Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 8 maggio 2020, n. 14161.
Massima estrapolata:
In caso di sentenza di condanna pronunciata prima dell’entrata in vigore di una modifica legislativa che introduca una nuova scriminante od ampli la sfera di operatività di una scriminante già esistente, rientra tra le attribuzioni del giudice dell’esecuzione il potere di verificare la ricorrenza dei presupposti – purché specificamente allegati dall’istante – per l’applicazione retroattiva della scriminante ai sensi dell’art. 2, comma secondo, cod. pen., ma non quello di revocare detta sentenza ex art. 673 cod. proc. pen., non versandosi in ipotesi di “abolitio criminis” derivante da abrogazione o da dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice. (Fattispecie in tema di cd. legittima difesa domiciliare, di cui all’art. 52, comma quarto, cod. pen., introdotto dalla legge 28 aprile 2019, n. 36, con riferimento alla quale la Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di revoca di una sentenza irrevocabile di condanna per il delitto di tentato omicidio, rilevando, tra l’altro, che il ricorrente non aveva dedotto gli elementi circostanziali idonei ad integrare l’invocata scriminante). (Cfr. C. Cost. n. 96 del 1996).
Sentenza 8 maggio 2020, n. 14161
Data udienza 20 febbraio 2020
Tag – parola chiave: Esecuzione – Istanza di revoca di sentenza ex art. 673 cpp – Presupposto dell’abrogazione di reato o illegittimità costituzionale della norma penale – Inapplicabilità in caso di scriminanti – Ratio
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI TOMMASSI Mariastefan – Presidente
Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere
Dott. CASA Filipp – rel. Consigliere
Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere
Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 11/07/2019 del TRIBUNALE di CUNEO;
udita la relazione svolta dal Consigliere CASA FILIPPO;
lette le conclusioni del PG FILIPPI Paola che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Cuneo, in composizione collegiale e in funzione di giudice dell’esecuzione, dichiarava inammissibile la richiesta avanzata da (OMISSIS), ai sensi dell’articolo 673 c.p.p., per ottenere la revoca della sentenza in data 17.6.2015 (irrevocabile il 20.4.2018) con la quale lo stesso Tribunale lo aveva condannato alla pena di sette anni di reclusione per il reato di tentato omicidio commesso in danno di (OMISSIS).
1.1. Sosteneva il condannato che, alla luce della riforma della scriminante della legittima difesa delineata dalla L. n. 36 del 2019, e dell’ampliamento del suo ambito applicativo, il fatto delittuoso come accertato in giudizio avrebbe dovuto essere posto nel nulla mediante il ricorso allo strumento processuale previsto dall’articolo 673 c.p.p., dovendo considerarsi omologabili le situazioni disciplinate dalla norma (abrogazione di norma incriminatrice, dichiarazione di illegittimita’ costituzionale) alla introduzione o rimodulazione di una scriminante, come avvenuto per la legittima difesa con la legge citata.
1.2. Ad avviso del giudice dell’esecuzione, viceversa, tale operazione di omologazione non era praticabile, stante il carattere tassativo delle ipotesi individuate dall’articolo 673 c.p.p..
Osservava il Tribunale, al riguardo, che le scriminanti non operavano sulla norma generale e astratta, ma sul singolo fatto di reato posto all’attenzione del Giudice che, se commesso in presenza di particolari condizioni, avrebbe perso la propria antigiuridicita’: ben diverso, dunque, si presentava lo schema applicativo dell’abrogazione di norma incriminatrice (che cessava di esistere, rendendo leciti tutti i fatti suscettibili di cadere nel suo paradigma astratto) dalla modifica delle norme scriminanti, che agivano, invece, sul piano fattuale e non normativo, necessitando di un idoneo apprezzamento che solo il giudizio di merito della cognizione poteva garantire.
