L’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 3020.

L’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo

L’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo, ancorché di entità tale da assorbirne, se fatta valere, l’intero valore” non esclude l’eventus damni, atteso che la valutazione tanto della idoneità dell’atto dispositivo a costituire un pregiudizio, quanto della possibile incidenza, sul valore del bene, della causa di prelazione connessa alla ipoteca, va compiuta con riferimento non al momento del compimento dell’atto, ma con giudizio prognostico proiettato verso il futuro, per apprezzare l’eventualità del venir meno, o di un ridimensionamento, della garanzia ipotecaria.

Ordinanza|| n. 3020. L’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo

Data udienza 8 gennaio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Azione revocatoria – Costituzione di fondo patrimoniale – Superamento dei imiti di cui all’art. 170 cod.civ. – Atti aventi un profondo valore etico e morale – Assoggettabilità ad azione revocatoria – Cass. 2904/2021 – Esistenza di un’ipoteca sul bene – Irrilevanza ai fini della ricorrenza dell’”eventus damni” – Sentenza dichiarativa dell’inefficacia dell’atto dispositivo nei confronti del creditore – Titolo sufficiente per l’esecuzione nei confronti del terzo – Esclusione – Accertamento dell’esistenza del credito in altra causa – Necessità

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. TASSONE Stefania – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere – Rel.

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12974/2021 R.G. proposto da:

Fr.Al. e Ma.Ma., elettivamente domiciliati in ROM, VIA (…), presso lo studio dell’avvocato Ro.De. (Omissis), rappresentati e difesi dall’avvocato Am.Gi. (Omissis);

– ricorrenti –

contro

Ro.An.;

– intimato –

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 1866/2020 depositata il 03/11/2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/01/2024 dal Consigliere MARILENA GORGONI.

L’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo

RILEVATO IN FATTO CHE

Ro.An. conveniva, davanti al Tribunale di Siracusa, Fr.Al., per far revocare e dichiarare inefficaci, ai sensi dell’art. 2901 cod.civ., l’atto di costituzione del fondo patrimoniale nel quale era stata fatta confluire la metà indivisa dell’immobile sito a S;

il giudice ordinava l’integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario, Ma.Ma., che si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda attorea;

all’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni del 9/10/18 si costituiva anche Fr.Al., il quale denunciava il difetto dei presupposti previsti dalla legge per l’accoglimento della domanda ex art. 2901 cod.civ.;

il Tribunale di Siracusa, con la sentenza n. 482/19, accoglieva la domanda dell’attore e dichiarava inefficace l’atto di costituzione del fondo patrimoniale stipulato in data 18 gennaio 2011;

con separati atti, Ma.Ma. e Fr.Al. impugnavano la suddetta decisione dinanzi alla Corte di Appello di Catania, la quale con la sentenza n. 1866/20, pubblicata il 3/5/2021, ha rigettato entrambi gli appelli, dopo averne disposto la riunione ;

