In materia di pratica concordata

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 3 gennaio 2020, n. 51

La massima estrapolata:

In materia di pratica concordata la mera esistenza di un programma di compliance non sarà considerata di per sé una circostanza attenuante, in assenza della dimostrazione di un effettivo e concreto impegno al rispetto di quanto previsto nello stesso programma (attraverso, ad esempio, un pieno coinvolgimento del management, l’identificazione del personale responsabile del programma, l’identificazione e valutazione dei rischi sulla base del settore di attività e del contesto operativo, l’organizzazione di attività di training adeguate alle dimensioni economiche dell’impresa, la previsione di incentivi per il rispetto del programma nonché di disincentivi per il mancato rispetto dello stesso, l’implementazione di sistemi di monitoraggio e auditing).

Sentenza 3 gennaio 2020, n. 51

Data udienza 14 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5902 del 2018, proposto da
Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (…);
contro
Li. Me. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Be. Al. De St. e Lu. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Be. in Roma, via (…);
nei confronti
Me. It. s.r.l. e Agenzia di tutela della salute della Città metropolitana di Milano, non costituite in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, 24 aprile 2018, n. 4481, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Li. Me. s.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 novembre 2019 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti l’avvocato Lu. To. e l’avvocato dello Stato An. Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 5902 del 2018, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, 24 aprile 2018, n. 4481 con la quale è stato accolto il ricorso proposto da Li. Me. s.r.l. contro la stessa Autorità nonché Me. It. s.r.l. e Agenzia di tutela della salute della Città metropolitana di Milano per l’annullamento:
(i) del provvedimento dell’AGCM n. 26316 in data 21.12.2016, notificato in data 19.01.2017, adottato a chiusura del procedimento I-792 – Gare ossigenoterapia e ventiloterapia, nella parte in cui ha accertato che Li. ed altri avrebbero posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza in violazione dell’art. 101 TFUE, consistente nella concertazione delle strategie in occasione delle quattro gare bandite tra il 2012 e il 2014 da (o per conto di) ASL Milano 1 per la fornitura del servizio di ventiloterapia domiciliare a favore dei pazienti residenti nel territorio di competenza di tale ASL, irrogando per l’effetto a Linde una sanzione pecuniaria di Euro 1.410.887 e diffidandola dal porre in essere in futuro comportamenti analoghi;
(ii) di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente;
(iii) del § 18 delle Linee guida dell’AGCM sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità in applicazione dell’articolo 15, comma 1, della legge n. 287/90.
Dinanzi al giudice di prime cure veniva impugnato il provvedimento con il quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (d’ora in avanti anche Autorità o AGCM) ha ritenuto la sussistenza di tre distinte intese, poste in essere in occasione di tre procedure di gara per l’affidamento dei servizi di ossigenoterapia e/o ventiloterapia domiciliare indette da tre diverse pubbliche amministrazioni, la ASL Milano 1, l’Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche e la Soresa s.p.a..
In particolare, con il ricorso in esame, la Li. Me. s.r.l. contesta la parte di provvedimento con la quale essa, unitamente alle società Me. s.r.l. ed altri, è stata ritenuta parte dell’intesa relativa alle quattro gare bandite, tra il 2012 e il 2014, dalla ASL Milano 1 per la fornitura del servizio di ventiloterapia domiciliare e le è stata irrogata la sanzione di Euro 1.410.887.
Le tre intese, a giudizio dell’Autorità, risulterebbero contraddistinte dal medesimo intento, condiviso tra le parti, di mantenere artificiosamente alto il prezzo della fornitura dei servizi di ossigenoterapia e/o ventiloterapia domiciliare, nonché di cristallizzare il mercato, garantendo un equilibrio nelle rispettive quote di mercato ed evitando l’ingresso di nuovi operatori.
Con particolare riferimento alle gare bandite dalla ASL Milano 1, il provvedimento ritiene che le società avrebbero condiviso le strategie di partecipazione alle quattro procedure, concordando di non partecipare alle prime tre gare, ovvero di presentare offerte inammissibili, e di presentare tutte la medesima offerta nell’ambito della quarta gara; quest’ultima era poi pari alla base d’asta, rispetto alla quale nessuna società ha proposto un rilancio competitivo nella successiva fase all’uopo dedicata.
La ricorrenza dell’intesa collusiva è stata ritenuta, sulla base del parallelismo delle condotte e su una serie di evidenze documentali, prova di contatti tra le parti, finalizzati a definire la strategia di gara.
Le critiche al provvedimento impugnato sono articolate in un motivo introduttivo, con il quale Linde individua cinque errori di impostazione inficianti, a suo giudizio, l’intero provvedimento, e in due ulteriori motivi concernenti, rispettivamente, i vizi della fase istruttoria e di valutazione delle prove e l’attività di quantificazione della sanzione.
Secondo la ricorrente gli errori di impostazione consisterebbero: a) nella ritenuta, e non dimostrata, intercambiabilità dei servizi di ventiloterapia offerti dalle singole imprese, b) nella omessa considerazione dell’importanza della logistica in ordine alla decisione del professionista nella scelta delle gare a cui partecipare, c) nell’assertiva affermazione della remuneratività delle gare andate deserte, d) nella aprioristica riconduzione ad illecito anticoncorrenziale delle ordinarie attività di advocacy delle società nei confronti della stazione appaltante, e) nella carente analisi di una serie di dettagli tecnici che influenzano il mercato oggetto di indagine.
