In materia di tutela del risparmio

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 19 maggio 2020, n. 9148.

La massima estrapolata:

In materia di tutela del risparmio, la banca viola gli obblighi verso i clienti non solo quando non li informa adeguatamente ma anche quando non “si informa” nei modi previsti dalle legge. Per esempio acquisendo l'”offering circular”, il documento di offerta riservato agli investitori istituzionali in vista del collocamento di strumenti finanziari di nuova emissione.

Ordinanza 19 maggio 2020, n. 9148

Data udienza 28 febbraio 2020

Tag – parola chiave: Vendita retail – Tutela del risparmio – Banca – Violazione degli obblighi verso i clienti – Non solo quando non li informa adeguatamente ma anche quando non si informa” nei modi previsti dalle legge – Acquisto do offering circular – Documento di offerta riservato agli investitori istituzionali in vista del collocamento di strumenti finanziari di nuova emissione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 15028/2015 proposto da:
(OMISSIS) S.c.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 813/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 30/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/02/2020 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Vicenza, con sentenza del 16 febbraio 2007, definiva la causa vertente sulla responsabilita’ di (OMISSIS) s.c.p.a. per alcune operazioni di acquisto di obbligazioni emesse dalla societa’ finanziaria (OMISSIS) SA; la controversia era stata promossa da (OMISSIS), (OMISSIS) e dalla minore (OMISSIS) – rappresentata in giudizio dei primi due -, i quali avevano lamentato plurime violazioni della disciplina in tema di intermediazione finanziaria che sarebbero state poste in atto dalla banca convenuta. Il Tribunale accoglieva le domande attrici dirette alla risoluzione del contratto di compravendita delle obbligazioni e alla condanna della banca alla restituzione delle somme investite: somme maggiorate degli interessi legali maturati dalla data dell’ordine di investimento.
2. – La sentenza era impugnata dalla (OMISSIS) in via principale e, in via incidentale condizionata, da (OMISSIS) e (OMISSIS).
In esito al giudizio di gravame, la Corte di appello di Venezia respingeva l’impugnazione principale e dichiarava assorbita quella incidentale. Riteneva, in estrema sintesi, che la banca si fosse resa gravemente inadempiente con riferimento sia agli obblighi informativi, sia all’obbligo che le imponeva di astenersi dall’operazione, siccome inadeguata, e che tanto giustificasse la pronuncia risolutoria.
3. – Per la cassazione della sentenza ricorre, con sei motivi, la (OMISSIS), mentre (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS) resistono con controricorso. I controricorrenti hanno pure depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo vengono dedotte la violazione o falsa applicazione dell’articolo 21 t.u.f. (Decreto Legislativo n. 58 del 1998), dell’articolo 28, comma 1, lettera a), reg. Consob n. 11522/1998 e dell’articolo 1362 c.c., oltre che l’omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio. Ricorda la banca ricorrente che la Corte di appello aveva ritenuto che dalla scheda informativa utilizzata per individuare la propensione al rischio dei clienti, l’esperienza negli strumenti finanziari e gli obiettivi di investimento emergeva un rischio di grado medio e che l’operativita’ successiva alle indicazioni contenute nella scheda informativa non aveva comportato significative variazioni della propensione al rischio degli investitori. La ricorrente osserva che dalla scheda informativa utilizzata per profilare i clienti, sottoscritta al momento della conclusione del contratto quadro, si evinceva che gli investitori avevano dichiarato di avere un’esperienza media in materia di strumenti finanziari, di perseguire gli obiettivi di investimento consistenti nella conservazione del potere reale di acquisto, con media rivalutabilita’ del portafoglio e con ottica temporale superiore a tre anni, e di possedere una media propensione al rischio; la banca aveva inoltre consegnato il documento sui rischi negli investimenti. Rileva l’istante che sia la scheda sul profilo dei clienti, sia la composizione del portafoglio davano ragione dell’effettiva inclinazione al rischio degli odierni controricorrenti. In conseguenza, ad avviso dell’istante, la Corte di appello non avrebbe potuto riconoscere la violazione degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario.
Il motivo e’ inammissibile.
L’accertamento, in fatto, operato dalla Corte di merito, circa il grave inadempimento dell’intermediario avendo riguardo ai profili dell’informazione del cliente e della adeguatezza dell’investimento, sfugge al sindacato di legittimita’: infatti, la prospettazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta mediante le risultanze di causa inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195); col ricorso per cassazione, dunque, la parte non puo’ rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. 7 aprile 2017, n. 9097).
