In materia di precarietà di opere edilizie

Consiglio di Stato, Sentenza|8 gennaio 2021| n. 308.

In materia di precarietà di opere edilizie, si deve seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un’opera se è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente amovibili; anche nella prospettiva paesaggistica o archeologica, non possono essere quindi considerati manufatti precari, destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee, quelli destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, e l’alterazione del territorio non può essere considerata né temporanea né precaria né irrilevante.

Data udienza 17 dicembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Demanio – Concessione su area demaniale marittima – Realizzazione villaggio turistico – Richiesta di variante del Piano di Utilizzazione – Approvazione – Destinazione turistica – Avvio procedimento di annullamento in autotutela – Per mancato esame parere contrario Sovrintendenza archeologica – Mancata acquisizione autorizzazione paesistica – Mancata approvazione variante da parte della Provincia – Parere archeologico negativo – Vincolo indiretto

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9788 del 2014, proposto da
Gu. Br., rappresentato e difeso dall’avvocato Mi. Sa., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ga. Ca., con domicilio eletto presso lo studio Al. Fu. in Roma, via (…);
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria n. 222/2014.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2020 il Cons. Giordano Lamberti e dato atto che l’udienza si svolge ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge n. 28 del 30 aprile 2020 e dell’art. 25, comma 2, del decreto legge n. 137 del 28 ottobre 2020 attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Mi. Te.” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario generale della Giustizia amministrativa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1 – Gu. Br. è titolare dal 1982 di concessione su area demaniale marittima nel territorio del Comune di (omissis), dove ha realizzato, in località (omissis), un villaggio turistico denominato (omissis).
In data 21.8.2006, ha presentato al suddetto Comune richiesta di variante del Piano di Utilizzazione (omissis), al fine di poter realizzare, su un’area contigua a quella oggetto della concessione, un villaggio turistico con manufatti in ampliamento del precedente.
2 – Con la deliberazione n. 15 del 29.3.2007, il Consiglio Comunale di (omissis) ha approvato la variante al Piano di Utilizzazione (omissis) per un’area di mq. 5540, che è passata da destinazione a libera balneazione a destinazione turistica.
2.1 – Grazie a tale variante parte appellante ha ottenuto la concessione demaniale n. 173 Registro Concessioni della Regione Calabria (n. 213 del 6 luglio 2007), nonché l’autorizzazione edilizia del 10 agosto 2007, in forza della quale ha realizzato l’ampliamento del precedente villaggio turistico mediante bungalow prefabbricati in legno.
3 – In data 4.1.013, il Comune ha comunicato l’avviso di avvio del procedimento di annullamento in autotutela degli atti amministrativi sopra indicati, essendo emerse varie illegittimità nella deliberazione di variante del C.C. n. 15/2007 e nei successivi provvedimenti relativi alla realizzazione del villaggio turistico nella zona oggetto della variante stessa.
3.1 – Con la deliberazione n. 38 dell’11.4.013, la Commissione Straordinaria del Comune di (omissis) ha annullato in via di autotutela la deliberazione del Consiglio Comunale n. 15 del 29.3.2007, relativa alla variante del Piano di Utilizzazione (omissis) (per mancato esame del parere contrario della Sovrintendenza archeologica, nonché per la mancata acquisizione dell’autorizzazione paesistica e mancata approvazione della variante da parte della Provincia) ed ha formulato richiesta al Responsabile del Settore Servizi Tecnici di annullamento degli altri atti sopra indicati (Concessione demaniale del 2007 e autorizzazione edilizia del 2007).
3.2 – Con la determinazione n. 82 del 9 maggio 2013, il Comune ha annullato in autotutela la concessione demaniale n. 173; con successiva determinazione del 13.5.2013 ha annullato anche l’autorizzazione edilizia rilasciata il 10.8.2007.