Del resto, la Corte di legittimita’ (n. 13110/18), nell’affrontare il non dissimile caso della introduzione di una causa di non punibilita’, aveva escluso l’operativita’ dell’articolo 673 c.p.p., posto che detta introduzione non produceva l’effetto di escludere la configurabilita’ del reato e la sua dimensione storico – fattuale, nonche’ la responsabilita’ risarcitoria per i pregiudizi cagionati a terzi, che restavano immutate, incidendo soltanto sulla possibilita’ di irrogare la sanzione nei confronti del suo autore.
A maggior ragione diversa era la situazione derivante da una declaratoria di illegittimita’ costituzionale di una norma incriminatrice, dal momento che essa rendeva quest’ultima geneticamente invalida.
2. Ha proposto ricorso l’interessato, per il tramite del difensore, deducendo inosservanza di norma processuale in relazione all’articolo 673 c.p.p. ed erronea applicazione di legge penale in relazione all’articolo 2 c.p., commi 2 e 4.
Secondo la prospettazione sostenuta in ricorso, diversamente da quanto affermato dal Tribunale di Cuneo, anche l’ampliamento dello spettro operativo di una causa di giustificazione comporterebbe – per l’inequivoco tenore letterale della norma – gli effetti previsti dall’articolo 2 c.p., comma 2, ossia il venir meno dell’elemento dell’antigiuridicita’ (“il fatto non costituisce reato”). Ed invero, se il legislatore avesse inteso limitare la cessazione dell’esecuzione e degli effetti penali della condanna alla sola abrogazione della norma incriminatrice avrebbe disposto che “Nessuno puo’ essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non e’ piu’ previsto dalla legge come reato”.
Sebbene l’articolo 673 c.p.p., non si presenti, nella sua struttura formale, come strumento utile a dare attuazione all’articolo 2 c.p., comma 2, il fenomeno costituito dall’ampliamento dell’area di una scriminante non potrebbe, comunque, essere eluso – ad avviso del ricorrente – riconducendolo al paradigma del dell’articolo 2 c.p., comma 4, dovendo intendersi per lex mitior quella incidente sul trattamento sanzionatorio “piuttosto che su un elemento strutturale del reato inteso non come figura speciale bensi’ come fenomeno legale (…)”.
Quanto alla differenza evidenziata dal Giudice dell’esecuzione rispetto allo schema applicativo dell’abrogazione di norma incriminatrice, opina il ricorrente che anche l’ampliamento della scriminante comporterebbe lo stesso effetto, vale a dire il venir meno dell’antigiuridicita’, a determinate condizioni, di cio’ che prima era illecito a causa di una nuova valutazione del Parlamento.
Ne’ l’introduzione della “nuova” legittima difesa renderebbe necessaria una nuova valutazione del fatto da parte del Giudice dell’esecuzione, al quale, viceversa, sarebbe semplicemente e legittimamente richiesto di verificare se la condotta cristallizzata dal giudicato rientri o meno nel nuovo paradigma legale.
In ogni caso, andrebbe ripensato, con approccio sistematico, il concetto di “norma incriminatrice”, dovendo a tal fine rilevare non solo “la singola condotta in quanto tale, bensi’ la condotta in quanto reato, ossia fenomeno caratterizzato dall’essere tipico, antigiuridico e colpevole secondo la volonta’ del Legislatore”.
Nella parte conclusiva del ricorso, dopo una digressione sul moderno concetto di giudicato e sulla sua recessivita’ per come interpretati dalla Corte costituzionale, il ricorrente solleva questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 2 c.p., comma 4, in relazione agli articoli 3, 13, 25 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’articolo 7 CEDU, ove esclude l’ultrattivita’ della lex mitior in caso di sopravvenienza del giudicato; inoltre, qualora si ritenga che la nuova legge sulla legittima difesa rientri nella sfera applicativa della fattispecie di cui all’articolo 2 c.p., comma 2, il ricorrente chiede a questa Corte di valutare se rimettere la questione alla Corte costituzionale per accertare la conformita’ a Costituzione dell’articolo 673 c.p.p., laddove limita la revoca della sentenza di condanna ai soli casi di abrogazione/illegittimita’ costituzionale e non anche ai casi in cui il fatto viene meno per modifica di normativa di parte generale.
