Il vincolo paesistico

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 13 agosto 2019, n. 5690.

La massima estrapolata:

Il vincolo paesistico, per i territori costieri compresi nella fascia di 300 metri dalla linea di battigia, è da considerarsi inderogabile.

Sentenza 13 agosto 2019, n. 5690

Data udienza 18 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6422 del 2008, proposto da
Bo. An., ed altri rappresentati e difesi dagli avvocati An. Ga. e Se. Ca., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Im. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ca. Au. Me. Co., con domicilio eletto presso lo studio Gianluigi Falchi in Roma, via (…);
Dirigente Settore Urbanistica del Comune di (omissis) non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda n. 01687/2007, resa tra le parti, concernente diniego di accertamento di conformità, diniego di condono edilizio e ordinanze di demolizione.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 giugno 2019 il Cons. Carla Ciuffetti e uditi per le parti gli avvocati Se. Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Gli odierni appellanti avevano ereditato un terreno con fabbricato sito nel territorio del Comune di (omissis). Il de cuius aveva avviato lavori edilizi e presentato in data 23 maggio 1994 domanda di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47/1985 per opere effettuate sine titulo sull’immobile.
Il Comune aveva rigettato la domanda, con atto in data 12 settembre 1994, per contrasto del progetto con la normativa urbanistico vigente e il Piano paesistico territoriale n. 13 Sud-Est Sardegna, disponendo poi la demolizione del fabbricato con ordinanza n. 219 in data 23 settembre 1994. Tali atti venivano impugnati con il ricorso n. 2831/94 davanti al Tar da parte dell’interessato. Questi, in pendenza del procedimento di primo grado, presentava domanda di condono edilizio ai sensi della l. n. 724/1994; l’istanza veniva respinta dal Comune, per essere stati i lavori ultimati dopo il termine di legge del 31 dicembre 1993, con atto in data 6 luglio 1999, impugnato anch’esso dal medesimo interessato con ricorso n. 1361/99.
L’Amministrazione ingiungeva quindi la demolizione del fabbricato con atto n. 52, in data 23 febbraio 2001, e, con atto prot. n. 5384, in data 7 novembre 2001, comunicava l’accertamento dell’inottemperanza a tale ordine di demolizione all’interessato, che impugnava il primo atto con ricorso n. 857/2001 e, con motivi aggiunti, l’atto di comunicazione.
A seguito del decesso del ricorrente, gli odierni appellanti, nella qualità di eredi, riassumevano il giudizio di primo grado.
2. La sentenza in epigrafe, previa riunione, ha respinto i tre ricorsi e i motivi aggiunti.
Affrontando preliminarmente la questione delle dimensioni del fabbricato e dello stato dei luoghi, il primo Giudice ha rilevato che, sia nell’ordinanza di demolizione n. 219/1994, sia nella relazione tecnica allegata alla domanda dell’originario ricorrente in data 19 maggio 1994, le dimensioni originarie del fabbricato oggetto del contendere venivano indicate in circa 50 mq.
L’ordinanza comunale dava atto dell’intervenuta demolizione dell’originario fabbricato, mentre la suddetta relazione affermava che, nel corso di lavori di ripulitura a seguito di incendio, la struttura del fabbricato era stata smossa e il tetto era crollato a seguito di urto accidentale da parte di un mezzo meccanico. Dall’esame delle aerofotogrammetrie allegate alla perizia tecnica di parte in data 21 novembre 1994, il Tar ha rilevato un diverso andamento dei corpi edilizi tra gli anni 1968, 1977 e 1985 e ha quindi considerato “accertato “per tabulas ” che fra il 1977 ed il 1985, l’edificio, per come era conformato in precedenza, non esisteva più “, risultando confermato “quanto accertato dall’amministrazione comunale, e non contestato con prove documentali di segno opposto, e cioè che alla data del 1992 esisteva nel lotto in questione una costruzione fatiscente di 50 m² “. Perciò, “il fatto che, nella domanda di accertamento di conformità, sia stata allegata l’aerofotogrammetria del 1977 (più favorevole al ricorrente) quale prova dell’esistente, dimostra invece l’esattezza del rilievo mosso dall’amministrazione che sostiene essere, la situazione riportata in progetto, non corrispondente con la realtà dei luoghi (ovviamente con riferimento all’anno 1994)”.