segnatamente – per quanto rileva in questa sede – ha rigettato l’eccezione di prescrizione sollevata da Ma.Ma., ha ritenuto provate le ragioni di credito che l’appellato aveva inteso tutelare con l’azione revocatoria, le ha considerate sorte anteriormente alla data di stipulazione dell’impugnato atto di costituzione di fondo patrimoniale, ha considerato legittimo l’esercizio dell’azione revocatoria nei confronti dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale, essendo l’obbligazione di Fr.Al. sorta per scopi estranei ai bisogni della famiglia, ha escluso la necessità che il credito fosse già certo e determinato nel suo ammontare (essendo sufficiente una ragione di credito anche eventuale) e che il credito posto a base dell’azione revocatoria fosse stato preliminarmente (e definitivamente) accertato in (altra) sede giudiziaria; ha riconosciuto la sussistenza dell’eventus damni, atteso che la creazione (a titolo gratuito) di un vincolo reale di destinazione e di indisponibilità (operante nei confronti dei titolari di crediti che essi conoscevano essere sorti per scopi estranei ai bisogni della famiglia) sull’unico bene immobile di proprietà di Fr.Al. aveva inciso negativamente sulla possibilità di effettivo soddisfacimento del credito di Ro.An.; ha osservato che era sufficiente la ricorrenza della scientia damni da parte del coniuge debitore ed irrilevante l’eventuale mancanza del consilium fraudis in capo all’altro coniuge, la cui posizione ha considerato assimilabile a quella del terzo per la revocatoria degli atti a titolo gratuito ex art. 2901 cod.civ. (Cass. n. 15917/2006); ha rigettato il motivo di appello con cui veniva lamentata l’erroneità della condanna alle spese processuali di primo grado a carico del disponente, l’eccessività della liquidazione di tali spese, la violazione dell’art. 133 D.P.R. n. 115/2002, che prevede la condanna al rimborso delle spese processuali in favore dello Stato nella sola ipotesi di soccombenza della parte non ammessa al patrocinio a spese dello Stato (mentre Fr.Al. e Ma.Ma. erano stati ammessi a tale patrocinio) e quello con cui inoltre Ma.Ma. deduceva di essere stata ingiustamente condannata in solido al pagamento delle spese, essendo stata chiamata in giudizio come litisconsorte necessario, perché: ha ravvisato un comune interesse dei due coniugi atto a giustificare la loro condanna in solido, sulla scorta del principio di soccombenza; l’eccessività della liquidazione delle spese era stata dedotta genericamente e senza censura con riferimento ai parametri tariffari (correlati al valore del credito cautelando) richiamati nella motivazione dell’impugnata sentenza; nessuno dei due coniugi aveva interesse a dolersi dell’indicazione (operata dalla sentenza di primo grado) dello Stato quale beneficiario (ex art. 133 del D.P.R. n. 115/2002) del disposto rimborso delle spese processuali;

i coniugi Fr.Al. e Ma.Ma. ricorrono per la cassazione di detta sentenza, formulando sette motivi;

nessuna attività difensiva è svolta in questa sede da Ro.An., rimasto intimato;

la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis 1 cod.proc.civ.;

il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte; i ricorrenti hanno depositato memoria.

L’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo

CONSIDERATO IN DIRITTO CHE

1) con il primo motivo i coniugi Fr.Al.-Ma.Ma. denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. e dell’art. 2901 cod.civ.(art. 360, comma 1, n. 3 , cod.proc.civ.);

la Corte territoriale, ritenendo provato che il debito di Fr.Al. risaliva al 2009 e che quindi era anteriore all’atto dispositivo (18 gennaio 2011), trovando ciò valido riscontro probatorio nelle fatture accompagnatorie, controfirmate dal debitore, emesse da Ro.An. nell’anno 2009 e richiamate (e allegate) nel ricorso per ingiunzione (di pagamento della somma di Euro 83.407,54 per sorte capitale), iscritto al n. 4868/2015 R.G. del Tribunale di Siracusa, sarebbe incorsa in errore, perché, secondo i ricorrenti, Ro.An. non aveva mai prodotto le fatture datate 2009 poste, presumibilmente, alla base dei titoli di credito; aveva prodotto in allegato all’atto di citazione la copia del ricorso per decreto ingiuntivo n. 1380/15 emesso nel giudizio monitorio 4868/15 R.G avanti il Tribunale Civile di Siracusa, con il decreto di ingiunzione ove si legge: “le somme sopra indicate afferiscono tutte alle seguenti fatture accompagnatorie, controfirmate dal resistente, emesse dal Sig. Ro.An. nel 2009” e n. 7 assegni e n. 35 titoli cambiari, rilasciati tra agosto 2011 e aprile 2013, e, quindi, in data successiva alla stipulazione del fondo patrimoniale;

quindi, la Corte d’appello avrebbe errato nell’affermare che la sussistenza del credito troverebbe riscontro “nelle fatture accompagnatorie, controfirmate dallo stesso Fr.Al., emesse dal Ro.An. nell’anno 2009 e richiamate (e allegate) nel ricorso per ingiunzione” e sarebbe incorsa nella violazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ.: violazione che sussiste, secondo Cass. n. 20486/2017; Cass. 2017, n. 27000/2017; Cass n. 11892/2016, “solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito, in contrasto con i principi della disponibilità e del contraddittorio delle parti sulle prove, abbia: 1) posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione”;

