Corte di Cassazione, civile, Sentenza|2 febbraio 2024| n. 3092.
In caso di rovina di opere costruite nel sottosuolo in esecuzione di lavori di escavazione
In caso di rovina di opere costruite nel sottosuolo in esecuzione di lavori di escavazione oggetto di un contratto di appalto, il proprietario è responsabile, ai sensi dell’art. 840 c.c. e in via esclusiva o concorrente con l’appaltatore a seconda della sua ingerenza nei lavori medesimi con direttive più o meno vincolanti, quando, nell’esercizio delle sue facoltà di realizzare escavazioni od opere nel sottosuolo, produce un danno ai vicini; se, invece, non vi è alcun legame causale tra l’attuale esercizio delle facoltà dominicali e l’evento lesivo in quanto la rovina concerne un edificio o una costruzione preesistenti o successivi all’attività di escavazione ovvero alla realizzazione di opere nel sottosuolo, lo stesso proprietario è responsabile, ai sensi dell’art. 2053 c.c., costituendo il rilievo attribuito all’esercizio in atto delle facoltà proprietarie il discrimen tra i due diversi criteri di imputazione della responsabilità del proprietario.
Sentenza|2 febbraio 2024| n. 3092. In caso di rovina di opere costruite nel sottosuolo in esecuzione di lavori di escavazione
Data udienza 13 dicembre 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Responsabilità civile – Risarcimento danni – Presupposti – Articolo 696 cpc – Ristoro dei danni non patrimoniali – Fallimento – Interruzione del processo – Articoli 840 e 2053 cc – Danni cagionati da terzi per effetto di opere di escavazione – Articoli 2043 e 2051 cc – Responsabilità del proprietario del fondo – Articolo 2697 cc – Onere della prova – Dpr 380 del 2001 – Criteri – Motivazione del giudice di merito
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere
Dott. AMBROSI Irene – Consigliere
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere
Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere-Rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 31872/2020 R.G.,
proposto da
Cl.Do.; + Altri Omessi; elettivamente domiciliati in Roma, Via (…), presso lo Studio dell’Avv. Ma. Al. ((…);, che li rappresenta e difende, unitamente agli Avvocati Vi. Fr. ((…)) e To. Ma. ((…);, in virtù di procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
nei confronti di
(…) di Ba.Gi. & C. Sas, in persona del legale rappresentante, Ba.Gi.; Ba.Gi., in qualità di socio illimitatamente responsabile della società, nonché in qualità di erede di Ba.Ma.; Ba.Su., in qualità di erede di Ba.Ma.; elettivamente domiciliati in Roma, (…), presso lo Studio dell’Avv. Ba. Gi.; rappresentati e difesi dall’Avv. St. Go. ((…),in virtù di procura in calce al controricorso;
– contro ricorrenti –
nonché di
Eg.Fa.; rappresentato e difeso dall’Avv. Ta. Fl. ((…);, in virtù di procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
e di
Ga.Wa.; rappresentato e difeso dall’Avv. Pi. Vi. ((…);, in virtù di procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
nonché di
(…) Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimata –
per la cassazione della sentenza n. 1870/2020 della Corte D’Appello di Venezia, depositata il 21 luglio 2020, notificata il 9 ottobre 2020;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13 dicembre 2023 dal Consigliere Spaziani Paolo ;
udito l’Avv. Vi. Fr.;
udito l’Avv. Ba. Gi.;
udito l’Avv. Ma.; Ar.;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Fresa Mario, che ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti o rigettati i restanti, ribadendo le conclusioni già formulate in forma scritta.
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FATTI DI CAUSA
1. La (…) di Ba.Gi. & C. Sas, proprietaria di un immobile adibito ad attività alberghiera, appaltò all’impresa edile Ma. Srl i lavori di scavo per la realizzazione di un’autorimessa interrata nel sottosuolo.
I lavori furono iniziati sulla base di un progetto redatto dall’Ing. Eg.Fa., il quale prevedeva la realizzazione di un muro di contenimento (c.d. diaframma), funzionale ad evitare movimenti del terreno dalle zone limitrofe all’area di scavo.
Peraltro, in data 27 gennaio 2008, subito dopo la sua costruzione ” e mentre erano ancora in corso i lavori di scavo ” il muro di contenimento sotterraneo cedette sulla spinta del terreno che gravava su di esso.
Il movimento di terreno, non contenuto dal diaframma, determinò la scopertura delle fondazioni degli edifici confinanti, ed in particolare dell’immobile di proprietà di Cl.Do., Be.Za. e Fu.Do. (abitato, oltre che dai proprietari, dal coniuge di Cl.Do., Bi.St., e dai loro figli, Do.Gi. e Do.Ma.), il quale subì gravissimi danni strutturali, tanto che i dimoranti furono costretti allo sgombero.
