In materia di sostanze stupefacenti

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|27 gennaio 2021| n. 3252.

In materia di sostanze stupefacenti, l’attenuante della collaborazione di cui all’articolo 73, comma 7, del Dpr 9 ottobre 1990 n. 309 può essere riconosciuta soltanto in presenza di un contributo di particolare incidenza, efficace e utile per interrompere la catena delittuosa o colpire il sistema patrimoniale quale provento e strumento del crimine, dovendosi invece escludersi l’efficacia di dichiarazioni prive di riscontri o meramente rafforzative del quadro probatorio o che riguardano circostanze di rilevanza marginale (nella specie, il diniego dell’attenuante era stato motivato correttamente, secondo la Corte, sul rilievo che le informazioni offerte erano intervenute con riferimento a reati già consumati e risultanti dal tenore delle intercettazioni telefoniche e ambientali effettuate).

Sentenza|27 gennaio 2021| n. 3252

Data udienza 10 dicembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Sostanze stupefacenti – Detenzione e spaccio – Art, 73, comma 5 DPR 309 del 1990 – Attenuante della collaborazione – Art. 73, comma 7 DPR 309 del 1990 – Presupposti – Indicazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARINI Luigi – Presidente

Dott. RAMACCI Luca – rel. Consigliere

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 04/04/2019 della CORTE APPELLO di BARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. BALDI FULVIO, conclude chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Bari, con sentenza del 4 aprile 2019, ha parzialmente riformato la sentenza emessa il 17 maggio 2010 dal GUP del Tribunale di Trani, appellata, fra gli altri, da (OMISSIS) ed (OMISSIS) e ritenuta, con riferimento al capo b) dell’imputazione (ascritto al solo (OMISSIS)), l’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 ha rideterminato la pena originariamente inflitta agli imputati per fatti concernenti il concorso nell’illecita detenzione, per fine di cessione a terzi, di dieci panetti di sostanza stupefacente del tipo hashish per un peso complessivo di oltre 10 chilogrammi, contestata al capo a) dell’imputazione, nonche’ per la cessione, sempre in concorso, in numerose occasioni ed in esecuzione del medesimo disegno criminoso, di quantita’ non precisate di sostanze stupefacenti del tipo hashish e cocaina, contestata al capo b) dell’imputazione (fatti commessi in (OMISSIS), in un periodo compreso tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS). Con la recidiva reiterata specifica infraquinquennale per (OMISSIS) e reiterata specifica per il (OMISSIS)).
Avverso tale pronuncia i predetti propongono distinti ricorsi per cassazione tramite i rispettivi difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati.
2. (OMISSIS) deduce, con un unico motivo di ricorso, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 7, lamentando che la Corte di appello avrebbe erroneamente escluso la invocata attenuante della collaborazione senza considerare il ruolo pienamente collaborativo e decisivo per il proseguo delle indagini offerto dall’imputato, il quale, pochi giorni dopo l’arresto, spontaneamente e su sua richiesta aveva deciso di sottoporsi ad interrogatorio innanzi al Pubblico Ministero titolare dell’indagine, fornendo non soltanto ampia confessione in relazione al proprio coinvolgimento nei fatti contestati, ma indicando anche il ruolo di altri soggetti che avevano concorso nel delitto contestato al capo a) e non ancora destinatari di alcuna misura, come evidenziato anche nell’ordinanza custodiale emessa dal GIP nel 2008, a distanza di un anno dalla prima ordinanza, ove le dichiarazioni dell’imputato vengono indicate fra le fonti di prova piu’ rilevanti.
3. (OMISSIS) deduce, con un unico motivo di ricorso, la violazione dell’articolo 268 c.p.p., comma 3 e articolo 271 c.p.p., comma 1 rilevando che il Pubblico Ministero aveva richiesto l’autorizzazione ad effettuare intercettazioni ambientali su un’autovettura in uso ad un coimputato in abbinamento ad un sistema di localizzazione satellitare GPS.
Dopo l’autorizzazione da parte del GIP, con ulteriore provvedimento, il Pubblico Ministero aveva disposto l’utilizzazione di impianti esterni agli uffici della Procura, evidenziando la carenza di ricezione del sistema GPS e la indifferibile urgenza.
Rileva, a tale proposito, che gli impianti in uso alla Procura della Repubblica di Trani non erano in quel momento inidonei per l’effettuazione delle captazioni all’interno della vettura, sussistendo invece la diversa esigenza di rilevare in tempo reale il percorso seguito dal mezzo.
