L’illecito costituito dalla lottizzazione abusiva

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 7 agosto 2019, n. 5607.

La massima estrapolata:

L’illecito costituito dalla lottizzazione abusiva si consuma nel caso di qualsiasi tipo di opera in concreto idonea a stravolgere l’assetto del territorio preesistente ed a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, pertanto, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione del territorio (che viene posta di fronte al fatto compiuto), sia un nuovo e non previsto carico urbanistico.

Sentenza 7 agosto 2019, n. 5607

Data udienza 11 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10809 del 2010, proposto da
Pa. Ma., rappresentata e difesa dall’avvocato An. Ab., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Ru., con domicilio eletto presso l’avv. Lu. Na. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Seconda n. 17263/2010, resa tra le parti, concernente lottizzazione abusiva nonché demolizione e ripristino stato dei luoghi
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 giugno 2019 il Cons. Cecilia Altavista e uditi per le parti l’avvocato Ma. Vi. Za. su delega dell’avvocato An. Ab. e l’avvocato Gi. Ru.;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il presente atto di appello è stata impugnata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania, Sez. II, n. 17263 del 2010, di reiezione del ricorso proposto dalla signora Pa. Ma. avverso l’ordinanza n. 139 del 18 settembre 2008 con la quale il Dirigente del Servizio controllo edilizia privata del Comune di (omissis) ha ingiunto la sospensione e successiva demolizione di opere riconducibili ad una lottizzazione abusiva, ai sensi dell’art. 30 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, in zona classificata come agricola-zona (omissis), con edificabilità consentita in base alle NTA del PRG con lotto minimo di 10000 metri quadri e per costruzioni necessarie alla conduzione del fondo.
Con riferimento alla parte dell’ordinanza comunale riguardante l’appellante, riguarda opere realizzate sulla particella n. (omissis) del foglio (omissis) proveniente dall’originario frazionamento dell’unica particella (omissis), realizzata nel 1982 ad opera del precedente proprietario signor Ci., e nel frattempo acquistata da terzi; in particolare, la particella n. (omissis) risulta acquistata dalla parte appellante nel 1997; sul terreno è stato realizzato un fabbricato adibito a civile abitazione, per cui è stata rilasciata concessione in sanatoria il 7 giugno 2007, ai sensi della legge n. 724 del 1995.
L’ordinanza è stata preceduta dalla istruttoria del Comune di (omissis), dopo aver preso atto della nota n. 873 in data 11 giugno 2007, della propria Polizia Municipale, trasmessa in esecuzione di delega di indagine nell’ambito di un procedimento penale.
Sulla base delle risultanze della stessa in termini di verifica della tipologia degli atti negoziali intervenuti, delle caratteristiche dei soggetti coinvolti e della consistenza dei terreni, nonché sulla base dell’incrocio delle risultanze dei sopralluoghi con i dati dell’Agenzia del Territorio e con i rilievi aerei effettuati dal Comune, è stata adottata l’ordinanza impugnata in primo grado, che ha ritenuto inequivocabilmente realizzata nel tempo, su vaste aree del territorio comunale, una trasformazione urbanistica dei suoli. Emergeva infatti che in intere zone libere, a destinazione agricola secondo lo strumento urbanistico generale, era stata avviata nel corso degli anni un’intensa attività negoziale di vendita e frazionamento dei terreni a scopo edilizio.
Secondo il Comune, il contestuale riscontro della realizzazione di manufatti sine titulo e di opere di urbanizzazione su dette aree attribuiva a quegli indizi il valore di inconfutabile prova dell’avvenuta lottizzazione abusiva, in violazione degli strumenti urbanistici.
Il giudice di primo grado ha respinto tutti i motivi d’impugnazione ravvisando nel caso di specie gli estremi sia della lottizzazione negoziale che della lottizzazione materiale.
La signora Ma. ha proposto appello reiterando nella sostanza gli originari motivi di doglianza, in quanto erroneamente vagliati dal Tribunale.
