che all’estero”;
– la relazione del consiglio di amministrazione di Mo.-Ed. s.p.a. del 14 novembre 1980, dove si evidenzia come la Mo. s.p.a. abbia continuato ad assicurare a livello centrale, gli indirizzi e il coordinamento di politiche di rilevanza generale nei confronti del contesto sociale, come le “politiche dell’ambiente, della sicurezza e dell’immagine”.
Pertanto, l’Amministrazione ha ritenuto possibile ricondurre nel tempo la responsabilità di tutte le attività svolte nello stabilimento di (omissis) fino a maggio 2002 alla società Ed. soprattutto per quanto riguarda le aree oggetto del provvedimento, ubicate a monte dello stabilimento.
6.4.4.1. Ai fini di tale riconducibilità, la Provincia di Pescara ha anche richiamato la concezione sostanzialistica d’impresa contemplata dalla giurisprudenza comunitaria, secondo cui è possibile applicare il principio della prevalenza dell’unità economica del gruppo rispetto alla pluralità soggettiva delle imprese controllate, per cui, per illeciti commessi dalle società operative, la responsabilità si estende anche alle società madri, che ne detengono le quote di partecipazione in misura tale da evidenziare un rapporto di dipendenza e, quindi, da escludere una sostanziale autonomia decisionale delle controllate stesse.
Da un prospetto del gruppo Mo. al 31 dicembre 1980, depositato in giudizio, risulta che alla capogruppo Mo. s.p.a. sono stati affidati quattro compiti di fondo:
– assicurare il coordinamento delle decisioni strategiche del gruppo;
– determinare la politica finanziaria (con particolare riferimento alla pianificazione delle risorse necessarie e alle scelte alternative che si pongono per il loro reperimento);
– provvedere al coordinamento delle attività di ricerca e alla gestione dell’importante patrimonio tecnologico del gruppo;
– assicurare le politiche di rilevanza generale nei confronti del contesto sociale (ambiente, sicurezza e immagine).
L’appellante, in proposito, ha sostenuto che l’ambito di applicazione della concezione “sostanzialistica di impresa” sarebbe limitato alla materia della tutela della concorrenza e che l’Amministrazione non avrebbe in alcun modo dimostrato o tentato di dimostrare l’ingerenza della capogruppo Mo. s.p.a. nelle scelte contingenti effettuate dalla controllata Au. s.p.a.
Il Collegio, nel ribadire che essendo stata accertata la contaminazione per attività anche precedenti al 1981, almeno con riferimento a tale arco temporale, la Ed. è responsabile direttamente e non quale holding del gruppo, ritiene che le argomentazioni formulate in sede di appello non siano comunque persuasive.
L’esatto punto di partenza, secondo cui la concezione sostanzialistica di impresa si è sviluppata a livello europeo nella materia della tutela della concorrenza, non esclude che lo stesso principio possa essere applicato ad altri settori, tra cui quello in esame, in cui, a fronte di una pluralità giuridica soggettive delle imprese facenti parte di un gruppo, può essere comunque individuata una identità economica del gruppo ed un conseguente beneficio derivante alla holding e, quindi, al gruppo nel suo insieme dall’attività di una controllata.
Di qui – in presenza di una identità di ratio, che mira ad impedire la irresponsabilità della holding e, quindi, del gruppo unitariamente considerato quale conseguenza dell’attività di una controllata – il possibile spill over dei principi europei in materia di unità economica del gruppo alle altre materie in cui un beneficio economico per il gruppo unitariamente inteso può essere chiaramente percepito, come nel caso in cui la capogruppo abbia tratto comunque giovamento dalle attività poste in essere dalla controllata e, conseguentemente, sia legittimamente individuata come responsabile della contaminazione storica dell’ambiente e sia obbligata ad eseguire la bonifica.
6.4.4.2. Affinché un gruppo possa costituire un’impresa unica ai fini di una imputazione di responsabilità, secondo la giurisprudenza europea, devono ricorrere alcune condizioni, atteso che la sola partecipazione maggioritaria di una società nel capitale di un’altra non è sufficiente per comportare la costituzione di un’impresa unica, essendo necessario che la società controllata, nella sostanza, applichi le direttive impartite dalla controllante.
La Corte di giustizia dell’Unione Europea, tuttavia, ha anche specificato che se la partecipazione raggiunge la totalità o la quasi totalità del capitale, l’esercizio effettivo del controllo può essere presunto (cfr. sentenza 15 ottobre 1983, AEG-Telefunken).
In particolare, non è escluso che, nonostante non intervenga direttamente sul mercato, una holding “non operativa” possa esercitare un’influenza determinante sulla politica commerciale delle sue controllate, in considerazione della funzione di coordinamento e di direzione finanziaria che le è propria e che l’effettività di un tale esercizio possa presumersi in presenza di una partecipazione totalitaria o quasi totalitaria di questa nel capitale della sua controllata (cfr. Corte di giustizia, sentenza 29 settembre 2011, Arkema-Commissione Europea).
