In materia tributaria e l’abuso del diritto

Corte di Cassazione, sezione tributaria, Sentenza 6 giugno 2019, n. 15321.

La massima estrapolata:

In materia tributaria, integra abuso del diritto, il cui divieto costituisce principio generale antielusivo, l’operazione economica volta al conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, ancorché non contrastante con alcuna disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, la cui ricorrenza deve essere provata dal contribuente. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha confermato la gravata sentenza che aveva ritenuto antieconomica e priva di razionalità la rinuncia, da parte di un socio, ad un ingente credito nei confronti della società, cui era seguita la cessione delle quote ad un prezzo incongruo rispetto al loro valore, senza alcun ritorno economico).

Sentenza 6 giugno 2019, n. 15321

Data udienza 2 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 19514/2011 proposto da:
(OMISSIS) S.R.L., in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa in forza di procura speciale rilasciata in calce al ricorso dall’Avv. (OMISSIS) e dall’Avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata presso lo Studio di quest’ultimo in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 23/2011 della Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, depositata il 15 febbraio 2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 2 ottobre 2018 dal Consigliere Gianluca Grasso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Zeno Immacolata che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale;
udito l’Avvocato dello Stato.

FATTI DI CAUSA

1. – (OMISSIS) s.r.l. proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con cui l’Agenzia delle Entrate di Ferrara, rifacendosi alle risultanze del processo verbale di contestazione del 19 febbraio 2008 redatto da suoi funzionari, le aveva contestato la mancata dichiarazione di sopravvenienze attive per Euro 750.000, la mancata dichiarazione di ricavi derivanti da sublocazione per Euro 7.521,00 e dalla vendita di un immobile per Euro 75.100,52, nonche’ l’indebita deduzione di alcuni componenti negativi per complessivi Euro 2.026,33, cosi’ determinando le maggiori imposte dovute in Euro 263.048,00 per l’Ires, Euro 3.623,00 per l’Irap ed Euro 3.209,00 per l’Iva, irrogando la sanzione di Euro 273.089,00.
L’Agenzia delle Entrate, nel costituirsi in giudizio, contestava le doglianze di parte.
Con sentenza n. 125/2009, la Commissione provinciale tributaria di Ferrara accoglieva il ricorso limitatamente ai rilievi della mancata dichiarazione di ricavi e dell’indebita deduzione di costi, respingendolo quanto al rilievo della mancata dichiarazione di sopravvenienze attive e compensava le spese del giudizio.
2. – La Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna, con sentenza n. 23/2011, ha respinto sia l’appello principale della contribuente sia l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate, confermando la sentenza di prime cure.
3. – La contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
L’Agenzia delle entrate si e’ costituita con controricorso e ha proposto un ricorso incidentale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 88 T.U.I.R., comma 4 (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3). La Commissione tributaria regionale, secondo quanto dedotto, ha negato l’applicazione dell’articolo 88 T.U.I.R., comma 4, al caso di specie sulla base della considerazione che il comportamento dei soci rinunzianti sarebbe privo di razionale giustificazione economica poiche’ essi si sono spogliati di un ingente credito senza vantaggio alcuno.
Parte ricorrente, al riguardo, evidenzia che l’applicazione dell’articolo 88 T.U.I.R., comma 4, dipende dal fatto oggettivo rappresentato dalla rinunzia a un credito pecuniario effettivamente vantato dal socio nei confronti della societa’, essendo totalmente irrilevanti le ragioni per cui il socio provvede a tale rinunzia ed essendo, altresi’, irrilevante la circostanza se a tale rinunzia corrisponda o meno nei confronti del socio un effetto per lui direttamente favorevole. La norma, sul punto, da’ rilievo esclusivamente all’esistenza di un credito del socio nei confronti della societa’ e all’effettivita’ della rinuncia, circostanze che non sono poste in discussione nel caso di specie, per cui il giudice del gravame avrebbe dovuto riconoscere il beneficio previsto dall’articolo 88 T.U.I.R, comma 4.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 41 e 53 Cost., in rapporto agli articoli 1322, 1344, 1414 e 1415 c.c. (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
