È legittima l’Intesa del 14 dicembre 2006 tra il ministero delle Politiche agricole e le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano in materia di compensazione degli aiuti comunitari

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 13 agosto 2019, n. 5692.

La massima estrapolata:

È legittima l’Intesa del 14 dicembre 2006 tra il ministero delle Politiche agricole e le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano in materia di compensazione degli aiuti comunitari con i debiti delle aziende per prelievi supplementari, perché, non violando il principio di legalità, può per sua natura indicare regole per omogeneizzare le scelte operative degli Enti territoriali, senza che le stesse debbano poi essere riversate in una fonte di rango primario.

Sentenza 13 agosto 2019, n. 5692

Data udienza 25 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7175 del 2012, proposto da AGEA-Agenzia per le erogazioni in agricoltura, in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, in persona del Ministro pro tempore e dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, in persona del Presidente pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (…);
contro
Azienda agricola Pe. Gi. Gi., ed altri, tutte in persona del legale rappresentate o del titolare pro tempore, non costituite in giudizio;
Azienda agricola Bo. Ma., ed altri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati An. Ba. e Gi. Co., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Co. in Roma, via (…);
nei confronti
della Regione Piemonte, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ga. Pa. e Pi. Ca. Ma., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ga. Pa. in Roma, viale (…);
delle Cooperative produttori latte Sa. soc. coop. a r.l., Sa. Du. soc. coop. a r.l., Sa. Qu. soc. coop a r.l., Sa. Ci. soc. coop a r.l. e Sa. Se. soc. coop a r. l., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Piemonte, Sez. II, n. 506/2012, resa tra le parti, concernente la compensazione del prelievo supplementare non versato per le annate lattiero casearie 2002/2003 con aiuti comunitari.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Aziende agricole Bo. Ma., Dielle s.s. e Ba. Vi.;
Visto l’atto di costituzione in giudizio e l’appello incidentale della Regione Piemonte;
Viste le memorie e le memorie di replica;
Vista l’ordinanza della Sez. III di questo Consiglio di Stato n. 4306 del 27 ottobre 2012;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 giugno 2019 il Consigliere Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Pa. Pu., l’avvocato St. Co. e l’avvocato Ga. Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Le aziende agricole indicate in epigrafe, odierne appellate, attive nel campo della produzione di latte vaccino, hanno impugnato innanzi al T.A.R. per il Piemonte il provvedimento in data 14 dicembre 2006 della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano con cui è stata sancita un’intesa, ai sensi dell’art. 8, comma 6, della l. 5 giugno 2003, n. 131, tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e i ridetti Enti territoriali sulle modalità di recupero del prelievo supplementare nel settore lattiero-caseario, individuandole nella compensazione con contributi, nonché i provvedimenti con i quali AGEA – Agenzia per le erogazioni in agricoltura, in attuazione della stessa, ha comunicato in data 20 giugno 2007 l’importo compensato, richiamando il prelievo dovuto per il periodo 2002/2003.
Avverso tali provvedimenti, analiticamente individuati in atti, le ricorrenti in prime cure hanno mosso diverse censure:
a) violazione del principio di legalità e riserva di legge, in quanto l’intesa, mancando dei requisiti dell’atto normativo, non avrebbe potuto introdurre nell’ordinamento un’atipica ipotesi di compensazione;
b) eccesso di potere e violazione dell’art. 1243 c.c., in quanto la disposta compensazione non sarebbe giustificata dall’indicazione di un credito determinato nel suo ammontare e di un debito per prelievo supplementare certo, liquido ed esigibile (secondo e quarto motivo di gravame);
c) illegittimità per violazione e falsa applicazione della legge e dei principi di diritto in materia di compensazione in relazione al combinato disposto dell’art. 2 del d. P.R. 24 dicembre 1974, n. 727 e dell’art. 1246 c.c.;
d) violazione di legge in relazione all’art. 3, comma 4, della l. n. 241/1990, non essendo stato indicato nelle note il termine e l’autorità cui era possibile ricorrere.
3. Il T.A.R. per il Piemonte, con sentenza n. 506 dell’8 maggio 2012, ha accolto il ricorso, ritenendo assorbenti il primo e il terzo motivo dello stesso, ed ha conseguentemente annullato gli atti impugnati.
4. Avverso tale sentenza hanno proposto appello AGEA, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, e ne hanno chiesto, previa sospensione dell’esecutività, la riforma.
5. Si è costituita la Regione Piemonte, associandosi alle richiamate richieste, ivi compresa quella cautelare. Con appello incidentale depositato in data 30 novembre 2012, ha chiesto altresì la reiezione dei motivi di ricorso di primo grado non esaminati in quanto assorbiti in quelli posti a base dell’accoglimento. In particolare, ha richiamato la certezza, liquidità ed esigibilità dei crediti dedotti in compensazione, desumibili dal Registro debitori e risultanti nel sistema SIAN. Le indicazioni lamentate come carenti nelle comunicazioni di AGEA costituirebbero invece, come da consolidata giurisprudenza, mere irregolarità non idonee a viziare l’atto cui fanno riferimento.
6. Si sono altresì costituite in giudizio le Aziende agricole Bo. Ma., Dielle s.s. e Ba. Vi., insistendo per la reiezione dell’appello: oltre a ribadire, argomentando, la correttezza delle affermazioni del T.A.R. per il Piemonte, hanno insistito per l’accoglimento di tutti i motivi di doglianza del giudizio di primo grado. Quanto detto procedendo anche, nella memoria depositata in data 28 maggio 2019, ad una disamina critica della giurisprudenza del Consiglio di Stato ad esse sfavorevole nel frattempo consolidatasi (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 2 febbraio 2015, n. 487, cui si riferisce puntualmente la richiamata memoria).