In particolare, ha dedotto i seguenti motivi di appello:
-error in iudicandum rispetto alla censura relativa alla violazione dell’art 30 del D.P.R. 380/2001, dell’art. 18 della legge n. 47 del 1985; al travisamento dei fatti, al difetto di istruttoria, di motivazione, sostenendo la carenza dei presupposti della fattispecie di lottizzazione abusiva, in capo all’appellante, in quanto il frazionamento della originaria particella n. (omissis) del foglio (omissis) si sarebbe verificato già nei primi anni ’80, in epoca comunque anteriore alla realizzazione delle opere edilizie; non ci sarebbe alcun nesso, quindi, tra il frazionamento e le opere edilizie realizzate; inoltre il frazionamento sarebbe anche antecedente alla previsione della fattispecie della lottizzazione abusiva da parte della legge n. 47 del 1985; in ogni caso, la lottizzazione nel senso dell’avvenuto frazionamento si sarebbe anche già verificata al momento dell’acquisto dell’appellante con la conseguenza che le opere da realizzate senza titolo potrebbero essere al massimo opere edilizie abusive, peraltro oggetto di successiva concessione in sanatoria; inoltre la zona sarebbe ancora priva di opere di urbanizzazione;
– error in iudicandum rispetto alla censura con cui è stata dedotta la violazione dell’art 30 del D.P.R. 380/2001, dell’art. 18 della legge n. 47 del 1985; la carenza dei presupposti; la violazione del principio tempus regit actum, in quanto l’originario frazionamento sarebbe avvenuto in epoca anteriore alla previsione della fattispecie della lottizzazione abusiva da parte della legge n. 47 del 1985;
– error in iudicandum rispetto alla censura relativa alla violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241; al difetto di motivazione, non essendo motivato il provvedimento con specifico riferimento alla posizione dell’appellante;
– error in iudicandum rispetto alla censura relativa violazione dell’art 30 del D.P.R. 380/2001, dell’art. 18 della legge n. 47 del 1985; alla carenza di potere in concreto con cui deduceva l’avvenuto rilascio della concessione in sanatoria con provvedimento del 7 giugno 2007 mai annullata;
– error in iudicandum rispetto alla censura relativa alla violazione e falsa applicazione dell’art 30 del D.P.R. 380 del 2001, dell’art 29 della L. 47 del 1985 e dell’art 23 della legge regionale n. 16 del 2004, con cui si lamentava che l’amministrazione comunale avrebbe dovuto valutare l’opportunità di procedere al recupero delle opere di un numero così ampio di proprietari, mediante approvazione di una variante al P.R.G.; ha dedotto, inoltre, di avere presentato istanza di riclassificazione delle aree al Comune il 10 febbraio 2010 e che non avendo il Comune fornito alcuna risposta a tale istanza, aveva presentato motivi aggiunti al ricorso di primo grado, erroneamente respinti dal giudice di primo grado sulla base della mancanza di un obbligo di approvazione della variante, mentre il giudice di primo grado avrebbe dovuto almeno affermare l’obbligo di provvedere sulla istanza;
– error in iudicandum rispetto alla censura relativa alla violazione del giusto procedimento; alla violazione degli artt. 7 e 21 octies della legge n. 241 del 1990, con cui si lamentava la mancata comunicazione di avvio del procedimento;
Si è costituito nel presente giudizio il Comune di (omissis), insistendo per la reiezione dell’appello e la conferma della sentenza del T.A.R.
Alla pubblica udienza dell’11 giugno 2019 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
L’appello è infondato.
Con riferimento ai primi motivi di appello con cui si contesta l’avvenuta lottizzazione ad opera dell’appellante, ritiene il Collegio di evidenziare, come rilevato dal giudice di primo grado, che l’area in questione è stata interessata da una lottizzazione c.d. mista, in quanto, alla originaria suddivisione del suolo agricolo, sito in area inedificabile e vincolata, si è aggiunta, nel tempo, la successiva attività di trasformazione edilizia dei singoli fondi attraverso la esecuzione di opere.
Risultano, quindi, integrate sia la lottizzazione materiale in ragione della trasformazione urbanistica ed edilizia dell’area in contrasto con le norme vigenti sia la lottizzazione cartolare, posta in essere mediante il frazionamento planimetrico del fondo e la conseguente vendita dei lotti da essa risultanti. La lottizzazione contestata, infatti, è stata attuata nel tempo, prima attraverso vari atti di frazionamento e conseguenti vendite di singoli lotti e poi attraverso la esecuzione di opere di urbanizzazione e la trasformazione edilizia degli stessi.
L’art. 30 d.P.R. n. 380 del 2001, in applicazione del quale è stata adottata l’ordinanza impugnata, riproduce integralmente le disposizioni già contenute nell’art. 18 della legge 28 febbraio 1985 n. 47; le norme, nello specifico, hanno previsto che si abbia “lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio”.