3. Il Procuratore generale presso questa Corte, nella sua articolata requisitoria scritta, ha concluso per la declaratoria d’inammissibilita’ del ricorso, sostenendo che “il dettato tassativo dell’articolo 673 c.p.p. (…) non prevede al proprio interno un esito decisorio compatibile con quanto chiesto dal ricorrente (…)”; infine, lo stesso Procuratore ha chiesto dichiararsi manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale sollevata in ricorso.
4. Nell’interesse dell’ (OMISSIS), e’ stata, infine, depositata memoria di replica alla requisitoria del Procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le ragioni che seguono.
2. Con la tesi centrale sostenuta dalla difesa del ricorrente si intenderebbe utilizzare lo strumento previsto dall’articolo 673 c.p.p., estendendolo ai casi nei quali, in virtu’ dell’ampliamento dell’area di applicazione di una scriminante – nella specie concernente la legittima difesa, a seguito delle modifiche apportate all’articolo 52 c.p. dalla L. 26 aprile 2019, n. 36, verrebbe meno l’antigiuridicita’ del fatto di reato oggetto di una condanna irrevocabile, analogamente a quanto accade in conseguenza dei fenomeni dell’abrogazione o della declaratoria di illegittimita’ costituzionale di una norma incriminatrice.
La tesi difensiva, per quanto sviluppata con argomentazioni a tratti suggestive, deve reputarsi, cosi’ come esposta nel suo assunto conclusivo, manifestamente infondata in diritto.
2.1. Occorre premettere che, in materia di abolitio criminis, resta fondamentale, per avere scolpito nitidamente la distinzione degli effetti derivanti dalla decisione di revoca della sentenza o del decreto penale di condanna, adottata dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’articolo 673 c.p.p., da quelli riconducibili alle prescrizioni dettate dall’articolo 2 c.p., comma 2 e dalla L. 11 marzo 1953, n. 87, articolo 30, la sentenza n. 96 del 25.3.1996 pronunciata dalla Corte costituzionale, con la quale venne dichiarata non fondata la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 673 citato, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 25 Cost., dal G.I.P. del Tribunale di Ascoli Piceno.
Per quel che qui esclusivamente rileva e che conserva immutata validita’ (essendo rimasto invariato il quadro normativo di riferimento), e’ sufficiente riportare il seguente brano di quella decisione, in cui cosi’ si e’ affermato: “L’articolo 673 c.p.p., sotto il titolo “Revoca della sentenza per abrogazione del reato”, ha dato vita ad un istituto del tutto nuovo nell’ordinamento positivo. Prevedendo, infatti, nel suo comma 1 che, nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimita’ costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto penale dichiarando che il fatto non e’ previsto come reato e adotta i provvedimenti conseguenti, la disposizione denunciata segna, infatti, sul piano processuale e nella specifica materia dell’abolitio criminis un reciso mutamento di tendenza rispetto alle prescrizioni dell’articolo 2 c.p., comma 2, (“Nessuno puo’ essere punito per un fatto che secondo la legge posteriore non costituisce reato; e se vi e’ stata condanna ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”) e della L. 11 marzo 1953, n. 87, articolo 30, (“Quando in applicazione di una norma dichiarata incostituzionale e’ stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali”), in base alle quali l’abolitio criminis derivante o da abrogazione della norma penale incriminatrice o da dichiarazione di illegittimita’ costituzionale della norma stessa non spiega effetti sul giudicato ma esaurisce la sua valenza demolitoria sull’esecuzione della sentenza, senza alcuna efficacia relativa alla decisione divenuta irrevocabile. Nel nuovo quadro normativo, invece, in concomitanza con i piu’ penetranti poteri riconosciuti al giudice dell’esecuzione ed in puntuale coerenza con il processo di integrale giurisdizionalizzazione di ogni momento di tale fase, governata sulla traccia delle direttive contenute nell’rt. 2, nn. 96, 97 e 98 della legge-delega, da un’accentuazione del rilievo del contraddittorio (v. anche la prima subdirettiva dell’articolo 2, numero 3, della stessa legge-delega), la decisione viene ad incidere direttamente, cancellandola, sulla sentenza del giudice della cognizione”.