Con il successivo motivo di doglianza la ricorrente ha lamentato “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 101 TFUE. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto in ordine alla sussistenza dei requisiti di un’intesa anticoncorrenziale. Difetto di istruttoria e illogicità manifesta. Difetto di motivazione”.
La censura, complessivamente tesa a dimostrare le carenze istruttorie e di valutazione che hanno caratterizzato il provvedimento gravato, è articolata in più submotivi, volti a contestare specifici profili probatori o motivazionali dell’atto.
Con il terzo motivo di doglianza, infine, la ricorrente ha lamentato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 15 della l. n. 287/1990. Violazione e falsa applicazione delle linee guida. Illegittimità del § 18 delle linee guida. Violazione degli orientamenti della commissione sul calcolo delle ammende. Violazione delle norme e principi in materia di sanzioni amministrative. Errore sui presupposti di fatto e di diritto. Eccesso di potere per disparità di trattamento per violazione del principio di proporzionalità, illogicità ed irragionevolezza manifesta, violazione del limite edittale e dell’obbligo di considerazione delle circostanza attenuanti”, chiedendo al Tar, nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale di merito, la riduzione della sanzione, le cui modalità di calcolo sarebbero erronee.
Si è costituita l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
All’udienza del 14 marzo 2018 il ricorso è stato discusso e deciso con la sentenza appellata, redatta in forma semplificata. In essa, il T.A.R. riteneva fondate le censure proposte, ritenendo che “la ricostruzione proposta nel provvedimento impugnato non appaia l’unica plausibile, con la conseguente inconfigurabilità della fattispecie anticoncorrenziale contestata con l’impugnato provvedimento, neppure sotto il profilo della pratica concordata.”
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie difese, sotto meglio illustrate.
Nel giudizio di appello, si è costituita Li. Me. s.r.l., chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso, riproponendo altresì le ulteriori doglianze ritenute assorbite in prime cure.
Alla pubblica udienza del 14 novembre 2019, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. – L’appello è fondato e merita accoglimento entro i termini di seguito precisati.
2. – Con il primo motivo di appello, l’Autorità deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 101 TFUE; il travisamento dei presupposti di fatto e di diritto per illogicità manifesta in ordine alla prova della pratica concordata.
A tal fine, rileva che l’istruttoria condotta avrebbe fatto venire alla luce un contesto collusivo aggressivo e pervicace, nel quale le imprese avevano portato avanti una concordata strategia volta, anzitutto, a boicottare le prime tre procedure di gara bandite – evitando di fare offerte per tutti i lotti messi a gara dalla (o per conto della) ASL Milano 1 o presentando offerte inammissibili in quanto sopra alla base d’asta – per poi ripartirsi i lotti messi a gara nella procedura successiva, ovvero la “quarta gara”, nella quale la base d’asta era aumentata per la gran parte dei lotti.
Tanto premesso, l’appellante contesta la decisione del T.A.R. nel punto in cui ha ritenuto che l’analisi dell’Autorità soffrirebbe della “assenza di prove documentali dirette” e si baserebbe solo su elementi indiziari in sé non convincenti, prospettando che la sentenza di primo grado si caratterizzerebbe per una lettura incompleta ed atomistica delle evidenze.
3. – Con il secondo motivo di appello, l’Autorità deduce la violazione e/o falsa applicazione, sotto altro profilo, dell’articolo 101 TFUE.
A tal fine, sostiene che l’accertamento dell’intesa ha preso le mosse dal marcato parallelismo delle condotte dalle imprese parti, denunciato dalla stazione appaltante ed effettivamente confermato dall’indagine condotta, e tipicamente sintomatico di una concertazione anticompetitiva.
Tale assunto sarebbe dimostrato dal fatto che la ASL Milano 1 ha dovuto attendere ben 4 procedure di gara prima di riuscire ad affidare il servizio di ventiloteraia domiciliare; e dal fatto che in occasione delle varie procedure le imprese parti dell’intesa hanno sempre seguito strategie assolutamente coincidenti.
Nelle prime tre procedure, infatti, tutte le imprese parti si sono astenute dal presentare offerte o hanno presentato offerte chiaramente inammissibili in quanto superiori alla base d’asta. Nella quarta procedura invece le stesse imprese hanno partecipato, formulando offerte di ammontare identico e pari alla base d’asta per tutti i numerosi lotti messi a gara, rifiutando al contempo, di concedere ulteriori sconti.
A ciò deve altresì aggiungersi che, diversamente da quanto sostenuto dalla sentenza di primo grado, il parallelismo che caratterizza le condotte delle imprese parti dell’intesa non trova riscontro nei comportamenti seguiti dagli altri operatori presenti nel mercato, i quali aveva seguito strategie del tutto diverse.
Ad ulteriore conforto della propria tesi, l’Autorità evidenzia che le procedure erano concepite per assicurare la massima partecipazione: in luogo di una commessa unitaria, oggetto di aggiudicazione erano infatti diversi lotti e ciascuna impresa poteva fare offerte anche su un lotto singolo. Inoltre, l’aggiudicazione di ciascun lotto poteva avvenire anche in presenza di una sola offerta. Questo significa che se un’impresa aveva, per le ragioni più diverse, capacità di offerta limitate, poteva – come avevano fatto altri operatori (Si. e Re.) – limitare la propria partecipazione a pochi lotti o anche ad uno solo di essi.
4. – Prima di esaminare compiutamente il merito delle censure giova ricordare i principi – specie sotto il profilo probatorio – alla luce dei quali dovrà essere valutata la prospettazione dell’Autorità .