La deduzione avente ad oggetto la lamentata inosservanza del canone ermeneutico di cui all’articolo 1362 c.c., si mostra gravemente generica, in quanto non reca indicazione della clausola del contratto che sarebbe stata impropriamente interpretata: va rammentato, in proposito, che ove venga fatta valere la inesatta interpretazione di una norma contrattuale, il ricorrente per cassazione e’ tenuto, in ossequio al principio dell’autosufficienza del ricorso, a riportare nello stesso il testo della fonte pattizia invocata, al fine di consentirne il controllo al giudice di legittimita’, che non puo’ sopperire alle lacune dell’atto di impugnazione con indagini integrative: Cass. 8 marzo 2019, n. 6735; Cass. 11 luglio 2007, n. 15489).
Anche la censura di omesso esame del fatto decisivo risulta proposta in modo irrituale: infatti, l’istante nemmeno indica, con la dovuta precisione, a quale circostanza faccia riferimento. E’ risaputo, invece, che chi fa valere il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, deve, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., n. 6 e articolo 369 c.p.c., n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, non potendo dolersi dell’omesso esame di elementi istruttori qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).
2. – Col secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 21 t.u.f. e dell’articolo 28, comma 1, lettera b), reg. Consob n. 11522/1998 in materia di obbligo di consegna del documento informativo. Dopo aver riportato l’affermazione della Corte di Venezia secondo cui la consegna del documento sui rischi degli investimenti in strumenti finanziari “non era esaustiva delle informazioni che, prima di effettuare ogni singola operazione, la banca deve fornire”, l’istante osserva come il richiamato adempimento debba essere assolto prima di iniziare la prestazione di servizi di investimento, ossia prima che intermediario inizi a prestare i servizi previsti dal contratto quadro. Il giudice distrettuale, secondo la banca, avrebbe violato la disposizione di cui all’articolo 28, comma 1, lettera b), reg. Consob n. 11522/1998 ritenendo che la consegna del documento fosse irrilevante ai fini della prova dell’esatto adempimento degli obblighi informativi.
Il motivo e’ inammissibile, in quanto non coglie il senso di quanto stabilito, sul punto, dalla Corte di appello.
Contrariamente a quanto opinato dalla banca istante, la Corte di merito non ha affatto ritenuto priva di rilevanza la circostanza relativa alla consegna del documento sui rischi degli investimenti in strumenti finanziari: ha piuttosto rilevato che tale adempimento non esauriva l’obbligo informativo gravante sull’intermediario; e tale affermazione e’ del tutto corretta in diritto, dal momento che l’articolo 28 reg. Consob n. 11522/1998, oltre a prescrivere, al comma 1, lettera b), che prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti e dell’inizio della prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori a questi collegati, gli intermediari autorizzati devono procedere alla consegna del nominato documento, dispone al comma 2, che i medesimi intermediari “non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”.
3. – Con il terzo mezzo viene prospettata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 21 t.u.f. e dell’articolo 28, comma 2, reg. Consob n. 11522/1998. La censura investe l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per cui le obbligazioni emesse dalle societa’ finanziarie lussemburghesi, poi acquistate dalla controparte, erano destinate a investitori istituzionali, risultavano prive di rating ufficiale, non erano quotate sui mercati regolamentati, risultavano negoziate nella fase di grey market senza offering circular di cui risultasse prova la banca si fosse informata e avesse informato i clienti, malgrado le indicate caratteristiche dei titoli e l’ignoranza di regolamenti di diffusione imponessero particolare cautela in rapporto alla propensione al rischio dichiarata. La banca istante contesta specificamente detti rilievi. Imputa poi alla pronuncia impugnata di aver indebitamente sovrapposto il tema dell’adempimento degli obblighi informativi e quello relativo all’adeguatezza dell’investimento. Osserva, inoltre, che al momento della negoziazione i dipendenti della banca avevano a disposizione informazioni che solo successivamente si erano rivelate infondate; d’altro canto, la disamina del portafoglio titoli intestato ai clienti denotava, ad avviso della ricorrente, che i medesimi procedevano normalmente, e per importi superiori, all’acquisto di obbligazioni corporate. La banca assume, infine, che la segnalazione presente sul modulo d’ordine sottoscritto dagli investitori, riferita alla natura non quotata del titolo, avrebbe dovuto essere compiutamente considerata dal giudice distrettuale.
Anche tale motivo e’ inammissibile.
La lamentata confusione tra i diversi profili di inadempimento rilevati nella pronuncia impugnata e’ priva di riscontro, giacche’ la Corte distrettuale ha inteso dare evidenza a due distinte condotte: e cio’ si desume, in particolare, da pag. 15 della sentenza stessa, ove e’ puntuale menzione dell’inadempimento dell’intermediario sia all’obbligo informativo che all’obbligo di astenersi “dal proporre e effettuare senza espressa liberatoria operazioni di investimento non adeguate”.