Con la successiva ordinanza n. 37 del 13.5.013, è stato ordinato lo sgombero dell’area demaniale marittima della superficie di mq 5.540, nonché dell’ulteriore area occupata dalla abusiva occupazione del demanio con massicciata in massi naturali, per renderle completamente libere da persone e cose.
4 – Con ricorso al TAR per la Calabria, parte appellante ha impugnato i suddetti provvedimenti, unitamente al parere negativo della Soprintendenza del 9.10.2006.
Con la sentenza n. 222/2014, l’adito TAR ha respinto il ricorso.
Avverso tale sentenza ha proposto appello l’originaria parte ricorrente per le ragioni di seguito esposte.
5 – In via preliminare, deve essere disattesa l’istanza di rinvio della discussione formulata da parte appellante al fine di attendere l’esito del processo penale, in assenza di espressa adesione della altre parti del giudizio ed avuto riguardo all’assenza di ogni profilo di pregiudizialità o connessione giuridicamente rilevante tra processo penale ed amministrativo, che neppure l’istante prospetta.
Invero, seppur i fatti oggetto del procedimento penale siano in parte coincidenti con quelli sottesi alle censure poste a fondamento del ricorso, stante la tendenziale autonomia e separazione tra giudizio penale ed amministrativo, non è necessario attendere che il Giudice penale valuti tali fatti, ben potendo a ciò provvedere la Sezione, la quale può altresì liberamente valutare anche gli elementi emersi in sede di indagine penale, senza alcun vincolo di pregiudizialità rispetto all’accertamento del Giudice penale; invero, secondo i principi generali che presiedono alla valutazione delle risultanze istruttorie, enunciati dall’art. 116 c.p.c. e dall’art. 64 cod. proc. amm., deve ritenersi ben possibile valutare gli elementi emersi durante il procedimento penale, a prescindere dal riconoscimento di un giudicato facente stato nel presente giudizio (Cfr. Cons. St. n. 825 del 2017 e Cons. St. n. 1833 del 2012).
6 – Con il primo motivo di appello si deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte relativa alle censure rivolte al parere negativo della Sovrintendenza.
Il TAR ha ritenuto tali censure, in primo luogo, inammissibili per difetto di interesse, in quanto la deliberazione del C.C. n. 15 del 29.3.2007 di approvazione della variante del P.U.A. era comunque illegittima per difetto dell’autorizzazione paesaggistica di competenza della Provincia.
In ogni caso, il TAR ha esaminato la censura anche nel merito ritenendola infondata, in quanto “tale parere risulta adeguatamente motivato ed ha dato legittima e doverosa applicazione del decreto impositivo del vincolo indiretto”.
Con l’appello si critica sia l’aspetto relativo all’inammissibilità della censura, rilevando che in realtà doveva ritenersi sussistente l’autorizzazione paesaggistica; sia la pronuncia di infondatezza, insistendosi per l’illegittimità del parere della Soprintendenza per le ragioni già dedotte con il ricorso di primo grado.
La manifesta infondatezza di quest’ultimo rilievo comporta il rigetto della censura, senza la necessità di esaminare l’aspetto relativo alla sussistenza o meno dell’autorizzazione paesaggistica, rispetto alla quale appare tuttavia eloquente il contenuto della relazione del tecnico nominato nell’ambito del procedimento penale che ha interessato la vicenda.
6.1 – Secondo l’appellante, il parere archeologico sarebbe illegittimo perché basato esclusivamente sulla esistenza di un vincolo indiretto gravante sull’area.
Al riguardo rileva che, la finalità del vincolo indiretto è quella di assicurare una tutela di tipo complementare alla cornice ambientale del bene oggetto di vincolo diretto, evitando che siano danneggiate la prospettiva e la luce degli immobili riconosciuti beni culturali o ne siano alterate le condizioni di ambiente e decoro.