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2. A seguito di questi fatti, i soggetti danneggiati (di seguito indicati, per brevità, come i “consorti Do.”), fatto eseguire un accertamento tecnico preventivo ai sensi dell’art.696 cod. proc. civ., convennero in giudizio risarcitorio, dinanzi al Tribunale di Venezia, Sez. distaccata di San Donà di Piave, la (…) di Ba.Gi. & C. Sas e i suoi soci illimitatamente responsabili, nonché la società appaltatrice dei lavori, Ma. Srl, il progettista dello scavo, Ing. Eg.Fa., e l’Arch. Ga.Wa., nella qualità di direttore dei lavori, chiedendone la condanna solidale al risarcimento del danno in forma specifica o, in subordine, per equivalente, oltre che al ristoro dei danni non patrimoniali.
Costituitisi i convenuti, autorizzata la chiamata in causa della (…) Spa, operata dall’Arch. Ga.Wa., dichiarata l’interruzione del processo nei confronti della Ma. Srl, per sopravvenuto fallimento, e proseguito il giudizio nei confronti delle altre parti, il Tribunale di Venezia, Sez. distaccata di San Donà di Piave, accertata in via meramente incidentale la responsabilità dell’impresa appaltatrice, accolse la domanda risarcitoria esclusivamente nei confronti dell’Ing. Ba., in ragione delle carenze riscontrate nel progetto strutturale relativo allo scavo, rigettandola sia nei confronti dell’Arch. Ga.Wa. (sul rilievo che non avesse svolto attività di direzione dei lavori rispetto all’attività di scavo), sia nei confronti della proprietaria dell’immobile, per la ritenuta applicabilità dell’art.840 cod. civ. (e del criterio di imputazione di responsabilità da esso previsto, basato sulla colpa, nella specie reputata mancante) in luogo dell’invocato art.2053 cod. civ.
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3. La sentenza di prime cure fu appellata sia, in via principale, dall’Ing. Eg.Fa. sia, in via incidentale, dai consorti Do.@, i quali tornarono ad invocare la condanna, oltre che dell’ingegnere progettista, anche dell’architetto direttore dei lavori, nonché della società proprietaria dell’immobile; con riguardo a quest’ultima, ribadirono che essa avrebbe dovuto rispondere, oltre che ai sensi dell’art.840 cod. civ., anche ai sensi dell’art. 2053 cod. civ., atteso che nella fattispecie si era verificata la rovina di una costruzione (il muro di contenimento) realizzata nel sottosuolo durante lo scavo.
La Corte d’appello di Venezia ha accolto l’appello principale e ha rigettato quello incidentale, escludendo la responsabilità di tutti i convenuti, salva quella ” accertata in via meramente incidentale ” dell’impresa esecutrice dei lavori.
La Corte territoriale ha deciso sulla base dei seguenti rilievi:
– con riguardo all’Ing. Eg.Fa., se da un lato risultava provata ” all’esito delle consulenza tecnica svolta nel procedimento penale per il reato di disastro colposo, cui il professionista era stato precedentemente sottoposto con esito assolutorio ” la non adeguatezza del progetto strutturale relativo allo scavo (i cui elaborati, corredati da due tavole, erano stati depositati presso gli uffici comunali dall’impresa appaltatrice il 29 gennaio 2008), dall’altro lato, doveva ritenersi altresì dimostrata la circostanza che tali elaborati erano stati depositati dall’appaltatrice non solo tardivamente (due giorni dopo il crollo) ma altresì in forma incompleta, poiché il progetto redatto dal professionista ” e da questi prodotto in giudizio ” era in realtà corredato da tre tavole, l’ultima delle quali prevedeva i “rinforzi” necessari a rendere idoneo il diaframma progettato alla funzione di sostegno delle pareti perimetrali della costruenda autorimessa; sebbene fosse restata incerta la circostanza se la terza tavola del progetto fosse stata già realizzata al momento dello scavo e tempestivamente consegnata all’impresa esecutrice dei lavori (ma dalla deposizione testimoniale del geometra di cantiere e da una nota indirizzata dallo stesso Ing. Eg.Fa. al Comune il 5 febbraio 2008 potevano trarsi elementi in tal senso), tuttavia era stato altresì provato che l’incarico professionale conferito al professionista aveva ad oggetto la sola progettazione (non anche la direzione dei lavori con riguardo alle opere di scavo), sicché doveva escludersi la sua responsabilità per i danni subiti dai Do., non potendo egli essere chiamato a rispondere del fatto che l’impresa appaltatrice non si era attenuta al progetto completo eventualmente messole a disposizione;