Da tale norma derivano due fattispecie di lottizzazione cioè una lottizzazione “materiale”, consistente nella realizzazione, anche nella sola fase iniziale, di opere che comportino un’abusiva trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni in violazione degli strumenti urbanistici; e una lottizzazione “negoziale”, ovvero “cartolare”, allorquando la trasformazione avvenga tramite atti negoziali che determinino un frazionamento del terreno in lotti tali da denunciare in modo inequivoco la destinazione a scopo edificatorio.
La fattispecie lottizzatoria può consolidarsi innanzitutto nella veste di c.d. lottizzazione materiale o sostanziale, che si realizza attraverso l’avvio non autorizzato di opere finalizzate alla trasformazione urbanistica di terreni in zona non adeguatamente urbanizzata in violazione della disciplina a quest’ultima impartita dalla legislazione e dagli strumenti pianificatori. In particolare, come evidenziato da questo Consiglio, siffatti interventi devono risultare globalmente apprezzabili in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, di aggravio del relativo carico insediativo e, soprattutto, di pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita all’amministrazione; devono, cioè, valutarsi alla luce della ratio del citato art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, il cui bene giuridico tutelato risiede nella necessità di salvaguardare detta potestà programmatoria, nonché la connessa funzione di controllo, posta a garanzia dell’ordinata pianificazione urbanistica, del corretto uso del territorio e della sostenibilità dell’espansione abitativa in rapporto agli standards apprestabili (Cons. Stato, sez. VI, 6 giugno 2018, n. 3416; id. 9 gennaio 2018, n. 5805, inerente peraltro il medesimo provvedimento oggetto dell’odierno contenzioso).
L’illecito lottizzatorio può assumere anche le sembianze della cd. lottizzazione cartolare, “quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio” (Cons. Stato Sez. II, Sent., 20 maggio 2019, n. 3215). Con riferimento specifico alla predetta lottizzazione c.d. “cartolare”, la fattispecie è ravvisabile allorquando la trasformazione del suolo sia stata predisposta mediante il frazionamento e la vendita – ovvero mediante atti negoziali equivalenti – del terreno frazionato in lotti, i quali, per le loro oggettive caratteristiche – con riguardo soprattutto alla dimensione correlata alla natura dei terreni ed alla destinazione degli appezzamenti considerata sulla base degli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o l’eventuale previsione di opere di urbanizzazione – rivelino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio degli atti adottati dalle parti (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 3 agosto 2012, n. 4429; Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 2937). Ai fini dell’accertamento della sussistenza di una lottizzazione abusiva “cartolare” non è peraltro sufficiente il mero riscontro del frazionamento del terreno collegato a plurime vendite, ma è richiesta anche l’acquisizione di un sufficiente quadro indiziario dal quale sia oggettivamente possibile desumere, in maniera non equivoca, la destinazione a scopo di edificazione perseguito mediante gli atti posti in essere dalle parti. Detto altrimenti, l’attività negoziale avente ad oggetto il frazionamento e il trasferimento di appezzamenti di terreno rileva quale indizio di un intento che deve trovare conferma anche in altre circostanze che rendano evidente la non equivocità del fine della futura edificazione, rilevando al riguardo la sussistenza di circostanze fattuali certe e univoche, che confermino che l’attività posta in essere è propedeutica alla realizzazione di un abuso o alla trasformazione del suolo a fini edificatori (Cons. Stato, Sez. VI, 10 novembre 2015, n. 5108; Sez. II, 17 maggio 2019, n. 3196).
In ogni caso, l’illecito costituito dalla lottizzazione abusiva si consuma nel caso di qualsiasi tipo di opera in concreto idonea a stravolgere l’assetto del territorio preesistente ed a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, pertanto, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione del territorio (che viene posta di fronte al fatto compiuto), sia un nuovo e non previsto carico urbanistico (cfr. Cons. Stato Sez. II, Sent., 20 maggio 2019, n. 3215).