In termini generali, il motivo si espone, poi, ai rilievi svolti nella trattazione del primo mezzo. Ne’ puo’ trovare ingresso la censura del vizio motivazionale, svolta in uno con la doglianza fondata sull’error juris di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Essa risulta difatti diretta a contestare una valutazione che e’ riservata al giudice del merito, il quale – come e’ noto – e’ libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga piu’ attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. 4 luglio 2017, n. 16467), dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 31 luglio 2017, n. 19011; Cass. 2 agosto 2016, n. 16056). E infatti, nel denunciare, nei termini di cui al ricorso, il vizio di motivazione, la ricorrente omette di considerare che la riformulazione, ad opera dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, convertito in L. n. 134 del 2012, dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione: onde e’ denunciabile in cassazione “solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali” (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053, cit.; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054, cit.).
In tal senso, e’ chiaramente rappresentativa dell’equivoco in cui incorre la ricorrente la doglianza da questa sollevata con riguardo alla mancata quotazione del titolo. Il tema e’ stato difatti oggetto di puntuale esame da parte della Corte di merito, la quale ha ritenuto che la relativa avvertenza non potesse equivalere a completa informazione circa l’inadeguatezza dell’operazione (pag. 14 della sentenza): affermazione, questa, non controvertibile, per quanto detto, sulla base degli elementi probatori acquisiti al giudizio.
Mette conto di aggiungere, da ultimo, che l’assunto per cui nessuna previsione normativa imporrebbe di consegnare l’offering circular sul mercato secondario (pag. 29 del ricorso) si dimostra non aderente alla ratio decidendi della pronuncia impugnata, giacche’ la Corte di appello ha inteso in proposito rilevare che la banca aveva mancato di acquisire, attraverso detto documento, le necessarie informazioni quanto ai titoli negoziati: il che e’ conforme al principio, affermato da questa S.C., per cui non assolve ai propri obblighi informativi la banca che stipula con il cliente un contratto di negoziazione diretta di titoli senza aver prima acquisito l’offering circular, che riporta le caratteristiche essenziali dell’emissione, quando i titoli risultino privi di prospetto informativo e di rating, perche’ la disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 21, comma 1, lettera a) e b) e dagli articoli 26 e 28 del reg. Consob n. 11522 del 1998 impone all’intermediario di attivarsi per ottenere una conoscenza preventiva adeguata del prodotto finanziario, alla luce di tutti i dati disponibili che ne possano influenzare la valutazione effettiva della rischiosita’, e quindi assicurare un’informazione adeguata all’investitore sulle caratteristiche del prodotto (Cass. 31 ottobre 2019, n. 28175).
4. – Il quarto mezzo oppone la violazione e falsa applicazione dell’articolo 21 t.u.f. e dell’articolo 29, comma 2, reg. Consob n. 11522/1998, oltre che dell’articolo 2729 c.c.; denuncia, inoltre, la mancata o contraddittoria valutazione del profilo di rischio dei clienti. L’istante rileva che gli elementi da cui desumere la rischiosita’ delle obbligazioni (OMISSIS) risultavano essere divenuti noti solo dopo il default e che nel 2002, allorquando (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano acquistato i titoli, la banca non aveva accesso ad informazioni diverse da quelle conosciute dalla maggioranza degli intermediari. Aggiunge che tutti gli investimenti in titoli di debito sono caratterizzati da un rischio potenziale quanto al rimborso del capitale e che la data ravvicinata della scadenza delle obbligazioni (OMISSIS) riduceva notevolmente la rischiosita’ dell’investimento. La ricorrente censura poi la decisione di appello avendo riguardo al profilo di rischio dei clienti, per come risultante dalle allegazioni e dalle produzioni documentali; assume, ancora, che la pronuncia si baserebbe su presunzioni non concordanti e sconfessate dalla documentazione in atti.
Il motivo e’ inammissibile.
Anche in questo caso la denuncia di violazione o falsa applicazione di legge cela una censura diretta all’accertamento in fatto del giudice del merito. Cio’ vale anche per la deduzione che investe l’articolo 2729 c.c.: infatti la doglianza si risolve nella assunzione del contrasto dell’accertamento del giudice con le risultanze di cause (peraltro, nemmeno richiamate nel rispetto di quanto prescrive l’articolo 366 c.p.c., n. 6, a mente del quale il ricorso deve contenere “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documento e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”).