Rileva inoltre che, nel caso di specie, il bene da proteggere consiste in un rudere interrato in zona lontana da quella in questione, sicché nessun danneggiamento alla prospettiva, alla luce e ad altro elemento il villaggio poteva arrecare al bene soggetto a vincolo diretto, tenuto conto del fatto che tra le due zone vi è una barriera antropica naturale ed artificiale (si troverebbero, infatti, tra l’una e l’altra un ampio agrumeto, la strada ferrata e la strada statale).
6.2 – Come anticipato la censura è infondata, dovendosi integralmente confermare la valutazione del giudice di prime cure.
L’art. 2 del d.m. 9/8/88 impositivo del vincolo prevede che “Per gli immobili campiti in grigio chiaro (sottoposti a vincolo indiretto) nell’unita planimetria è fissato un indice di fabbricabilità dello 0,003, con l’obbligo di mantenere eventuali nuove costruzioni, anche sotterranee, alla distanza di almeno 30 mt. dagli immobili sottoposti a vincolo diretto…”.
La medesima disposizione elenca inoltre le seguenti prescrizioni:
a) il divieto di operare movimenti di terra, tali da alterare l’altimetria attuale dei suoli, fatta eccezione per quelli che si rendessero indispensabili per dotare l’area di infrastrutture (rete stradale, idrica, elettrica, fognante, parcheggi), volte a garantire la fruizione delle strutture insediative esistenti e delle strutture archeologiche una volta che le stesse siano state rimesse in luce;
b) divieto di collocazione di manufatti di qualsivoglia destinazione, anche mobili e precari, a distanza inferiore di 30 metri dai suoli di cui all’art. 1…”.
Nel parere impugnato (nota prot. n. 17947 del 9 ottobre 2006) si legge che: il progetto non è assentibile in quanto ostacolando la visuale del piano naturale della spiaggia è in palese contrasto con le prescrizioni di quell’area che ricade per intero tra quelli sottoposti a vincolo indiretto con D.M. 9 agosto 1988 per i quali (vedasi lett. b) del foglio 2 è fatto divieto di alterare e quote naturali dei terreni…. ed eseguire opere, anche di carattere temporaneo che ostacolino la visuale dei caratteri geomorfologici del terreno (quali ad esempio serre o massicce recinzioni)” .
Tale valutazione non appare censurabile, essendo invece logica e coerente con le prescrizioni di cui al vincolo che grava sull’area, avuto riguardo alla consistenza delle opere ivi realizzate e tenuto conto che la Soprintendenza dispone di un’ampia discrezionalità tecnico – specialistica nel dare i pareri di compatibilità ed il potere di valutazione tecnica esercitato è sindacabile in sede giurisdizionale soltanto per difetto di motivazione, illogicità manifesta ovvero errore di fatto conclamato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 4 ottobre 2013, n. 4899, e 11 settembre 2013, n. 4481).
Invero, trattasi della realizzazione di 24 unità abitative che impattano inevitabilmente con l’ambiente circostante e che, per la funzione a cui sono adibite, anche se consistenti in componenti prefabbricate in legno, non possono ritenersi temporanee o provvisorie ed in ogni caso appaiono idonee ad alterare “l’altimetria attuale dei suoli”.
La prospettazione di parte appellante facente leva sul carattere temporaneo delle opere deve essere disattesa, tenuto conto che: a) dagli accertamenti svolti durante il procedimento penale che ha interessato la vicenda è emersa la realizzazione di getti di calcestruzzo che costituiscono il sottofondo dei manufatti (circostanza confermata anche dal tecnico di parte appellante); b) tali manufatti sono destinati ad abitazioni, hanno rilevanti dimensioni, risultano stabilmente infissi al suolo, sono muniti di impianto idrico ed elettrico, e risultano allacciate ai servizi di rete, fognatura, acquedotto, rete elettrica.