Osserva, inoltre, che l’inizio delle operazioni avveniva comunque a distanza di giorni. Entrambi insistono, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
4. Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria scritta ha concluso per il (OMISSIS), richiedendo l’annullamento della sentenza con rinvio alla Corte di Appello di Bari e per il (OMISSIS), l’inammissibilita’ del ricorso.
5. In data 11/11/2020 la difesa del (OMISSIS) ha fatto pervenire “motivi aggiunti” con i quali deduce la violazione di legge in relazione alla omessa declaratoria di estinzione del reato di cui al capo b) della rubrica per prescrizione, che si assume ampiamente maturata prima della pronuncia della Corte territoriale.
In data 20/11/2020 il medesimo difensore ha presentato memoria ai sensi dell’articolo 121 c.p.p. con le medesime richieste.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di entrambi i ricorsi sono manifestamente infondati, ma deve essere rilevata la prescrizione del reato contestato al (OMISSIS) nel capo b) della rubrica.
2. Occorre preliminarmente rilevare, quanto alla posizione del (OMISSIS), che lo stesso viene indicato in maniera differente negli atti del procedimento trasmessi a questa Corte.
Egli risulta infatti indicato con il cognome ” (OMISSIS)” nella intestazione e nella motivazione della sentenza della Corte di appello, mentre nel capo di imputazione riportato nella medesima sentenza egli viene indicato con il diverso cognome ” (OMISSIS)” e nello stesso modo viene indicato in ricorso e nella procura speciale allegata all’atto di impugnazione, la quale reca la firma dell’imputato, ove il cognome e’ indicato privo di apostrofo.
Luogo, data di nascita e residenza sono invece identici.
Si tratta, come e’ evidente, di un mero errore di trascrizione del cognome, neppure rilevato dalla difesa, risultando evidente che il cognome dell’imputato e’ ” (OMISSIS)”, senza l’apostrofo, come documentato dal certificato anagrafico in atti.
3. Fatta tale premessa, venendo all’esame del motivo di ricorso, occorre ricordare che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 7, prevede una diminuzione della pena per chi “si adopera per evitare che l’attivita’ delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorita’ di polizia o l’autorita’ giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti”.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’attenuante della collaborazione puo’ essere riconosciuta soltanto in presenza di un contributo di particolare incidenza, efficace ed utile per interrompere la catena delittuosa o colpire il sistema patrimoniale quale provento e strumento del crimine, dovendosi invece escludersi l’efficacia di dichiarazioni prive di riscontri o meramente rafforzative del quadro probatorio o che riguardano circostanze di marginale rilevanza (Sez. 6, n. 15977 del 24/3/2016, Ben, Rv. 266998; Sez. 3, n. 21624 del 15/4/2015, R e altro, Rv. 263822; Sez. 3, n. 16431 del 2/3/2011, Dal Pozzo, Rv. 249999; Sez. 6, n. 1493 del 28/11/1994 dep. (1995), Bellagamba ed altri, Rv. 200877; Sez. 6, n. 7957 del 15/4/1993, La Torre ed altri, Rv. 194896).
L’attenuante puo’ essere riconosciuta anche con riferimento a traffici di modesta rilevanza ed, in tal caso, non si ritiene necessario che il risultato conseguito dalla collaborazione determini la sottrazione al mercato di rilevanti risorse per la commissione dei delitti, essendo sufficiente che l’imputato abbia offerto tutto il suo patrimonio di conoscenze e la sua possibilita’ di collaborazione per evitare che l’attivita’ delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze, attraverso l’individuazione e la neutralizzazione dei responsabili da lui conosciuti, o sui quali e’ in grado di fornire utili elementi per l’identificazione poiche’, diversamente, l’attenuante sarebbe riconosciuta solo a chi risulta coinvolto in vasti traffici escludendo, in violazione del principio di uguaglianza, tutti coloro che, per la posizione marginale rivestita, possono offrire un limitato apporto collaborativo (Sez. 4, n. 42463 del 14/6/2018, Albini, Rv. 274347; Sez. 6, n. 35995 del 23/7/2015, Jayasekara Gamini, Rv. 264672; Sez. 3, n. 23942 del 1/10/2014 (dep. 2015), Paternoster e altri, Rv. 263642; Sez. 6, n. 9069 del 14/01/2013 – dep. 25/02/2013, Squillace e altro, Rv. 256002; Sez. 6, n. 19082 del 16/3/2010, Khezami, Rv. 247082 ed altre prec. conf.)