La ricorrente contesta sul punto un’erronea applicazione dell’istituto dell’abuso del diritto, cui la Commissione tributaria regionale avrebbe implicitamente fatto riferimento allorquando ha individuato nella rinunzia al credito un’operazione elusiva, sottolineando che, nel caso di specie, nessun indebito vantaggio fiscale ha conseguito la (OMISSIS) s.r.l. per effetto della rinuncia ai crediti vantati nei suoi confronti dai soci (OMISSIS) e (OMISSIS), poiche’ il vantaggio della non imponibilita’ della relativa sopravvenienza attiva e’ specificamente previsto e voluto dall’articolo 88 T.U.I.R., comma 4, e, dunque, si pone come conseguenza fisiologica dell’operazione di rinuncia. In questo modo, si pretende di negare alla societa’ un beneficio previsto dalla legge in conseguenza di un presunto comportamento antieconomico riferito ai soci rinunzianti, soggetti cui e’ completamente estraneo l’effetto agevolativo.
Non sussiste, pertanto, nessun comportamento antieconomico tenuto dalla societa’, la quale ha correttamente fruito della rinunzia dei soci ai crediti vantati nei suoi confronti, eliminando una posta di debito e incrementando il proprio patrimonio netto. Per tal modo si sono linearmente realizzate nei suoi confronti tutte le condizioni richieste per l’applicazione dell’agevolazione.
1.1. – I primi due motivi, da trattarsi congiuntamente in quanto strettamente collegati, sono infondati.
In materia tributaria, e’ principio consolidato di questa Corte che il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione (Cass. 13 luglio 2018, n. 18632).
Costituisce dunque condotta abusiva l’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante e assorbente lo scopo di eludere il fisco, incombendo, peraltro, sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo sia delle modalita’ di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate (Cass. 20 giugno 2018, n. 16217 che, nella specie, ha cassato la sentenza impugnata che, senza valorizzare i diversi elementi sintomatici della sussistenza dell’abuso allegati dall’Agenzia delle entrate ne’ affrontare le concrete ricadute dell’operazione medesima ed erroneamente configurando un risparmio fiscale solo potenziale e futuro, aveva ritenuto non elusiva la complessa operazione negoziale tra societa’ controllate, contraddistinta dalla rinuncia ad un credito della controllante verso la controllata, con conseguente sterilizzazione, ad opera di quest’ultima, della sopravvenienza attiva, ex articolo 55 T.U.I.R.; Cass. 28 febbraio 2017, n. 5090).
Nel caso di specie, come correttamente evidenziato nella pronuncia impugnata – pur senza richiamare espressamente l’istituto dell’abuso del diritto – il (OMISSIS) e la consorte hanno rinunciato a un ingente credito nei confronti della societa’ senza alcun vantaggio effettivo e nell’esercizio successivo sono usciti dalla societa’ cedendo le loro quote ad un prezzo non congruo rispetto al loro valore, senza conseguire alcun ritorno economico. Come apprezzato nel giudizio di merito si e’ trattato di un’operazione antieconomica, priva di razionalita’, le cui conseguenze sono andate a vantaggio della societa’ ricorrente e, a fronte di tali elementi, non e’ stata fornita alcuna giustificazione da parte del contribuente, con cio’ lasciando intendere che l’unica finalita’ era quella del fine elusivo.
2. – Con il terzo motivo di ricorso si eccepisce la motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria circa un punto decisivo della controversia (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Si contesta, al riguardo, l’illogicita’ e la contraddittorieta’ della motivazione che, da un lato, ha ravvisato nell’operazione che ha condotto all’applicazione dell’articolo 88 T.U.I.R., comma 4, il dato anomalo rappresentato dal fatto che i soci avrebbero ceduto a soggetto diverso dalla ” (OMISSIS) s.r.l.” le loro quote a un prezzo non congruo rispetto al loro valore, quale rappresentato dal patrimonio netto della societa’, e, dall’altro lato, ha chiesto di dare conto di questa anomalia non ai soci che hanno ceduto le quote e che ne erano legittimi proprietari, ovvero al soggetto che le quote ha acquistato, bensi’ alla societa’ cui le quote si riferiscono, soggetto totalmente estraneo all’operazione di cessione. Essendo l’articolo 88 T.U.I.R., comma 4, norma rivolta alla societa’, la Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto indirizzare la propria attenzione agli effetti della rinuncia ai crediti nei confronti della societa’ stessa, mentre non ha affrontato tale profilo ovvero lo ha fatto in maniera del tutto insufficiente.