L’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo

non essendo provata la anteriorità del credito rispetto all’atto dispositivo, verrebbe “a decadere categoricamente la sussistenza del requisito dell’intento fraudolento che si celerebbe dietro la stipulazione del fondo patrimoniale”, dovendosi valutare la posteriorità o meno degli atti di disposizione rispetto al sorgere dell’obbligazione con riferimento non al momento in cui il credito venga accertato in giudizio, bensì a quello in cui si è verificata la situazione di fatto alla quale il credito stesso si ricollega (Cass. n. 1050/96; Cass. n. 8013/96);

2) con il secondo motivo sono denunciate la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. e dell’art. 2901 cod.civ.e 648 e 649 cod.proc.civ. (art. 360, comma 1, n. 3 , cod.proc.civ.);

secondo i ricorrenti, statuendo l’irrilevanza del mancato accertamento giudiziale della ragione di credito – perché “l’utile esperibilità dell’azione revocatoria può ritenersi preclusa (oltre che da un giudicato di accertamento negativo dell’esistenza del credito) soltanto da circostanze (carenti nella specie) che avvalorino di per sé la manifesta infondatezza (e, quindi, l’assoluta improbabilità) della pretesa creditoria” – la Corte territoriale sarebbe incorsa in errore, perché nel provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo emesso in data 11/4/2016 opposto, il giudice aveva emesso il provvedimento cautelare di sospensione ex art. 649 cod.proc.civ., esprimendo un giudizio sommario ex ante che confermava la manifesta infondatezza delle pretesa creditoria di Ro.An.; i ricorrenti concludono che il giudice di appello avrebbe errato nell’interpretare ed applicare la norma di diritto stabilita ex art. 649 cod.proc.civ., secondo il quale “su istanza dell’opponente, quando ricorrono gravi motivi, può, con ordinanza non impugnabile, sospendere l’esecuzione provvisoria del decreto concessa a norma dell’articolo 642”, in quanto “i gravi motivi in forza dei quali può essere sospesa l’esecuzione provvisoria concessa sin dall’emanazione del decreto non possono che coincidere con una grave incertezza probatoria sui fatti costitutivi del diritto azionato, quale possa risultare a seguito dell’opposizione: in definitiva, essi sussistono allorquando, nonostante il peculiare valore delle prove scritte addotte per conseguire la clausola ex art. 642 cod.proc.civ., la contestazione del debitore, o la sua complessiva attività assertiva e probatoria, abbia fatto venir meno il fumus boni juris o comunque la prova del buon diritto del creditore”; in sostanza, dato che “la sospensione di un decreto ingiuntivo emesso sulla base di assegni e cambiali non può che essere giustificato proprio da quelle richiamate circostanze che avvalorino di per sé la manifesta infondatezza (e, quindi, l’assoluta improbabilità) della pretesa creditoria” la Corte d’appello avrebbe dovuto rigettare la domanda di declaratoria di inefficacia del fondo patrimoniale;

L’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo

3) con il terzo motivo i ricorrenti censurano la sentenza d’appello per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. ed art. 2901 cod.civ.(art. 360, comma 1, n. 3 , cod.proc.civ.);