Quanto all’intensità dell’onere probatorio, l’intesa restrittiva vietata può realizzarsi sia mediante un “accordo”, sia mediante una “pratica concordata”, nel cui ambito ben possono essere astrattamente ricondotti i comportamenti imputati alle società nel caso di specie.
Tale ultimo concetto viene generalmente descritto come una forma di coordinamento e cooperazione consapevole (concertazione) tra imprese posta in essere a danno della concorrenza che non richiede, come l’accordo, una manifestazione di volontà reciproca tra le parti, o un vero e proprio piano, tanto è vero che il coordinamento può essere raggiunto attraverso un mero contatto diretto o indiretto fra le imprese (cfr. Corte Giustizia, causa 48/69).
E’ utile ricordare che le pratiche concordate emergono, come concetto del diritto antitrust, in qualità di prove indirette indicative dell’esistenza di un accordo, rappresentando dunque non tanto un’autonoma fattispecie di diritto sostanziale rigorosamente definita nei suoi elementi costitutivi, quanto una fattispecie strumentale operante sul piano probatorio in funzione dell’accertamento di una intesa restrittiva vietata, indicativa dell’esistenza di una concertazione tra imprese concorrenti, le quali, invece, dovrebbero agire autonomamente sul mercato.
Come è già stato messo in luce dalla giurisprudenza, la pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce, in modo consapevole, un’espressa collaborazione fra le stesse per sottrarsi ai rischi della concorrenza, con la precisazione che i criteri del coordinamento e della collaborazione, che consentono di definire tale nozione, vanno intesi alla luce dei princì pi in materia di concorrenza, secondo cui ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta che intende seguire sul mercato. Devono, dunque, ritenersi vietati i contatti diretti o indiretti aventi per oggetto o per effetto di creare condizioni di concorrenza non corrispondenti alle condizioni normali del mercato (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 4 settembre 2015, n. 4123).
Anche secondo la giurisprudenza comunitaria “accordi” e “pratiche concordate” sono forme collusive che condividono la medesima natura e si distinguono solo per la loro intensità e per le forme in cui esse si manifestano (cfr. Corte Giust. UE, 5 dicembre 2013, C-449/11P), corrispondendo, in particolare, le “pratiche concordate” a una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere stata spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce consapevolmente una pratica collaborazione fra le stesse ai rischi della concorrenza.
Più nel dettaglio, il parallelismo dei comportamenti può essere considerato prova di una concertazione soltanto qualora la concertazione ne costituisca l’unica spiegazione plausibile. È infatti importante tener presente che l’art. 101 del Trattato, mentre vieta qualsiasi forma di collusione atta a falsare il gioco della concorrenza, non esclude il diritto degli operatori economici di reagire intelligentemente al comportamento noto o presunto dei concorrenti. Di conseguenza, nella fattispecie è necessario accertare se il parallelismo di comportamenti non possa, tenuto conto della natura dei prodotti, dell’entità e del numero delle imprese e del volume del mercato, spiegarsi altrimenti che con la concertazione. La stessa Corte di Giustizia, in applicazione del menzionato criterio, ha avuto modo di concludere nel senso che “se la spiegazione del parallelismo di comportamenti basata sulla concertazione non è l’unica plausibile…il parallelismo di comportamenti accertato dalla Commissione non può costituire la prova della concertazione” (cfr. Corte di Giustizia, cause riunite C- 23 89/85, C-104/85, C-114/85, C-117/85 e da C-125/85 a C-129/85 Woodpulp, punti 70 – 72 e 126).
5. – In applicazione al caso di specie delle coordinate ermeneutiche innanzi delineate, le censure dell’Autorità devono trovare accoglimento.
6. – Conviene iniziare l’analisi dall’aspetto relativo alle modalità (la pratica concordata) attraverso la quale è stato ottenuto l’effetto anticoncorrenziale, tenendo presente che l’effettiva realizzazione dello stesso (ovvero l’incremento dei prezzi) ben può considerarsi un primo indice significativo circa la sussistenza dell’illecito anticoncorrenziale.
Secondo l’impianto accusatorio, attraverso la concertazione le imprese parti dell’intesa hanno perseguito il duplice obiettivo di aumentare i prezzi di erogazione del servizio di ventiloterapia domiciliare destinato alla ASL Milano 1 e di spartirne tra loro la fornitura.
Tale risultato è stato perseguito in prima battuta boicottando ben tre procedure di gara nelle quali le condizioni di aggiudicazione non avrebbero permesso l’incremento di prezzo che le imprese parti contavano di ottenere, dal momento che i bandi prevedevano una base d’asta in linea con i prezzi al momento vigenti.
Al boicottaggio delle prime tre gare ha fatto seguito il coordinamento delle offerte in sede di partecipazione alla quarta procedura, il cui bando introduceva significativi incrementi nella base d’asta.
L’esito è stato esattamente quello perseguito, dal momento che le medesime imprese (che avevano “boicottato” le prime tre gare) sono poi riuscite ad ottenere la gran parte dei lotti messi a gara ad un prezzo maggiore rispetto a quello previsto nelle gare precedenti. Invero, al momento della quarta gara, tutte le imprese hanno partecipato per tutti i lotti con offerte pari alla base d’asta, senza ulteriori ribassi.