La collaborazione offerta deve tuttavia essere spontanea (Sez. 4, n. 46435 del 18/11/2008, Finazzi e altro, Rv. 242311) e presentare un qualche rilievo, dovendosi escludere che sia sufficiente, ad esempio, la mera indicazione del nominativo di qualche complice (Sez. 3, n. 21624 del 15/4/2015, R e altro, Rv. 263822; Sez. 6, n. 20799 del 02/03/2010, Sivolella e altri, Rv. 247376; Sez. 4, n. 11555 del 28/1/2004, Esentato e altri, Rv. 228034 ed altre prec. conf.) o un riferimento soltanto ad alcuni segmenti della condotta illecita (Sez. 4, n. 46435 del 18/11/2008, Finazzi e altro, Rv. 242311, cit.; Sez. 4, n. 10115 del 23/1/2007, Galati, Rv. 236192).
Si e’ inoltre avuto modo di distinguere i presupposti, di minore portata, per l’applicazione dell’attenuante in esame, rispetto a quelli richiesti per la concessione dell’attenuante della collaborazione nel reato associativo, di cui al successivo Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 7, poiche’, per la prima, e’ sufficiente l’essersi adoperati per evitare che l’attivita’ di spaccio sia portata a conseguenze ulteriori, anche mediante aiuto al sequestro di “risorse rilevanti”, mentre, per la seconda, la maggiore gravita’ del reato e la necessita’ di interrompere non tanto il traffico della singola partita di droga, bensi’ l’attivita’ dell’associazione criminosa finalizzata a diversi traffici, richiedono l’assicurazione delle prove del reato o un contributo efficace per il sequestro di “risorse decisive” (Sez. 1, n. 36069 del 14/07/2009, Anastasio e altri, Rv. 244745; Sez. 1, n. 28596 del 25/5/2006, Puggioni, Rv. 234920).
Quanto al momento dell’apporto collaborativo, la giurisprudenza assolutamente prevalente ha precisato che lo stesso puo’ intervenire anche successivamente alle indagini preliminari e nella fase della formazione della prova, ma deve essere comunque idoneo ad interrompere il protrarsi del reato o a far scoprire l’identita’ dei complici (Sez. 6, n. 27937 del 24/4/2008, Giudice, Rv. 240951; Sez. 6, n. 34402 del 17/5/2007, Comparini e altri, Rv. 238109; Sez. 5, n. 11959 del 29/9/2000, Delle Cave ed altri, Rv. 218555. Difforme soltanto la remota Sez. 6, n. 6213 del 4/5/1998, Marsella G, Rv. 210900).
Un ulteriore contributo interpretativo e’ stato fornito con riferimento all’espressione “anche” utilizzata dal legislatore ed alla quale e’ stato attribuito valore disgiuntivo (Sez. 6, n. 1493 del 28/11/1994 (dep. 1995), Bellagamba ed altri, Rv. 200877) ed a quella “si adopera”, che puo’ anche risolversi nel rendere dichiarazioni dotate, quanto meno, di concretezza ed efficacia per i fini investigativi, anche se non puo’ essere richiesto un esito inequivocabilmente positivo delle indagini conseguenti (Sez. 4, n. 18644 del 4/2/2004, P.G. in proc. Zorzi ed altro, Rv. 228351).
Alla luce di tali principi, che il Collegio condivide, deve aggiungersi che la verifica della concreta ed oggettiva utilita’ del contributo fornito dal collaborante e’ rimessa all’apprezzamento del giudice di merito che deve essere supportato da adeguata motivazione (Sez. 4, n. 7956 del 15/1/2015, Pg in proc. Vitali, Rv. 262438).
4. Nella fattispecie, i giudici dell’appello hanno proceduto ad una corretta lettura della disposizione applicata, dando atto, con motivazione sintetica ma congrua, della assenza dei requisiti di applicabilita’ dell’attenuante in considerazione del fatto che le informazioni offerte, secondo quanto rilevato dal primo giudice, per quanto emergente dagli atti, erano intervenute con riferimento a reati gia’ consumati e risultanti dal tenore delle intercettazioni telefoniche ed ambientali effettuate.
A tale motivazione, che tiene evidentemente conto della oggettiva inidoneita’ del contributo offerto a consentire il riconoscimento dell’attenuante invocata, il ricorrente oppone le proprie considerazioni, sviluppate, pero’, attraverso il richiamo ad atti del processo la cui consultazione e’ preclusa al giudice di legittimita’, effettuato peraltro mediante estrapolazione di singole frasi o brani i quali, isolati dal complessivo contesto nel quale sono collocati, risultano privi di concreta efficacia dimostrativa ed evidenziano la genericita’ del motivo di ricorso che si palesa, altresi’, non autosufficiente.