2.2. Le chiare indicazioni fornite dal Giudice delle leggi nel brano ora riportato consentono di orientare con sicurezza la valutazione di questa Corte sul caso sottoposto all’odierno esame, escludendo che esso possa essere condotto a soluzione attraverso il ricorso allo strumento processuale previsto dall’articolo 673 c.p.p..
2.3. Ed invero, la situazione prospettata dal ricorrente non e’ quella della abrogazione tout court o della dichiarazione di illegittimita’ costituzionale di una norma incriminatrice, atteso che – com’e’ ovvio – la fattispecie delittuosa di tentato omicidio, per cui egli e’ stato condannato, resta tale; essa, piuttosto, ricade nell’alveo applicativo dell’articolo 2 c.p., comma 2, che, come noto, vieta che taluno possa essere punito per un “fatto” che, “secondo la legge posteriore, non costituisce reato”.
Nella specie, la nuova normativa va individuata – come gia’ accennato – nella L. 26 aprile 2019, n. 36, che ha introdotto delle ulteriori modifiche nella struttura della scriminante della legittima difesa, dopo quelle gia’ apportate all’articolo 52 c.p. dalla L. 13 febbraio 2006, n. 59 (cd. legittima difesa “domiciliare”), ampliandone l’area applicativa in modo da determinare, a date condizioni, il venir meno dell’antigiuridicita’ del fatto.
2.3.1. In proposito, e’ stato gia’ affermato da questa Corte che il principio di retroattivita’ della legge piu’ favorevole di cui all’articolo 2 c.p., comma 2, trova attuazione non soltanto nei casi in cui si verifichi l’abolitio criminis in senso proprio (con eliminazione di una fattispecie tipica di reato dal sistema penale), ma anche quando la novazione legislativa si realizzi attraverso una diversa e piu’ dettagliata descrizione del fatto di reato, ovvero mediante la previsione di una causa che conduce alla non punibilita’, cosi’ da escludere l’applicabilita’ della norma incriminatrice in talune delle ipotesi che precedentemente rientravano nella fattispecie generale.
Esso, pertanto, non puo’ non estendersi alle cause scriminanti, poiche’ queste ultime, per come dogmaticamente costruite (elementi oggettivi negativi della fattispecie criminosa), incidono direttamente sulla struttura essenziale del reato e sulla sua punibilita’, facendone venir meno il disvalore e, quindi, escludendo l’illiceita’ penale (cosi’, con specifico riguardo alla novella legislativa de qua, Sez. 1, n. 39977 del 14/5/2019, Addis, Rv. 276949 – 01; Sez. 5, n. 12727 del 19/12/2019, dep. 2020, Morabito, n. m.; v. anche Sez. 6, n. 38356 del 12/6/2014, P.G. in proc. Traviglia, Rv. 260282 – 01, con riferimento alla causa di giustificazione prevista dalla L. 3 agosto 2007, n. 124, articolo 17, comma 7, relativa alle attivita’ compiute dai soggetti che agiscono in concorso con i dipendenti dei servizi di informazione per la sicurezza).