In base agli atti del procedimento di primo grado, il Tar ha ritenuto accertato che lavori in questione non costituissero né ristrutturazione edilizia né interventi di “manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e le volumetrie preesistenti”, che, ai sensi dell’art. 10-bis, comma 2, lett. i), della l. r. n. 45/1989 e del Piano territoriale paesistico n. 13 Sud-Est Sardegna avrebbero consentito il rilascio di concessione edilizia in sanatoria, in deroga al vincolo di inedificabilità assoluta entro la fascia costiera di 300 mt dalla battigia posto dall’art. 10-bis, comma 1, della l. r. n. 45/1989. Perciò, secondo il Tar, le opere abusive non erano sanabili né ai sensi della legislazione nazionale né in base alla legge regionale e legittimamente il Comune aveva adottato l’ordinanza di demolizione n. 219/1994. I sopralluoghi svolti consentivano di ritenere che gli atti impugnati fossero stati emanati a seguito di congrua istruttoria. Pertanto il primo Giudice ha respinto il ricorso n. 2831/94.
Il Tar ha respinto anche il ricorso n. 1361/99, di impugnazione dell’atto di diniego di condono edilizio, in quanto, in base agli atti del procedimento penale avviato nei confronti del ricorrente, ha considerato accertato che i lavori edilizi fossero ancora in corso nel 1994 e che quindi non fosse stato rispettato il termine di ultimazione del 31 dicembre 1993 stabilito dalla l. n. 724/1994. In mancanza di deduzione di vizi specifici da parte del ricorrente e data l’infondatezza delle censure sollevate avverso il diniego di condono, al quale l’ordinanza di demolizione n. 52/2001, e l’atto n. 5384/2001, necessariamente conseguivano avendo natura vincolata, il Tar ha respinto anche il ricorso n. 857/2001 e i motivi aggiunti presentati nel corso del relativo procedimento.
3. Con il presente appello, i ricorrenti deducono l’erroneità della sentenza impugnata per aver considerato gli interventi edilizi controversi come costruzione di un nuovo fabbricato anziché interventi di ristrutturazione, con demolizione e ripristino, di un fabbricato preesistente, da ricondurre alle previsioni dell’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001. Essi deducono che pur trovandosi l’immobile all’interno della fascia costiera di 300 mt dalla battigia, tuttavia il contesto sarebbe fortemente urbanizzato, con evidente vocazione residenziale; inoltre, l’inclusione del relativo terreno in zona F “lottizzazioni esistenti” ne avrebbe determinato la “vocazione” edilizia, “con la conseguenza che esso vincolo di inedificabilità assoluta ha trovato – e trova – alcuni limiti normativi” in quanto l’art. 13 del Piano Territoriale Paesistico n° 13 per il Sud-Est Sardegna consentiva di escludere dal vincolo di integrale conservazione “gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e le volumetrie preesistenti”.
Gli appellanti deplorano che il primo Giudice abbia ritenuto irrilevante il parere favorevole rilasciato dall’Ufficio regionale di Tutela del Paesaggio in merito ai lavori in questione nell’assunto che “tale Autorità è preposta alla tutela di un interesse pubblico differente rispetto a quello di cui è investita l’amministrazione comunale, che deve garantire il rispetto della normativa urbanistica ed edilizia vigente”. Inoltre essi deducono che l’annullamento di sede giurisdizionale del citato Piano avrebbe dato luogo ad un “vuoto di tutela del bene paesaggio”, per effetto del quale le opere abusive non avrebbero avuto il connotato della riprovevolezza atto a giustificarne il divieto assoluto di condono.