7. Con ordinanza n. 4306 del 27 ottobre 2012, in accoglimento della domanda cautelare, la Sez. III del Consiglio di Stato ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata ritenendo che il fatto che il mancato versamento al Fondo europeo di orientamento e garanzia in agricoltura (FEOGA) del prelievo supplementare autorizzi la Commissione Europea a ridurre gli anticipi concessi sulle spese agricole proporzionalmente all’importo dovuto implica che “nel bilanciamento dei contrapposti interessi, appare preminente quello pubblico ad effettuare i prelievi supplementari dovuti dai produttori per le campagne 1995/1996 e 1996/1997”, tanto più che “altre questioni rappresentate dagli appellati nelle loro difese sono ancora al vaglio in altre sedi giurisdizionali”.
8. Nella pubblica udienza del 25 giugno 2019 il Collegio, acquisiti chiarimenti dalla difesa delle Aziende appellate costituite circa il riferimento della controversia al prelievo supplementare relativo alle annate lattiere 2002-2003, come espressamente indicato nelle comunicazioni impugnate e diversamente da quanto riportato in sentenza, ove si fa riferimento al 1995/1996 e 1996/1997 e sentite tutte le parti, ha trattenuto la causa in decisione.

DIRITTO

9. Gli appelli, principale e incidentale, sono fondati solo in parte e vanno accolti nei sensi e limiti di cui di seguito; respinti per il resto.
10. In particolare, occorre preliminarmente disgiungere le doglianze mosse al provvedimento in data 14 dicembre 2006 recante l’intesa sulle procedure di recupero del prelievo supplementare mediante compensazione e gli atti con i quali AGEA ha dato attuazione alla stessa: la natura necessariamente generale e astratta delle istruzioni convenute in sede di accordo operativo (“interorganizzatorio” secondo la dizione riportata dalla difesa dell’Amministrazione appellante, v. pag. 14 della memoria depositata il 16 aprile 2019) tra Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e Enti territoriali competenti, lo esime dalle corrispondenti censure di parti avverse. Non a caso, peraltro, rileva ancora la Sezione, il ridetto accordo ha individuato nella compensazione con contributi sia comunitari, che nazionali, la modalità più efficace di recupero delle somme dovute a titolo di prelievo supplementare, laddove AGEA, con le note in data 20 giugno 2007, ne ha circoscritto l’applicazione attuativa alle sole somme derivanti da aiuti comunitari, avuto specifico riguardo a quelli “erogati con la disposizione di pagamento n. 5 del 29/5/2007”, con ciò perimetrando anche riduttivamente lo specifico thema tractandum dell’odierna controversia.
Da quanto detto consegue, rileva la Sezione, l’infondatezza del motivo di gravame di primo grado riproposto, con obiettivi e argomentazioni di senso diametralmente opposto, sia dall’appellante incidentale che dalle Aziende appellate: sul punto l’appello incidentale deve essere accolto e conseguentemente riformata la sentenza del T.A.R. per il Piemonte n. 506/2012.
11. La richiamata natura del provvedimento, d’altro canto, costituisce ad avviso del Collegio necessaria cornice entro la quale collocare l’odierna controversia.
L’asserita violazione del principio di legalità, infatti, trova il suo fondamento da un lato nella tipologia dello strumento utilizzato per individuare le contestate modalità di recupero del credito; dall’altro nei contenuti delle stesse, che in quanto contrari a regole sancite a livello generale in norme primarie, potrebbero essere modificate solo attraverso fonti di pari livello.
11.1. L’intesa oggetto di impugnativa si colloca nel complesso sistema delle Conferenze quale strumento di attuazione del principio di leale collaborazione, nell’ambito di quella particolare tipologia delle stesse di cui all’art. 8 della l. 5 giugno 2003, n. 131: trattasi, cioè, dell’accordo necessario a raccogliere le istanze dei Governi territoriali nell’esercizio del potere sostitutivo previsto dall’art. 120 della Costituzione, da acquisire nel naturale contesto della Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome. Esso delimita con correttezza l’ingerenza del Governo nell’attività amministrativa (non legislativa) delle Regioni rimaste inerti “nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali “. Nel caso di specie, peraltro, l’intesa è stata compulsata dalle stesse autonomie territoriali, e non consegue ad una qualsivoglia inadempienza da parte loro, stante che, come espressamente riportato nelle premesse, trae spunto e legittimazione dalla segnalazione di difficoltà “di carattere amministrativo ed organizzativo incontrate a livello regionale nell’attuare il recupero delle somme dovute a titolo di prelievo supplementare, anche a causa dell’inadeguatezza dei tempi con cui le procedure di riscossione si attuano “; criticità non a caso già emerse in sede di Comitato permanente di coordinamento in materia di agricoltura del 6 dicembre 2006.