Gravemente insufficiente, inoltre, risulterebbe la motivazione laddove afferma che la societa’ non avrebbe spiegato le ragioni della cessione delle quote ad opera dei soci a un prezzo ritenuto inadeguato rispetto al valore del patrimonio netto della societa’, allorquando ha ritenuto che la societa’ si sia limitata a riproporre la probabile esistenza di altre logiche economiche, assunte come legittime, mentre la questione sarebbe stata diffusamente affrontata nell’atto di appello.
2.1. – Il motivo e’ inammissibile.
In tema di ricorso per cassazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006 – il vizio relativo all’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve essere riferito ad un “fatto”, da intendere quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilita’ delle censure irritualmente formulate (Cass. 8 ottobre 2014, n. 21152).
La pronuncia impugnata ha chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto abusiva la condotta contestata, evidenziando che in base al riparto dell’onere della prova la societa’ avrebbe dovuto dare dimostrazione delle ragioni economiche riguardanti la rinuncia a un credito particolarmente rilevante e ponendo in luce l’irragionevolezza dell’operazione compiuta.
Invero, a fronte della ricostruzione compiuta dal giudice del gravame, parte ricorrente mira a una inammissibile rivalutazione delle risultanze istruttorie, sottratta al giudice di legittimita’.
3. – Con il quarto motivo di ricorso si prospetta la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Il giudice del gravame, secondo quanto prospettato, e’ incorso nella violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, omettendo di pronunciarsi in merito alla censura formulata in appello avverso la sentenza di primo grado laddove, una volta rilevato l’intento elusivo dell’operazione, il giudice di primo grado non aveva disposto per la disapplicazione della sanzione ai sensi del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 8.
3.1. – Il motivo e’ infondato.
La commissione tributaria regionale, accertata la condotta abusiva, ha confermato le sanzioni oggetto dell’accertamento, per cui non sussiste alcuna violazione del principio invocato.
4. – Con il primo motivo del ricorso incidentale si deduce la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39 e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
L’Agenzia delle entrate evidenzia che la pronuncia impugnata e’ censurabile riguardo al recupero fiscale sub lettera b) dell’avviso di accertamento, concernente la vendita “sottocosto” di un immobile societario a un proprio socio e al suo coniuge. La sentenza di appello si e’ al riguardo pronunciata esclusivamente sulla ritenuta inapplicabilita’ del meccanismo accertativo introdotto dal Decreto Legge n. 223 del 2006, articolo 35 (convertito con L. n. 248 del 2006), considerato superato dalla successiva L. n. 88 del 2009, annullando integralmente tale recupero. Al tempo stesso, la pronuncia avrebbe violato le norme fondanti l’accertamento induttivo in materia di imposte dirette e di IVA, ritenendo completamente precluso all’Amministrazione finanziaria l’effettuazione di un tale accertamento secondo le regole presuntive ordinarie, ove non applicabile il meccanismo di cui al Decreto Legge n. 223 del 2006.
Anche a prescindere dalla questione circa la legittimita’ o meno del meccanismo automatico di accertamento incentrato sul riferimento al “valore normale” T.U.I.R. n. 917 del 1986, ex articolo 9, comma 3, il recupero in questione e’ derivato, secondo le regole ordinarie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 1, lettera d), e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54, in ragione di una anomala “antieconomicita’” dell’operazione di vendita immobiliare in contestazione, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti (la vendita e’ stata effettuata per un prezzo complessivamente inferiore, pari a Euro 160.000,00, a quello di acquisto per Euro 88.333,00 e di ristrutturazione per Euro 80.401,16 dell’immobile in favore di un socio della societa’ medesima).