Deve anche rilevarsi che, quando la ASL Milano 1 (alla fine del 2012) aveva indetto la prima gara, tutte le imprese in questione erano da tempo fornitrici della medesima ASL, sulla base di contratti destinati a scadere a breve. L’insuccesso delle procedure aveva quindi costretto la ASL, per non trovarsi priva dei presidi medici, a chiedere alle medesime imprese la proroga delle forniture in essere. In tale contesto, la ASL ha denunciato che le società fornitrici avevano espresso tutte una posizione di diniego alla sua richiesta, subordinando l’eventuale proroga delle forniture in essere alla accettazione di aumenti significati del prezzo.
In riferimento alle gare andate deserte, non è affatto trascurabile sotto il profilo della credibilità logica dell’impianto accusatorio, il fatto che la stazione appaltante era un cliente storico, conosciuto ed ubicato in un contesto già servito, e quindi la mancata partecipazione alla gara – e la conseguente ipotetica aggiudicazione ad un soggetto terzo – avrebbe comportato una perdita secca degli sbocchi di mercato fino a quel momento goduti, in favore di fornitori concorrenti.
7. – Alla luce dei fatti innanzi sommariamente richiamati, assumo un maggior significato anche le risultanze documentali portate dall’Autorità a sostegno della propria tesi, che, laddove singolarmente considerate, ben potrebbero prestarsi a differenti interpretazioni, dovendosi al riguardo ricordare che “l’accertamento di un’intesa anticompetitiva è il portato di un’analisi complessa ed articolata, che deve tenere conto di tutti gli elementi di prova acquisiti nella loro interezza e nella correlazione reciproca che lega gli uni agli altri” (cfr. Consiglio di Stato 20 febbraio 2017, n. 740).
Invero, nella maggior parte dei casi l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale deve essere inferita da un certo numero di coincidenze e di indizi, essendo usuale che le attività derivanti da pratiche ed accordi anticoncorrenziali si svolgano in modo clandestino (cfr. Consiglio di Stato 20 febbraio 2017, n. 740).
A venire in rilievo è, anzitutto, un’email circolata tra tutte le imprese parti dell’intesa tra la seconda e la terza gara, nella quale le stesse condividono tra di loro la risposta da dare alla ASL che chiedeva loro di prorogare le forniture in essere nelle more dell’aggiudicazione della nuova gara (vedasi il punto 4.3 che precede).
Tale documento dimostra che il diniego alla proroga era stato concordato tra le imprese, che avevano addirittura condiviso una bozza di lettera comune da usare per predisporre le comunicazioni che ciascuna avrebbe poi indirizzato alla ASL. Nella bozza di lettera si esprimere l’indisponibilità a concedere le proroghe richiesti, salva l’accettazione di aumenti, dei quali la bozza riporta un apposito listino di riferimento (in tale documento si legge: “in relazione al dia tecnico avvenuto nel corso dell’incontro del 17.10,2013 e in risposta alla vostra comunicazione del 9.12.2013, siamo a specificare quanto segue: 1. durante il dia tecnico sono già stati identificati le tipologie di lotto e le relative caratteristiche tecniche e materiali di consumo; 2. sempre in tale sede sono state definite le relative condizioni economiche, concordate tra i soggetti presenti (vedi allegato); Tutto ciò considerato, non siamo nella possibilità di concedere la proroga da voi richiesta alle condizioni esplicitate, ma siamo disponibili a proseguire il servizio alle condizioni economiche definite nell’incontro del 17.10.2013. Confidiamo peraltro che nella formulazione del nuovo capitolato relativo alla fornitura del servizio di ventiloterapia dell’ASL Milano 1 si faccia riferimento a quanto già pubblicato dall’ASL di Cremona come capofila del raggruppamento delle ASL di Cremona, Lodi, Mantova, Milano 2 e Pavia (con possibile estensione alle ASL di Brescia, Milano e Vallecamonica) considerando tale esperienza come una best practice nella direzione di una razionalizzazione delle procedure di acquisto del SSR.”).
Alla luce dei fatti già descritti innanzi, tale documento rafforza il convincimento che le condotte assunte dalle imprese verso la ASL non erano “spontanee ed autonome”, e che queste, oltre ad essere coordinate, si prefiggevano l’obiettivo di indurre la ASL ad accettare condizioni di acquisto dei presidi per VTD più alte di quelle fino a quel momento vigenti.
Viene inoltre in rilievo la lettera inviata da Me. alla ASL Milano 1 (inviata alla ASL il 13 marzo 2014, ossia dopo la pubblicazione del bando relativo alla terza gara, ma poco prima della scadenza del termine di presentazione delle offerte), dove si legge che le condizioni di gara ivi indicate, in quanto non allineate alla gara di Cremona “verosimilmente provocheranno una non effettiva partecipazione alla gara o la presentazione di offerte palesemente incongrue”.
Tale previsione, come già detto, si è poi avverata, atteso che proprio in questa gara alcune imprese non hanno partecipato mentre altre hanno formulato offerte inammissibili e (secondo l’Autorità provocatoriamente superiori alla base d’asta).
Inoltre, nello stesso provvedimento si dà conto del fatto che all’esito di tali incontri non era emersa alcuna convergenza in merito alle condizioni economiche di acquisto/fornitura dei servizi di VTD. In particolare, dalle dichiarazioni rese dalla stazione appaltante e dai resoconti di tali incontri reperiti dall’Autorità presso le stesse imprese emerge solo che le imprese parti dell’intesa avevano richiesto il passaggio a condizioni di fornitura analoghe a quelle recentemente accettate da altra ASL lombarda (Cremona), senza però incontrare la disponibilità da parte dell’ASL.