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– con riguardo alla società proprietaria dell’immobile nel cui sottosuolo erano stati svolti i lavori, doveva condividersi la statuizione del giudice di primo grado, avuto riguardo al principio secondo il quale, in caso di danni cagionati a terzi per effetto di opere di escavazione, la responsabilità del proprietario del fondo, che trova fondamento nell’art. 840 cod. civ., non opera in senso oggettivo, ma richiede una condotta colposa, sicché, nell’ipotesi in cui i lavori di escavazione siano affidati in appalto, sarebbe l’appaltatore ad essere di regola l’esclusivo responsabile dei danni cagionati a terzi nell’esecuzione dell’opera, salva la prova ” nella specie mancante ” che il committente abbia, in base al contratto di appalto, la possibilità di impartire prescrizioni o di intervenire per richiedere il rispetto delle normative di sicurezza e che se ne sia avvalso per imporre particolari modalità di esecuzione o, in genere, direttive vincolanti che abbiano ridotto o addirittura eliminato l’autonomia dell’appaltatore (sono state citate, tra le altre, le pronunce di questa Corte nn. 6296 del 2013 e 538 del 2012);
– con riguardo, infine, all’Arch. Ga.Wa., l’assunto attoreo, secondo cui egli aveva acquisito, in via generale, la qualità di direttore dei lavori, era smentito dalla Denuncia di Inizio di Attività (D.I.A.) depositata il 1° dicembre 2006, nonché dal disciplinare di incarico professionale del 15 aprile successivo, da cui risultava, al contrario, che egli aveva ricoperto i ruoli di progettista e direttore dei lavori solo con riguardo alle attività aventi ad oggetto “la realizzazione di una nuova residenza turistica alberghiera”, ma non anche in ordine alle opere in cemento armato o acciaio e alle “opere provvisionali di contenimento dei terreni e fabbricati limitrofi”, in relazione alle quali, invece, era stato espressamente previsto che la committente avrebbe dovuto incaricare della progettazione e direzione dei lavori altri professionisti; inoltre, nella comunicazione assunta al protocollo del Comune, la qualità di direttore dei lavori dell’Arch. Ga.Wa. era circoscritta alle opere di costruzione dell’autorimessa e non risultava estesa ai preliminari lavori di escavazione, per i quali era stato convenuto che la realizzazione del progetto strutturale e la direzione dei lavori fossero affidati ad altro professionista; pertanto, analogamente a quanto era emerso per l’Ing. Eg.Fa., anche con riguardo all’Arch. Ga.Wa. non era stata raggiunta la prova dell’assunzione della qualità di direttore dei lavori in ordine alle opere attinenti allo scavo, sicché anche la responsabilità di questo secondo professionista doveva essere esclusa, residuando soltanto quella della Ma. Srl
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4. Propongono ricorso per cassazione i consorti Do.@, sulla base di diciannove motivi. Rispondono con controricorso la (…) di Ba.Gi. & C. Sas, Ba.Gi., quale socio illimitatamente responsabile della società e quale erede di Ba.Ma., nonché Ba.Su., anch’essa in qualità di erede di Ba.Ma. Rispondono altresì, con distinti controricorsi, i professionisti Eg.Fa. e Ga.Wa. Non svolge difese l’intimata (…) Spa
La trattazione del ricorso, originariamente fissata in adunanza camerale (in vista della quale tutte le parti costituite avevano depositato memoria), è stata rinviata alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria 7 agosto 2023, n. 24044.
Il Procuratore Generale, anticipando le medesime richieste formulate in udienza, ha depositato memoria con conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento o rigetto dei restanti motivi.
Le parti costituite, ad eccezione di Eg.Fa., hanno depositato ulteriore memoria per l’udienza.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I primi sei motivi di ricorso censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la responsabilità della (…) di Ba.Gi. & C. Sas, società proprietaria dell’immobile nel cui sottosuolo erano stati eseguiti i lavori di escavazione, nonché di Ba.Gi. e di Ba.Su., il primo nella duplice qualità di socio illimitatamente responsabile della predetta società e di erede di Ba.Ma., la seconda nella sola qualità di erede di quest’ultimo.
1.1. Il primo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art.2053 cod. civ., per non avere la Corte di merito fatto applicazione del relativo criterio di imputazione di responsabilità speciale, non ostante l’evidente sussumibilità della fattispecie concreta in quella astratta contemplata da tale disposizione e sebbene l’applicabilità della stessa fosse stata invocata dai ricorrenti sia in primo grado che in appello.
1.2. Il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art.2051 cod. civ., norma che si porrebbe in rapporto di specie a genere rispetto all’art. 2053 cod. civ.
1.3. Il terzo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 cod. civ. (nonché degli artt.: 112 cod. proc. civ.; 4 e 5 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, All. E; 10, 22 e 23 del Testo Unico dell’Edilizia di cui al D.P.R. n.380 del 2001), sul presupposto che la sentenza impugnata avrebbe comunque falsamente applicato il disposto dell’art.2043 cod. civ., perché la colpa della committente sarebbe stata ravvisabile nella violazione delle norme edilizie.