11.2. Al riguardo, anche il Giudice delle leggi, con sentenza del 27 gennaio 2004, n. 43, intervenendo sulla materia dei poteri sostitutivi prima della loro regolamentazione con la l. n. 131/2003, ha precisato che la formulazione dell’art. 120, comma 2, della Costituzione, conseguita alla riforma del 2001, “deriva palesemente dalla preoccupazione di assicurare comunque, in un sistema di più largo decentramento di funzioni quale quello delineato dalla riforma, la possibilità di tutelare, anche al di là degli specifici ambiti delle materie coinvolte e del riparto costituzionale delle attribuzioni amministrative, taluni interessi essenziali che il sistema costituzionale attribuisce alla responsabilità dello Stato e di altri interessi quali l’unità giuridica e l’unità economica della Repubblica, naturalmente facenti capo allo Stato, come ultimo responsabile del mantenimento della unità e indivisibilità della Repubblica garantita dall’art. 5 Cost.”. Si è cioè voluto che “a prescindere dal riparto delle competenze amministrative, come attuato dalle leggi statali e regionali nelle diverse materie, fosse sempre possibile un intervento sostitutivo del Governo per garantire tali interessi essenziali”. Il che è quanto avvenuto nel caso di specie per supportare -rectius, agevolare-, omogeneizzandone le condotte, l’operatività gestionale delle Regioni nella funzione di riscossione, ad esse attribuita dalla l. 30 maggio 2003, n. 119, di conversione del d.l. 28 marzo 2003, n. 49.
11.3. Rileva tuttavia la Sezione come impropriamente la difesa delle Amministrazioni appellanti individui proprio nella richiamata l. n. 119/2003 la “perfetta copertura” normativa alla compensazione, “in quanto forma e modalità di recupero del prelievo supplementare”. In realtà, da un lato non sussiste ragione di individuare suddetta “copertura” nella normativa nazionale, derivando essa, come di seguito esplicitato, dal diritto comunitario; dall’altro, il richiamo alla l. n. 119, entrata in vigore solo in data 31 marzo 2003 (giorno della pubblicazione del decreto legge in Gazzetta ufficiale) ed applicabile, per sua esplicita previsione, alle annate lattiere a partire dal 2003/2004 (art. 10, comma 46), ha il ben diverso significato di indicare il sopravvenuto coinvolgimento regionale nel meccanismo di riscossione e la conseguente necessità di agevolarne finanche l’attivazione, come di fatto avviene individuando modalità riduttive dell’importo da esecutare. L’intesa, infatti, non attiene, come parrebbe emergere dalla ricostruzione delle parti, alla riscossione dei crediti da prelievo supplementare, bensì alla riduzione del loro importo, facendo ricorso a forme alternative di adempimento, quali la suggerita compensazione. In sintesi, ci si colloca a monte dell’attività gestionale attribuita alle Regioni, in dichiarata difficoltà organizzativa anche in ragione dei tempi della (successiva) riscossione, della quale resta ferma la necessità limitatamente all’ “importo ancora dovuto dal produttore” (punto 4 dell’intesa).
Peraltro l’eventuale contrasto con la l. n. 119/2003, in quanto sopravvenuta agli atti impugnati, di tale ritenuta possibilità per le Regioni di procedere alla preventiva individuazione del quantum da riscuotere coattivamente compensando i prelievi supplementari di annate lattiere antecedenti (nel caso di specie, 2002-2003), così come avvenuto con le comunicazioni AGEA del 20 giugno 2007, non è stata oggetto di doglianza in prime cure, palesandosi, oltre che infondato, inammissibile, in quanto introdotto in violazione del divieto dei nova.
12. Il Collegio ritiene egualmente infondata l’asserita violazione del principio di legalità in relazione allo specifico contenuto dell’intesa, in quanto la compensazione con crediti delle aziende derivanti da aiuti comunitari trova la sua giustificazione nel primariato del diritto europeo che consente -rectius, impone- nell’ambito del rapporto unitario in materia di politica agricola comune (PAC) l’individuazione di qualsivoglia metodica funzionale ad ottimizzare l’attuazione delle misure adottate allo scopo, tra le quali va sicuramente ricompreso il complesso regime delle quote latte.
Su tale profilo della legittimità della disciplina il Consiglio di Stato si è peraltro già pronunciato, con argomentazioni a cui il Collegio intende integralmente aderire, non ritenendo al contrario di recepirne le critiche di parte avversa (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 487/2015, cit. sub § 6, ma anche, in senso conforme, id., n. n. 186, 188 e 202 del 2015).
12. L’intesa, dunque, ipotizza di compensare (anche) i contributi europei con i debiti derivanti da inottemperanza agli oneri previsti dal regime delle cosiddette “quote latte”; AGEA ne dispone la compensazione (solo) con tali contributi: ci si muove comunque nell’ambito di un sistema complesso, da riguardare in maniera unitaria, ove i singoli attori, pur agendo a livelli diversificati contribuiscono tutti agli obiettivi previsti dal Trattato in termini di politiche complessive del settore. L’Unione Europea e lo Stato membro figurano pertanto come “finanziatori” e, al contempo, controllori del processo di erogazione dei contributi; gli organismi di coordinamento e gli organismi pagatori a livello nazionale e locale ne garantiscono l’attuazione; infine, i beneficiari, ovvero gli agricoltori individuali o riuniti in associazioni/cooperative, le imprese agricole, di produzione, trasformazione o commercializzazione, fruiscono degli aiuti, nel contempo partecipando da protagonisti all’attuazione dei meccanismi individuati per conseguire gli obiettivi di politica economica agricola comune.
12.1. La chiave di volta dell’odierna controversia, cioè, non valutata dal Giudice di prime cure, è la doverosa riconduzione del regime delle quote latte all’interno della PAC, di cui costituisce un possibile strumento attuativo, determinando l’insorgere in capo alle aziende agricole interessate del debito correlato al complicato sistema di controllo della produzione quale strumento di politica economica unitaria. Il recupero delle somme costituenti il cosiddetto prelievo supplementare, infatti, riveniente dalle eccedenze produttive rispetto al quantitativo individuale assegnato (Q.R.I.) dopo le previste compensazioni nazionali, rappresenta un segmento di tali politiche, al pari della ricezione di aiuti di qualunque natura a supporto dell’armonico sviluppo, anche territoriale, della relativa attività . Come già evidenziato nelle molteplici pronunzie intervenute nell’ambito del corposo contenzioso generato dal regime delle quote latte (cfr. ex plurimis Cons. Stato, Sez. III, 27 maggio 2019, n. 3460), il mercato unico del settore lattiero-caseario non è basato, all’interno dell’Unione, solo su un sistema di prezzi, ma si articola in una serie di misure normative volte a calmierare la domanda e l’offerta dei prodotti considerati.