Quanto alla “colpevolezza” del proprietario del terreno, il Collegio ritiene di aderire all’orientamento giurisprudenziale già espresso di recente dalla Sezione, per cui per configurare la lottizzazione si può prescindere dallo stato soggettivo di buona o mala fede dei lottizzanti giacché l’illecito si fonda sul dato oggettivo dell’intervenuta illegittima trasformazione urbanistica del territorio, fatta salva la tutela in sede civile nei confronti dei propri danti causa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 8 gennaio 2016 n. 26 del 2016; Cons. Stato Sez. II, 20 maggio 2019, n. 3215; id Sez. II, 17 maggio 2019, n. 3196).
Sotto tale profilo, con riferimento al caso di specie, ritiene il Collegio che non possa rilevare a sostegno della buona fede dell’appellante la circostanza dell’essere stata acquirente dei suoli successivamente al frazionamento dell’area e quindi non autrice dell’originario disegno lottizzatorio. In primo luogo, ritiene il Collegio di aderire a quanto già affermato da questo Consiglio, che, sulla base dalla natura oggettiva della lottizzazione abusiva e indipendente dall’animus dei proprietari interessati, ha già escluso la rilevanza di tale circostanza con riferimento al medesimo provvedimento comunale impugnato (cfr. Sez. VI, 9 ottobre 2018, n. 5805).
Inoltre, anche la giurisprudenza penale, argomentando dal carattere contravvenzionale del reato di lottizzazione abusiva, precisa che gli acquirenti dei singoli lotti risultanti dal frazionamento non possano invocare sic et simpliciter una propria asserita buona fede, non potendo essi, solo per tale loro qualità, qualificarsi come terzi estranei all’illecito, dovendo, invece, dimostrare di aver adoperato la necessaria diligenza nell’adempimento dei doveri di informazione e conoscenza senza, tuttavia, rendersi conto, in buona fede, di partecipare ad un’operazione di illecita utilizzazione del territorio (cfr. Cass. pen., Sez. III, 13 febbraio 2014, n. 2646; id., 3 dicembre 2013, n. 51710; id., 27 aprile 2011, n. 21853). In tal senso i principi costituzionali e comunitari di buona fede e di presunzione di non colpevolezza invocabili dai contravventori allo scopo di censurare un asserito deficit istruttorio e motivazionale consistente nell’omessa individuazione dell’elemento psicologico dell’illecito contestato possono al più utilizzare l’argomento al mero fine dell’applicazione della sanzione penale accessoria della confisca urbanistica contemplata dall’art. 44 del D.P.R. n. 380 del 2001 (reputata comunque compatibile con l’art. 7 CEDU dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: Grande Chambre, 28 giugno 2018, n. 1828), mentre l’argomento medesimo non è utilmente invocabile al fine dell’irrogazione della sanzione ammnistrativa dell’acquisizione coattiva dell’immobile al patrimonio disponibile del Comune, contemplata dall’art. 30, comma 8, del D.P.R. n. 380 del 2001, in quanto atto vincolato (cfr., in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 23 marzo 2018, n. 1878; Sez. II, 17 maggio 2019, n. 3196)
La giurisprudenza è, altresì, consolidata nel ritenere la natura permanente dell’illecito con la conseguenza che tale tipologia di illecito urbanistico-edilizio è soggettivamente trasferibile propter rem e sanzionabile in capo a tutti coloro che siano divenuti titolari dei terreni abusivamente lottizzati e che abbiano goduto di costruzioni eseguite sine titulo su tali terreni, così concorrendo attivamente alla prosecuzione della fattispecie (di recente, Cons. Stato Sez. II, 17 maggio 2019, n. 3196).
Applicando tali coordinate giurisprudenziali al caso di specie, deve ritenersi integrata la fattispecie della lottizzazione abusiva in relazione alle circostanze di fatto, peraltro incontestate, desumibili da tutti gli accertamenti effettuati: i lotti appartenenti all’appellante risultano dal frazionamento di un’unica area molto più vasta, a destinazione agricola; la contestualità temporale di tutte le vendite originarie, attraverso le quali si realizzò tale frazionamento; la realizzazione sui suoli risultanti dal frazionamento di molteplici interventi edilizi abusivi, incompatibili con la detta destinazione agricola delle aree; la carenza in capo all’appellante o comunque la mancata deduzione in proposito della qualifica di imprenditore agricolo; la necessaria realizzazione di opere di urbanizzazione, in assenza delle quali un insediamento residenziale non avrebbe avuto le necessarie condizioni di abitabilità .
