In materia di protezione internazionale

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 7 agosto 2019, n. 21142.

Massima estrapolata:

In materia di protezione internazionale, l’articolo 3, comma 5, del d.lgs. n. 251 del 2007, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n.5, c.p.c.

Ordinanza 7 agosto 2019, n. 21142

Data udienza 4 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere

Dott. MELONI Marina – Consigliere

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 18520/2018 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in atti;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimato –
Avverso decreto del TRIBUNALE DI TORINO, depositato il 03/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/07/2019 dal cons. MAURO DI MARZIO.

FATTI DI CAUSA

1. – (OMISSIS), cittadino togolese, ricorre per tre mezzi, nei confronti del Ministero dell’interno, contro il decreto del 3 maggio 2018, con cui il Tribunale di Torino ha respinto la sua opposizione avverso il provvedimento, pronunciato dalla competente Commissione territoriale, di rigetto della sua domanda di protezione internazionale e di riconoscimento di quella umanitaria.
2. – Non spiega difese l’amministrazione intimata.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia violazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, in relazione al Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 3, commi 3 e 5, del Decreto Legislativo n. 25 del 2008, articolo 8, commi 2 e 3 e articolo 27, comma 1 bis, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 21 del 2015, articolo 6, comma 6, articolo 16 della direttiva 2013/32/UE, falsa applicazione di norme di diritto, violazione dei criteri legali per la valutazione della credibilita’ del richiedente.
Il secondo motivo denuncia violazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, , in relazione al Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 7, articolo 8, comma 1, lettera B, articolo 3, comma 4, violazione dei criteri legali per il riconoscimento dello status di rifugiato.
Violazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, in relazione al Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 2, comma 1, lettera G, articolo 5, articolo 14, comma 1, lettera B, articolo 15 della direttiva 2011/95/UE, falsa applicazione di norme di diritto, violazione dei criteri legali per il riconoscimento della protezione sussidiaria, rilevanza del rischio di danno grave ascrivibile a soggetti non statuali.
2. – Il ricorso e’ inammissibile.
2.1. – E’ inammissibile il primo motivo.
Lamenta il ricorrente che il Tribunale non gli avrebbe offerto l’opportunita’ di fornire chiarimenti in ordine alle contraddizioni, disarmonie o omissioni del racconto, ma il ricorso non dice quali chiarimenti egli avrebbe inteso offrire per attribuire credibilita’ alla narrazione, giudicata incredibile, del suo allontanamento dal Paese di provenienza, giustificato dalla circostanza della distruzione di un idolo, in una zona ove si praticava la religione animista, ed alla conseguente reazione degli appartenenti a quella religione, con paventata reazione dei medesimi in caso di rimpatrio.
Si duole inoltre lo stesso ricorrente, del tutto genericamente, della violazione dei criteri legali per la valutazione della credibilita’ del richiedente, ma non indica quale sarebbe il criterio violato, ed in qual modo sarebbe stato violato: il ricorso si risolve infatti nello stereotipato richiamo del principio, gia’ piu’ volte affermato da questa Corte, secondo cui la valutazione di credibilita’ non puo’ risolversi nella formulazione di soggettivistiche opinioni del giudice di merito, principio non richiamato a proposito, giacche’ il Tribunale ha evidenziato come il racconto del richiedente non superasse uno scrutinio di logica elementare, essendo del tutto implausibile che l’ (OMISSIS), appartenente alla minoranza musulmana, avesse distrutto l’idolo da solo e lo avesse fatto repentinamente pur nella consapevolezza delle reazioni alle quali sarebbe andato incontro, cosi’ da pregiudicare, per un gesto tanto insensato, non solo la buona posizione lavorativa raggiunta, ma anche la relazione familiare con la moglie ed una figlia appena nata.
Orbene, detto controllo di logicita’, certo non riducibile ad un’opinione di segno soggettivo, e’ imposto proprio dal Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 3 che il ricorrente pone a fondamento del motivo in esame, ne’ simile evidenza e’ scalfita dal ribadito principio invocato in ricorso, secondo cui: “In tema di protezione internazionale e umanitaria, la valutazione di credibilita’ delle dichiarazioni del richiedente non e’ affidata alla mera opinione del giudice ma e’ il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui al Decreto Legislativo citato, articolo 5, comma 3, lettera C), con riguardo alla sua condizione sociale e all’eta’, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicche’ e’ compito dell’autorita’ amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale” (Cass. 14 novembre 2017, n. 26921, tra le altre).
Tale principio, infatti, non esclude affatto che, con particolare riguardo alla vicenda personale del richiedente, posta a fondamento della domanda di protezione, il giudice debba vagliare la credibilita’ delle dichiarazioni del ricorrente, ove non suffragate da prove, anche sul piano della loro tenuta logica.
Ed invero, stabilisce il Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 3 al comma 5, che: “Qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorita’ competente a decidere sulla domanda ritiene che:… c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone;… e) dai riscontri effettuati il richiedente e’, in generale, attendibile”.