Del resto, è pacifico che anche dopo questi tavoli, l’amministrazione, da un lato, con l’indizione della terza gara non si è allineata alle condizioni definite dalla ASL di Cremona; dall’altro, ha richiesto alle imprese il rinnovo dei contratti in scadenza, mantenendo i prezzi storici.
Tali emergenze contraddicono l’assunto delle imprese, ed accolto dal T.A.R., secondo cui il contenuto delle riportate comunicazioni non sarebbe altro che quanto concordato con l’ASL in occasione degli incontri.
Viceversa, alla luce dei documenti innanzi citati, ed anche a prescindere dal loro contenuto specifico, è palese che le imprese coinvolte hanno assunto una posizione unitaria e condivisa nei confronti della stazione appaltante che, collocata nel contesto già descritto e tenuto conto delle considerazioni di seguito esposte, si connota per il suo carattere illecito.
Evidenze documentali di ana tenore si riscontrano anche in relazione alla quarta gara rispetto alla quale risulta che inizialmente almeno due imprese (Sa. e Linde) avevano deciso di partecipare, formulando offerte leggermente inferiori alla base d’asta onde evitare esclusione dalla gara, decisione poi mutata solo a ridosso del termine di presentazione delle offerte.
Per le ragioni esposte, deve dunque trovare accoglimento anche il quarto motivo di appello, con cui di contesta l’errata valutazione da parte del T.A.R. delle prove documentali della concertazione, prove che invece emergono dalla elencazione appena svolta.
8. – Parimenti, alla luce delle considerazioni che precedono deve trovare accoglimento anche il terzo motivo di appello con cui si deduce l’errata valutazione da parte del T.A.R. nell’analisi di inattendibilità delle spiegazioni alternative alla concertazione condotta dal provvedimento.
Secondo il giudice di primo grado, la valutazione dell’Autorità sarebbe affetta da vari vizi dell’analisi economica svolta al fine di dimostrare l’inattendibilità delle spiegazioni alternative all’intesa fornite dalle parti e, precisamente, l’Autorità : a) non avrebbe accertato se le condizioni di gara adottate dalla ASL Milano 1 fossero realmente in linea con quelle adottate da altre ASL in gare coeve; b) non avrebbe neppure verificato se le condizioni di gara adottate dalla ASL Milano 1 fossero realmente in linea con le condizioni vigenti al momento dell’indizione delle gare; c) non avrebbe neppure considerato che nella terza gara le condizioni economiche erano equiparabili a quelle delle prime due gare; d) sarebbe inoltre carente il confronto tra i lotti della prima gara (andati deserti) e quelli della quarta gara per i quali sono state formulate offerte pur in assenza di un aumento della base d’asta.
I rilievi del T.A.R. si incentrano sulla questione relativa alla confrontabilità delle diverse gare svoltasi, trascurando che l’indagine utile ai fini del presente giudizio deve concentrarsi sulla sussistenza di una plausibile ragione che giustifichi la mancata partecipazione delle imprese coinvolte a dette specifiche gare, che l’appellata sostiene essere la non profittabilità economica delle stesse.
In altre parole, le criticità evidenziate dal T.A.R. (che in ogni caso non paiono per nulla convincenti per le ragioni di seguito illustrate), seppur astrattamene idonee ad influire sulla prova della cd. profittabilità, risultano superate dalla constatazione, già innanzi esposta, relativa al fatto che in realtà le gare dovevano ragionevolmente considerarsi profittevoli, indipendentemente da ogni confronto.
Al riguardo, come già evidenziato, l’Autorità ha correttamente messo in risalto che una impresa coinvolta (Linde) era chiaramente pronta a partecipare ad una gara, avendo di fatto predisposto la documentazione per partecipare (per poi recedere nell’imminenza della presentazione delle offerte); ha inoltre valorizzato la scheda di reddittività dell’impresa Sa. (di dimensioni modeste rispetto alle imprese coinvolte), che evidenzia un non trascurabile return of investiment in caso di partecipazione alla prima gara.
A questo riguardo, risulta inoltre particolarmente significativa l’oggettiva circostanza già sottolineata, ovvero che imprese più piccole avevano fatto offerte e persino con forti sconti rispetto alla base d’asta.
Rispetto a tale circostanza, si inserisce coerentemente nella prospettazione complessiva dell’Autorità il fatto che quando tali due concorrenti non attesi (Si. e Re.) si sono aggiudicate dei lotti banditi nella prima procedura le altre imprese si sono attivate per fare annullare l’aggiudicazione.
Tali condotta oppositiva nei confronti dell’avvenuta aggiudicazione stride platealmente con l’assunto alla base della spiegazione alternativa fornita dalle imprese, secondo cui non erano interessate alla gara in quanto non profittevole.
In ogni caso, i rilievi del T.A.R. paiono in primo luogo smentiti dal contenuto della denuncia presentata dalla stazione appaltante, alla quale sono stati allegati i diversi bandi di gara, che l’Autorità ha poi analizzato.
Inoltre, nel provvedimento impugnato, si dà conto dell’analisi svolta dall’Autorità in riferimento ai lotti “confrontabili” (anche sotto il profilo tecnico), nonché circa l’equivalenza tra le condizioni economiche delle procedure oggetto di boicottaggio collettivo e i prezzi vigenti al momento della prima gara, ai quali le imprese parti dell’intesa già fornivano la ASL Milano 1. Pertanto, la rassegnata conclusione circa l’assenza di un’adeguata istruttoria appare in realtà affrettata e non coglie che il punto centrale al fine di operare il paragone tra i diversi bandi ai fini del presente giudizio attiene all’enucleazione di un rapporto qualità \prezzo confrontabile, indipendentemente dalla diversa configurazione del servizio.