Ulteriore profilo di erroneità della sentenza impugnata riguarderebbe le dimensioni del fabbricato in quanto “all’interno della dimensione originaria del fabbricato sono state realizzate alcune verande che, evidentemente, non hanno trovato adeguata rappresentazione grafica nelle successive carte aerofotogrammetriche”; pertanto, tenuto conto di tali verande e dell’incendio, incongruamente l’Amministrazione non avrebbe considerato “due piccole costruzioni risultanti estremamente adiacenti alla costruzione principale nelle due carte areofotogrammetriche del 1985 e del 1992. Siffatta adiacenza, invero, può ragionevolmente deporre per una loro appartenenza ad un corpo più ampio che, sia pure parzialmente compromesso da un evento quale un incendio, appunto, ha mantenuto la sua sostanziale unità “. Gli appellanti sostengono che nel 1993 i lavori controversi erano terminati e che, dalla relazione in data 19 maggio 1994 allegata alla domanda di condono. emergeva che il fabbricato era completamente eretto e coperto, trattandosi di provvedere “alla impermeabilizzazione della copertura ed alla realizzazione su di essa del tetto a due falde”. La sentenza impugnata erroneamente non avrebbe preso in considerazione la nota telegrafica in data 19 maggio 1994 inviata dallo stesso originario ricorrente “per denunciare il cedimento del soffitto e la necessità di esecuzione di urgenti lavori di ristrutturazione dello stesso”: quindi “si appalesa ragionevolmente la sussistenza della prova del sostanziale completamento, dell’immobile abusivamente ristrutturato, alla data del 31.12.1993”.
4. Con memoria in data 14 maggio 2019, gli appellanti fanno presente di aver impugnato davanti al Tar per la Sardegna l’atto del Comune di (omissis), in data 12 marzo 2007, di diniego della concessione edilizia, richiesta dall’originario ricorrente in data 26 febbraio 2001, motivato dal contrasto tra il progetto proposto e l’art. 8 delle NTA del Regolamento edilizio comunale, l’art. 21, comma 3.1. delle NTA del P.U.C. e dell’art. 10-bis, comma 1, della l.r. n. 45/1989. Con sentenza n. 275 del 2016, il Tar per la Sardegna ha accolto il ricorso con riferimento al motivo relativo all’illegittimità dell’art. 8, comma 4, NTA che prevede che “in caso di demolizione e ricostruzione delle strutture verticali perimetrali (murature portanti o pilastri) dell’edificio per oltre il 50% della superficie delle strutture stesse, l’intervento è da qualificarsi come nuova costruzione”, in quanto “l’art. 3 del d.p.r. n. 380/2001 – nel testo vigente all’epoca in cui è stato adottato l’impugnato diniego, come risultante dalla modifica apportata dall’art. 1 del d.lgs. 27 dicembre 2002, n. 301- già prevedeva una nozione ampia di “ristrutturazione edilizia”, compatibile con la demolizione integrale dell’edificio preesistente, purché la ricostruzione fosse prevista “con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente” (cfr. art. 3, lett. d, del d.p.r. n. 380/2001 nel testo all’epoca vigente”. Il Tar ha quindi dichiarato “l’illegittimità dell’art. 8 del Regolamento comunale di Quartu S.E. nella parte in cui limita la nozione di ristrutturazione alle ipotesi di demolizione delle strutture preesistenti superiori al 50%, per evidente contrasto con la norma primaria” e ha ritenuto che l’intervento edilizio controverso fosse “pienamente conforme alla normativa primaria” in quanto “comporta una fedele ricostruzione del fabbricato preesistente”.
Gli appellanti ritengono che “la dichiarazione (sia pure giudiziale) di legittimità del progetto di fedele ricostruzione del fabbricato” si ponga “in oggettivo contrasto” con i provvedimenti impugnati; essa confermerebbe “la circostanza che il fabbricato “de quo” (da ricostruirsi fedelmente, appunto) preesisteva – in relazione ai vincoli di inedificabilità assoluta di cui alla legge regionale sarda n. 45/1989 ed al (allora vigente) Piano Territoriale Paesistico n° 13 di cui al D.P.G.R.S. n° 278/1993″ e assevererebbe che l’intervento edilizio in questione rientrasse “nella più ampia nozione di “ristrutturazione edilizia” di cui all’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001.
