Sostituzione della custodia carceraria per l’imputato genitore di prole di età non superiore a sei anni

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 8 maggio 2019, n. 19784.

La massima estrapolata:

In tema di sostituzione della custodia carceraria per l’imputato genitore di prole di età non superiore a sei anni, deve aversi riguardo all’età che i figli del soggetto sottoposto alla misura hanno al momento della decisione e non al momento della presentazione della richiesta di modifica, in quanto è all’atto della decisione che va concretamente effettuato il bilanciamento tra l’esigenza di difesa sociale e l’interesse alla tutela dell’infanzia.

Sentenza 8 maggio 2019, n. 19784

Data udienza 26 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere

Dott. COSTANTINI Antonio – Consigliere

Dott. ROSATI Martino – rel. Consigliere

Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 14/12/2018 del Tribunale di Torino;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ROSATI Martino;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ANGELILLIS Ciro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. (OMISSIS), che insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) e’ stato gia’ giudicato in primo grado, con il rito abbreviato, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino, riportando condanna per parte delle piu’ ampie imputazioni elevate a suo carico.
Attualmente e’ sottoposto a custodia cautelare in carcere, per plurimi reati di estorsione aggravata (in due casi anche dall’impiego del metodo mafioso) e per la detenzione di due pistole di calibro 7,65.
2. Con ordinanza del 14 dicembre 2018, il Tribunale di Torino ha respinto l’appello proposto dalla sua difesa a norma dell’articolo 310 c.p.p., avverso l’ordinanza con cui il Giudice dell’udienza preliminare, il 23 ottobre precedente, aveva disatteso l’istanza di sostituzione della misura in atto.
3. La difesa ricorre, quindi, per cassazione, deducendo due motivi.
3.1. Con il primo, lamenta violazione di legge e vizi di motivazione, in relazione agli articoli 238-bis, 274 e 299, c.p.p., contestando l’attualita’ delle esigenze cautelari, e comunque l’adeguatezza della misura carceraria, in quanto: i fatti risalgono all’anno 2013; e’ stata disposta la confisca dell’azienda che aveva rappresentato il dato di contesto in cui erano maturate le condotte delittuose; il Tribunale ha fondato il proprio giudizio sulle risultanze di altro procedimento nei confronti del (OMISSIS), pendente dinanzi al Tribunale di Ivrea, per il quale, tuttavia, gli era stata gia’ revocata la misura cautelare; la misura in atto determinerebbe una disparita’ di trattamento con il coimputato (OMISSIS), attualmente in custodia cautelare domiciliare.
3.2. Con il secondo motivo, propone le medesime doglianze, relativamente, pero’, al disposto dell’articolo 275 c.p.p., comma 4, avendone il Tribunale escluso l’applicazione sul presupposto che, all’atto della propria decisione, il figlio del ricorrente avesse gia’ compiuto i sei anni, e quindi mancasse il requisito essenziale previsto da tale norma.
Sostiene la difesa, invece, che si sarebbe dovuto avere riguardo, a tal fine, alla data della presentazione dell’istanza ex articolo 299 c.p.p., o, quanto meno, a quella della proposizione dell’appello avverso la relativa ordinanza di rigetto: alle quali, nella fattispecie, il requisito dell’eta’ della prole ancora sussisteva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile, per una pluralita’ di ragioni.
2. Il primo motivo, per la maggior parte dei profili con esso dedotti, e’ generico.
Va anzitutto precisato che, sebbene con esso si deduca anche una violazione di legge, in realta’ le relative censure attengono esclusivamente ad ipotizzati vizi di motivazione.
2.1. Tanto premesso, deve rilevarsi che pressoche’ tutte le circostanze evidenziate a sostegno erano state gia’ rappresentate con l’atto d’appello ed hanno ricevuto compiuta risposta da parte del Tribunale: alle cui motivazioni la difesa ricorrente non ha opposto alcuna critica specifica, limitandosi a proporre nuovamente le relative doglianze e finendo, cosi’, per chiedere alla Corte di cassazione una nuova e diversa valutazione in fatto.