Nel caso di specie, quindi, la partecipazione totalitaria di Mo. (ora Ed.) in Au. è tale da lasciar presumere un’influenza determinante della prima sulla seconda e, comunque, da un lato, l’Amministrazione ha fornito diversi elementi indiziari in tal senso, dall’altro, l’appellante si è limitata ad affermare, ma non ne ha fornito prova, l’effettiva autonomia decisionale della controllata Au..
Inoltre, giova rilevare che Mo., dal 1981 è divenuta una holding e ciò ha comportato lo scorporo pressoché totale delle sue attività industriali e l’istituzione di 6 società operative specializzate, tra cui Au., i cui stabilimenti produttivi erano siti in (omissis). La transazione del danno ambientale per l’inquinamento di Porto (omissis) con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare è stata stipulata dalla capogruppo Mo., come emerge anche sentenza di questa Sezione 24 gennaio 2020, n. 567, il che costituisce un ulteriore significativo elemento indiziario della sostanziale unità del gruppo.
Né, al fine di dimostrare l’autonomia di Au., può assumere rilievo la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 5 dicembre 2013, Commissione-Ed., evidenziata dall’appellante nella sua memoria depositata per l’udienza di merito del 5 marzo 2020.
Infatti, nel caso esaminato in quella sede, il giudice europeo ha rilevato che la Commissione non ha motivato “in modo circostanziato le ragioni per le quali essa riteneva che gli elementi di prova controdedotti dall’Ed. non fossero sufficienti a confutare la presunzione applicata nella decisione controversa”, ma non ha accertato l’autonomia di Au..
Ne consegue che, ricorrendo quantomeno una presunzione di influenza determinante della Mo. (ora Ed.) sulle decisioni assunte da Au., anche per l’illecito connesso all’inquinamento successivo al 1981, la responsabilità, in ragione dell’unità economica del gruppo, ricade sulla holding.
6.4.4.3. Dall’applicazione del suddetto “principio sostanzialistico” alla materia ambientale, deriva una declinazione, solo parzialmente nuova, del principio “chi inquina paga”, ossia del principio secondo cui chi è autore di un fenomeno di inquinamento, o di deterioramento dell’ambiente, deve sostenere i costi necessari ad evitare o riparare l’inquinamento o il danno ambientale causato.
Si tratta, come noto, di un principio riconosciuto dal Trattato U.E. (art. 174, comma 2), secondo cui l’azione comunitaria in materia ambientale deve essere informata ai principi di precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, e del principio “chi inquina paga”. Su detti principi si basa anche la disciplina comunitaria in materia di prevenzione e riparazione del danno all’ambiente (direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004).
Il concetto fondamentale espresso dalla concezione sostanzialistica sopra richiamata impone di non limitarsi, nell’accertamento delle responsabilità, all’individuazione “dell’autore materiale” della condotta di inquinamento, (in genere l’entità che conduce o ha condotto direttamente l’attività inquinante) ma di estenderlo a quei soggetti che hanno il controllo della fonte di inquinamento in virtù di poteri decisionali, o che rendono comunque possibile detta condotta in forza della posizione giuridica che rivestono all’interno dei rapporti con il diretto inquinatore.
Nell’ambito di tali situazioni, l’ipotesi della casa madre che si avvale di società operative per svolgere l’attività di impresa è certamente quella più emblematica.
La nozione sostanzialistica di impresa, in definitiva, determina che le responsabilità ambientali debbano essere allocate in capo ai soggetti che, nel corso degli anni, hanno tratto un utile dalle attività inquinanti, vuoi tramite la distribuzione di dividendi, vuoi, come accade più spesso, grazie al risparmio di spesa ottenuto tramite la mancata adozione di adeguati presidi ambientali.
D’altra parte, su un piano generale, se attraverso un’applicazione formalistica della distinta soggettività giuridica delle imprese appartenenti ad un medesimo gruppo (che, in ipotesi, potrebbero anche essere istituite attraverso il fenomeno delle cc.dd. scatole cinesi), si consentisse l’imputazione esclusiva della responsabilità in capo a soggetti diversi dalla holding, quali l’acquirente del sito, la società incorporante o la società controllata, costituente eventualmente un guscio vuoto in quanto priva di solidità finanziaria, si perverrebbe alla inaccettabile conclusione di depotenziare il principio “chi inquina paga”, con sostanziale elusione dello stesso e con conseguente riversamento dei costi sulla intera collettività nel caso in cui il responsabile non fosse individuato o non fosse solvibile.
6.4.4.4. Una volta accertato che il soggetto responsabile della contaminazione storica è la Mo. s.p.a. (ora Ed. s.p.a.), è evidente che non rilevano nella fattispecie le successive vicende societarie della controllata Au., sicché non può trovare applicazione nel caso di specie il principio di diritto formulato dalla richiamata sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 10 del 2019, secondo cui la bonifica del sito può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell’inquinamento, ma che sia ad essa subentrata per effetto di fusione per incorporazione.