13. A sua volta il meccanismo della PAC, nel quale il sistema delle quote latte si colloca, è da lungo tempo consolidato nella legislazione europea, essendo previsto da disposizioni ormai risalenti, come i Regolamenti (CE) n. 1258 e n. 1259 del 1999, n. 1782 e n. 1788 del 2003, n. 796 del 2004 e n. 1290 del 2005, tutti vigenti al momento in cui furono adottati gli atti impugnati in primo grado dalle aziende. Per la sua peculiare strutturazione, l’unicità del rapporto emerge anche a livello formale dal regime unico di pagamenti diretti degli aiuti PAC (domanda unica, fascicolo unico aziendale, registro nazionale dei debiti, etc.), cui consegue la possibilità, ad esempio, di ridurli o escluderli in caso di inosservanza dei doveri o degli oneri imposti a colui che li richiede (artt. 5, 6 e 7 del Regolamento (CE) n. 1782 del 29 settembre 2003).
Il quadro delineato ha consentito di individuare una forma di compensazione, denominata “impropria”, che si risolve sostanzialmente in un mero accertamento contabile del dare e dell’avere all’interno dell’unico rapporto, la cui fonte di legittimazione diretta e immediata all’interno dei singoli ordinamenti nazionali consegue alla primazia del diritto europeo.
13.1. ” Prescindendo dalla natura delle previsioni di dettaglio circa tale compensabilità, introdotte dalle singole legislazioni nazionali o da atti programmatici e di indirizzo, come quello dell’Intesa Permanente Stato-Regioni, non sussiste dunque alcuna violazione del principio di legalità, della riserva di legge o dell’art. 1246 c.c., come invece ha ritenuto il primo giudice, giacché la c.d. compensazione impropria tra aiuti e prelievi, nell’ambito del medesimo rapporto unitario, è un effetto, diretto, naturale conseguenza della normativa europea, ed è insito nel modo stesso con il quale è strutturata ed opera la PAC, implicando un mero accertamento contabile del dare e dell’avere, che efficacemente attua e soddisfa il sistema del prelievo supplementare e la ratio che presiede al meccanismo delle c.d. quote latte, come individuata dalla Corte di Giustizia, nella sentenza del 25.3.2004 per le cause riunite C-231/00, C-303/2000 e C-451/00, e consistente nel “ristabilire l’equilibrio tra la domanda e l’offerto sul mercato lattiero, caratterizzato da eccedenze strutturali, limitando la produzione lattiera”” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 487/2015, cit. supra).
14. Il T.A.R. per il Piemonte ha ritenuto non pertinente il richiamo operato al riguardo anche alla sentenza della Corte di Giustizia del 19 maggio 1998 nel procedimento C-132/95 “in quanto resa in una fattispecie del tutto diversa, in cui la normativa danese consentiva espressamente la compensazione tra aiuti comunitari e crediti esigibili dal medesimo Stato membro […] ed il quesito investiva soltanto la conformità di detta normativa interna al sovraordinato ordinamento comunitario”.
Al contrario, il Collegio ritiene che esso assuma rilievo in relazione al principio generale affermato al punto 67 della decisione, opportunamente evocato di nuovo nell’appello incidentale, ove si riconosce che il diritto comunitario non osta a che uno Stato membro operi una compensazione tra importi dovuti al beneficiario di un aiuto in base ad un atto comunitario e crediti esigibili del medesimo Stato membro, purché non sia leso l’effetto utile e la parità di trattamento all’interno degli Stati membri, “e tale principio vale a fortiori nel caso in cui il credito dello Stato sia finalizzato a recuperare somme dovute dai produttori caseari che abbiano superato le c.d. quote latte” (v. ancora Cons. Stato n. 487/2015).
Ciò in quanto l’art. 17 del Reg. 595/2004/CE pone a carico dei singoli Stati membri il dovere di adottare “tutte le misure necessarie affinché l’imposizione del prelievo venga effettuata correttamente e si ripercuota sui produttori che hanno contribuito al superamento”.
La finalità generale di tale principio, e nel contempo la doverosa riconduzione delle politiche economiche in materia di quote latte nell’ambito unitario delle PAC, non consentono di aderire alla lettura riduttiva dello stesso proposta dalle aziende appellate (v. pag. 5 della memoria depositata il 28 maggio 2019). Enfatizzando in particolare il solo dato testuale di cui all’art. 1 e al Considerando VI del medesimo Regolamento, ove si richiama l’attenzione degli Stati membri sulla sola fase dei controlli sulla regolarità dei dati comunicati dagli acquirenti e dai produttori, si finisce per svilire, al contrario, la chiara indicazione di individuare “misure” funzionali alla correttezza dell'”imposizione” del prelievo, id est per la sua corretta determinazione anche in termini di effettività, stante che la riduzione della parte da riscuotere coattivamente si risolve in una diminuzione del debito del Paese nei confronti dell’Unione, mediante la mancata corresponsione di somme, comunque derivanti dalle complessive politiche europee in materia di sostegno all’agricoltura.