Più in generale, deve osservarsi come, in ambito edilizio, si sia ormai consolidato l’orientamento in base al quale si deve seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un’opera se è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente amovibili (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1291 del 1° aprile 2016). Anche nella prospettiva paesaggistica o archeologica, non possono essere quindi considerati manufatti precari, destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee, quelli destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, e l’alterazione del territorio non può essere considerata né temporanea né precaria né irrilevante (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4116 del 4 settembre 2015).
Oltretutto, durante le indagini penali è stata accertata altresì la presenza di altri “getti di calcestruzzo nella recinzione del villaggio turistico anche in tal caso si ha una modifica dello stato dei luoghi e difformità dal progetto, in quanto nello stesso era previsto che la recinzione del villaggio sarà realizzata con pannelli e pilastrini ancorati a terra con speciali staffe, tali da non creare impatto visivo”.
Le ulteriori considerazioni dell’appellante si risolvono in una critica all’operato della Sovraintendenza e attengono al merito della valutazione, che però non può essere sindacato da questo Giudice, il cui controllo, come già evidenziato, è limitato al vaglio di ragionevolezza e logicità della motivazione (cfr. Cons. St., sez. VI, 28.12.2015, n. 5844; Cons. St., sez. VI, 28.10.2015, n. 4925; Cons. St., sez. VI, 04.06.2015, n. 2751).
7 – Con il secondo motivo di appello si insiste nel contestare la violazione delle norme e dei principi sull’annullamento d’ufficio, richiamando i primi tre motivi del ricorso al TAR con cui il ricorrente aveva formulato varie censure sull’esercizio da parte del Comune del potere di annullamento d’ufficio per violazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241/90.
La censura è infondata per le ragioni di seguito esposte.
Per un miglior inquadramento del contesto all’interno del quale è intervenuto il provvedimento di annullamento impugnato è utile ricordare che i fatti oggetto di causa sono stati oggetto del procedimento penale che ha direttamente coinvolto Br. Gu. e gli amministratori e funzionari locali (proc. n. 1081/09 RGNR Procura di Reggio Calabria) di cui ai numerosi capi di imputazione per reati sia contro la pubblica amministrazione, che in materia edilizia ed ambientale riportati nella comparsa del comune.
Dal punto di vista giuridico, seppur limitatamente all’annullamento del titolo edilizio, l’Adunanza plenaria di questo Consiglio (sentenza 17 ottobre 2017, n. 8) ha avuto modo di statuire che “Nella vigenza dell’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990 – per come introdotto dalla l. 15 del 2005 – l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole. In tali ipotesi, tuttavia, deve ritenersi:
i) che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, il termine ‘ragionevolè per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro;
ii) che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio del ius poenitendi);
iii) che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte.
7.1- Nello specifico, quanto al dedotto difetto di interesse attuale all’annullamento della variante, deve osservarsi che la motivazione della delibera n. 38 dell’11 aprile 2013 ha valutato la sussistenza di un interesse pubblico ed attuale alla rimozione degli effetti della illegittima delibera del consiglio comunale n. 15 del 29 marzo 2007. Testualmente si legge: “Considerato che la permanenza degli effetti della variante al P. U. A. di cui alla delibera del Consiglio Comunale n. 15 del 29.3.2007 è tale da ledere, in modo grave, gli interessi pubblici aventi ad oggetto la salvaguardia del patrimonio archeologico, culturale, ambientale, nonché la corretta utilizzazione delle aree dal punto di vista edilizio e urbanistico; ritenuto pertanto che in presenza delle violazioni ed irregolarità evidenziate dal Responsabile del Settore Servizi Tecnici nella sopracitata proposta depositata agli atti, sussiste un interesse concreto, attuale e rilevante all’annullamento della variante del P. U. A.; delibera di annullare, in autotutela ecc. (omissis)”.