3. Cio’ detto, venendo alla nuova formulazione dell’articolo 52 c.p., invocata dal ricorrente, non e’ superfluo dar conto di alcune recenti e condivisibili pronunce emesse da questa Corte di legittimita’ che, con riguardo alla prima modifica – costituita dall’inserimento dell’avverbio “sempre” nel testo del comma 2, precedentemente aggiunto (insieme al terzo) dalla L. n. 59 del 2006 (“Nei casi previsti dall’articolo 614, commi 1 e 2, sussiste sempre il rapporto di proporzione di cui al comma 1 del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere”: cd. legittima difesa “domiciliare”) -, ha precisato trattarsi di una parola semplicemente rafforzativa della presunzione di proporzione gia’ prevista dalla norma, e ne ha chiarito il significato complessivo nel senso che l’uso di un’arma, legittimamente detenuta, rappresenta sempre reazione proporzionata nei confronti di chi si sia illecitamente introdotto, o illecitamente si trattenga, all’interno del domicilio o dei luoghi a questo equiparati, solo “a patto che il pericolo dell’offesa ad un diritto personale o patrimoniale sia attuale e che l’impiego dell’arma sia concretamente necessario a difendere l’incolumita’ propria o altrui, ovvero anche soltanto i beni, ma, in tale ultima ipotesi, deve ricorrere un pericolo di aggressione personale e non deve esservi desistenza da parte dell’intruso” (Sez. 3, n. 49883 del 10/10/2019, Capozzo, Rv. 277419 – 01).
Quanto all’innovazione costituita dall’inserimento ex novo di un articolo 52 c.p., comma 4 a proposito del quale si e’ parlato di legittima difesa “presunta” (“Nei casi di cui al secondo e al comma 3 agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o piu’ persone”), e’ stato affermato che essa “non consente un’indiscriminata reazione contro colui che si introduca fraudolentemente nella dimora altrui, ma postula che l’intrusione sia avvenuta con violenza o con minaccia dell’uso di armi o di altri strumenti di coazione fisica, cosi’ da essere percepita dall’agente come un’aggressione, anche solo potenziale, alla propria o altrui incolumita’, atteso che solo quando l’azione sia connotata da tali note modali puo’ presumersi il rapporto di proporzione con la reazione” (Sez. 5, n. 40414 del 13/6/2019, Gueye, Rv. 277122 – 01).
3.1. Le prime interpretazioni dell’articolo 52 c.p., collegano, quindi, le due presunzioni, quella di proporzione dell’uso di arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo, e quella inerente alle stesse condizioni di sussistenza della causa di giustificazione, di cui al comma 4, alla presenza di un’offesa ingiusta che rechi pericolo attuale all’incolumita’ di colui che reagisce e/o di altri, oppure anche a beni patrimoniali, ma solo nel caso in cui vi sia contestualmente un pericolo di aggressione alle persone. Infatti, allo stesso concetto di difesa dell’incolumita’ delle persone rimandano le parole adoperate nel comma 4, che definiscono legittima la reazione dell’offeso nei confronti di chi s’introduca nell’abitazione con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica.
In proposito, e’ utile ed opportuno sottolineare che, anche in tale ultima ipotesi, il pericolo derivante dall’intrusione con violenza o realizzata da persone in senso lato armate, deve presentare il carattere dell’attualita’, essendo tale requisito sempre ritenuto necessario dalla giurisprudenza di questa Corte al fine dell’integrazione della causa di giustificazione ed essendo, del resto, essenzialmente correlata la reazione legittima ad una condotta aggressiva e/o minacciosa o in essere o concretamente imminente.