15. Gli importi “accertati come dovuti” dai produttori agricoli risultanti dai singoli registri debitori degli organismi pagatori riconosciuti, istituiti ai sensi dell’allegato 1, paragrafo 2, lettera e), del regolamento (CE) n. 885/2006, nonché quelli comunicati dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, connessi a provvidenze e aiuti agricoli dalle stesse erogati, sono stati fatti confluire in un “Registro nazionale dei debiti” istituito con l’art. 8-ter, comma 2, della l. 9 aprile 2009, n. 33, di conversione del d.l. 10 febbraio 2009, n. 5 mediante i servizi del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN). Ciò ha reso evidentemente più agevole la prevista compensazione, rendendone potenzialmente certo, liquido ed esigibile l’importo; ma non per questo ne ha inficiato l’astratta pregressa previsione, come pure sostenuto dalle aziende appellate.
16. Lo stesso può affermarsi, ritiene la Sezione, in relazione alla -pure sopravvenuta- legificazione di talune ipotesi di compensazione, circoscritte ad ambiti specifici quali i contributi previdenziali. L’art. 4-bis del d.l. 15 febbraio 2007, n. 10, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 aprile 2007, n. 46, interviene in relazione a situazioni non connotate dalla medesima unitarietà di rapporto quali quelle in esame, in quanto mette in comparazione situazioni del tutto eterogenee, come i contributi previdenziali da un lato e gli aiuti comunitari, dall’altro. Esso tuttavia conferma in relazione a questi ultimi l’esigenza di rafforzarne la valutazione di meritevolezza, nel contempo valorizzando l’innegabile efficacia a fini di effettività del recupero delle scelte compensatorie.
17. Ritiene pertanto il Collegio che sotto tale profilo debbano essere accolti l’appello e l’appello incidentale, con conseguente riforma in partequa della sentenza del T.A.R. per il Piemonte.
18. Afferma ancora il Giudice di prime cure che il meccanismo operativo disciplinato dall’intesa si porrebbe in contrasto anche con il combinato disposto degli artt. 1246 c.c., comma 1, n. 3, c.c. e 2 del d. P.R. n. 727/1974 che per le somme dovute agli aventi diritto in attuazione di disposizioni dell’ordinamento comunitario relative a provvidenze finanziarie, la cui erogazione sia affidata agli organismi pagatori riconosciuti ai sensi del regolamento (CE) n. 1663/95 della Commissione, del 7 luglio 1995, statuisce il divieto di sequestro, pignoramento o sottoposizione a qualsivoglia ulteriore provvedimento cautelare.
19. Anche tale questione è già stata affrontata da questo Consiglio di Stato nelle richiamate sentenze, dalle cui conclusioni non è motivo di discostarsi (v. ancora Cons. Stato, Sez. III, nn. 186, 188, 202 e 487 del 2015). Non venendo in evidenza, per quanto sopra esplicitato, un’ipotesi di compensazione in senso tecnico in ragione dell’unitarietà dei rapporti nella cornice dei quali essa si colloca, la disposizione, infatti, non può trovare applicazione.
19.1. La compensazione impropria, per sua natura e anche a livello di diritto interno, costituisce infatti un mero accertamento contabile del dare e dell’avere nell’ambito del medesimo rapporto giuridico, come ha chiarito costantemente la Suprema Corte (v., ex plurimis, Cass., Sez. II, 10 novembre 2011, n. 23539), e proprio per questo essa è naturaliter connaturata alla configurazione del rapporto unitario nel quale si iscrive. Ciò ne rafforza la ritenuta operatività a prescindere da una espressa e specifica previsione legislativa, non integrando una forma atipica di compensazione in senso stretto non prevista dalla legislazione nazionale, bensì una modalità, per quanto contemplata da un atto meramente programmatico, per garantire l’effettività del diritto europeo e il recupero delle somme dovute a titolo di prelievo supplementare.
20. Anche la questione della impignorabilità del credito e, quindi, della sua non compensabilità, ai sensi dell’art. 1246 c.c., deve essere posta nei corretti termini rivenienti da tale ricostruzione.
Se, da un lato, infatti, è pacifico che restano non pignorabili i contributi PAC disposti a favore di produttori agricoli da parte di eventuali creditori di questi ultimi, è pur vero, dall’altro, che il divieto di compensazione previsto dall’art. 1246, comma primo, n. 3, c.c. dei crediti dichiarati dal legislatore impignorabili collide con la corretta attuazione della PAC e, in particolare, con il dovere degli organismi pagatori di effettuare il recupero del prelievo supplementare per le quote latte.
Il limite alla compensabilità, cioè, postula l’autonomia dei rapporti, insussistente nel caso di specie.
La tesi riduttiva, che eleva a canone definitorio la sola eccezione al divieto di compensazione propria prevista espressamente dalla norma, ritenendo conseguentemente sussistente quella impropria solo con riferimento a pagamenti indebiti di aiuti comunitari, per quanto autorevolmente sostenuta, non appare condivisibile (cfr. Cass. Sez. III, 24 aprile 2019, n. 11196).
21. Anche volendo tuttavia accedere ad una diversa ricostruzione, che individui nel meccanismo in esame un’ipotesi di compensazione propria o in senso tecnico alla quale applicare il disposto dell’art. 1246 c.c., il divieto di compensazione con un credito impignorabile deve essere disapplicato nel caso di specie: bene è stato infatti osservato al riguardo, tanto in giurisprudenza (v., ad esempio, Trib. Torino, 10 aprile 2013, n. 2426) che in dottrina, che il conflitto tra l’operatività del meccanismo e il divieto di compensazione per i crediti impignorabili deve trovare un ragionevole contemperamento improntato all’effettività di quelli stabiliti a livello europeo.