In altri termini, il soggetto individuato quale responsabile dell’inquinamento è e resta senz’altro tenuto ad eseguire le attività di bonifica del sito, anche ove, in epoca successiva agli episodi di contaminazione, abbia ceduto a terzi la società o il ramo d’azienda.
Pertanto, deve ribadirsi che l’articolo 242, comma 1, del codice dell’ambiente, nel fare riferimento specifico anche alle “contaminazioni storiche”, ha inteso affermare il principio per cui la condotta inquinante, anche se risalente nel tempo e verificatasi (rectius: conclusasi) in momenti storici passati, non esclude il sorgere di obblighi di bonifica in capo a colui che ha inquinato il sito, ove il pericolo di “aggravamento della situazione” sia ancora attuale.
6.4.4.5. In linea di principio, poi, risulta ragionevole porre l’obbligo di eseguire le opere di bonifica a carico del soggetto che tale contaminazione ebbe in passato a cagionare, avendo questi beneficiato, di converso, dei corrispondenti vantaggi economici e, in particolare, dell’omissione delle spese necessarie per eliminare o, quanto meno, arginare l’immissione nell’ambiente di sostanze inquinanti.
6.5. L’appellante ha sostenuto che la normativa in materia di misure di prevenzione e messa in sicurezza d’emergenza (art. 240, lettere i) ed m) richiede il previo accertamento di presupposti che non si rinverrebbero nella vicenda in esame.
Le doglianze non sono persuasive.
6.5.1. Per quanto attiene alle misure di prevenzione (numero 1 del dispositivo del provvedimento in contestazione), il Collegio ritiene che l’Amministrazione, nel corredo motivazionale dell’atto, abbia dato sufficientemente conto del rischio che potrebbe verificarsi in un futuro prossimo sotto il profilo sanitario ed ambientale.
6.5.2. Diversamente, come già esposto nel precedente capo 6.2.2. della presente sentenza, l’ordine di adozione tempestiva delle misure di messa in sicurezza (n. 2 del dispositivo), non essendo specificamente indicate le condizioni emergenziali di cui all’art. 240, comma 1, lett. t), si riferisce evidentemente all’adozione di misura di messe in sicurezza permanenti e, quindi, di competenza statale, rispetto alle quali l’atto ha valore di diffida ex art. 244, comma 2, del codice dell’ambiente.
6.6. La Ed. ha riproposto i motivi inerenti l’obbligo di rimozione dei rifiuti (motivi III, V e VII del ricorso di primo grado), in vista di futuri provvedimenti che intendano riproporre tale obbligo.
In proposito, il giudice di primo grado ha rappresentato che:
“le questioni relative alle modalità di bonifica non possono essere sollevate prima che il Ministero eserciti i propri conseguenti doverosi poteri, ordinando a Ed. di provvedere alle operazioni di bonifica (appunto perché il giudice amministrativo non può pronunciarsi su poteri non ancora esercitati e perché non v’è interesse della parte a censurare gli atti del Commissario, prima dell’adozione dell’atto Ministeriale che gli impone di provvedere alla bonifica)”.
Il Collegio ritiene condivisibile la statuizione, ribadendo che gli “ordini di cui ai numeri 3) e 4) del dispositivo del provvedimento avversato, al pari dell’ordine di cui al numero 2), devono essere qualificati come diffida motivata a provvedere ai sensi dell’art. 244, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, per cui gli stessi, dovendo il loro contenuto costituire eventuale oggetto del procedimento di bonifica di competenza ministeriale, non sono dotati di immediata e diretta lesività .
In ogni caso le doglianze non possono essere accolte in quanto non è concepibile sottoporre al giudice amministrativo un’azione di accertamento proposta per proteggere un interesse soggettivo dall’eventuale e futuro esercizio di funzione pubblica, ostandovi il divieto sancito dall’art. 34, comma 2, c.p.a. (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. n. 5 del 2015).
7. Sulla base di tutto quanto esposto, l’appello va respinto in quanto infondato.
8. Le spese del giudizio di appello, liquidate complessivamente in euro 28.000,00 (ventottomila/00), oltre accessori di legge, sono poste a carico dell’appellante ed a favore, per euro 7.000,00 (settemila/00) ciascuno, della Provincia di Pescara, del Comune di (omissis), del Ministero dell’ambiente della tutela e del mare e della So. Sp. Po. It.; sono compensate le spese del presente giudizio di appello nei confronti della Regione Abruzzo e dell’ARTA Abruzzo, anch’esse rappresentate e difese, come il Ministero, dall’Avvocatura generale dello Stato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe (R.G. n. 3079 del 2019).
Liquida le spese del presente giudizio di appello come in motivazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 marzo 2020 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Daniela Di Carlo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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