1.4. Il quarto motivo denuncia l’omesso esame del fatto decisivo e controverso della nullità della Denuncia d’Inizio di Attività (D.I.A.), la cui debita considerazione avrebbe necessariamente indotto a formulare un giudizio di colpa per violazione di norme di legge in capo alla società committente.
1.5. Il quinto motivo denuncia nullità della sentenza per illogicità e intrinseca contraddittorietà della motivazione, sul rilievo che essa, da un lato, avrebbe affermato l’assenza di un direttore dei lavori con riguardo alle opere di escavazione, mentre, dall’altro lato, avrebbe escluso la responsabilità dei committenti per assenza di colpa.
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1.6. Il sesto motivo denuncia l’omesso esame del fatto storico decisivo della mancanza di un direttore dei lavori in relazione alle opere strutturali, la cui debita considerazione avrebbe necessariamente indotto ad affermare la responsabilità dei proprietari committenti per violazione della normativa edilizia, la quale prevede la nomina obbligatoria del direttore dei lavori.
2. I secondi sei motivi di ricorso censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la responsabilità dell’Ing. Eg.Fa.
2.1. Il settimo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1669 cod. civ. (norma applicabile, oltre che all’appaltatore, anche al direttore dei lavori e al progettista), per essere stato disatteso il regime di riparto dell’onere probatorio da essa stabilito, particolarmente in ordine alla presunzione di colpa posta a carico dei predetti soggetti.
2.2. L’ottavo motivo denuncia l’omesso esame del fatto storico decisivo costituito dalla inadeguatezza del progetto redatto dall’Ing. Eg.Fa., a prescindere o meno dai “rinforzi” del c.d. diaframma, previsti dalla terza tavola da cui esso progetto sarebbe stato corredato.
2.3. Il nono motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché dell’art.2697 cod. civ., dell’art.24 Cost. e degli artt. 64, 65 e 29 del Testo Unico dell’Edilizia di cui al D.P.R. n.380 del 2001, per avere la Corte di merito omesso di considerare che la normativa edilizia attribuisce al deposito degli elaborati progettuali presso gli uffici pubblici uno specifico effetto giuridico consistente nell’assunzione, in capo al progettista, di un ruolo pubblico di garanzia di conformità a legge dell’attività esercitata, e per avere, inoltre, ritenuto opponibile ai ricorrenti un documento rispetto al quale essi si ponevano in posizione di terzietà, in violazione dell’art. 24 Cost.
2.4. il decimo motivo denuncia la nullità della sentenza per illogicità e intrinseca contraddittorietà della motivazione, atteso che la Corte territoriale, pur avendo dato atto del deposito e protocollazione degli elaborati progettuali presso gli uffici della pubblica amministrazione, non ne avrebbe fatto discendere l’opponibilità in confronto del loro autore.
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2.5. L’undicesimo motivo denuncia l’omesso esame del fatto storico decisivo costituito dall’avvenuto deposito degli elaborati progettuali “senza rinforzi”, timbrati e sottoscritti (con sottoscrizioni non disconosciute) dall’Ing. Eg.Fa.
2.6. Il dodicesimo motivo denuncia la nullità della sentenza per illogicità e intrinseca contraddittorietà della motivazione, atteso che la Corte d’appello, pur dando conto della inadeguatezza del progetto strutturale, ha nondimeno escluso la responsabilità del progettista.
3. Gli ultimi sette motivi censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la responsabilità dell’Arch. Ga.Wa.
3.1. Il tredicesimo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché dell’art.2697 cod. civ., perché la Corte di merito non avrebbe valutato la prova legale consistente nell’ammissione del detto professionista di avere assunto la qualifica di direttore dei lavori con riferimento alle opere strutturali.
3.2. Il quattordicesimo motivo denuncia la nullità della sentenza per illogicità e intrinseca contraddittorietà della motivazione, avendo essa liberamente apprezzato la predetta ammissione, soggetta, invece, ad una specifica regola di valutazione quale prova legale.
3.3. Il quindicesimo motivo denuncia l’omesso esame del fatto storico decisivo costituito dall’espresso riconoscimento, da parte dell’Arch. Ga.Wa., della sua qualità di direttore dei lavori con riguardo alle opere strutturali.
3.4. Il sedicesimo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché dell’art. 2697 cod. civ., per avere la Corte di merito omesso di considerare l’effetto giuridico (consistente nell’assunzione di un ruolo pubblico di garanzia di conformità a legge dell’attività esercitata), attribuito dalla normativa edilizia alla denuncia del 3 dicembre 2007, in cui l’Arch. Ga.Wa. era stato indicato quale “Direttore dei lavori relativi alle strutture”.
3.5. Il diciassettesimo motivo denuncia la nullità della sentenza per illogicità e intrinseca contraddittorietà della motivazione, per avere la Corte d’appello liberamente apprezzato il predetto documento, soggetto, invece, ad una specifica regola di valutazione quale prova legale.
