Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 5 maggio 2016, n. 18692.

In caso di omessi versamenti il superamento della soglia di punibilità, fissata in 150 mila euro, non fa scattare una condizione oggettiva di punibilità, bensì un elemento costitutivo del reato, con la conseguenza che la sua mancata integrazione comporta l’assoluzione con la formula “il fatto non sussiste”. I giudici precisano, infatti, che l’integrazione della soglia non dipende da un evento futuro e incerto ma dal comportamento dell’agente che con la sua condotta omissiva contribuisce all’integrazione del fatto tipico.

cassazione 8

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 5 maggio 2016, n. 18692

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIALE Aldo – Presidente

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), n. (OMISSIS) a (OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte d’Appello di MILANO in data 12/06/2015;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FILIPPI P., che ha chiesto annullarsi senza rinvio la sentenza quando al reato di cui al capo 4) per abolitio criminis, e rigettarsi il ricorso nel resto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 12/06/2015, depositata in data 27/07/2015, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Busto Arsizio del 22/09/2014, appellata dal (OMISSIS), dichiarava non doversi procedere per intervenuta estinzione del reato per prescrizione in ordine al reato di cui al proc. 4080/11 r.g. quanto all’annualita’ 2006, al reato di cui al capo 1) per la medesima annualita’ nonche’ quanto al reato di cui al capo 3), rideterminando per l’effetto la pena in 1 anno di reclusione per i residui reati in continuazione, riducendo nella stessa misura le pene accessorie; confermava, nel resto, l’impugnata sentenza che lo aveva ritenuto responsabile: a) dei reati di cui al proc. n. 4080/2011 r.g. trib. (per i quali, come detto, in relazione all’annualita’ 2006 e’ intervenuta in appello sentenza di n.d.p. per prescrizione); b) del reato di cui al capo 1), limitatamente alla dichiarazione dei redditi 2007/2008; c) del reato di cui al capo 3), limitatamente alle fatture 4/5/13/16 del 2006 (capo per cui e’ intervenuta in appello sentenza di n.d.p. per prescrizione); d) del reato di cui al capo 4), ossia il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 bis, relativo all’anno 2008 per un importo di Euro 67623,95 (dunque, attualmente “sotto soglia” in relazione alle modifiche introdotte con il Decreto Legislativo n. 158 del 2015). Con la stessa sentenza, il tribunale di Busto Arsizio aveva assolto il (OMISSIS) dai reati sub 2) e sub 3), relativamente alle residue fatture ivi indicate per insussistenza del fatto e dichiarato n.d.p. per prescrizione in ordine la reato sub 1) relativamente alla dichiarazione dei redditi 2006.

2. Ha proposto ricorso (OMISSIS) a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui deduce cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b), per violazione dell’articolo 2 c.p., stante l’illegittimita’ della sentenza a seguito dello “ius superveniens” dovendosi tener conto delle modifiche normative introdotte dal Decreto Legislativo n. 158 del 2015.

In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, i fatti residui per i quali e’ stata confermata la sentenza di condanna dovrebbero essere rivisti alla luce dell’intervenuta modifica legislativa di cui alDecreto Legislativo n. 158 del 2015, segnatamente per quanto concerne: a) il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, comma 3, in relazione all’utilizzo della fattura n. 10 del 2007 denunciata nel mod. unico 2005 con indicazione di elementi passivi per Euro 18515,70 cui e’ conseguita un’indebita evasione di imposte sui redditi ed IVA per Euro 3703,14; b) per il capo 1), lettera b), ossia per aver indicato elementi passivi fittizi per Euro 37190,00; c) per il capo 2); d) per il capo 4), ossia per il reato di omesso versamento ritenute, atteso che alla luce della modificazione delle soglie di punibilita’, la sentenza dev’essere annullata per non essere i fatti piu’ previsti dalla legge come reato.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera e), sotto il profilo dell’omessa ed insufficiente o errata o contraddittoria motivazione.