Gli appellanti fanno presente la persistenza di interesse alla definizione del presente appello per la parte relativa alle ordinanze di demolizione e prospettano che “potrebbe affermarsi, sia pure in via di subordine, che si appaleserebbero superate le istanze di sanatoria e di condono” in quanto “è stata ammessa (sia pure per la via giudiziale) una ricostruzione dell’immobile con quelle precise caratteristiche che ripropongono fedelmente la costruzione già esistente; dunque, non appalesandosi più necessari né sanatoria, né condono”. Pertanto essi chiedono, in via principale, l’integrale riforma della sentenza in epigrafe, con accoglimento dei ricorsi di primo grado e annullamento degli atti con essi impugnati e, in via subordinata, l’integrale riforma della stessa sentenza con accoglimento dei ricorsi di primo grado e annullamento delle ordinanze di demolizione e della nota di comunicazione di accertamento di inottemperanza, con dichiarazione della cessazione della materia del contendere o la sopravvenuta carenza di interesse con riferimento agli impugnati atti di diniego della sanatoria edilizia.
5. Il Comune di (omissis), costituito con atto depositato in data 25 agosto 2008, ha chiesto il rigetto del ricorso.
6. Il Collegio ritiene che, anche all’esito della sentenza del Tar per la Sardegna 24 marzo 2016, n. 275, restino impregiudicate le questioni controverse riguardanti gli atti comunali di diniego di accertamento di conformità e di diniego di condono edilizio, per i quali non può considerarsi cessata la materia del contendere. Tali atti, come rilevato dalla sentenza odiernamente impugnata, costituivano il presupposto dell’adozione delle ordinanze di demolizione delle quali parte appellante chiede l’annullamento (il diniego di condono edilizio è espressamente citato nell’ordinanza n. 52/2001), sia in via principale che in via subordinata, in riforma della sentenza impugnata e, pertanto, tale domanda comporta che il giudizio si estenda anche agli atti nei quali esse trovavano il proprio presupposto.
7. Venendo ad esaminare i motivi di appello relativi al rigetto del ricorso di primo grado n. 2831/94, il Collegio ritiene che, correttamente, il Tar abbia ritenuto legittimamente emanato il provvedimento di diniego di accertamento di conformità per mancanza del requisito, stabilito dalla normativa statale e da quella regionale, per cui l’opera deve essere “conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda”. A tale conclusione la sentenza impugnata è pervenuta sulla base della documentazione in atti e secondo un percorso argomentativo che il Collegio condivide, che ha consentito di rilevare che il fabbricato in questione, come “accertato dall’amministrazione comunale, e non contestato con prove documentali di segno opposto”, nel 1992 era di circa 50 mq, mentre l’edificio constato dai sopralluoghi effettuati in data 19 maggio 1994 e in data 23 maggio 1994 risultava essere di circa 180 mq. Restava perciò escluso che gli interventi edilizi effettuati costituissero ristrutturazione edilizia o manutenzione straordinaria e dunque l’edificio doveva considerarsi soggetto al vincolo di inedificabilità assoluta della fascia costiera dei 300 mt dalla battigia di cui all’art. 10-bis della l. r. n. 45/1989, introdotto dalla l.r. n. 23/1993, già vigente alla data della presentazione della domanda di accertamento di conformità .