3.6. Il diciottesimo motivo denuncia l’omesso esame del fatto storico decisivo, costituito dall’avvenuto deposito, presso la pubblica amministrazione, della citata denuncia del 3 dicembre 2007.
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3.7. Il diciannovesimo motivo denuncia la nullità della sentenza per illogicità e intrinseca contraddittorietà della motivazione, in quanto la Corte territoriale, mentre, da un lato, ha affermato che la denuncia del 3 dicembre 2007, nell’indicare l’Arch. Ga.Wa. quale direttore dei lavori, si sarebbe riferita alle sole opere di costruzione dell’autorimessa, dall’altro lato ha escluso che essa comunicazione fosse riferibile anche al diaframma, il quale ne costituiva, peraltro, uno dei muri perimetrali.
4. Il primo motivo di ricorso pone il problema dei rapporti tra l’art.840 cod. civ. e l’art.2053 cod. civ.
4.1. Quest’ultima disposizione, con riguardo alla fattispecie della rovina di un edificio o di altra costruzione, pone a carico del proprietario la responsabilità per i danni cagionati a terzi, secondo un criterio di imputazione oggettivo, il quale ammette, in funzione liberatoria, la sola dimostrazione che la rovina non sia dovuta a vizi di costruzione o a difetto di manutenzione, bensì ad un fatto dotato di efficacia causale autonoma, peraltro comprensivo del fatto del terzo o del danneggiato, ancorché non imprevedibile ed inevitabile (ex aliis, Cass. 21/01/2010, n.1002; Cass. 26/05/2020, n. 9694; da ultimo, cfr. Cass. 21/02/2023, n.5368).
L’art.840 cod. civ., invece, con riguardo alla fattispecie in cui i danni siano derivati dall’attività di escavazione e dall’esecuzione di opere nel sottosuolo, pone a carico del proprietario del fondo una responsabilità che non opera in senso oggettivo, ma postula l’accertamento di una sua condotta colposa, che abbia causato l’evento dannoso.
4.2. Secondo i ricorrenti, diversamente da quanto ritenuto dal giudice del merito, che ha reputato applicabile esclusivamente l’art.840 cod. civ., la fattispecie in esame rientrerebbe nell’orbita di operatività (anche) dell’art. 2053 cod. civ., atteso che, in esecuzione dell’appalto affidatole dalla società (…) di Ba.Gi. & C. Sas, la Ma. Srl, impresa appaltatrice, nello svolgimento dei lavori di scavo nel sottosuolo di proprietà della committente, aveva costruito un muro di contenimento, il quale, subito dopo essere stato realizzato, era crollato sotto la spinta del terreno che gravava su di esso: da un lato, infatti, il muro di contenimento in questione era costituito da una paratia in cemento armato destinata, non a fungere da mera opera provvisionale, bensì a divenire muro perimetrale della costruenda autorimessa, sicché esso sarebbe rientrato nella nozione di “edificio” di cui alla disposizione in parola; dall’altro lato, il suo cedimento, verificatosi per l’inadeguatezza del progetto strutturale, avrebbe integrato la nozione di “rovina”, pure contemplata dalla medesima disposizione.
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5. Il motivo è infondato.
5.1. In ordine ai contorni fattuali della fattispecie, va premesso che, al di là delle apparentemente contrastanti allegazioni delle parti (i ricorrenti, come si è veduto, hanno dedotto che il diaframma di contenimento di cui si tratta era destinato a divenire, “una volta completata l’opera”, muro perimetrale della costruenda autorimessa interrata: p. 10 del ricorso; i controricorrenti hanno invece sostenuto che esso altro non rappresentava “se non una paratia in forma provvisionale alla costruzione vera e propria”: p. 9 del controricorso della società proprietaria), può ritenersi comunque accertato, alla stregua della risultanze in fatto del giudizio di merito, che il muro di contenimento realizzato dalla Ma. Srl, in occasione della esecuzione degli appaltati lavori di escavazione, fosse un’opera avente funzione e struttura provvisorie, la prima essendo diretta ad evitare movimenti del terreno dalle zone limitrofe all’area di scavo; la seconda essendo destinata, se non ad essere rimossa, ad essere comunque integrata nella struttura definitiva della realizzanda autorimessa.
5.2. Tanto premesso in fatto, va anzitutto ricordato, in diritto, che, in tema di danni cagionati a terzi dall’esecuzione di opere appaltate, si applica il principio per cui risponde il solo appaltatore, ove abbia operato in autonomia con propria organizzazione e apprestando i mezzi a ciò necessari, e il solo committente, nel caso in cui si sia ingerito nei lavori con direttive vincolanti, che abbiano ridotto l’appaltatore al rango di nudus minister, mentre rispondono entrambi, in solido, qualora la suddetta ingerenza si sia manifestata attraverso direttive che abbiano soltanto ridotto l’autonomia dell’appaltatore (ex aliis, Cass. 24/04/2019, n. 11194).