In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, i giudici di appello avrebbero tratto la prova da deduzioni o presunzioni tributarie del tutto infondate ed errate, oltre che contrarie alle deposizioni ed alle risultanze fattuali; anche gli stessi militari della GdF si sarebbero limitati ad una ricostruzione documentale che sarebbe stata smentita dai testi escussi, i quali avrebbero confermato che la societa’ (OMISSIS) s.r.l. non era una “cartiera” o societa’ fantasma, ma aveva svolto effettivamente attivita’ produttiva, sebbene con limitata clientela ed aveva alle dipendenze del personale, poi ridottosi a 6/7 unita’, oltre che disporre di materiali ed attrezzature destinate al processo produttivo; diversamente, i militari sarebbero partiti dall’inesistenza dell’attivita’ e che si trattasse di societa’ fantasma, venendo invece smentiti dalle deposizioni dei testi indicati a pag. 11 del ricorso; vi sarebbe stato quindi un totale travisamento probatorio delle deposizioni testimoniali da parte dei giudici di merito; analogamente, quanto alla pretesa evasioni e/o deduzioni fiscali e/o omessi versamenti e/o ritenute fiscali, difetterebbe agli atti qualsiasi accertamento probatorio.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), per violazione degli articoli 40, 42 e 43 c.p. e correlato vizio di omessa e/o contraddittoria motivazione.

In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, difetterebbe la prova dell’elemento soggettivo richiesto ai fini dell’ascrivibilita’ al ricorrente e, tantomeno, sarebbe indicato quale poteva essere il nesso di causalita’ tra i fatti e la posizione del ricorrente.

2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b), per violazione dell’articolo 131 bis c.p..

In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, i fatti per i quali e’ intervenuta condanna ben avrebbero potuto giustificare l’applicazione della predetta causa di non punibilita’.

2.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b), per violazione degli articoli 62 bis e 163 c.p..

In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, erroneamente sarebbe stato negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, laddove lo stato di incensuratezza ed il positivo comportamento del ricorrente le avrebbero giustificate; analoga censura investe la sentenza per il mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, non ravvisandosi condanne ostative al riconoscimento di tale beneficio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso e’ parzialmente fondato.

4. Seguendo l’ordine sistematico suggerito dalla struttura dell’impugnazione proposta in questa sede puo’ procedersi anzitutto nell’esame del primo motivo. Sul punto, al fine di evidenziarne la parziale fondatezza, e’ necessario qui evidenziare che, alla luce delle decisioni di primo grado e di appello residuano i giudizi di responsabilita’ relativi ai seguenti reati: a) Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, comma 3, relativamente al mod. unico 2008 in relazione al periodo di imposta 2007 quanto alla fattura 10/2007 utilizzata con indicazione di elementi passivi fittizi di Euro 18515,70 ed evasione IRPEF sul medesimo imponibile ed indebita detrazione d’IVA pari ad Euro 3703,14 (fatto contestato nel proc. n. 4080/11 r.g.; data commesso reato (OMISSIS)); b) Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, comma 3, in relazione al mod. unico 2008, relativamente al periodo di imposta 2007, quanto alle due fatture 6/2005 e 10/2005 a seguito dell’imputazione della quota di ammortamento per Euro 37190,00 con indicazione nella dichiarazione annuale relativa (data del commesso reato: (OMISSIS)); c) capo 4), ossia violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 bis, in relazione all’omesso versamento ritenute relativo all’annualita’ 2008 per Euro 67.623,95).

Tanto premesso, osserva il Collegio che l’incidenza del Decreto Legislativo n. 158 del 2015 invocato dal ricorrente e’ limitata esclusivamente al reato di cui al capo 4), essendo infatti prevista attualmente una soglia di Euro 150.000,00, soglia evidentemente non superata nel caos in esame essendosi attestato l’omesso versamento di ritenute certificate ad un importo pari ad Euro 67623,95.

Limitatamente a tale delitto, dunque, l’impugnata sentenza dev’essere annullata per insussistenza del fatto.

Trova infatti applicazione il principio, gia’ espresso da questa stessa Sezione a proposito del reato di omesso versamento di IVA, previsto dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-ter, ma con argomenti giuridici valevoli anche per il delitto di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 bis, secondo cui il superamento della soglia di punibilita’ – fissata in 150.000 Euro, in seguito alle modifiche apportate dal Decreto Legislativo n. 158 del 2015 – non configura una condizione oggettiva di punibilita’, bensi’ un elemento costitutivo del reato, con la conseguenza che la sua mancata integrazione comporta l’assoluzione con la formula “il fatto non sussiste”, atteso che l’integrazione della soglia non dipende, infatti, da un evento futuro ed incerto ma dallo stesso comportamento dell’agente che, con una condotta omissiva, contribuisce alla realizzazione del fatto tipico (Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015 – dep. 25/01/2016, Vanni, Rv. 265938).