Agli effetti della configurazione della fattispecie, inoltre, ciò che rileva non è l’epoca successiva di realizzazione delle opere edilizie abusive, quanto il loro discendere dall’iniziale frazionamento dell’area, ciò che deve ritenersi sufficiente a dimostrarne la coerenza con l’originario intento lottizzatorio.
Peraltro, nel caso di specie, la destinazione agricola dei terreni risultante anche espressamente dall’atto di acquisto del terreno rendeva conoscibile alla parte odierna appellante la radicale trasformazione dell’area in assenza di qualsiasi attività pianificatoria comunale.
Quanto al tempo di realizzazione della lottizzazione, la natura permanente dell’illecito comporta il coinvolgimento dei successivi proprietari.
Con ulteriore motivo di appello si lamenta il difetto di motivazione del provvedimento impugnato in primo grado, in quanto non sarebbe stata indicata l’attività lottizzatoria compiuta dall’appellante.
Ritiene il collegio l’infondatezza di tale motivo di appello, risultando dal provvedimento impugnato, la particella di proprietà dell’appellante (proveniente dal frazionamento dell’originaria particella), la data del suo atto di acquisto, la realizzazione su tale terreno di un immobile abusivo, nonché l’unico disegno lottizzatorio risultante proprio dalla considerazione unitaria di tutte le altre particelle oggetto di analoghe vicende di frazionamento e realizzazione di immobili abusivi.
La motivazione dà quindi sufficientemente conto dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche del provvedimento, anche tenuto conto del costante orientamento giurisprudenziale, per cui i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia costituiscono atti vincolati che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare. Infatti, la sanzione repressiva in materia edilizia costituisce atto dovuto della pubblica amministrazione, riconducibile ad esercizio di potere vincolato, in mera dipendenza dall’accertamento dell’abuso e della riconducibilità del medesimo ad una delle fattispecie di illecito previste dalla legge, con la conseguenza che il provvedimento sanzionatorio non richiede una particolare motivazione, essendo sufficiente la mera rappresentazione del carattere illecito dell’opera realizzata; né è necessaria una previa comparazione dell’interesse pubblico alla repressione dell’abuso, che è in re ipsa, con l’interesse del privato proprietario del manufatto e ciò anche se l’intervento repressivo avvenga a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso (Consiglio di Stato VI 9 aprile 2019, n. 2329; IV 31 agosto 2016 n. 3750 con espresso riferimento ad una ipotesi di lottizzazione abusiva).
Sostiene poi l’appellante la illegittimità del provvedimento impugnato e l’erronea valutazione del giudice di primo grado in relazione all’avvenuto rilascio nel 2007 del titolo in sanatoria richiesto ai sensi della legge n. 724 del 1995.
Il motivo è infondato, in relazione al costante orientamento giurisprudenziale per cui la fattispecie della lottizzazione abusiva, riguardando la sottrazione al Comune del potere pianificatorio, prescinde dalle singole opere abusive realizzate senza titolo e dalla presentazione per questa di una eventuale domanda di sanatoria o dal rilascio per le stesse di un titolo edilizio.
L’accertamento della lottizzazione abusiva, fattispecie posta a tutela del potere comunale di pianificazione in funzione dell’ordinato assetto del territorio, è un procedimento autonomo e distinto dall’eventuale rilascio anche postumo del titolo edilizio; pertanto alcun rilievo sanante può rivestire il rilascio di una eventuale concessione edilizia, sia ex ante, in presenza di concessioni edilizie già rilasciate, sia successivamente, in presenza di concessioni rilasciate in via di sanatoria (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 19 giugno 2014, n. 3115).
L’autonomia della lottizzazione abusiva dalle singole opere edilizie abusive comporta che la sanatoria non può avere comunque alcun rilievo sugli atti adottati ai sensi dell’art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001.
Inoltre, rispetto alla lottizzazione abusiva non è possibile la sanatoria dell’illecito tramite il condono delle singole unità immobiliari realizzate abusivamente, non potendo le singole porzioni di suolo ricomprese nell’area abusivamente lottizzata essere valutate in modo isolato e atomistico, ma in relazione allo stravolgimento della destinazione di zona che ne deriva nel suo complesso (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2012, n. 3381).
L’appellante sostiene poi la violazione dell’art. 29 della legge n. 47 del 1985 e dell’art. 23 della legge regionale della Campania n. 16 del 2004, in quanto l’Amministrazione comunale non avrebbe valutato il recupero urbanistico degli insediamenti abusivi, tramite l’approvazione di una variante urbanistica.