Quest’ultima, pero’, e’ ovviamente preclusa al giudice di legittimita’, al quale e’ consentito censurare la motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva soltanto quando essa sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicita’, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, ovvero talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici, da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura (in tal senso, tra moltissime altre, Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Mascolo, Rv. 265244).
Nello specifico, al contrario, con motivazione ampia ed immune da evidenti cesure logiche, l’impugnata ordinanza ha posto in evidenza elementi plurimi ed indiscutibilmente sintomatici di un concreto ed attuale pericolo di reiterazione criminosa.
Tanto dicasi, anzitutto, per i fatti oggetto del diverso procedimento dinanzi al Tribunale di Ivrea, che sono piu’ recenti, risalendo all’ottobre del 2016, attengono a reati gravi (lesioni personali in danno di piu’ persone con armi da fuoco) e per i quali (OMISSIS), benche’ gli sia stata revocata la misura cautelare gia’ applicatagli, ha riportato pesante condanna in primo grado; e, in proposito, ai fini del giudizio di pericolosita’ di costui, oggetto specifico della propria pronuncia, il Tribunale ha condivisibilmente osservato come, con tale condanna, sia stata riconosciuta la circostanza aggravante dei futili motivi, e come, altresi’, l’arma utilizzata in quelle occasioni non sia mai stata rinvenuta.
Ed altrettanto plausibili risultano le considerazioni espresse nell’impugnato provvedimento, laddove si e’ esclusa la rilevanza dell’intervenuta confisca dell’azienda del (OMISSIS) ai fini del venir meno dell’attualita’ del pericolo di recidiva, avendo il Tribunale evidenziato, in proposito, le motivazioni a delinquere di quegli, non legate esclusivamente alla sua attivita’ professionale e determinate anche da ragioni banali (come un senso del proprio onore assolutamente spropositato e la tendenza a regolare i propri rapporti con l’uso della violenza), nonche’ l’essersi egli avvalso, gia’ in passato, di prestanome per gestire attivita’ commerciali.
2.2. Reputato, dunque, sussistente un concreto ed attuale pericolo di recidiva, correttamente il Tribunale ha ritenuto operante la presunzione di esclusiva adeguatezza della misura cautelare carceraria, assolvendo, mediante le anzidette argomentazioni, all’onere di motivazione su di esso comunque gravante, in ragione della natura relativa di tale presunzione.
2.3. Il motivo di ricorso in rassegna, invece, nella parte in cui lamenta la disparita’ di trattamento con il coimputato (OMISSIS), e’ anzitutto inammissibile, in rito, poiche’ non proposto con l’atto d’appello, ma soltanto, per la prima volta, alla Corte di cassazione con il ricorso in scrutinio.
Esso, in ogni caso, risulta altresi’ manifestamente destituito di fondamento.
In primo luogo, ed in linea di principio, perche’ il profilo della “parita’ di trattamento” tra indagati non rientra tra i criteri di scelta delle misure cautelari tipizzati dall’articolo 275 c.p.p., secondo quella che puo’ ritenersi, a buona ragione, un’opzione normativa meditata e non casuale: essa, infatti, e’ stata tenuta ferma dal legislatore nonostante i profondi e reiterati rimaneggiamenti da esso apportati negli anni alla materia, verosimilmente fondandosi sulla ragionevole consapevolezza dell’impossibilita’ di verificazione, in rerum natura, di una perfetta identita’ di situazioni individuali, sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo.
Nello specifico, inoltre, la doglianza e’ infondata anche nei suoi presupposti di fatto, poiche’ l’odierno ricorrente e’ stato condannato per ulteriori reati rispetto al suo coimputato.
3. Anche il secondo motivo di ricorso e’ inammissibile.
3.1. In rito, l’impugnata ordinanza ha evidenziato come, sullo specifico punto, si sia formato il “giudicato cautelare”, per essere stata la questione gia’ devoluta al Tribunale con un precedente appello ai sensi dell’articolo 310 c.p.p., ed essere stata da quel giudice respinta con ordinanza del 1 dicembre 2017, confermata dalla Corte di cassazione con sentenza n. 18850 del 6 marzo 2018.