escludendo che la sussistenza di una precedente garanzia ipotecaria, anche se di entità tale da assorbire il valore dell’intero immobile, pregiudichi l’esercizio dell’azione ex art. 2901 cod.civ., in quanto la valutazione sia dell’idoneità dell’atto dispositivo a costituire un pregiudizio, sia della possibile incidenza della causa di prelazione connessa all’ipoteca deve essere compiuta attraverso un giudizio prognostico futuro, per verificare l’eventuale ridimensionamento della garanzia ipotecaria in un secondo momento, e non al momento del compimento dell’atto in sé (Cass. n. 21102/2016) e, osservando che, nel caso di specie, il debitore appellante non aveva dimostrato la sussistenza di elementi che potessero far ritenere che Ro.An. non avrebbe avuto alcuna possibilità di soddisfarsi, anche solo parzialmente, sull’immobile oggetto di garanzia, la Corte d’appello avrebbe erroneamente valutato gli elementi di prova dedotti dalla parte ricorrente, essendovi piena prova documentale dell’esistenza di una ipoteca, in quanto indicata nell’atto di costituzione del fondo patrimoniale, dal montante tale da rendere impossibile il recupero del credito da parte di Ro.An.; sicché Fr.Al., con la costituzione del fondo patrimoniale, non voleva, né poteva, arrecare un danno a creditore, in considerazione del fatto che l’immobile oggetto del fondo era già gravato da ipoteca per Euro 187.500,00 con scadenza 2/9/2029, e che il valore dell’immobile era di sole Euro 45.000,00 (come poteva desumersi dall’atto costitutivo del fondo patrimoniale del 18/11/2011 e dal relativo rogito notarile di acquisto dell’immobile del 7/10/2004); in aggiunta, avvalorerebbe tale circostanza la notifica, da parte del creditore ipotecario, ai coniugi Fr.Al. e Ma.Ma. dell’atto di pignoramento immobiliare per la somma precettata di Euro 105.066,32, relativamente all’immobile oggetto di declaratoria di revocatoria del fondo patrimoniale;

L’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo

4) con il quarto motivo i ricorrenti attribuiscono alla Corte territoriale la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. e dell’art. 2901 cod.civ.(art. 360, comma 1, n. 3 , cod.proc.civ.) – sussistenza del credito;

insistono sulla insussistenza di ragioni di credito sorte anteriormente alla data di stipulazione dell’impugnato atto negoziale di costituzione di fondo patrimoniale e denunciano come errata la statuizione con cui la Corte d’appello ha sostenuto che “l’eventuale estraneità dei crediti in questione ai bisogni della famiglia, lungi dal precludere la concreta esperibilità (correttamente ritenuta dal giudice di primo grado) dell’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 cod.civ., ne costituisce invece l’essenziale ragione giustificativa, in quanto, in coerenza con la sua tipica funzione di conservazione della garanzia patrimoniale generica dei crediti, nel caso di specie la detta azione revocatoria mira legittimamente (Cass. n. 3641/2018) proprio a rimuovere, nell’interesse del creditore, l’impedimento che l’art. 170 cod.civ. pone all’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale (e sui frutti di essi), allorché si tratti di crediti sorti per scopi estranei ai bisogni della famiglia … il fondo patrimoniale costituisce un patrimonio separato, i cui beni sono destinati al soddisfacimento dei bisogni della famiglia. Da ciò consegue che l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia; ciò a prescindere dal fatto che il vincolo sia stato contratto da entrambi i coniugi o da uno solo di essi . “;

L’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo

secondo i ricorrenti il credito era successivo alla stipulazione del fondo patrimoniale; il debito era stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia; il creditore conosceva la estraneità del debito ai bisogni della famiglia;

5) con il quinto motivo i ricorrenti imputano alla sentenza gravata la “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. ed art. 2901 cod.civ.(art. 360, 1 comma, n. 3 , cod.proc.civ.) – sussistenza del requisito oggettivo”;

la Corte d’appello avrebbe ritenuto sussistente l’eventus damni, avendo l’atto dispositivo inciso negativamente (in senso qualitativo e quantitativo) sulla complessiva consistenza patrimoniale del debitore Fr.Al. e sulle possibilità di effettivo soddisfacimento dei crediti, senza porre a base di tale conclusione prove dedotte dalle parti, non avendo il creditore agente provato l’incidenza negativa – qualitativa e quantitativa – sul patrimonio del debitore, mentre sarebbe stata fornita ampia prova documentale del contrario, poiché l’immobile confluito nel fondo patrimoniale era di basso valore economico (valore di acquisto Euro 45.000,009, era gravato da ipoteca e sottoposto a pignoramento immobiliare e quindi nessuna rilevanza obbiettiva avrebbe avuto la costituzione del fondo rispetto alle presunte richieste creditorie di Ro.An.;