Quanto alla residue imputazioni ancora sub iudice, non essendo per esse prevista una soglia di punibilita’, nessuna incidenza in senso favorevole per il contribuente – imputato ha avuto il Decreto Legislativo n. 158 del 2015 rispetto ai fatti commessi in data antecedente alle modifiche normative. Ed invero, al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, relativo al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, viene soppressa la parola “annuali” riferita alle dichiarazioni “correlate” all’utilizzo della documentazione fraudolenta. Di conseguenza, risulta ampliato il novero delle dichiarazioni rilevanti ai fini della configurabilita’ del reato. In tale contesto, in particolare, l’elemento discriminante andra’ ricercato nella natura propriamente “dichiarativa” ovvero meramente “comunicativa”: ricadrebbero in area “penale” solo quelle dichiarazioni, anche non annuali, che comportano direttamente la determinazione di un’imposta da versare (come, ad esempio, i modelli “INTRA 12”).

Trattasi, quindi, di modifiche normative che non incidono sui residui fatti oggetto di contestazione per i quali ancora si procede, rispetto ai quali pertanto nessun effetto abrogativo ne’ favorevole per il ricorrente e’ ravvisabile, con conseguente rigetto del motivo di ricorso per tali delitti.

5. Totalmente generico e’ invece il secondo motivo di ricorso” avendo infatti la Corte d’appello dettagliatamente descritto le ragioni – non fondate solo su presunzioni tributarie ma su analitica attivita’ di accertamento della GdF – della natura di societa’ “cartiera” della (OMISSIS) e della (OMISSIS) s.r.l. nonche’ della inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate i cui documenti fiscali sono stati utilizzati nelle dichiarazioni fiscali della (OMISSIS) s.r.l. riferibile alla persona del ricorrente (in particolare: verifica della documentazione contabile; individuazione di elementi oggettivi della natura di societa’ “fantasma” delle due societa’ emittenti le fatture, poi utilizzate dalla (OMISSIS) s.r.l.; esame quale teste “assistito” dell’amministratore della (OMISSIS) s.r.l.; giustificazione dell’irrilevanza delle dichiarazioni (OMISSIS), moglie di quest’ultimo; dichiarazioni dei dipendenti della (OMISSIS) s.r.l. quanto al presunto impiego in azienda dei macchinari di cui alle fatture emesse dalla (OMISSIS) s.r.l.; assenza di una linea di produzione riferibile a tali macchinari accertata dal verbalizzante all’epoca dell’accesso).

Trattasi, all’evidenza, di un motivo che sviluppa censure puramente contestative, oltre che generico in quanto non si confronta criticamente con le puntuali argomentazioni svolte dalla sentenza d’appello, trovando quindi applicazione il principio, piu’ volte affermato da questa Corte, secondo cui e’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni gia’ esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).

Analogamente, anche il dedotto travisamento probatorio e’ solo enunciato dal ricorrente, senza peraltro specificare i passaggi argomentativi censurati ne’ quali siano le discrasie inconciliabili tra quanto dichiarato e quanto invece riportato in sentenza. Deve, quindi, ribadirsi che il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purche’ specificamente indicati dal ricorrente, e’ ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilita’ della valutazione nel merito del risultato probatorio (v., tra le tante: Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014 – dep. 03/02/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774).

6. Analogamente e’ a dirsi quanto al terzo motivo relativo alla pretesa insussistenza dell’elemento psicologico, trattandosi di censura anche in questo caso puramente contestativa e generica, in quanto il ricorso non si confronta con le puntuali argomentazioni della Corte territoriale che ha, invece, dato conto con motivazione immune da vizi logici delle ragioni (v. pag. 4 della motivazione dell’impugnata sentenza, alla cui lettura integralmente si rinvia per ragioni di economia motivazionale e non essendo del resto richiesto ne’ imposto a questa Corte di ripercorrere le argomentazioni giustificative dei giudici di merito che costringerebbero la Corte di legittimita’ ad una ricognizione degli elementi di fatto oggetto di apprezzamento da parte del giudice di merito, conosciuti dal ricorrente, cio’ che fuoriesce dall’ambito cognitivo del giudice di legittimita’), per le quali fosse ravvisabile il dolo specifico normativamente richiesto per la configurabilita’ del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, in relazione ad entrambi i fatti per cui ancora si procede.