Quanto dedotto dagli appellanti, con formulazione ipotetica e presuntiva, in merito ad un’asserita inadeguata rappresentazione cartografica del fabbricato e a una mancata inclusione di verande non consente, secondo il Collegio, di ritenere raggiunta la prova della preesistenza di un fabbricato avente la stessa volumetria di quello oggetto della domanda di accertamento di conformità e quindi di dimensioni diverse da quelle accertate dal primo Giudice. Ai fini della legittimità del diniego di accertamento di conformità, anche considerato che gli appellanti nella citata memoria in data 14 maggio 2019 invocano la “più ampia nozione di “ristrutturazione edilizia” di cui all’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001″, può prescindersi dal citato art. 8, comma 4 NTA del PRG comunale, in quanto l’art. 31 della l. n. 457/1978 recava una clausola che ne sanciva comunque la prevalenza su eventuali disposizioni difformi dettate dagli strumenti urbanistici generali e dai regolamenti edilizi; e, tuttavia, proprio alla luce della definizione di ristrutturazione edilizia stabilita da tale articolo gli interventi effettuati dall’originario ricorrente non avrebbero potuto essere inquadrati in tale tipologia edilizia. Infatti, ai sensi di tale articolo, costituivano ristrutturazione edilizia (comma 1, lett. d) gli interventi “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistemativo di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”. Ma, nella consolidata lettura di tale disposizione della giurisprudenza di questo Consiglio, la ristrutturazione edilizia ricomprendeva gli interventi di demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato, alla condizione che ne rimanessero inalterati sagoma e volumi (e plurimis, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 aprile 2002, n. 1824); condizione contraddetta dai risultati dei sopralluoghi risultanti dal verbale di constatazione dell’Ufficio Tecnico-Assessorato all’Urbanistica, prot. n. 1753 in data 23 maggio 1994 (“sbancamento di una porzione di lotto con profondità di scavo da mt.0,50 a mt.4,00, con modifica morfologica dei luoghi, riporto di materiale con conseguenti danni di opere militari di proprietà demaniale, costituite da un fortino e da una polveriera site in detta area; costruzione di un nuovo fabbricato della superficie di mq.180 circa (ml.16,60 x 11,:05) in luogo di un vecchio fabbricato fatiscente di mq.50 circa, ora completamente demolito”) e che non ha trovato riscontro nel giudizio di primo grado.
La ricordata lettura giurisprudenziale dell’art. 31 della l. n. 457/1978 ha poi trovato conferma a livello normativo nella formulazione dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, che ha inizialmente ricondotto alla ristrutturazione edilizia gli interventi di “demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”, fino alla vigente formulazione che riguarda: “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente”.
Quanto sopra comporta che vada altresì escluso che i controversi interventi edilizi potessero essere ascritti agli “interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e le volumetrie preesistenti” che l’articolo 10-bis, comma 2, lett. i), della l. r. n. 45/1989 e il Piano territoriale paesistico n. 13 per il Sud-Est Sardegna escludono dal vincolo di integrale conservazione.
In merito a tale Piano, non può non notarsi come, in modo del tutto singolare, gli appellanti lo richiamino, da un lato, a sostegno della tesi della legittimità delle opere effettuate a titolo di manutenzione; dall’altro a sostegno della tesi per cui il suo annullamento in sede giurisdizionale avrebbe prodotto un “vuoto di tutela del bene paesaggio”, per effetto del quale le opere abusive non avrebbero avuto quel connotato di riprovevolezza che ne aveva escluso il condono.
Per questo secondo profilo, il Collegio rileva che la sentenza che ha annullato tale Piano (Tar per la Sardegna, 6 ottobre 2003, n. 1207) ha chiaramente escluso che un tale vuoto di tutela potesse prodursi. Infatti, tale pronuncia ha condiviso l’impostazione di questo Consiglio (Cons. Stato, sez. II, parere 20 maggio 1998, n. 548 e 549) riferita al vincolo paesaggistico, secondo la quale le disposizioni del medesimo Piano che sottraevano al regime autorizzatorio interventi da realizzare in zone meritevoli della massima tutela snaturavano la funzione dello Piano stesso di tutela del paesaggio. Questo Consiglio aveva osservato che “il piano paesistico, essendo in posizione inferiore, ha nel vincolo il suo titolo ed il suo limite e non può modificarlo o derogare ad esso, ma può (anzi ex art. 1-bis del D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, in legge 8 agosto 1985, n. 431 – deve, per ciò che attiene alla normativa d’uso e di valorizzazione ambientale del territorio) solo specificare i contenuti precettivi, ed il contrasto tra i due va risolto in favore del vincolo” (Cons. Stato, n. 548/1998, cit.). Quindi, la citata sentenza che ha annullato il Piano non solo ha dichiarato “l’obbligo, per l’Amministrazione, di provvedere all’approvazione di un nuovo piano, nel rispetto dell’art. 1-bis del D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431, con esercizio della facoltà di cui all’art. 3-ter”; ma ha anche affermato che “resta fermo il disposto dell’art. 1-quinquies del medesimo D.L.”, in base al quale “learee e i beni individuati ai sensi dell’articolo 2 del decreto ministeriale 21 settembre 1984, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 26 settembre 1984, sono inclusi tra quelli in cui è vietata, fino all’adozione da parte delle regioni dei piani di cui all’articolo 1-bis, ogni modificazione dell’assetto del territorio nonché ogni opera edilizia, con esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”.