Il che consente di ricondurre ancora una volta tutto il sistema sotto l’egida del principio di cui all’art. 17 del Reg. 595/2004/CE, già ricordato, che chiede agli Stati membri di adottare tutte le misure necessarie per l’effettiva imposizione del prelievo supplementare.
21.1. Si è a ragione osservato infatti che la predetta disposizione, contenuta in un Regolamento, è una fonte normativa direttamente efficace nell’ordinamento interno, che non necessita di misure di recepimento e prevale, in caso di conflitto, sulle disposizioni della normativa nazionale, sia precedenti che successive. Da ciò consegue che ogni norma nazionale o combinato disposto di norme, che impedisca od ostacoli la corretta attuazione della PAC, di cui l’imposizione del prelievo supplementare sui produttori che hanno contribuito al superamento del livello nazionale di latte costituisce una parte essenziale, sarebbe in contrasto con la corretta applicazione del diritto dell’Unione europea.
È poi riconosciuto che il conflitto sussiste anche nel caso, come quello di specie, in cui la norma interna ostacoli il corretto funzionamento dei meccanismi previsti dall’Unione Europea per conseguire i proprio scopi.
21.2. La compensazione degli importi dovuti per il prelievo supplementare con i contributi PAC rappresenta, innegabilmente uno dei più efficaci metodi per effettuare il recupero e la sua esclusione comprometterebbe l’effettività del sistema: l’Unione Europea sarebbe tenuta a corrispondere gli aiuti ascrivibili alla PAC anche ad agricoltori che risultino essere debitori nei suoi confronti per somme ingenti, altrettanto riconducibili alla politica agricola comune, con enormi difficoltà di recupero successivo.
22. Pertanto, per rendere concretamente operante la prevalenza del diritto dell’Unione Europea, “gli organi giudiziari, amministrativi e legislativi sono chiamati a valutare se sia possibile fornire una interpretazione delle norme nazionali sopra citate conforme al diritto dell’Unione Europea e, qualora ciò non sia possibile, a disapplicare le stesse per contrasto con il dictum europeo.
27.2. In questo senso appare persuasiva e, anzi, necessitata l’opzione ermeneutica che, una volta rilevato il conflitto tra norma nazionale e principi sanciti a livello europeo, ha disapplicato il disposto interno, e conseguentemente riconosciuto legittima la compensazione effettuata dall’organismo pagatore” (ancora Cons. Stato, Sez. III, n. 487/2015).
23. A livello europeo il meccanismo è stato poi esplicitamente introdotto, proprio per la sua sicura efficacia nel recupero del prelievo supplementare, con l’inserimento ad opera del Regolamento del 21 ottobre 2008, n. 1034, dell’art. 5-ter nel Regolamento del 21 giugno 2006, n. 885. Pur non essendo la relativa disciplina applicabile ratione temporis, essa conforta la scelta interpretativa pregressa, rafforzandone la finalità .
24. La sentenza impugnata, quindi, nell’aver ritenuto che tale forma di compensazione, alla stregua del diritto nazionale, violi il principio di legalità introducendo una forma di compensazione in deroga all’art. 1246 c.c. e senza copertura normativa, è erronea e merita riforma. Anche sotto tale profilo la Sezione ritiene pertanto che debbano trovare accoglimento l’appello e l’appello incidentale.
25. Restano da esaminare le doglianze non scrutinate dal T.A.R. per il Piemonte e riproposte dalla Regione nell’appello incidentale citato in epigrafe, nonché, in prospettiva diametralmente opposta, dalle aziende appellate.
26. Secondo l’appellante il Giudice di prime cure avrebbe dovuto respingere anche il secondo e quarto motivo di censura, laddove si contestava l’indeterminatezza dei criteri fissati nell’intesa e poi attuati da AGEA sia in relazione ai crediti che ai debiti dedotti in compensazione. Quanto detto, peraltro, in violazione dell’art. 1243 c.c. che richiede, quale regola generale per potersi addivenire a tale modalità di estinzione delle obbligazioni, che i debiti messi in comparazione siano certi, liquidi ed esigibili.
26.1. In relazione alla neutralità dell’intesa stante la sua natura organizzativa generale ed astratta rispetto ai debiti successivamente messi in compensazione, abbiamo già detto al § 14.
Resta dunque da valutare se AGEA, nel dare concreta attuazione a tale intesa, abbia correttamente individuato da un lato l’importo del prelievo supplementare dovuto, nel caso di specie avuto riguardo all’annata lattiera 2002-2003, dall’altro i contributi europei con i quali esso è stato comparato.
27. Sul punto, il Collegio ritiene infondato l’appello incidentale e, conseguentemente, da condividere le doglianze riproposte dalle aziende appellate in quanto oggetto di censura ai punti due e quattro del ricorso di primo grado, alla cui mancata disamina per assorbimento esse non hanno inteso prestare quiescenza.
27.1. Anche nei casi di compensazione impropria, infatti, è evidente la necessità, a tutela delle garanzie difensive delle parti, che esse siano messe al corrente della contabilizzazione effettuata e delle relative motivazioni. Non possono al riguardo non trovare applicazione, cioè, i requisiti di cui all’art. 1243 c.c., ovvero che si tratti di crediti certi, liquidi (o di facile e pronta liquidazione) ed esigibili (v. Cass., Sez. Un., 15 novembre 2016, n. 23225). A tale stregua, la contestazione giudiziale dell’esistenza (così come dell’ammontare) del controcredito ne impedisce la “compensazione legale” ex art. 1243 c.c., comma 1; analogamente la compensazione giudiziale di cui al secondo comma della medesima disposizione non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo, tale contestazione venendo a risolversi (anche) nel difetto del requisito della liquidità (v. Cass., 28 giugno 2016, n. 13279; id., 29 gennaio 2015, n. 1695; 31 maggio 2010, n. 13208, nonché, ancorché risalente nel tempo, 22 ottobre 1965, n. 2188).