In particolare, quanto alla terza gara, non vi è dubbio che il provvedimento abbia attentamente esaminato e considerato le sue similitudini e differenze rispetto alle prime due. Tale verifica ha permesso di accertare che questa gara si differenziava dalle precedenti solo per alcuni aspetti tecnici (alcuni lotti erano stati accorpati ai fini di mera razionalizzazione), senza alterare il rapporto qualità -prezzo rispetto alle precedenti gare. Ne consegue che le valutazioni di profittabilità che l’analisi condotta ha permesso di riferire alle prime gare possono logicamente riferirsi anche alla terza.
Vale un’analoga considerazioni in riferimento alla verifica che ha interessato la quarta gara, in cui il confronto ha tenuto conto degli accorpamenti avvenuti nella stessa, confermando all’esito che i parametri sui quali valutare la profittabilità della stessa erano i medesimi.
9. – Non inficia le conclusioni che precedono la supposta non sostituibilità del servizio reso, che secondo il T.A.R. sarebbe invece idonea a screditare la tesi dell’Autorità .
In primo luogo, deve rilevarsi l’intrinseca inconciliabilità tra la supposta natura insostituibile dello specifico servizio fornito da ciascuna impresa ed il fatto che tale servizio sia generalmente posto in gara attraverso una procedure di competizione pubblica.
Invero, su di un piano astratto, la prospettata natura infungibile del servizio offerto da ciascuna impresa – che, in coerenza con tale premessa, non potrebbe essere sostituito da quello fornito da un’altra impresa – implicherebbe l’assenza stessa di un mercato concorrenziale per i servizi in discorso, con la conseguenza che ciascuna impresa non sarebbe neppure in concorrenza con le altre, da cui l’impossibilità stessa di configurare una competizione tra le imprese per tale mercato.
Tale conclusione è all’evidenza smentita dai fatti, posto che nessuna delle parti ha messo in discussione la configurabilità dello strumento di gara nel caso di specie, sia pure nella forma dell’accordo quadro, e ciò non può che presupporre, su di un piano generale, la sostituibilità del servizio reso da ciascuna impresa.
Al riguardo, la stessa stazione appaltante ha sottolineato la sussistenza di una “elevata uniformità tecnologica delle apparecchiature” e “uniformità del servizio reso”. Del resto, le stesse imprese hanno confermato la fungibilità delle apparecchiature a basso valore tecnologico, di quelle in regime di rebranding, nonché di quelle non coperte da vincoli di esclusiva.
Il fatto che, come parrebbe confermato dalla stessa Autorità, uno specifico dispositivo può di fatto diventare insostituibile per il singolo paziente che già lo utilizza, rappresenta in realtà una infungibilità nel solo singolo caso concreto. Ne deriva, che tale insostituibilità di fatto non può essere assunta a caratteristica generale dei servizi in discorso, proprio perché connessa alla peculiarità dello specifico paziente considerato e non predicabile su scala generale in riferimento alla popolazione di pazienti afflitti della medesima patologia, rispetto ai quali deve essere delimitato il mercato rilevante ai fini del presente giudizio.
In questo senso si giustifica anche la concomitanza di affidamenti diretti del servizio, evidentemente volti a consentire il prosieguo della cura con le medesime modalità, stabilite dal medico prescrittore, in favore di determinati pazienti.
In riferimento a quest’ultima eventualità, deve ribadirsi come tale pratica non contraddica il dato, neppure contestato, che rispetto alla popolazione complessiva (rappresentata dai pazienti bisognosi delle cure a cui è funzionale il servizio per cui è causa) le prestazioni delle parti debbano essere considerate del tutto fungibili.
Pertanto, il fatto che certi macchinari usati per la ventiloterapia possano di fatto risultare non sostituibili per determinati pazienti non può portare alle conseguenze radicali prospettate dall’impresa.
La questione è stata peraltro adeguatamente approfondita dall’Autorità in sede procedimentale, dove è emerso che le imprese fornitrici di servizi di VTD presentano una sicura sovrapponibilità delle offerte che rende l’offerta di ciascuna alternativa alle altre.
Il provvedimento ha specificato che, in genere, i produttori delle apparecchiature non forniscono i propri clienti (ovvero le imprese fornitrice del servizio) in esclusiva; sicché, nella realtà dei fatti, è del tutto normale che anche quei macchinari che risultino, in ipotesi, insostituibili per i pazienti sono in realtà liberamente reperibili sul mercato da qualunque impresa chiamata a fornire servizi di ventiloterapia. A tal fine, l’Autorità ha spiegato che, per distinguersi sul mercato rispetto ai concorrenti, le imprese fornitrici del sevizio di ventiloterapia sono solite concludere appositi accordi di c.d. rebranding dei macchinari con i produttori, in base ai quali, un medesimo operatore (come ad esempio Philips) produce e consegna un medesimo macchinario a più clienti apponendovi, oltre al proprio marchio, anche quello del singolo cliente (impresa fornitrice), pur trattandosi della stessa e medesima macchina.
Contrariamente alla valutazione del T.A.R., è alla luce di tali precisazione che deve essere letto il parere dell’ANAC, il quale si limita a ritenere corretta una aggiudicazione delle gare che tenga conto delle indicazioni del medico prescrittore in luogo della semplice rotazione, ma che nulla dice su quanto i servizi offerti dalle imprese parti dell’intesa che interessa siano tra loro sostituibili.