Alla stregua del chiaro dato normativo, dunque, le dichiarazioni del richiedente ben possono essere suffragate da prove. Se cosi’ non e’, viceversa, tali dichiarazioni sono sottoposte ad una verifica di credibilita’ (“…essi sono considerati veritieri…”). Detta verifica comporta, oltre che un duplice controllo di coerenza (la coerenza intrinseca del racconto e quella estrinseca concernente le informazioni generali e specifiche di cui si dispone), anche un equiordinato controllo di plausibilita’, sicche’ il racconto deve essere per l’appunto accettabile, sul piano razionale, sia quanto a coerenza, sia quanto a plausibilita’, e deve essere cioe’ attendibile e convincente, come dimostrato dall’uso della congiunzione “e” (“…coerenti e plausibili e non sono in contraddizione…”). Detto giudizio di plausibilita’, direttamente riferito alle dichiarazioni, si risolve infine nel complessivo scrutinio di attendibilita’ del richiedente previsto alla lettera e) della disposizione, da compiersi a mezzo dei “riscontri effettuati”, espressione da intendersi riferita non soltanto ad eventuali riscontri esterni, ove disponibili, ma anche alla verifica di logicita’ del racconto, come si desume dalla parte finale del comma, ove e’ detto che: “Nel valutare l’attendibilita’ del minore, si tiene conto anche del suo grado di maturita’ e di sviluppo personale”, la qual cosa rende manifesto che i riscontri non attengono soltanto al dato estrinseco delle “informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso”, ma anche all’intrinseca credibilita’ razionale della narrazione.
Il menzionato controllo di logicita’, lungi dal presentarsi quale appesantimento della posizione del richiedente, e’ viceversa espressione del favore che l’ordinamento riserva alla domanda di protezione internazionale, la quale, come emerge dalla massima poc’anzi richiamata, non e’ rigidamente governata dal principio dell’onere della prova, giacche’ non soltanto il giudice, in determinati frangenti, ha il dovere di acquisire d’ufficio il necessario materiale probatorio, in particolare quello che concerne la situazione del paese di provenienza (si veda il comma 3 richiamata disposizione), ma gli e’ consentito addirittura di ritenere provate circostanze che non lo sono affatto: e tuttavia, proprio perche’ si tratta di ritenere provati fatti che non lo sono, occorre almeno che essi reggano ad un giudizio di controllo di logicita’, senza di che non resterebbe al giudice, una volta operata la verifica di coerenza intrinseca ed estrinseca, che prendere supinamente atto della domanda proposta, accogliendola in ogni caso, per quanto strampalata possa apparire, per l’ovvia considerazione che il Tribunale, se e’ in condizione di stabilire quale sia la situazione complessiva in cui versa il Paese di provenienza (in un caso come l’attuale l’esistenza in loco di culti animisti e di minoranze di religione musulmana), non ha la benche’ minima possibilita’ di accertare in concreto se la narrazione dei fatti riferita dal richiedente sia vera o inventata di sana pianta (nel caso in esame se davvero il musulmano (OMISSIS), della cui fede pare nessuno si fosse mai interessato fino alla discreta eta’ di circa 25 anni, sia stato poi improvvisamente sollecitato dal capo villaggio a partecipare ad una cerimonia animista, sicche’, preso da incontenibile furia iconoclasta nei riguardi di un idolo, e dimentico della famiglia e del suo avviato mestiere di sarto, lo abbia distrutto a colpi di bastone e di machete e, gia’ con i soldi in tasca per darsi alla premeditata fuga, sia poi scappato immediatamente dopo perche’ una donna lo aveva visto e riconosciuto). Controllo di logicita’, quello menzionato che appare essere ormai la principale, se non la sola difesa dell’ordinamento avverso narrazioni, come emerge per esperienza del collegio, a seguito dell’aumentare esponenziale dei ricorsi per cassazione in materia di protezione internazionale, determinata dall’abolizione dell’appello, sovente stereotipate e tessute intorno a canovacci fin troppo ricorrenti: quello del giovane musulmano che ha messo incinta una ragazza cristiana, o del giovane cristiano che ha fatto lo stesso con una musulmana (le religioni possono peraltro variare), e scappa dalle furie dei genitori di lei; quella dell’uomo che il capo-villaggio ha destinato a sacrifici umani (il caso in esame appare una variante di questa trama) o ad altra non commendevole sorte; quella del sedicente omosessuale che, se lo fosse, sarebbe per questo perseguitato al suo Paese; quello della lite degenerata in fatti di sangue in cui il richiedente ha, si intende senza volerlo, ferito o ucciso il proprio contendente, in un contesto in cui, quale che sia il Paese di provenienza, le forze di polizia del luogo sono sempre e irrimediabilmente corrotte ed astrette da oscuri vincoli alla potente famiglia della vittima, e cosi’ via.
Cio’ detto, una volta che il giudice di merito abbia doverosamente effettuato il controllo di logicita’ del racconto del richiedente, la valutazione compiuta sul punto non e’ sindacabile in sede di legittimita’ sul piano della violazione di legge, ma solo nei limiti del sindacato motivazionale consentito dall’attuale formulazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Di guisa che il motivo e’ inammissibile in applicazione del seguente principio: “In materia di protezione internazionale, il Decreto Legislativo 19 novembre 2007, n. 251, articolo 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilita’ razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimita’ al di fuori dei limiti di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5”.
2.2. – Il secondo motivo e’ inammissibile giacche’ rivolto contro motivazione svolta ad abundantiam (“anche ammettendo, d’altro canto, la credibilita’ del richiedente…”).
2.3. – Il terzo motivo e’ inammissibile, giacche’ travisa e riduce la ratio decidendi, identificandola nel solo passaggio motivazionale in cui il Tribunale afferma che il ricorrente non e’ sottoposto a procedimenti penali, senza contrastare l’ulteriore affermazione contenuta nel decreto impugnato – pur trascritta in ricorso – secondo cui “il richiedente non ha fornito alcun indizio atto a ritenere che nel suo paese egli si troverebbe esposto, tuttora, ad effettivo pericolo di ritorsioni a causa dell’episodio narrato”.
3. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese, da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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