Esorbita, inoltre, dal giudizio di legittimita’, la censura di “mancata o contraddittoria valutazione del profilo di rischio dei clienti”. Il tema in questione e’ stato preso in considerazione dalla Corte di merito, la quale ha osservato come l’operativita’ degli attori successiva alle indicazioni contenute nella scheda informativa non aveva comportato significative variazioni nella propensione al rischio degli investitori, in quanto gli investimenti in obbligazioni “pronti contro termine” avevano avuto ad oggetto titoli di Stato italiani e obbligazioni rivendute nell’arco di pochi mesi, con basso rischio di inadempimento dell’intermediario, impegnato a riacquistare il titolo, mentre l’operazione avente ad oggetto titoli azionari aveva interessato una parte limitata del capitale investito, corrispondente a un sesto dell’intero portafoglio e comunque inferiore all’importo impiegato per l’acquisto dei bond (OMISSIS). Tale apparato argomentativo si colloca oltre la soglia del “minimo costituzionale”, e tanto basterebbe per escludere il vizio motivazionale. Quel che destina la censura alla statuizione di inammissibilita’ e’, pero’, il fatto che essa si appunti sull’apprezzamento, asseritamente erroneo, delle risultanze di causa: profilo, questo che, come si e’ visto, e’ estraneo al vizio di motivazione.
5. – Col quinto motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e articolo 23 t.u.f.. La ricorrente si duole di cio’: la Corte di appello aveva affermato che il nesso causale tra l’inadempimento dell’intermediario e il danno derivato agli appellati dal perduto valore dei titoli poteva presumersi. Secondo la banca istante il giudice distrettuale avrebbe invece dovuto fare applicazione del principio per cui compete all’investitore dar prova della relazione causale esistente tra la condotta inadempiente e il pregiudizio lamentato.
Col sesto mezzo e’ prospettata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1225 c.c.. Osserva la ricorrente che nella sentenza impugnata era stato attribuito rilievo alla gravita’ dell’inadempimento occorso “anche a prescindere dalla prevedibilita’ del default, conclamato prossimo”; rileva, in proposito, che la quantificazione del danno suscettibile di risarcimento avrebbe dovuto essere circoscritta in ragione dell’entita’ del pregiudizio prevedibile al momento della negoziazione dei titoli oggetto di causa.
I due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, sono pure inammissibili.
Con la decisione di primo grado il Tribunale aveva dichiarato la risoluzione per inadempimento dell’operazione di investimento e condannato la banca alla restituzione delle somme impiegate nell’operazione di acquisto dei titoli (OMISSIS) (sentenza di appello, pag. 6; ricorso, pag. 8), e la Corte di merito ha respinto il gravame, confermando, con cio’, le statuizioni rese dal giudice di prima istanza. Piu’ precisamente, il giudice distrettuale ha rilevato come trovasse fondamento la pronuncia di primo grado per cui, in conseguenza della risoluzione dell’ordine di acquisto, doveva essere restituita agli investitori la somma di Euro 105.489,10, maggiorata di interessi; la Corte di Venezia ha poi aggiunto che, in conformita’ di quanto ritenuto, sul punto, dal Tribunale, agli odierni controricorrenti spettava il risarcimento del danno nella misura di Euro 2.371,20, pari al compenso dagli stessi corrisposto al loro perito. Ne discende che quanto rilevato, nel provvedimento impugnato, in ordine al danno derivato agli appellati dal perduto valore dei titoli abbia assunto rilievo sul piano dell’apprezzamento dell’inadempimento e della sua gravita’ e non del risarcimento, il quale ha riguardato, come si e’ appena detto, il solo pregiudizio patrimoniale consistente nell’esborso della somma con cui e’ stato pagato il citato emolumento. Nella sentenza della Corte veneta il prezzo delle obbligazioni rileva, cioe’, non ai fini della statuizione risarcitoria, ma quale importo cui e’ commisurata la diversa decisione, avente ad oggetto la restituzione, conseguente alla risoluzione per inadempimento dell’ordine di acquisto. Il motivo mostra percio’ di non cogliere la reale ratio decidendi della sentenza impugnata. Peraltro, si legge nella stessa pronuncia (pag. 8 s.) che la ricorrente, con riguardo alle statuizioni adottate dal giudice di prime cure, aveva fatto valere, in appello, l’inammissibilita’ della domanda di risoluzione dell’ordine di investimento – questione non riproposta nel ricorso per cassazione – e la mancanza di prova del nesso causale tra la condotta della banca e il danno prodottosi. Ma quest’ultima censura, sostanzialmente coincidente con quella fatta valere in questa sede col quinto motivo di ricorso, non poteva nemmeno portare alla riforma della sentenza del Tribunale: e cio’ in quanto il giudice di primo grado – lo si e’ visto – non aveva reso alcuna statuizione risarcitoria con riguardo all’esborso sostenuto dagli investitori per l’acquisto delle obbligazioni (OMISSIS).
6. – In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
7. – Per le spese di giudizio trova applicazione il principio di soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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