Va inoltre rilevato che, in ogni caso, i richiami agli effetti delle dichiarazioni rilasciate appaiono aspecifici, mentre le testuali riproposizioni di dichiarazioni o atti del procedimento risultano di scarsa o nulla rilevanza, come nel caso dei riferimenti all’ordinanza del GIP ove cio’ che si ricava dalle frasi stralciate e’ unicamente l’indicazione dei risconti alle dichiarazioni accusatorie dell’imputato.
5. La manifesta infondatezza del ricorso ne determina la inammissibilita’, sebbene, come rilevato in precedenza, debba darsi atto della intervenuta prescrizione del reato contestato al ricorrente al capo b) dell’imputazione.
La data di commissione di tale reato e’ indicata tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS).
Va considerata, ai fini del calcolo, la recidiva contestata, anche se e’ stato effettuato il giudizio di comparazione, poiche’ l’articolo 157 c.p., comma 3, esclude espressamente che il giudizio di cui all’articolo 69 c.p. abbia incidenza sulla determinazione della pena massima del reato (cfr. Sez. 6, n. 50995 del 9/7/2019, Pastore, Rv. 278058 ed altre prec. conf.).
Alla pena massima stabilita per il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 (4 anni) va dunque applicato l’aumento per la recidiva, che va operato sulla pena massima stabilita per il reato consumato o tentato e non sul termine dei sei anni previsto dall’articolo 157 c.p., comma 1, (cfr. Sez. 3, n. 26868 del 19/4/2019, Cilente, Rv. 276016 ed altre prec. conf.).
Si perviene, quindi alla pena di 6 anni ed 8 mesi di reclusione, sulla quale deve effettuarsi il calcolo dei termini di prescrizione.
Considerato che la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, in quanto circostanza aggravante ad effetto speciale, incide non solo sul computo del termine-base di prescrizione ai sensi dell’articolo 157 c.p., comma 2, ma anche sull’entita’ della proroga del suddetto termine in presenza di atti interruttivi, ai sensi dell’articolo 161 c.p., comma 2, (v. Sez. 2, n. 57755 del 12/10/2018, Saetta, Rv. 274721 ed altre prec. conf.), si perviene ad un termine pari ad 11 anni, 1 mese e 10 giorni di reclusione, cui vanno aggiunti 23 giorni di sospensione (dall’8.6.2009 all’1.7 2009) per rinvio dell’udienza su istanza della difesa, per un totale di 11 anni, 2 mesi e 3 giorni, sicche’ il termine massimo risulta spirato, al piu’ tardi, il (OMISSIS), prima della pronuncia della sentenza di appello.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti del ricorrente, limitatamente al reato di cui a capo b) dell’imputazione perche’ estinto per prescrizione.
La relativa pena, pari ad anni uno di reclusione ed Euro 1.500 di multa, applicata in continuazione dalla Corte di appello deve pertanto essere eliminata, rideterminando quella residua per il delitto di cui al capo a) in anni 3 di reclusione ed Euro 4.500 di multa, ridotta per il rito ad anni 2 di reclusione ed Euro 3.000 di multa.
6. Per quanto concerne, poi, il ricorso di (OMISSIS), occorre rilevare che lo stesso non reca alcuna indicazione specifica del provvedimento emesso dal Pubblico Ministero rispetto al quale vengono svolte le censure, essendo tale atto indicato esclusivamente attraverso la data di emissione ed un riferimento al numero del RIT ed alla vettura all’interno della quale doveva effettuarsi l’attivita’ di captazione.
Va a tale proposito richiamato il condivisibile principio secondo cui il ricorso per cassazione per violazione delle regole di cui all’articolo 267 c.p.p. e articolo 268 c.p.p., commi 1 e 3, deve essere accompagnato, a pena di inammissibilita’ per genericita’, dalla integrale produzione degli atti asseritamente affetti dai vizi denunciati. (Sez. 4, n. 2394 del 13/12/2011 (dep. 2012), Russillo e altro, Rv. 251751). Nella richiamata decisione si rileva che e’ onere della parte indicare specificamente l’atto asseritamente affetto dal vizio denunciato e curare che tale atto sia comunque effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimita’, magari provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione, poiche’, in difetto, il motivo sarebbe inammissibile per genericita’, non essendo consentito alla Cassazione di individuare l’atto affetto dal vizio denunciato.