5.3. Questa regola trova applicazione non solo quando il proprietario-committente dia in appalto lavori od opere da eseguire sopra il suolo, bensì anche quando dia in appalto lavori di escavazione nel proprio sottosuolo, avuto riguardo al principio per cui la proprietà del suolo, con le facoltà ad essa connesse, si estende al sottosuolo, ai sensi dell’art.840 cod. civ.
Al riguardo, questa Corte ha infatti affermato che la responsabilità del proprietario di un fondo per i danni derivanti da attività di escavazione, ex art. 840 cod. civ., non opera in senso oggettivo, ma richiede una condotta colposa, sicché, nell’ipotesi in cui i lavori di escavazione siano affidati in appalto, è l’appaltatore ad essere, di regola, l’esclusivo responsabile dei danni cagionati a terzi nell’esecuzione dell’opera, salvo che non risulti accertato che il proprietario committente, avendo – in forza del contratto di appalto ” la possibilità di impartire prescrizioni o di intervenire per richiedere il rispetto delle normative di sicurezza, se ne sia avvalso per imporre particolari modalità di esecuzione o particolari accorgimenti antinfortunistici che siano stati causa (diretta o indiretta) del sinistro, nel qual caso la responsabilità dell’appaltatore verso il terzo danneggiato può aggiungersi a quella del proprietario, ma non sostituirla o eliminarla (Cass.12/03/2021, n. 7027; tra le meno recenti, v. Cass. 17/01/2012, n.538; Cass. 25/09/2012, n. 15254; Cass. 13/03/2013, n. 6296; da ultimo, cfr. Cass. 11/12/2023, n. 34530).
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5.4. Peraltro, l’art.840 cod. civ. attribuisce al proprietario la facoltà di fare nel sottosuolo non solo qualsiasi “escavazione”, ma anche qualsiasi “opera”, che non rechi danno al vicino.
La norma in esame, nel porre sul medesimo piano le due diverse facoltà del proprietario con riguardo al sottosuolo, postula un trattamento uniforme delle due fattispecie, quanto alla disciplina della responsabilità verso i vicini del proprietario-committente in caso di lavori dati in appalto.
È, dunque, evidente che la regola sopra ricordata, in ordine ai criteri di imputazione della responsabilità dell’appaltatore e/o del proprietario per i pregiudizi sofferti da terzi, deve valere non soltanto per i danni derivanti dalle attività di “mera escavazione” ma anche per quelli derivanti dalla realizzazione delle “opere” nel sottosuolo in esecuzione dell’appalto.
5.5. Questi rilievi inducono ad escludere che nell’ipotesi di danni derivanti dall’esecuzione di costruzioni in occasione di scavi nel sottosuolo, anche quando essi siano determinati dalla “rovina” della costruzione medesima, trovi sempre applicazione l’art. 2053 cod. civ.
Tale semplicistica soluzione, infatti, avrebbe un effetto parzialmente abrogante della disposizione dell’art. 840 cod. civ., perché, sostituendo al criterio di imputazione soggettivo previsto dalla norma in tema di proprietà il diverso criterio di imputazione oggettivo stabilito dalla norma in tema di illecito aquiliano, ne limiterebbe la portata ai casi di mera escavazione, facendola venir meno per quelli in cui all’escavazione si accompagni l’esecuzione di opere nel sottosuolo.
Al riguardo, non appare condivisibile l’osservazione del Procuratore Generale, secondo la quale l’art. 840 cod. civ. conserverebbe anche con riguardo a queste ipotesi un proprio ambito di operatività, tutte le volte in cui il danno non sia la conseguenza di una “rovina” in senso tecnico. A tale osservazione è infatti agevole replicare che nella giurisprudenza di questa Corte è prevalsa una concezione ampia della nozione di “rovina”, rilevante ai sensi dell’art. 2053 cod. civ., nella quale rientra ogni disgregazione, sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione, ovvero degli elementi accessori in essa
stabilmente incorporati (v., ex aliis, Cass. 29/03/2007, n. 7755 e Cass. 12711/2009, n. 23939).
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5.6. Oltre a dimidiare il contenuto precettivo dell’art. 840 cod. civ., la soluzione che predicasse l’indiscriminata applicazione dell’art. 2053 cod. civ. quale criterio di imputazione della responsabilità del proprietario-committente nel caso di danni da lavori svolti nel sottosuolo in esecuzione dell’appalto, frustrerebbe l’esigenza di uniformità di trattamento postulata dalla prima disposizione in ordine alle due fattispecie della mera escavazione e della realizzazione di opere, quali oggetto di paritetiche facoltà del diritto del proprietario di godimento del sottosuolo.
Entrambe le facoltà, infatti, trovano il proprio identico limite nell’impossibilità di recare danno ai propri vicini, sicché è evidente che, nell’ipotesi in cui questo limite sia violato, la responsabilità del proprietario, nelle due ipotesi, deve essere fondata sul medesimo criterio di imputazione.