Con il secondo motivo del ricorso incidentale si prospetta l’insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. L’Agenzia delle entrate, al riguardo, evidenza l’insufficienza motivazionale della pronuncia riguardo il recupero fiscale di cui alla lettera b) dell’avviso di accertamento, che ha laconicamente ritenuto di non “dover modificare la decisione assunta dai giudici di prime cure sul punto b), ritenendo che sia da considerarsi vigente senza soluzioni di continuita’ il principio che, nella cessione di immobili delle imprese, il valore di riferimento sia quello catastale ristabilito nella legge comunitaria 2008 (L. n. 88 del 2009)”, cosi’ escludendo qualsivoglia motivazione sugli indici di antieconomicita’ dettagliatamente rimarcati dall’Ufficio sin dalla verifica fiscale e dall’avviso di accertamento.
4.1. – I motivi, da trattarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati.
In tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa, con l’abrogazione del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 39, comma 1, lettera d), u.p., che ha effetto retroattivo in considerazione della sua finalita’ di adeguare l’ordinamento interno a quello comunitario, e’ stato ripristinato il quadro normativo anteriore, sicche’ la prova dell’esistenza di attivita’ non dichiarate, derivanti da cessioni di immobili (o costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento sugli stessi) puo’ essere desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purche’ gravi, precise e concordanti (Cass. 26 settembre 2014, n. 20429; Cass. 9 maggio 2014, n. 10175).
Una volta contestata dall’erario l’antieconomicita’ di un comportamento posto in essere dal contribuente, poiche’ assolutamente contrario ai canoni dell’economia, incombe sul medesimo l’onere di fornire, al riguardo, le necessarie spiegazioni, essendo – in difetto – pienamente legittimo il ricorso all’accertamento induttivo da parte dell’Amministrazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39 e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54 (Cass. 20 marzo 2013, n. 6918; Cass. 17 ottobre 2007, n. 21833).
Va tuttavia chiarito che nelle cessioni di beni, lo scostamento del valore dichiarato rispetto al valore normale, desunto di valori O.M.I., non puo’ essere assunto come presunzione legale. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, le quotazioni O.M.I., risultanti dal sito web dell’Agenzia delle Entrate, ove sono gratuitamente e liberamente consultabili, non costituiscono fonte tipica di prova ma strumento di ausilio ed indirizzo per l’esercizio della potesta’ di valutazione estimativa, sicche’, quali nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza, sono idonee solamente a condurre ad indicazioni di valori di larga massima (Cass. 21 dicembre 2015, n. 25707).
Cio’ non di meno l’Amministrazione finanziaria puo’ fare ricorso anche a dette quotazioni, ai fini della valutazione del bene immobile, unitamente ad altri elementi indiziari di giudizio (Cass. 9 febbraio 2018, n. 3197).
Nel caso di specie, la pronuncia impugnata non ha tenuto conto del rilievo del carattere antieconomico dell’operazione di acquisto dell’immobile, oggetto di specifica contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, cosi’ come evidenziato in ricorso, alla luce della disciplina ordinaria dell’accertamento induttivo. La motivazione resa sul punto risulta insufficiente, avendo i giudici del gravame ignorato la questione prospettata, limitandosi a ritenere vigente il valore di riferimento catastale nella cessione di immobili delle imprese, cosi’ come ristabilito dalla L. n. 88 del 2009.
5. – La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione ai motivi accolti, contenuti nel ricorso incidentale, con rinvio alla Commissione tributaria regionale competente anche per le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale e cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

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