Anche tale motivo di appello è infondato.
Ai sensi dell’art. 29 della legge n. 47 del 1985, “entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge le regioni disciplinano con proprie leggi la formazione, adozione e approvazione delle varianti agli strumenti urbanistici generali finalizzati al recupero urbanistico degli insediamenti abusivi, esistenti al 1° ottobre 19(omissis), entro un quadro di convenienza economica e sociale”.
In base all’art. 23 commi 3 e seguenti della legge regionale 22 dicembre 2004, n. 26, il Piano urbanistico comunale “individua la perimetrazione degli insediamenti abusivi esistenti al 31 dicembre 1993 e oggetto di sanatoria ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47, capi IV e V, e ai sensi della legge 23 dicembre 1994, n. 724, articolo 39, al fine di: a) realizzare un’adeguata urbanizzazione primaria e secondaria; b) rispettare gli interessi di carattere storico, artistico, archeologico, paesaggistico-ambientale ed idrogeologico; c) realizzare un razionale inserimento territoriale ed urbano degli insediamenti. 4. Le risorse finanziarie derivanti dalle oblazioni e dagli oneri concessori e sanzionatori dovuti per il rilascio dei titoli abilitativi in sanatoria sono utilizzate prioritariamente per l’attuazione degli interventi di recupero degli insediamenti di cui al comma 3. 5. Il Puc può subordinare l’attuazione degli interventi di recupero urbanistico ed edilizio degli insediamenti abusivi, perimetrati ai sensi del comma 3, alla redazione di appositi Pua, denominati piani di recupero degli insediamenti abusivi, il cui procedimento di formazione segue la disciplina prevista dal regolamento di attuazione previsto dall’articolo 43-bis. 6. Restano esclusi dalla perimetrazione di cui al comma 3 gli immobili non suscettibili di sanatoria ai sensi dello stesso comma 3”.
Ritiene il Collegio di richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale per cui anche le varianti per il recupero dei nuclei edilizi abusivi rientrano nell’ampia discrezionalità del potere pianificatorio urbanistico comunale. Nessun obbligo di redazione di varianti per il recupero degli insediamenti abusivi discende, infatti, dall’art. 29 della legge n. 47 del 1985, mentre la perimetrazione dei nuclei abusivi, così come la successiva approvazione della variante sono attività rientranti in pieno nel potere pianificatorio discrezionale del Consiglio comunale, che esercita in tal caso la discrezionalità in funzione del recupero di una situazione creatasi in via di fatto, ma che tenga conto, oltre alla esigenza di recupero dei nuclei abusivi, delle generali esigenze di pianificazione del territorio comunale. La ratio di tali norme non è, infatti, quella di imporre alle amministrazioni comunali l’obbligo di considerare gli insediamenti abusivi a fini del recupero; bensì quella di affiancare una speciale tipologia di variante a quelle già contemplate dall’ordinamento urbanistico; pertanto, le amministrazioni interessate hanno una mera facoltà e non l’obbligo di contemplare all’interno delle varianti generali gli insediamenti abusivi (cfr. Consiglio di Stato, IV, 25 luglio 2001, n. 4078; 3 ottobre 2001, n. 5207; Sez. VI, 5 aprile 2012, n. 2038; Sez. IV, 7 giugno 2012, n. 3381; T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, 28 marzo 2018, n. 3423).
Nel caso di specie, il Comune di (omissis) non ha approvato alcuna variante per il recupero del nucleo abusivo né aveva un obbligo in tal senso.
Dalla mancanza di un obbligo di approvazione di una variante urbanistica per il recupero dei nuclei abusivi, deriva anche l’infondatezza delle argomentazioni proposte avverso la reiezione dei motivi aggiunti in primo grado sulla base della mancanza di un obbligo di provvedere del Comune.
Presupposto necessario per la proposizione dell’azione ai sensi dell’art. 31 c.p.a. è costituito dalla sussistenza di un obbligo di provvedere in capo all’amministrazione.
Nella fattispecie in esame, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, tale obbligo non sussiste.
Infatti, la parte privata ha chiesto all’Amministrazione non solo l’avvio di una attività di pianificazione urbanistica connotata da una amplissima discrezionalità, ma nel caso di specie, caratterizzata anche dalla scelta “politica” del Comune di procedere al recupero dei nuclei abusivi.