6) con il sesto motivo i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. ed dell’art. 2901 cod.civ.(art. 360, 1 comma, n. 3 , cod.proc.civ.);

ad essere attinto da censura è il capo della sentenza che, osservando che il negozio costitutivo del fondo patrimoniale è un atto a titolo gratuito (stipulato in epoca posteriore alla nascita del credito cautelando), per la sua dichiarazione di inefficacia ai sensi dell’art. 2901 cod.civ. era sufficiente la scientia damni da parte del coniuge debitore ovvero la previsione di un mero danno potenziale (Cass. n. 15310/2007), a prescindere dalla mancanza del consilium fraudis in capo all’altro coniuge (Ma.Ma.), la cui posizione era da assimilare a quella del terzo negli atti a titolo gratuito, ai fini dell’art. 2901 cod.civ. (Cass. n. 15917/2006), e che la sussistenza, in capo ad Fr.Al., della scientia damni era provata dal fatto che il debitore avesse vincolato (con effetti reali) la sua quota di proprietà indivisa di un cespite immobiliare di rilevante valore patrimoniale, l’unico di sua proprietà, con la consapevolezza del pregiudizio patrimoniale – inteso come mero danno potenziale – che lo stesso atto avrebbe arrecato alle ragioni del creditore, non avendo il debitore dimostrato che il suo residuo patrimonio era sufficiente a soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (Cass. n. 7507/2007);

L’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo

i ricorrenti ribadiscono l’assenza di alcuna prova della risalenza al 2009 delle ragioni di credito tutelabili con l’actio pauliana, la manifesta infondatezza del credito vantato con conseguente irrilevanza della sussistenza della scientia damni, contestano il fatto che la metà indivisa dell’immobile avesse un rilevante valore immobiliare, essendo stato acquistato per un prezzo pari ad Euro 45.000,00, ed essendo risultato gravato da ipoteca di primo grado dell’istituto bancario, oltre ad essere ormai oggetto di espropriazione immobiliare;

7) con il settimo ed ultimo motivo denunciano, infine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod.proc.civ. e dell’art. art. 133 del D.P.R. n. 115/2002 (art. 360, 1 comma, n. 3, cod.proc.civ.), per avere la sentenza impugnata posto a loro carico le spese processuali in solido peraltro determinandole in palese violazione del DM 55/14, senza alcuna giustificazione;

8) il primo motivo è inammissibile;

ciò che i ricorrenti sembrano rimproverare alla Corte territoriale è l’inesistenza di una informazione probatoria – le fatture emesse dal creditore nel 2009 – che, proprio perché inesistente, illegittimamente sarebbe stata posta a fondamento della decisione di merito;

la statuizione della Corte d’appello tuttavia non risulta ben colta dai ricorrenti, atteso che in sentenza non è stato affermato che nel giudizio di merito erano state prodotte le fatture indicate nel ricorso per decreto ingiuntivo, ma che dal decreto ingiuntivo, allegato all’atto di citazione, emergeva che le ragioni di credito traevano origine anche da alcune fatture emesse nel 2009, che l’ingiungente aveva prodotto al fine di ottenere il provvedimento monitorio;

ciò esclude che la Corte d’appello possa ascriversi di aver giudicato esistente già nel 2009 il credito di Ro.An. sulla scorta di prove inesistenti;