10. – In definitiva, stima il Collegio che nel caso di specie la prospettazione dell’Autorità sia senz’altro preferibile, stante l’intrinseca ragionevolezza che la caratterizza e la coerenza con gli ulteriori elementi documentali emersi, rispetto ad ogni ipotesi alternativa astrattamente ipotizzata dalle imprese coinvolte, che non ha travato nei fatti alcun plausibile riscontro (cfr. Consiglio di Stato, 12 ottobre 2017, n. 4733).
Inoltre, e per mero scrupolo, giova ricordare che nel quadro del “canone di “congruenza narrativa”, l’eventuale sussistenza di alcuni profili di discrasia nel quadro indiziario non sarà idonea a travolgere la complessiva tenuta dell’impianto accusatorio, salvo nelle ipotesi – che qui non sussistono – in cui le incongruenze risultino di tale gravità e rilevanza da compromettere la coerenza complessiva del quadro ricostruttivo delineato dall’Autorità ” (cfr. Consiglio di Stato, 18 maggio 2015, n. 2514).
11. – L’accoglimento dell’appello principale impone la necessità di esaminare i motivi di ricorso con i quali la società ha censurato la determinazione della sanzione riproposti nel presente giudizio di appello.
Con il motivo di diritto riproposto, recante “Violazione e falsa applicazione dell’art. 15 della L. 287/1990. Violazione e falsa applicazione delle Linee Guida. Illegittimità del § 18 delle Linee Guida. Violazione degli Orientamenti della Commissione sul calcolo delle ammende. Violazione delle norme e principi in materia di sanzioni amministrative. Errore sui presupposti di fatto e di diritto. Eccesso di potere per disparità di trattamento, violazione del principio di proporzionalità, illogicità ed irragionevolezza manifesta, violazione del limite edittale e dell’obbligo di considerazione delle circostanze attenuanti; richiesta al TAR di riduzione della sanzione nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale anche di merito”, l’appellata Li. Me. s.r.l. lamenta l’errata applicazione della disciplina in tema di irrogazione sotto quattro distinti profili: la illegittima irrogazione di tre sanzioni distinte per ciascuna delle tre gare indagate; l’errato computo della base di calcolo della sanzione, facendo coincidere il valore delle vendite interessate dall’illecito con quello dell’intera fornitura della quarta gara indetta da ASL Milano 1; l’applicazione di un coefficiente di gravità pari al 20%, in considerazione del carattere orizzontale e molto grave dell’asserita intesa; la riduzione della sanzione nella misura del solo 5% per aver adottato un programma di compliance, cioè rivolto a promuovere il rispetto del diritto antitrust, prevenendo così la violazione delle norme nazionali e comunitarie in materia di abusi di posizione dominante o intese restrittive della concorrenza.
La censura, nei suoi diversi profili, è infondata.
Nell’esaminare le modalità con cui la sanzione è stata applicata, può rilevarsi come il provvedimento faccia rinvio alle Linee guida e, in particolare, viene richiamato il punto 18, ai sensi del quale “in generale, anche nei casi di collusione nell’ambito di procedure di gare di appalti pubblici, l’Autorità prenderà in considerazione il valore delle vendite direttamente o indirettamente interessate dall’illecito. In linea di principio, tale valore corrisponde, per ciascuna impresa partecipante alla pratica concertativa, agli importi oggetto di aggiudicazione […], senza necessità di introdurre aggiustamenti per la durata dell’infrazione ai sensi dei paragrafi precedenti”.
Assumendo questo presupposto, il provvedimento identifica il valore delle vendite che dovrebbe essere preso in considerazione per ciascuna impresa con “l’importo complessivo oggetto di aggiudicazione nell’ambito della quarta gara (7.425.720 euro), che corrisponde alla base d’asta – non essendo stato offerto alcun ribasso – moltiplicato per la durata dell’affidamento”.
A tale importo base è stata poi applicata una percentuale che riflettesse la gravità dell’infrazione, individuata nel 20% per tutte le parti.
Deve inoltre ricordarsi che la determinazione dell’importo della sanzione costituisce espressione di un potere discrezionale dell’Autorità . Secondo la giurisprudenza, ciò esclude l’applicazione di un “approccio puramente matematico e meccanicistico” nella valutazione del peso da attribuire a ciascuna circostanza, poiché il valore finale della sanzione va determinato assumendo “quale principale parametro di riferimento l’effettiva idoneità del quantum della sanzione a tenere conto nel modo più adeguato possibile della specifica gravità della condotta contestata all’impresa” (cfr. Consiglio di Stato, 18 maggio 2015, nn. 2513, 2514).
Sulla scorta di tali elementi, si può rispondere al motivo di appello.
11.1. – In merito alla illegittima irrogazione di tre sanzioni distinte per ciascuna delle tre gare indagate, va evidenziato come gli accertamenti abbiano riguardato diverse ed autonome condotte che coinvolgevano diversi mercati geografici ed imprese solo in parte coincidenti e anche differenti dal punto di vista cronologico (risalente al dicembre 2012 e perdurante fino al settembre 2014 per la Campania, circoscritta tra il febbraio 2013 e il luglio 2014 per le Marche e tra il marzo 2013 e il settembre 2014 per Milano).