Del resto la stessa difesa appellante si riferisce alla valutazione che il Comune avrebbe dovuto effettuare circa l’approvazione della variante in termini di “opportunità “.
Si tratta di procedimenti ad iniziativa di ufficio per i quali non è ravvisabile alcun dovere di provvedere, in quanto l’attività di pianificazione è in generale connotata da discrezionalità che investe anche l’an del provvedere e che presuppone valutazioni complesse di una molteplicità di interessi pubblici e privati; ne consegue che anche il suo eventuale avvio costituisce l’espressione di una facoltà altrettanto discrezionale, non già il frutto dell’adempimento ad un obbligo di legge.
Un obbligo di provvedere può ravvisarsi soltanto nel caso in cui una norma di legge, che nelle specie manca, ne predefinisca in modo chiaro i connotati (cfr. Cons. Stato Sez. VI, 20 aprile 2017, n. 1860 che ha escluso un obbligo di provvedere nel caso di istanza all’amministrazione comunale di l’attivazione di procedimenti volti a modificare gli strumenti urbanistici al fine di “regolarizzare” la presenza di roulottes in una determinata area o di rinvenire soluzioni abitative alternative).
Il ricorso avverso il silenzio rifiuto è volto a sollecitare l’esercizio di un pubblico potere e risulta esperibile solo qualora si sia in presenza di un obbligo di provvedere e della violazione di quest’ultimo; “agli atti di pianificazione del territorio, proprio perché atti amministrativi generali, si applica il principio enunciato con riferimento agli atti regolamentari, in relazione ai quali è esclusa l’ammissibilità dello speciale rimedio processuale avverso il silenzio – inadempimento della P.A., in quanto strettamente circoscritto alla sola attività amministrativa di natura provvedimentale, ossia finalizzata all’adozione di atti destinati a produrre effetti nei confronti di specifici destinatari.
Il che non avviene per gli atti generali, i quali sono indirizzati ad una pluralità indifferenziata di destinatari e non sono destinati a produrre effetti nella sfera giuridica di singoli soggetti specificamente individuati” (Cons. Stato Sez. IV, 26 marzo 2014, n. 1460).
Ritiene, dunque, il Collegio che il giudice di primo grado abbia correttamente escluso nel caso di specie l’obbligo di provvedere dell’Amministrazione comunale e quindi abbia correttamente respinto l’azione proposta con i motivi aggiunti ai sensi dell’art. 31 c.p.a.
Con ulteriore motivo di appello si lamenta la violazione delle norme sulla partecipazione al procedimento.
L’applicazione dell’art. 21 octies, comma 2, della legge 7 agosto 1990, per cui “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”, conduce ad un giudizio di infondatezza della censura, in quanto il provvedimento impugnato non avrebbe potuto avere contenuto diverso né l’eventuale partecipazione procedimentale avrebbe potuto incidere sui presupposti del provvedimento impugnato, in relazione alla sussistenza della lottizzazione abusiva, basata sull’indubbio accertamento del frazionamento di una più vasta proprietà in diversi lotti ai fini edilizi e sulla materiale trasformazione degli stessi suoli. L’art. 21 octies si riferisce, infatti, anche al provvedimento che abbia natura in concreto vincolata con la conseguenza che l’avviso di inizio del procedimento non sia comunque dovuto quando in concreto si rilevi la sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento impugnato.
Deve essere in proposito richiamata la consolidata giurisprudenza, per cui l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento non viene inteso in senso formalistico, ma risponde all’esigenza di acquisire l’apporto collaborativo da parte dell’interessato, con la conseguenza che tale obbligo viene meno qualora nessuna effettiva influenza potrebbe avere la partecipazione del privato rispetto alla portata del provvedimento finale (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 marzo 2017, n. 1407; Sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2509). In particolare, l’esclusione dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento è stata già affermata da questo Consiglio anche nel caso della lottizzazione abusiva quando, come nel caso di specie, risultino la “finalità certamente edificatoria della lottizzazione ed il suo carattere non autorizzato ed abusivo” (Consiglio di Stato, sezione IV 9 ottobre 2017 n. 4668).
Conclusivamente pertanto l’appello è da ritenersi infondato e deve essere respinto.
Ritiene il Collegio la sussistenza di giusti motivi, in relazione alla peculiarità delle situazioni di fatto per compensare le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del presente grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fulvio Rocco – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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