8.1) va altresì rilevato che Fr.Al., con la memoria depositata in vista dell’odierna Camera di Consiglio, ha chiesto di considerare che, con sentenza n. 1949/2023, pubblicata il 2/11/2023, il Tribunale di Siracusa ha accolto l’opposizione al decreto ingiuntivo avente ad oggetto il credito oggetto dell’azione revocatoria per cui è causa, avendo l’opponente fornito prova documentale di una serie di pagamenti effettuati in favore di Ro.An., i cui importi erano risultati coincidenti con quelli indicati nelle fatture allegate al ricorso monitorio; ciò dovrebbe dimostrare in modo incontrovertibile di non essere mai stato debitore di alcuna somma nei confronti di Ro.An., con evidente assenza del requisito soggettivo della c.d. “scientia fraudis”, presupposto necessario ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria, ovvero della “…consapevolezza di aver compiuto l’atto di disposizione con la precisa intenzione di non soddisfare il credito che avrebbe successivamente assunto”, atteso che “non poteva conoscere un debito inesistente e, conseguentemente, la costituzione del fondo patrimoniale posta in essere dal medesimo non poteva essere finalizzata ad eludere un debito inesistente e sconosciuto. Ciò incide profondamente nella valutazione dei motivi 1, 2 e 4 del ricorso posto dal Fr.Al. all’esame di Codesta Ecc.ma Corte”;

anche senza considerare il fatto che la sentenza n. N924/2023 ha accertato l’estinzione per pagamento del credito oggetto del provvedimento monitorio e non già che Fr.Al. non era mai stato debitore di alcuna somma nei confronti di Ro.An., detto accertamento non ha riflessi sulla fattispecie oggetto dello scrutinio odierno;

trova, infatti, applicazione il principio secondo cui, tendendo il legislatore ad assicurare la più ampia e tempestiva tutela della garanzia patrimoniale del creditore, l’azione pauliana intrapresa in relazione a crediti litigiosi potrà riuscire al massimo di nessuna utilità, ma non sarà in contrasto (nel senso di generare un conflitto pratico tra giudicati) con la decisione che ha accertato l’insussistenza in concreto del credito (Cass., Sez. Un., 18/05/2014, n. 9440); la sentenza dichiarativa dell’inefficacia dell’atto dispositivo nei confronti del creditore, a seguito dell’accoglimento della domanda revocatoria, non costituisce titolo sufficiente per procedere ad esecuzione nei confronti del terzo acquirente, essendo a tal fine necessario che il creditore disponga anche di un titolo sull’esistenza del credito, che può procurarsi soltanto nella causa relativa al credito e non anche in quella concernente esclusivamente la domanda revocatoria, nella quale la cognizione del giudice sul credito è meramente incidentale (Cass. 10/03/2006, n. 5446 e successiva giurisprudenza conforme);

9) il secondo motivo è infondato, per le ragioni già indicate supra sub. par. 8.1;

va ribadito infatti che il giudice cui sia chiesto di pronunciare la declaratoria di inefficacia di un atto dispositivo ai sensi dell’art. 2901 cod.civ. è tenuto ad accertare solo incidenter tantum la sussistenza di un credito, il cui soddisfacimento appaia suscettibile di essere pregiudicato dall’atto dispositivo in coerenza con le finalità dell’azione revocatoria, su cui cfr. infra par. 10;

10) il terzo, il quinto ed il sesto motivo che possono essere esaminati congiuntamente, perché riguardano da prospettive diverse la stessa questione, sono infondati;

la Corte d’appello ha deciso in conformità con la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 27/02/2023, n.5815; Cass. 26/11/2019, n.30736) secondo cui l’esistenza di un’ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo non esclude la ricorrenza dell'”eventus damni”;