28. Un credito contestato in un separato giudizio non è suscettibile dunque nemmeno di cosiddetta compensazione impropria o atecnica, che diversamente diverrebbe una sorta di compensazione di fatto, non solo sganciata da ogni limite previsto dalla disciplina codicistica, ma di fatto in dispregio di qualsivoglia forma di tutela preventiva del debitore che intenda contestare l’an o il quantum dell’obbligazione ascrittagli (v. ancora Cass., 28 febbraio 2017, n. 5002; id., 28 giugno 2016, n. 13279 e 29 gennaio 2015, n. 1695). L’eventuale sentenza di merito o provvedimento di condanna, anche se immediatamente esecutivi, emessi in un giudizio ancora pendente, non consentono cioè di ravvisare il necessario requisito della “definitività “, e dunque della “certezza” del controcredito richiesta per operare la compensazione, trattandosi di titoli di accertamento del credito pur sempre connotati dalla provvisorietà, in quanto suscettibili di riforma o revoca nel corso dei successivi gradi del giudizio (cfr. Cass., 8 aprile 2013, n. 8525).
29. Traslando tali affermazioni nell’odierna vicenda, risulta palese che nel caso di specie si sia proceduto prescindendo dalla verifica della “definitività “, e dunque della “certezza” del controcredito, la cui sussistenza invero a fortiori difetta in presenza di indicazione delle somme dovute ad AGEA in un atto amministrativo impugnato innanzi al T.A.R. per il Lazio con i ricorsi n. r. 8519/03 e 8375/03, le cui decisioni -in verità di rigetto – risultano ancora all’esame di questo Consiglio di Stato in ragione dell’interposto appello. Sulla corretta determinazione del prelievo supplementare all’esito della compensazione nazionale, che costituisce lo specifico oggetto del richiamato contenzioso anche in relazione all’annata lattiera 2002-2003, potrebbe altresì impattare, contribuendo ad accentuarne l’incertezza, l’avvenuta rimessione alla Corte di Giustizia U.E. della valutazione di compatibilità dell’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43/1999, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 118/1999, relativo proprio alle regole seguite per la compensazione per categorie prioritarie (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 23 maggio 2018, ordinanza n. 3074).
30. Chiarito dunque che anche ai fini della compensazione impropria, pur prescindendo dal previo accertamento definitivo del carattere indebito della somma liquidata a titolo di contributo PAC, in quanto non ritenuto necessario per l’operatività del meccanismo, occorre avere certezza del corrispondente controcredito vantato a titolo di recupero, non può ritenersi sufficiente in proposito la richiamata iscrizione nell’apposito registro.
L’istituzione del registro dei debitori, infatti, è avvenuta con l’art. 8-ter, comma 2, della l. 9 aprile 2009, n. 33, di conversione del d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, e dunque successivamente all’adozione degli atti impugnati (v. quanto già detto al § 15). La previsione peraltro, ricorda per completezza la Sezione, era stata anticipata dall’art. 2 del d.l. n. 4 del 2009, di recepimento della già ricordata previsione di cui all’art. 5-ter del Regolamento della Commissione del 21 giugno 2006, n. 885, mai convertito in legge.
30.1. Nel sistema del Registro nazionale dei debiti AGEA indica le somme dovute a titolo di prelievo supplementare da parte di produttori e acquirenti di quote latte eccedenti quelle consentite, ponendole a loro rispettivo carico, ma, giusta quanto chiarito in più circolari della stessa, ne legittima l’inserimento solo per i debiti accertati in via definitiva, con sentenza passata in giudicato, ovvero non più impugnabili in sede giurisdizionale, cui corrispondono crediti di carattere certo, liquido ed esigibile.
30.2. Secondo i Giudici di legittimità, l’iscrizione nel Registro nazionale dei debiti di cui alla l. n. 33/2009 delle somme che produttori e acquirenti devono rimborsare a titolo di prelievi supplementari sarebbe in qualche modo parificabile ad una vera e propria iscrizione a ruolo di somme pretese in pagamento, con ciò facendo sorgere il diritto alla riscossione in attuazione della citata norma regolamentare comunitaria, autorizzando la deduzione delle somme dovute a detto titolo dai produttori agricoli e acquirenti allo Stato e, in concreto, per esso, alle Agenzie regionali o provinciali, le quali debbono pretendere il prelievo, e provvedere al pagamento degli incentivi o finanziamenti comunitari, compensando quanto dovuto per gli aiuti PAC con i crediti iscritti nel Registro S.I.A.N. per acquiescenza del debitore divenuti riscuotibili in via definitiva (v. Cass., Sez. Un., 1 dicembre 2009, ordinanza n. 25261, cui fa riferimento l’appello incidentale).
Rileva tuttavia la Sezione che, ammesso e non concesso che le iscrizioni riguardino effettivamente solo importi ormai cristallizzati dall’assenza di contenzioso ovvero dalla sua definizione con un giudicato, come indicato nelle richiamate circolari, trattasi pur sempre di un Registro istituito successivamente all’adozione dei provvedimenti impugnati.