3.2. Il principio e’ stato confermato dalla gia’ richiamata Sez. 3, n. 49883/2019, che, pur avendo fatto riferimento alla diversa fattispecie di cui all’articolo 52 c.p., comma 2 si e’ inserita nel solco della precedente elaborazione giurisprudenziale inerente alla relazione di attualita’ che deve esistere tra il pericolo di un’offesa ingiusta e la reazione legittima di colui che si difende (ex multis, la gia’ citata Sez. 1, n. 48291 del 21/6/2018, Rv. 274534; in senso conforme, Sez. 5, n. 25810 del 17/5/2019, Onnis, Rv. 276129 ha di nuovo definito il pericolo attuale come pericolo in corso o, comunque, imminente e, in motivazione, ha ribadito piu’ diffusamente i principi tradizionalmente espressi da questa Corte, secondo i quali l’attualita’ del pericolo richiesta per la configurabilita’ della scriminante in esame implica un effettivo, preciso contegno del soggetto antagonista, prodromico a una determinata offesa ingiusta, che si prospetti come concreta e imminente, cosi’ da rendere necessaria l’immediata reazione difensiva ovvero implica una condizione fattuale in cui l’offesa sia gia’ iniziata e sia ancora in corso: v. anche Sez. 1, n. 48291 del 21/6/2018, Gasparini, Rv. 274534; Sez. 1, n. 6591 del 27/1/2010, Celeste, Rv. 246566).
3.2.1. Sul tema non puo’ non annotarsi, infine, come la menzionata pronuncia Sez. 5, n. 40414 del 13/6/2019, Rv. 277122, per come risulta massimata, nel riferirsi a una situazione anche solo “potenziale”, che l’agente percepisca come aggressione alla propria o altrui incolumita’, potrebbe apparire in disarmonia rispetto al suddetto consolidato orientamento, suggerendo interpretazioni estensive del legame temporale e funzionale tra pericolo di offesa ingiusta e reazione legittima, che la prevalente giurisprudenza definisce – come gia’ detto – in termini di attualita’ ed imminenza.
Sul punto, va, peraltro, rilevato che l’esame del testo della sentenza non presenta elementi ricostruttivi idonei a giustificare la suddetta dissonanza.
4. Alla stregua della premessa ricognizione normativa ed ermeneutica, deve considerarsi corretto l’approdo cui e’ pervenuto il Tribunale di Cuneo nell’escludere che, nel caso prospettato dall’ (OMISSIS), potesse attivarsi lo strumento processuale previsto dall’articolo 673 c.p.p..
Appropriato appare, fra l’altro, in un contesto di sistema, il richiamo operato dal giudice dell’esecuzione agli arresti di legittimita’ che, piu’ di recente, hanno ribadito il principio per cui detta norma prende in considerazione, quale causa di revoca della sentenza, la sola “abrogazione o dichiarazione di illegittimita’ costituzionale della norma incriminatrice” ed hanno chiarito, con riferimento alle cause di esclusione della punibilita’, che queste, presupponendo l’accertamento del reato e la riferibilita’ soggettiva all’imputato, differiscono radicalmente sia dall’abrogazione della disposizione di legge che definisce il reato e le sue implicazioni sanzionatorie, sia dalla pronuncia dichiarativa di illegittimita’ costituzionale; esse, dunque, non rientrano tra le situazioni tassative previste dall’articolo 673, dal momento che non producono l’effetto di escludere la configurabilita’ del reato e la sua dimensione storico – fattuale e la responsabilita’ risarcitoria per i pregiudizi cagionati ai terzi, che restano immutate, incidendo soltanto sulla possibilita’ di irrogare la sanzione nei confronti del suo autore (cosi’, con riferimento all’articolo 131-bis c.p., Sez. 7, n. 11833 del 26/2/2016, Rondello, Rv. 266169 01; v. anche, con riferimento alla causa di non punibilita’ contemplata dal Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 13, come riformulato dal Decreto Legislativo 24 settembre 2015, n. 158, articolo 11, Sez. 3, n. 13110 del 30/10/2017, dep. 2018, Clavarino, Rv. 272513 – 01).
Analogo discorso, sebbene per le diverse ragioni esposte in precedenza, va fatto per le cause di giustificazione che, come quelle di esclusione della punibilita’, non sono riconducibili ai fenomeni dell’abrogazione (intesa quale aboliti criminis in senso proprio) e della dichiarazione di incostituzionalita’ di norma incriminatrice disciplinati dall’articolo 673 c.p.p..