5.7. Infine, l’interpretazione estensiva della portata dell’art. 2053 cod. civ., oltre a contravvenire all’esigenza di uniformità di trattamento delle due fattispecie contemplate nell’art.840 cod. civ., quanto alla disciplina della responsabilità verso i terzi del proprietario-committente, lederebbe anche quella, ancor più evidente, che la fattispecie dei lavori e delle opere appaltate nel sottosuolo sia trattata in maniera uniforme a quella delle opere e dei lavori appaltati nel soprasuolo; effetto, quest’ultimo, che esporrebbe la norma così interpretata ad un rilievo di illegittimità costituzionale per irragionevolezza, avuto riguardo al trattamento differenziato di situazioni analoghe, quali quelle dell’esercizio delle facoltà proprietarie sul suolo e nel sottosuolo, a cui si estende con la medesima pienezza il diritto dominicale.
5.8. Deve dunque accedersi ad una ricognizione dei rapporti tra l’art. 840 e l’art. 2053 cod. civ., nell’ipotesi di rovina di opere costruite nel sottosuolo in esecuzione di lavori di escavazione oggetto di un contratto di appalto, che tenga conto delle dette esigenze, circoscrivendo l’applicazione del criterio di imputazione oggettivo della responsabilità del proprietario, previsto dalla seconda disposizione, in modo da non ledere la necessità che sia assicurata al criterio soggettivo stabilito dalla prima lo spazio applicativo necessario ad un trattamento uniforme delle due fattispecie da essa contemplate.
In caso di rovina di opere costruite nel sottosuolo in esecuzione di lavori di escavazione
Al riguardo, ove si tenga conto della diversa collocazione delle due norme e della loro differente funzione, deve escludersi l’applicabilità dell’art.2053 cod. civ. ” in favore di quella dell’art. 840 cod. civ. ” in tutte le ipotesi in cui assuma rilievo causale nella determinazione dell’evento dannoso l’attuale esercizio da parte del proprietario delle facoltà che costituiscono manifestazione del diritto di proprietà nei rapporti di vicinato.
Dunque, se nell’esercizio attuale delle facoltà del proprietario di realizzare escavazioni od opere nel sottosuolo, si producono danni ai vicini, in violazione del disposto dell’art.840 cod. civ., il proprietario deve ritenersi obbligato al risarcimento secondo gli ordinari criteri di imputazione della responsabilità; in tal caso, se i lavori sono stati appaltati, deve trovare applicazione il consolidato principio secondo il quale la responsabilità del proprietario, in via esclusiva o concorrente con quella dell’appaltatore, postula l’accertamento della sua ingerenza nei lavori medesimi con direttive più o meno vincolanti.
Se, invece, se non vi è alcun legame causale tra l’attuale esercizio delle facoltà del proprietario del fondo e l’evento lesivo, poiché la rovina concerne un edificio o una costruzione preesistenti o successivi all’attività di escavazione o alla realizzazione di opere nel sottosuolo, deve trovare applicazione l’art. 2053 cod. civ., di talché il proprietario risponde dei danni che ne sono conseguiti in capo ai terzi secondo un criterio di imputazione di carattere oggettivo, a prescindere dalla sua eventuale condotta colposa.
5.9. Il rilievo attribuito all’esercizio in atto delle facoltà proprietarie in funzione del discrimen tra i due diversi criteri di imputazione della responsabilità del proprietario esclude che, ai fini della definizione dei rapporti tra le due disposizioni, l’opus debba essere considerata in termini complessivi ed unitari, assumendo rilievo anche le singole parti di essa, purché distintamente individuabili ed aventi autonoma funzione e struttura.
Pertanto, mentre il criterio di imputazione ordinario di cui all’art. 840 cod. civ. trova applicazione durante l’attività di escavazione o di esecuzione dell’opera, la rovina della stessa dopo il suo completamento, o anche la rovina di singole parti strutturalmente e funzionalmente autonome, se già terminate, attribuisce ai terzi danneggiati l’azione di responsabilità ex art.2053 cod. civ.
5.10. Giova osservare che con la prospettata soluzione non si pone in contrasto la pronuncia di questa Corte n. 22226 del 17 ottobre 2006, evocata anche dal Procuratore Generale per sostenere la diversa tesi del generale concorso tra le due norme codicistiche.
Questa pronuncia, infatti, nell’affermare la responsabilità del proprietario di un fondo ai sensi dell’art.840 cod. civ., nonché, nel caso di rovina di edificio o di altra costruzione, ai sensi dell’art.2053 cod. civ., per i danni arrecati a terzi a seguito di opere o di escavazioni nel proprio fondo, indipendentemente dalla responsabilità dell’appaltatore che abbia eseguito tali lavori, non si è occupata di definire i rapporti tra le due norme, ma si è limitata a fare applicazione dell’enunciato principio in una fattispecie in cui la costruzione appaltata (muro di confine in blocchi di cemento), avente specifica funzione e struttura, era franata dopo essere stata realizzata.