31. La nota conflittualità conseguita all’attribuzione del cosiddetta quantitativo individuale (QRI) e al successivo computo del prelievo supplementare, una volta effettuata anche la compensazione nazionale, che costituisce l’essenza, variamente articolata, del complesso regime delle quote latte, in astratto e in relazione in concrete alle aziende appellate, viene totalmente pretermessa: AGEA si è infatti limitata a richiamare l’avvenuta imputazione pregressa del prelievo supplementare dovuto per la campagna 2002-2003 con apposita raccomandata (peraltro inoltrata al solo primo acquirente), pretermettendo ogni riferimento al contenzioso instaurato al riguardo dalle imprese interessate; egualmente generico e tutt’affatto chiaro, peraltro, appare l’indicazione del controcredito dedotto in compensazione (gli aiuti comunitari), essendo individuato per relationem attraverso il richiamo ad una disposizione di pagamento di recente adottata, ma senza esplicitarne consistenza e causale, ovvero addirittura senza allegare il documento e finanche produrlo in atti, benché espressamente richiesto, onde valutarne l’obiettiva consistenza.
31.1. La rilevata mancanza di certezza, liquidità ed esigibilità dei crediti, nonché la genericità dell’indicazione degli stessi e dei contrapposti controcrediti, inficia ineludibilmente le comunicazioni AGEA in data 20 giugno 2007, viziandole. L’incertezza riveniente dal ricordato contenzioso, cui le aziende ricorrenti non sono rimaste estranee, non necessita di essere corroborata da ulteriori fattori di vaghezza, quali quelli derivanti dall’insistito richiamo ai procedimenti penali che a vario titolo hanno interessato o lambito i soggetti a vario titolo interessati all’attuazione del regime delle quote latte.
In particolare, ritiene la Sezione, del tutto inconferente appare il riferimento, confortato dalla produzione all’odierna udienza di provvedimenti giudiziari, alle indagini a carico dei funzionari di AGEA per il reato di cui all’art. 479 c.p. (“Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”) circa presunte modifiche dell’algoritmo di calcolo del numero dei capi potenzialmente in lattazione.
Come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare, infatti, le indagini, finanche governative, scaturite dai dubbi di legittimità del meccanismo (riguardanti l’attendibilità dei dati utilizzati nel tempo dall’AIMA e poi dall’AGEA) non sono in grado di scardinare l’intero sistema nazionale delle c.d. quote latte, né sono sufficienti per far ritenere assolto in capo ai produttori (e quindi agli appellanti) l’onere probatorio al punto da spostare sull’amministrazione l’obbligo di provare la bontà e la stessa veridicità dei dati utilizzati (sul punto cfr. ex plurimis Cons. Stato, Sez. III, 20 maggio 2019, n. 3202). Ciò a maggior ragione laddove, come anche nel caso di specie, le richiamate affermazioni non si traducano nemmeno in un principio di prova del concreto impatto delle ridette indagini sulla attribuzione delle QRI e sulla conseguente determinazione del prelievo supplementare dovuto dalla singola azienda, la cui contestata entità, oltre tutto, è estranea al petitum dell’odierna controversia.
32. Sul punto pertanto l’appello incidentale deve essere respinto, con le precisazioni effettuate; conseguentemente deve essere riformata la sentenza del T.A.R. per il Piemonte n. 506/2012 nella parte in cui ha ritenuto assorbiti i motivi di doglianza (numero due e quattro del ricorso di primo grado) inerenti l’asserita genericità del contenuto delle comunicazioni AGEA in data 20 giugno 2007 e la connessa violazione dell’art. 1243 c.c. per avervi inserito crediti e controcrediti incerti, ovvero non liquidi ed esigibili (limitatamente al prelievo supplementare riferito all’annata lattiera 2002-2003, ivi indicata).
33. Resta infine da dire brevemente dell’ultimo motivo di doglianza, pure riproposto nell’appello incidentale e dalle aziende appellate, ovvero la mancata indicazione nelle note impugnate del termine e dell’autorità cui ricorrere. Sul punto, il Collegio non può che convenire con la tesi, sinteticamente riportata nell’appello incidentale, che qualifica tale omissione come una mera irregolarità, al più legittimante una remissione in termini per errore scusabile, sempre peraltro che nel singolo caso sia apprezzabile una qualche giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell’atto (v. ex multis Cons. Stato, Sez. VI, 29 maggio 2012, n. 3176).
34. In conclusione, pertanto, per tutto quanto sopra esposto, vanno accolti l’appello principale e incidentale e conseguentemente annullata la sentenza n. 506/2012 del T.A.R. per il Piemonte nella parte in cui ha dichiarato illegittima l’intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano in data 14 dicembre 2006; vanno accolti in parte, nei sensi e limiti di cui in motivazione, ma respinti per il resto, con l’effetto di confermare la sentenza di primo grado limitatamente all’avvenuto annullamento delle comunicazioni AGEA in data 20 giugno 2007 relative alla campagna lattiera 2002-2003, ma con la diversa motivazione esplicitata.
35. Le spese del doppio grado di giudizio, considerata la peculiare complessità tecnica della materia e la spiccata difficoltà del composito quadro normativo, nazionale ed europeo, dianzi delineato, possono essere interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei sensi e limiti di cui in motivazione, e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza n. 506/2012, respinge il ricorso n. r. 1185/2007 relativamente all’intesa siglata in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano in data 14 dicembre 2006; ne conferma l’accoglimento, con conseguente annullamento delle comunicazioni AGEA in data 20 giugno 2007, ma con diversa motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Gabriele Carlotti – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fulvio Rocco – Consigliere
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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