Il vincolo paesistico, per i territori costieri compresi nella fascia di 300 metri dalla linea di battigia, è considerato inderogabile dalla giurisprudenza di questo Consiglio che ritiene che l’evoluzione normativa in materia – dalla sua introduzione con il d.m. 21 settembre 1984, fino alle norme contenute nel decreto legge n. 312 del 1985, convertito in legge n. 431 del 1985, poi assorbito dal d.lgs. n. 490 del 29 ottobre 1999, con più recente, puntuale disciplina contenuta negli articoli 142 e seguenti del d.lgs. n. 42 del 2004 – consenta di affermare che “l’inedificabilità della fascia costiera corrisponda ad un principio fondamentale della legislazione statale, ribadito dall’art. 33, comma 1, lettera b) della legge n. 47 del 1985 (cfr. anche, per il principio, Cons. St., sez. VI, n. 2409 del 6 maggio 2013)” (Cons. Stato, sez. VI, 20 aprile 2015, n. 1791).
Pertanto, l’annullamento del Piano territoriale paesistico n. 13 non poteva produrre alcun vuoto di tutela che consentisse di elidere la natura abusiva degli interventi effettuati.
7.1. Il Collegio ritiene che correttamente il Tar abbia respinto il ricorso n. 1361/1999 con cui erano stati impugnati il diniego di condono edilizio e l’ordinanza di demolizione, avendo accertato che le opere in questione non erano state ultimate entro il termine del 31 dicembre 1993 stabilito dalla l. n. 724/1994 e abbia ritenuto irrilevante l’asserito contrasto di tale diniego con il parere favorevole rilasciato dall’Ufficio regionale della Tutela Paesaggio, essendo diverso l’interesse pubblico tutelato. A fini di prova di una tempestiva ultimazione della copertura dell’edificio non pare che possa darsi alcun rilievo alla nota telegrafica in data 19 maggio 1994, in quanto proveniente dallo stesso originario ricorrente e comunque diretta solo a comunicare il cedimento della copertura dell’edificio in data successiva al 31 dicembre 1993, senza che da ciò si possa desumere la prova della data del suo completamento.
7.2. Dalla legittimità dell’atto di diniego del condono edilizio consegue la legittimità dell’ordinanza di demolizione del fabbricato n. 52/2001 e dell’atto n. 5384/2001 e, pertanto, correttamente, secondo il Collegio, il Tar ha respinto anche il ricorso n. 857/2001 e i motivi aggiunti presentati nel corso del procedimento.
8. Per quanto sopra esposto, l’appello deve essere respinto e la sentenza impugnata deve essere confermata.
Le questioni esaminate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito da giurisprudenza costante, e plurimis, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente richiamati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Il regolamento delle spese processuali del grado di giudizio, liquidate in dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e conferma la sentenza impugnata. Condanna gli appellanti al pagamento delle spese processuali del grado di giudizio liquidate in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre le maggiorazioni di legge se dovute. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente
Francesco Frigida – Consigliere
Giovanni Orsini – Consigliere
Carla Ciuffetti – Consigliere, Estensore
Francesco Guarracino – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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