5. Nell’ipotesi di introduzione di una nuova causa di giustificazione o di ampliamento della sfera scriminante di essa, deve applicarsi – lo si ribadisce – il disposto dell’articolo 2 c.p., comma 2.
5.1. Il Tribunale di Cuneo, per il vero, ha omesso di prendere in esame l’istanza sotto questo diverso angolo prospettico.
Tuttavia, in tanto avrebbe potuto essergli mosso uno specifico rilievo sul punto, in quanto l’interessato avesse assolto l’onere di allegare, alla luce della nuova disciplina dell’articolo 52 c.p., gli elementi circostanziali della fattispecie concreta che avrebbero consentito di integrare la “nuova” legittima difesa in suo favore, siccome emersi dalle sentenze di merito e da quella della Corte di cassazione.
5.2. Tale onere non e’, in concreto, stato assolto, atteso che, nell’istanza introduttiva di incidente di esecuzione, il condannato si limita ad assumere, in base alle sentenze di merito, che la persona offesa (OMISSIS) aveva pacificamente realizzato una “intrusione” con “violenza” e che, di conseguenza, il novum normativo imponeva di ritenere la sua condotta difensiva inquadrata “nello schema disegnato dall’articolo 52”; a tale riguardo, a pag. 3 dell’istanza, si legge che, nel caso previsto dal comma 2 dell’articolo citato, “non vi e’ piu’ spazio per un ridimensionamento del giudizio di proporzionalita’ dell’uso di un’arma, essendo la medesima sempre ricorrente” e che “il richiamo operato dalla decisione della Suprema Corte al requisito della necessita’ dell’uso di un’arma non trova piu’ supporto normativo”; in ultima analisi, con l’utilizzo dell’avverbio “sempre”, il legislatore aveva “evidentemente inteso limitare il sindacato giurisdizionale alla sola verifica della ricorrenza della situazione di fatto descritta dalla norma”.
Le sintetizzate considerazioni sono, per quanto concerne la descrizione degli elementi circostanziali della fattispecie concreta, all’evidenza del tutto generiche, e, quanto ai rilievi in diritto, manifestamente infondate, alla stregua delle ragioni in precedenza esposte, che vanno richiamate e ribadite.
5.2.1. Oltretutto, anche qualora il giudice dell’esecuzione, nell’esercizio dei suoi poteri di verifica – “non rivalutativa”, ma “documentale” – della ricostruzione dei fatti emersa dalle sentenze, avesse esaminato, in particolare, la sentenza con la quale questa Corte di legittimita’ ha rigettato il ricorso dell’ (OMISSIS) (Sez. 1, n. 46121 del 20/4/2018), non avrebbe potuto che prendere atto della ritenuta esclusione, nel caso di specie, per come correttamente argomentato dai giudici di merito, sia della “necessita’” della difesa, in quanto l’imputato “non era stato vittima di un’aggressione violenta, ma aveva cercato l’avversario” brandendo un coltello (mentre lo (OMISSIS) era a mani nude), sia della “attualita’ del pericolo” per la propria o altrui incolumita’ o per i propri beni (pag. 7 della decisione citata).
6. In conclusione, alla luce delle argomentazioni svolte, il ricorso va dichiarato inammissibile, cosi’ come vanno dichiarate irrilevanti e/o manifestamente infondate le questioni di legittimita’ costituzionale: quella relativa all’articolo 2 c.p., comma 4, perche’ norma non pertinente al caso di specie, in cui rileva, invece, articolo 2, comma 2; quella relativa all’articolo 673 c.p.p., perche’ norma non estensibile ai casi di modificazione in senso ampliativo della sfera di applicazione di una scriminante, come si evince dal costante orientamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimita’, palesato anche attraverso le numerose decisioni richiamate nel presente provvedimento.
7. Dalla inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, con esonero dal versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende per la peculiarita’ e complessita’ della questione trattata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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