5.10. Nel caso di specie, come si è veduto, alla stregua delle risultanze dell’accertamento di merito, la rovina ha interessato un muro di contenimento, realizzato per evitare movimenti del terreno dalle zone limitrofe all’area dei lavori di scavo e destinato, al termine di tali lavori, se non alla rimozione, ad essere comunque integrato nella struttura definitiva della realizzanda autorimessa.
Viene in considerazione, dunque, se non una mera opera provvisionale, comunque una parte non dotata di autonomia funzionale e strutturale, la cui rovina si era verificata nel mentre erano in corso i lavori appaltati.
Correttamente, dunque, il giudice del merito ha fatto applicazione del criterio di imputazione soggettivo di cui all’art. 840 cod. proc. civ., (in luogo di quello oggettivo di cui all’art.2053 cod. civ.), e del correlato principio per cui la responsabilità del proprietario-committente esige l’accertamento di una condotta di ingerenza colposa nei lavori appaltati; condotta che, nella specie, è stata reputata insussistente all’esito dell’accertamento di merito.
In caso di rovina di opere costruite nel sottosuolo in esecuzione di lavori di escavazione
Il primo motivo di ricorso va dunque rigettato.
6. Gli altri motivi sono inammissibili.
6.1. La censura per violazione dell’art. 2051 cod. civ. non può essere delibata nel merito per novità della questione, la cui posizione, tra l’altro, non si traduce nella necessaria critica a nessuno specifico capo della decisione impugnata.
6.2. Le altre censure, ad onta della formale intestazione ” con cui vengono dedotte violazioni di norme del diritto, omesso esame di fatti decisivi e controversi e vizi di motivazione ” attengono nella sostanza a profili di fatto, risolvendosi, di volta in volta: a) nella critica del giudizio sull’assenza di colpa della proprietaria-committente; b) nella critica al giudizio di esclusione della responsabilità del progettista, Ing. Ba., fondato sull’incertezza della prova in ordine alla corrispondenza tra il progetto (incompleto) depositato dalla Ma. Srl presso gli uffici comunali e quello da lui messo a disposizione della impresa esecutrice, nonché sul rilievo di elementi di prova (deposizione testimoniale del geometra di cantiere; nota del 5 febbraio 2008 inviata dal professionista al Comune) che inducevano a ritenere che egli aveva portato in cantiere il progetto completo ed adeguato; c) e nella critica del giudizio diretto ad escludere la prova che l’Arch. Ga.Wa., alla medesima stregua dell’Ing. Eg.Fa., avesse assunto la qualità di direttore dei lavori di escavazione e delle opere ad essi accessorie.
Tali motivi, complessivamente considerati, tendono invero a provocare dalla Corte di cassazione una ricostruzione dei fatti e una lettura delle risultanze istruttorie diversa da quella fornita dal giudice di appello, omettendo di considerare che sia l’uno che l’altro apprezzamento sono riservati al giudice del merito cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 04/07/2017, n. 16467; Cass.23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).
6.3. Quanto ai motivi con cui si denunciano vizi motivazionali, è appena il caso di aggiungere che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla verifica del rispetto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132 n.4 cod. proc. civ., la cui violazione ” deducibile in Cassazione quale nullità processuale ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. ” sussiste qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: lacune all’evidenza non sussistenti nella sentenza impugnata (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass. 12/10/2017, n. 23940; Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 03/03/2022, n. 7090).
6.4. Infine, quanto alla censura per omessa valutazione o libero apprezzamento della prova legale confessoria, consistente nell’ammissione asseritamente compiuta dall’Ing. Ga.Wa. di avere assunto la qualità di direttore dei lavori con riferimento alle opere strutturali, la declaratoria di inammissibilità trova fondamento, oltre che nella condivisione del rilievo ” correttamente formulato dal Procuratore Generale ” di difetto di autosufficienza del ricorso sul punto (per mancata indicazione della sedes processuale in cui rinvenire le predette dichiarazioni, non trascritte nell’atto), anche nell’ulteriore rilievo per cui la confessione può avere ad oggetto circostanze di fatto, non situazioni o qualità giuridiche (Cass. 23/05/2023, n.14228).
In caso di rovina di opere costruite nel sottosuolo in esecuzione di lavori di escavazione
7. In definitiva, il ricorso va rigettato.
8. La novità della questione posta con il primo motivo giustifica l’integrale compensazione, tra tutte le parti costituite, delle spese del giudizio di legittimità.
9. Avuto riguardo al tenore della pronuncia, va dato atto ” ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 ” della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità tra tutte le parti costituite.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 13 dicembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2024.
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