7.2 – Anche quanto alla dedotta violazione del termine ragionevole ed alla mancata valutazione degli interessi della ditta Branca, risulta dirimente constatare come non sia ravvisabile alcun affidamento tutelabile in capo all’appellante, avuto riguardo alla sua partecipazione attiva, anche con la produzione di atti difformi dal vero, ai procedimenti relativi alla formazione dei titoli, come emerge dai capi del procedimento penale.
La giurisprudenza (cfr. Cons. St. 12 ottobre 2004 n. 6554) ha chiarito che per l’annullamento d’ufficio non sorge la necessità di tutelare l’affidamento del privato, quando il soggetto nei cui confronti si eserciti il potere non sia in buona fede, ed allorquando il rilascio di una concessione edilizia consegua ad una inesatta rappresentazione dei fatti da parte del richiedente.
Al riguardo, deve osservarsi che nella relazione di consulenza del Pubblico Ministero si evidenzia che la presenza del vincolo archeologico gravante sull’area è stata occultata anche nella relazione del tecnico progettista della ditta Branca, e non è stata riportata neppure nella relazione paesaggistica allegata al progetto della Provincia.
Al riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che: “il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in diverso giudizio fra le stesse o altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse e può, quindi, avvalersi anche di una consulenza tecnica ammessa ed espletata in diverso procedimento, valutandone liberamente gli accertamenti ed i suggerimenti una volta che la relativa relazione peritale sia stata ritualmente prodotta dalla parte interessata” (cfr. Cons. St. n. 223/2009).
7.2 – Alla luce delle considerazioni che precedono deve essere disatteso anche il sesto motivo di appello con cui si deduce la strumentalizzazione del processo penale da parte dell’amministrazione, posto che, anche indipendentemente dai profili penali, i provvedimenti impugnati recano una adeguata motivazione circa l’interesse pubblico perseguito, da ritenersi prevalente rispetto a quello di parte appellante.
8 – Le medesime considerazioni comportano il rigetto anche del terzo motivo di appello con cui si contesta la motivazione dell’annullamento in autotutela della concessione demaniale e dell’autorizzazione edilizia, nonché dell’adozione dell’ordinanza di sgombero.
Invero, questi ultimi devono ritenersi atti necessitati a fronte dell’annullamento della variante urbanistica, di cui viene effettuato espresso richiamo nei provvedimenti impugnati, condividendo così il medesimo interesse pubblico, da ritenersi prevalente rispetto a quello del ricorrente, posto a giustificazione dell’annullamento della variante.
8.1 – Vale un’analoga conclusione per il quinto motivo di appello, essendo del tutto irrilevanti ai fini del presente giudizio i danni e pregiudizi causati all’area a seguito delle mareggiate dell’11 e 12 dicembre 2008 e dei giorni 12 e 13 gennaio 2009.
Anche le ulteriori questioni ivi dedotte (necessità di un intervento della Protezione civile, sussistenza di un provvedimento di sequestro) possono astrattamente incidere sulla sola fase esecutiva del provvedimento e non certo sulla sua legittimità .
9 – Deve trovare conferma anche la valutazione di irrilevanza dell’istanza di sanatoria edilizia, posto che la stessa, se del caso, è idonea solo a paralizzare temporalmente l’efficacia dell’ordine di demolizione, e non certo a pregiudicare la legittimità degli atti impugnati in questa sede, tanto più che non è dato conoscere l’esito di tale procedimento.
La giurisprudenza ha chiarito che la domanda di accertamento di conformità determina un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione, ma tale inefficacia opera in termini di mera sospensione. In caso di rigetto dell’istanza di sanatoria, l’ordine di demolizione riacquista la sua efficacia (Cfr. Cons. St. 2681/2017, Cons. St. 1565/2017, Cons. St. 1393/2016, Cons. St. 466/2015, Cons. St. 2307/2014).
10 – In definitiva, l’appello non deve trovare accoglimento.
Le spese di lite, vista la complessità della vicenda, possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta respinge l’appello e compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore
Stefano Toschei – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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