l’eventus damni consiste nel pericolo attuale di un danno futuro dipendente dalla lesione dell’interesse del creditore alla conservazione della garanzia generica del credito; per integrarne i presupposti non è necessario che ricorra una effettiva diminuzione del patrimonio del debitore – altrimenti non si spiegherebbe per quale ragione l’azione revocatoria possa essere esperita sol perché il debitore sostituisca beni facilmente aggredibili con altri più difficili da sottoporre all’eventuale e futura azione esecutiva del creditore -né che il debitore si renda insolvente; proprio perché non postula un pregiudizio attuale e certo del creditore medesimo, derivante da uno stato effettivo di insolvenza del debitore, bastando anche il semplice pericolo di insolvenza, e, cioè, l’eventualità che il patrimonio del debitore non offra adeguate garanzie per il soddisfacimento del credito (Cass. 27/06/1977, n. 2761); perciò, la motivazione con cui la Corte d’Appello ha giustificato la dichiarazione di inefficacia dell’atto dispositivo non merita alcuna censura; è vero infatti che, secondo questa Corte, “in materia di revocatoria ordinaria, l’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo, ancorché di entità tale da assorbirne, se fatta valere, l’intero valore” non esclude l’eventus damni, atteso che la valutazione tanto della idoneità dell’atto dispositivo a costituire un pregiudizio, quanto della possibile incidenza, sul valore del bene, della causa di prelazione connessa alla ipoteca, va compiuta con riferimento non al momento del compimento dell’atto, ma con giudizio prognostico proiettato verso il futuro, per apprezzare l’eventualità del venir meno, o di un ridimensionamento, della garanzia ipotecaria” (così in motivazione, Cass. 8/08/2018, n. 20671; nello stesso senso già Cass. 12/03/2018, n. 5860; Cass. 25/05/2017, n. 13172, Cass. 10/06/2016, n. 11892); è stato opportunamente chiarito, del resto, che “condizione essenziale della tutela revocatoria in favore del creditore è il pregiudizio alle ragioni dello stesso, per la cui configurabilità, peraltro, non è necessario che sussista un danno concreto ed effettivo, essendo, invece, sufficiente un pericolo di danno derivante dall’atto di disposizione, il quale abbia comportato una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta la esecuzione coattiva del debito o da comprometterne la fruttuosità” (Cass. 29/03/1999, n. 2971); deve, allora, riconoscersi che una “situazione di pericolo è tale in relazione alla sua potenzialità cagionatrice di un evento dannoso futuro”, sicché “la sua esistenza necessariamente va apprezzata proiettandosi con un giudizio prognostico verso il futuro”, donde “non è possibile apprezzarla compiendo una valutazione che si correli al momento dell’atto dispositivo e dunque alla possibile incidenza in quel momento della garanzia ipotecaria esistente ma non ancora fatta valere e della quale dunque non è dato conoscere se e come in futuro inciderà” (Cass. 10/06/2016, n. 11892); non è, dunque, necessario che il creditore dimostri, onde veder accolta l’actio pauliana, la concreta possibilità di soddisfazione del credito, atteso che l’azione revocatoria opera a tutela dell’effettività della responsabilità patrimoniale del debitore, ma non produce effetti recuperatori o restitutori, al patrimonio del medesimo, del bene dismesso, tali da richiederne la libertà e capienza, poiché determina solo l’inefficacia dell’atto revocato e l’assoggettamento del bene al diritto del revocante di procedere ad esecuzione forzata sullo stesso; ne consegue che la presenza di ipoteche sull’immobile trasferito con l’atto oggetto di revoca non esclude, di per sé, un pregiudizio per il creditore (e, dunque, il suo interesse ad esperire tale azione), posto che le iscrizioni ipotecarie possono subire vicende modificative o estintive ad opera sia del debitore che di terzi; ciò esclude, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, che, ai fini della sussistenza dell’eventus damni, il creditore che agiva in revocatoria dovesse dimostrare l’effettiva e concreta probabilità di realizzo del proprio credito sul bene oggetto dell’atto di disposizione;

L’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo

i ricorrenti assumono la ricorrenza di una procedura esecutiva immobiliare in atto sul bene, ma si tratta di un argomento nuovo di cui non si occupa la sentenza impugnata; il che impedisce di applicare il principio enunciato da Cass. 15/07/2009, n. 16464 e ribadito da Cass. 22/05/2015, n. 25733, in fattispecie in cui l’atto dispositivo oggetto dell’azione revocatoria riguardava un bene sottoposto già ad esecuzione e la revocatoria era stata esercitata da un creditore che era intervenuto nella procedura esecutiva; in tal caso non può – afferma la giurisprudenza di questa Corte – dirsi impossibile sapere se e come la garanzia ipotecaria agirà in futuro; perciò, in presenza di azione esecutiva già esercitata dal creditore ipotecario, è destinato effettivamente ad operare il principio secondo cui “il pregiudizio deve essere specificamente valutato – nella sua certezza ed effettività – con riguardo al potenziale conflitto tra il creditore chirografario e il creditore garantito da ipoteca, e quindi in relazione alla concreta possibilità di soddisfazione del primo con riguardo all’entità della garanzia reale del secondo” (Cass. 29/08/2019, n.21783);