7. Quanto al quarto motivo, si osserva, la reiterazione per piu’ periodi di imposta delle condotte di frode fiscale, unita al consistente importo dell’imposta evasa, escludono in radice ed in base alla valutazione astratta che questa Corte e’ chiamata a svolgere sul punto, che sia ravvisabile la causa di non punibilita’ del fatto di particolate tenuita’ ex articolo131 bis c.p..

Ed invero, l’esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto di cui all’articolo 131-bis c.p. non puo’ essere dichiarata in presenza di piu’ reati legati dal vincolo della continuazione, e giudicati nel medesimo procedimento, configurando anche il reato continuato una ipotesi di “comportamento abituale”, ostativa al riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 29897 del 28/05/2015 – dep. 13/07/2015, Gau, Rv. 264034).

8. Infine, quanto al quinto motivo, corretta e’ la motivazione della Corte territoriale nonche’ l’applicazione delle relative regole di diritto sia quanto al diniego delle attenuanti generiche (per il cui disconoscimento, com’e’ noto, non e’ richiesta la valutazione da parte del giudice di merito di tutti i fattori attenuanti essendo sufficiente la sola indicazione di quelli prevalenti: Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008 – dep. 14/11/2008, Caridi e altri, Rv. 242419; Sez. 6, n. 7707 del 04/12/2003 – dep. 23/02/2004, P.G. in proc. Anaclerio ed altri, Rv. 229768), sia quanto al diniego dei doppi benefici di legge, essendo stato quest’ultimo giustificato dalla Corte d’appello richiamando sia i precedenti penali che il complesso delle condotte poste in essere dal reo. Pacifico e’ infatti che legittimamente il beneficio della sospensione condizionale della pena e’ negato dal giudice in base a prognosi sfavorevole nella quale rientrano, oltre le sentenze di condanna riportate dall’imputato, anche i precedenti giudiziari di cui all’articolo 133 c.p.. Il giudizio prognostico ex articolo 164 c.p., comma 1, per altro, e’ del tutto indipendente dai limiti relativi alla misura della pena fissati dall’articolo 163 c.p. che determinano la concedibilita’ in astratto del beneficio ma non certo il contenuto favorevole della prognosi (v., tra le tante: Sez. 4, n. 4073 del 23/02/1996 – dep. 19/04/1996, Avena, Rv. 205188), ne’ essendovi per il giudice di merito, nel valutare la concedibilita’ della sospensione condizionale della pena, l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi indicati nell’articolo 133 c.p., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti (Sez. 3, n. 6641 del 17/11/2009 – dep. 18/02/2010, Miranda, Rv. 246184, che ha ritenuto esaustiva la motivazione della esclusione del beneficio fondata sul riferimento ai precedenti penali dell’imputato; Sez. 2, n. 37670 del 18/06/2015 – dep. 17/09/2015, Cortopassi, Rv. 264802).

9. Il ricorso dev’essere, conclusivamente, accolto nei limiti predetti. All’annullamento senza rinvio della sentenza, limitatamente alla violazione dell’articolo 10 bis cit., segue la rideterminazione della pena sia principale che di quelle accessorie che puo’ essere disposta da questo Giudice di legittimita’ nell’esercizio dei poteri previsti dall’articolo 620 c.p.p., individuate le stesse in quella di mesi 10 di reclusione, tenuto conto del criterio di calcolo operato dal giudice di appello (p.b., per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, comma 3: 8 mesi di reclusione, aumentata per la continuazione di 2 mesi di reclusione per l’ulteriore violazione di cui all’articolo 2 cit.).

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 bis, perche’ il fatto non sussiste.

Rigetta il ricorso nel resto e ridetermina la pena principale in mesi 10 di reclusione e quelle accessorie temporanee in misura corrispondente.

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