A tale osservazione nulla replica il ricorrente; inoltre, dall’esame di quelle pronunce, si rileva come la situazione ivi esaminata fosse effettivamente identica a quella rappresentata con l’odierno ricorso.
3.2. Quand’anche non vi fosse tale ostacolo in rito, comunque la censura proposta sarebbe priva di giuridico fondamento.
3.2.1. In situazioni del tutto analoghe a quella rappresentata dal ricorrente, questa Corte ha avuto modo di affermare, costantemente, che il divieto della custodia cautelare in carcere per l’imputato padre di prole di eta’ inferiore a sei anni non sussiste per il solo fatto che la madre presti giornalmente attivita’ lavorativa, la quale di per se’ non impedisce di prendersi cura dei figli, tanto piu’ se si tratti, come nella specie, di lavoro “part-time” e non sia documentata l’impossibilita’ di ricevere un supporto da strutture pubbliche o private, ovvero da familiari della coppia (per tutte, Sez. 4, n. 40076 del 03/06/2015, Tomaselli, Rv. 264516).
3.2.2. Inoltre, l’ulteriore allegazione del ricorrente, secondo cui, ai fini di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 4, dovrebbe aversi riguardo all’eta’ della prole al momento dell’istanza, non soltanto e’ priva di qualsiasi sostegno normativo esplicito, ma risulta contraddetta dalla ratio ispiratrice della disciplina: la quale, prevedendo un sacrificio delle esigenze di difesa sociale, sottese a quelle cautelari, per tutelare l’interesse alla protezione dell’infanzia, anch’esso di rilievo costituzionale, poiche’ garantito dall’articolo 31 Cost. (Corte Cost., sent. n. 17 del 2017), non puo’ che prendere in considerazione la situazione esistente al momento della decisione, essendo, quest’ultimo, quello in cui il ragionevole bilanciamento tra quegli opposti interessi concretamente s’invera.
Del resto, l’affermazione per cui, al superamento dei sei anni d’eta’ della prole, la misura cautelare piu’ blanda, per tale ragione applicata, non potrebbe essere sostituita da altra piu’ grave, utilizzata dalla difesa per dare conforto ai propri assunti, non solo non rinviene riscontro alcuno in giurisprudenza, ma anzi trova logica smentita nella gia’ citata sentenza della Corte costituzionale.
Investita, proprio con riferimento ad una situazione analoga a quella in esame, dello scrutinio di costituzionalita’ della norma in rassegna, “nella parte in cui prevede che non possa essere disposta o mantenuta la custodia cautelare in carcere nei confronti di imputati, detenuti per gravi reati, che siano genitori di prole solo di eta’ non superiore a sei anni”, la Consulta ha spiegato che l’eta’ di sei anni coincide (in base a dati di esperienza tenuti in conto nei lavori preparatori della L. n. 62 del 2011) con l’assunzione, da parte del minore, dei primi obblighi di scolarizzazione e, dunque, con l’inizio di un processo di relativa autonomizzazione rispetto alla madre.
Pertanto, ha disatteso la richiesta di una pronuncia additiva, che, cancellando l’anzidetto bilanciamento ragionevole tra le contrapposte esigenze interessate, entrambe di rango costituzionale, avrebbe finito per assegnare prevalenza assoluta all’interesse del minore, indipendentemente dalla sua eta’, e ad affidare alla discrezionalita’ del giudice penale l’apprezzamento, caso per caso, della particolare condizione del minore di qualsiasi eta’: in tal modo determinando “l’incoerente condizione di un giudice penale chiamato ad applicare una misura nei confronti di un imputato, sulla base di valutazioni relative non gia’ a quest’ultimo, ma a un soggetto terzo – il minore – estraneo al processo”.
4. L’inammissibilita’ del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’articolo 616 c.p.p. – la condanna del proponente alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilita’ (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in duemila Euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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