come si è detto, i ricorrenti deducono per la prima volta in questa sede che il bene attinto dall’actio pauliana era sottoposto a procedura esecutiva immobiliare; i motivi del ricorso per cassazione devono investire, però, a pena d’inammissibilità, questioni comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio; il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 02/09/2021, n.23792);

né le censure mosse alla sentenza impugnata prospettano la violazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. nei termini individuati dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., Sez. Un., 05/08/2016, n. 16598 e successiva giurisprudenza conforme);

10) le censure mosse alla sentenza impugnata con il quarto motivo, in parte, attengono a questioni già scrutinate (cfr. quanto all’insussistenza di ragioni di credito sorte prima dell’atto dispositivo supra par. 8), per il resto sono infondate, avendo la Corte territoriale deciso in conformità con la giurisprudenza di questa Corte;

deve, infatti, essere ribadito che la costituzione del fondo patrimoniale: è suscettibile di essere fatta oggetto della domanda revocatoria, la quale rimuove la limitazione alle azioni esecutive che l’art. 170 cod.civ. circoscrive ai debiti contratti per i bisogni della famiglia (Cass. 7/7/2007, n. 15310), sempre che “ricorrano le condizioni di cui all’art. 2901 cod.civ., comma 1, n. 1, senza alcun discrimine circa lo scopo ulteriore da quest’ultimo avuto di mira nel compimento dell’atto dispositivo, a tale stregua considerandosi soggetti all’azione revocatoria anche gli ‘atti aventi un profondo valore etico e morale'”: Cass. 8/02/2021 n. 2904 ;

non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatorio per legge, posto che l’obbligo dei coniugi di contribuire ai bisogni della famiglia non comporta affatto per essi l’obbligo di costituire i propri beni in fondo patrimoniale, che ha essenza e finalità diverse ed ulteriori, consistenti non nel soddisfare i bisogni della famiglia, ma nel vincolare alcuni beni al soddisfacimento anche solo eventuale di tali bisogni, sottraendoli alla garanzia generica di tutti i creditori; configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un’attribuzione in favore dei disponenti, suscettibile, pertanto, di revocatoria;

11) il settimo motivo è inammissibile;

in parte si tratta di un non motivo , giacché i ricorrenti chiedono solo in via prognostica che, a seguito dell’accoglimento del ricorso, venga eliminata la condanna alle spese: ma tale effetto sarebbe consequenziale alla mera applicazione dell’art. 336, primo comma, cod.proc.civ. , per la restante parte non si correla alla statuizione impugnata, mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, sicché non risulta possibile a questa Corte adempiere al compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass., Sez. Un., 05/05/2006, n. 10313 e successiva giurisprudenza conforme);

L’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo

peraltro, non risulta neppure confutata la ratio decidendi della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato il motivo di appello sul punto, perché la censura di errata liquidazione delle spese processuali era stata genericamente dedotta, senza indicare in che modo non sarebbero stati rispettati i parametri di cui al dm 55/2015; ebbene i ricorrenti si limitano ad affermare che si trattava non di una omessa “specifica (e necessaria) censura con riferimento ai parametri tariffari ma della violazione di una norma di legge! Il Giudice del secondo grado, ha, pertanto, palesemente errato nella quantificazione dei compensi e nel non motivare l’eventuale discostamento”;

12) il ricorso va, dunque, rigettato;

13) nulla deve essere liquidato per le spese del giudizio di legittimità, non avendo Ro.An. svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.pr. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio dell’08 gennaio 2024 dalla Terza Sezione civile della Corte di Cassazione.

Depositato in Cancelleria l’1 febbraio 2024.

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