7. In ogni caso, deve rilevarsi, anche dalla semplice trascrizione della motivazione, si ignora se completa, riprodotta in ricorso, che il Pubblico Ministero ha adeguatamente giustificato il provvedimento che, secondo il ricorrente, recherebbe tale testuale motivazione: “atteso che, data la natura delle operazioni, a causa della carenza di ricezione del sistema GPS, non e’ possibile effettuare le stesse presso la sala intercettazioni di questa procura; vista la indifferibile urgenza nel provvedere, dato che l’attivita’ criminosa in atto e’ un differimento Nelle intercettazioni potrebbe pregiudicare l’esito delle indagini stesse”.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di una motivazione del tutto adeguata, essendosi chiarito che la sussistenza del presupposto dell’inidoneita’ o insufficienza degli impianti installati presso la Procura della Repubblica – che legittima l’utilizzo di apparecchi esterni non e’ vincolato esclusivamente ad un criterio di indisponibilita’ delle postazioni, ma deve essere valutato tenendo conto del rapporto tra le caratteristiche delle operazioni di intercettazione da svolgere nel caso concreto e le finalita’ perseguite attraverso tale mezzo di ricerca della prova, per le quali risultino inadeguati gli impianti esistenti presso l’ufficio di Procura e necessario il ricorso a strutture esterne, cosi’ che deve ritenersi legittimo il ricorso ad impianti che assicurino, in relazione agli obiettivi investigativi, una maggiore efficienza, a fronte delle dotazioni obsolete e non piu’ all’avanguardia degli uffici di procura. (Sez. 2, n. 51022 del 2/11/2016, Palmisano e altri, Rv. 268732. V. anche Sez. 6, n. 2930 del 23/10/2009 (dep. 2010), Ceroni e altri, Rv. 246128; Sez. 1, n. 34814 del 23/6/2005, D’Agostino ed altri, Rv. 232496 ed altre prec. conf.).
8. Nel caso di specie, risulta dal ricorso stesso che l’attivita’ di intercettazione era stata autorizzata in abbinamento ad un sistema di localizzazione satellitare GPS; dunque risulta di tutta evidenza la necessita’, per specifiche finalita’ investigative, della contestuale attivita’ di intercettazione e di localizzazione – quest’ultima pacificamente non soggetta a preventiva autorizzazione, costituendo una forma di pedinamento eseguita con strumenti tecnologici, non assimilabile in alcun modo all’attivita’ di intercettazione (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542; Sez. 4, n. 48279 del 27/11/2012, Lleshi e altri, Rv. 253953 ed altre prec. conf. V. anche Sez. 2, n. 23172 del 4/4/2019, M, Rv. 276966) – sicche’ la rilevata carenza di ricezione del sistema GPS ben giustificava il ricorso a piu’ efficienti impianti esterni, idonei ad assicurare al simultanea captazione delle conversazioni all’interno della vettura e la localizzazione della stessa, secondo le esigenze dettate dalle indagini in corso e dalla progressione degli eventi.
Puo’ conseguentemente affermarsi che il difettoso funzionamento in ricezione dell’impianto di localizzazione mediante sistema GPS da utilizzare, per esigenze investigative, in abbinamento con attivita’ di intercettazione ambientale, debitamente autorizzata, da effettuarsi a bordo di un’autovettura, giustifica l’esecuzione di dette operazioni per mezzo di impianti esterni atti ad assicurare la contestuale ricezione dei dati, sulla base di un decreto del pubblico ministero adeguatamente motivato.
In presenza di tale situazione, infatti, e’ evidente che, pur in presenza di impianti, all’interno della Procura della Repubblica, adatti all’espletamento dell’attivita’ di intercettazione autorizzata, l’impossibilita’ di provvedere alla contestuale localizzazione abbinata evidenzia l’inidoneita’ di fatto di tale strumentazione ad assicurare le esigenze investigative e giustifica il ricorso ad impianti esterni.
Va peraltro rilevato che, nel caso di specie, la effettiva idoneita’ degli impianti nella disponibilita’ della Procura di Trani, evidenziata dal ricorrente, resta una mera asserzione e neppure rileva il tempo necessario per la predisposizione degli impianti esterni, evidentemente tenuto in considerazione dal Pubblico Ministero ed opportunamente valutato, ai quali il ricorso, ancora una volta del tutto apoditticamente, si riferisce.
9. Il ricorso del (OMISSIS), conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilita’ consegue l’onere delle spese del procedimento, nonche’ quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamnte fissata, di Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente al capo b) della rubrica, per essere il reato estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena, cosi’ rideterminando la pena inflitta al ricorrente in due anni di reclusione e tremila Euro di multa.
Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) nel resto.
Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 (tremila) in favore della Cassa delle ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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