Tale circostanza esclude pertanto che possa essere applicata in materia il cumulo giuridico delle sanzioni (sulla applicabilità dell’art. 8 della legge 689 del 1981 alla fattispecie in esame, vedi Cons. Stato, VI, 10 gennaio 2007, n. 26), giustificando così l’operato dell’Autorità che ha appunto sanzionato in maniera differenziata, sommandole, le differenti condotte.
11.2. – In merito alla doglianza sul computo della base di calcolo delle sanzioni, deve essere confermata la scelta operata dall’Autorità, che ha correttamente fatto riferimento all’importo oggetto di aggiudicazione (tenuto conto della relativa durata), alla luce della funzione dissuasiva della sanzione antitrust, a nulla rilevando che nel caso di specie si era al cospetto di una gara in accordo quadro (e della prospettata eventualità che nessuna delle imprese accreditate si troverà a fornire uno o più lotti nella loro interezza), posto che, nel caso di specie, il valore della base d’asta, utilizzato quale base di calcolo, appare comunque un indice idoneo a rappresentare il valore delle vendite rilevante ai fini sanzionatori.
La sanzione, in quanto volta ad impedire a priori una concertazione in funzione anticoncorrenziale, deve riferirsi al momento della condotta legata alla specifica fattispecie e agli elementi allora in possesso delle imprese, ivi compreso l’importo base della gara oggetto dell’accordo anticompetitivo.
Risulta invece in contrasto con gli orientamenti della giurisprudenza il prospettato utilizzo del fatturato effettivamente realizzato dall’impresa per la vendita di tali servizi, invero, il riferimento all’importo oggetto di aggiudicazione mira ad assumere quale base iniziale ai fini del calcolo dell’ammenda inflitta ad un’impresa un importo che rifletta anche l’importanza economica dell’infrazione, con la conseguenza che “l’obiettivo perseguito da tale disposizione risulterebbe tuttavia pregiudicato se tale nozione dovesse essere intesa nel senso che ricomprenda unicamente il fatturato realizzato con le sole vendite per le quali risulti accertata la loro effettiva connessione con l’intesa stessa” (cfr. Corte di Giustizia, sentenze Team Relocations e a. c. Commissione, C- 444/11 P; Consiglio di Stato, 13 giugno 2014, n. 3032).
11.3. – In merito all’applicazione di un coefficiente di gravità pari al 20%, in considerazione del carattere orizzontale e molto grave dell’asserita intesa, devono ritenersi in ogni caso rispettati i criteri di cui all’art. 11 della legge n. 689/81, stanti le caratteristiche della pratica concordata e gli effetti che questa ha generato sull’andamento dei prezzi per il servizio in discorso. Inoltre, la sanzione risulta proporzionale alle condizioni economiche dell’appellante, ed adeguatamente commisurata alla durata dell’infrazione.
Non appare, pertanto, censurabile l’applicazione della percentuale del 20% per il livello di gravità dell’infrazione, che costituisce l’esito della valutazione che tiene conto delle peculiarità del caso, tanto più che il disvalore delle condotte accertate si apprezza ancora di più se si considera che le stesse si inseriscono nel contesto di procedure di gara ad evidenza pubblica.
Per la medesima ragione, anche in relazione alla qualificazione dell’intesa come “molto grave” in ragione della sua natura e della segretezza, va condivisa la valutazione operata dall’Autorità, tenuto conto che l’intesa era qualificabile come intesa orizzontale di prezzo ossia come intesa di consistente gravità in sé considerata, senza neppure la necessità di ulteriori indagini sulle effettive conseguenze concrete (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 20 ottobre 2016, n. 4374; Corte UE, 26 gennaio 2017, in C-626/13 P, Villeroy & Boch Austria GmbH/ Commissione); e per altro verso, in relazione alla segretezza, il supporto probatorio, fondato su contatti di posta elettronica non conoscibili all’esterno, evidenzia la carenza di trasparenza e pubblicità dell’accordo stesso.
11.4. – Deve essere respinta anche la doglianza sulla scarsa incidenza della circostanza attenuante per aver adottato dei programmi di compliance, in quanto l’Autorità ne ha considerato l’effettiva incidenza in una complessiva valutazione di gravità dei fatti accertati.
Inoltre, la giurisprudenza ha già avuto modo di precisare che “la mera esistenza di un programma di compliance non sarà considerata di per sé una circostanza attenuante, in assenza della dimostrazione di un effettivo e concreto impegno al rispetto di quanto previsto nello stesso programma (attraverso, ad esempio, un pieno coinvolgimento del management, l’identificazione del personale responsabile del programma, l’identificazione e valutazione dei rischi sulla base del settore di attività e del contesto operativo, l’organizzazione di attività di training adeguate alle dimensioni economiche dell’impresa, la previsione di incentivi per il rispetto del programma nonché di disincentivi per il mancato rispetto dello stesso, l’implementazione di sistemi di monitoraggio e auditing)” (Consiglio di Stato, 21 dicembre 2017, nn. 5998 e 5997).
In ogni caso, nel caso di specie, non pare censurabile la valutazione dell’Autorità, secondo cui la circostanza per cui, nonostante l’adozione di una compliance antitrust, le parti abbiano posto in essere una condotta in violazione del diritto antitrust, dimostra di fatto l’inefficacia del programma adottato.
12. – L’appello va quindi accolto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalle oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti (così da ultimo, Cassazione civile, sez. un., 30 luglio 2008 n. 20598).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Accoglie l’appello n. 5902 del 2018 e, per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, 24 aprile 2018, n. 4481, respinge il ricorso di primo grado;
2. Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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