Il trattenimento da parte del fallito dei proventi della attività lavorativa

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 21 maggio 2020, n. 15650.

Massima estrapolata:

Il trattenimento da parte del fallito dei proventi della attività lavorativa esercitata successivamente alla dichiarazione di fallimento integra il delitto di bancarotta post-fallimentare solo per la parte di guadagno effettivo – calcolato detraendo i costi sostenuti dai ricavi conseguiti nella gestione della nuova attività – che ecceda i redditi necessari per il mantenimento suo e della propria famiglia di cui all’art. 46, comma primo, n. 2 legge fall., nei limiti determinati dal giudice delegato o, in mancanza, accertati incidentalmente dal giudice penale.

Sentenza 21 maggio 2020, n. 15650

Data udienza 24 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Reati fallimentari – Bancarotta fraudolenta – In genere – Bancarotta post – Fallimentare – Proventi dell’attività lavorativa del fallito – Trattenimento – Reato – Sussistenza – Condizioni.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARLINI Enrico V. S – Presidente

Dott. CALASELICE Barbar – rel. Consigliere

Dott. ROMANO Michele – Consigliere

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 29/04/2019 della Corte di appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. B. Calaselice;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Filippi P., che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio in relazione alla bancarotta documentale, l’annullamento con rinvio per la bancarotta con distrazione, annullamento senza rinvio in relazione all’aggravante;
udito il difensore, Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata e’ stata riformata la condanna di (OMISSIS), emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Cuneo, il 17 dicembre 2013, alla pena ritenuta di giustizia, in relazione ai reati ascrittigli (bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e documentale post-fallimentare, nonche’ occultamento di documenti tributari da parte di soggetto interdetto dall’attivita’ commerciale) pronunciando la prescrizione del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 nonche’ rideterminando la pena principale, in quella di anni due mesi dieci di reclusione, eliminando le pene accessorie di cui all’articolo 29 c.p. e quelle di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 rideterminando, infine, le pene accessorie fallimentari nella durata di anni due mesi dieci.
1.1. La contestazione attiene alle vicende della (OMISSIS) s. a. s., della quale (OMISSIS) era socio accomandatario, dichiarata fallita in data (OMISSIS), attribuendo la condotta al predetto, di aver agito, nei confronti dei terzi, anche come amministratore di fatto della (OMISSIS) s.r.l., distraendo sistematicamente le risorse, occultando documenti e conservando quasi esclusivamente i documenti relativi ai costi aziendali presso la propria abitazione, onde ostacolare la ricostruzione del volume di affari, fatti contestati con l’aggravante di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 2, perche’ posti in essere da soggetto destinatario di divieto di esercizio di attivita’ commerciale.
2. Avverso la descritta sentenza ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, deducendo nei motivi di seguito riassunti otto vizi.
2.1. Con il primo motivo si denuncia nullita’ della sentenza per vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) nella forma della mancanza di motivazione in relazione al motivo di appello concernente l’insussistenza del divieto di esercizio di attivita’ commerciale a carico di fallito e, quindi, dell’aggravante di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 2.
L’appello aveva devoluto, con motivi nuovi, il punto dell’insussistenza in capo al fallito del divieto di svolgere attivita’ commerciale, senza autorizzazione del giudice delegato all’attivita’ aziendale, come invece contestato.
Si tratta di divieto previsto dal Decreto Legislativo n. 114 del 1998, articolo 5, comma 2, lettera a) abrogato dal Decreto Legislativo n. 169 del 2007, articolo 20. Il ricorrente evidenzia che giudice delegato non deve autorizzare al lavoro ma solo indicare quale parte del guadagno del fallito debba essere riversato alla curatela. Di qui l’eccepita insussistenza anche dell’aggravante di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 2, censura rimasta priva di risposta nella sentenza di appello.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia erronea applicazione di legge penale ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione alla L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 2 e del Decreto Legislativo n. 114 del 1998, articolo 5, comma 2, lettera a) abrogato dal Decreto Legislativo n. 169 del 2007, articolo 20.
La Corte ha omesso di motivare circa l’esistenza dell’aggravante violando la norma abrogatrice di cui all’articolo 20 cit.
2.3 Con il terzo motivo si denuncia nullita’ della sentenza per vizio di motivazione, indicata come illogica e mancante, in ordine a motivi di appello e motivi nuovi con i quali si censurava la sentenza di primo grado circa la distinzione tra guadagni e ricavi, tenuto conto che si tratta di bancarotta post-fallimentare e alla sussistenza del guadagno quale elemento del reato di bancarotta fraudolenta post-fallimentare.
Sarebbe stato necessario, per il ricorrente, distinguere tra guadagni e ricavi, nonche’ indicare gli effettivi guadagni conseguiti dall’imputato. Invece la Corte di appello si limita ad affermare che si giunge alle stesse considerazioni anche tenendo conto della differenza tra guadagni e ricavi, fondando il calcolo dei guadagni sulla base di una mera congettura, gia’ espressa nella sentenza di primo grado (ove era stato indicato che i ricavi sarebbero in nero e senz’altro eccedenti le spese per il mantenimento della famiglia). Inoltre la sentenza di appello, rimandando, de plano a quella del Tribunale, non distinguerebbe tra operazioni di acquisto per importazione e operazioni di rivendita.
2.4. Con il quarto motivo si eccepisce la nullita’ della sentenza per mancanza assoluta di motivazione, a fronte di specifico motivo di appello, in ordine al dovere di determinare la somma spettante al fallito ai sensi della L. Fall., articolo 46, nonche’ violazione dell’articolo citato e della L. Fall., articolo 216, comma 2.
Il reato di bancarotta post-fallimentare puo’ avere riguardo solo a guadagni del fallito eccedenti la somma necessaria per il mantenimento anche della famiglia, con importo che deve essere determinato dal Giudice Delegato, su istanza del fallito. Il giudice penale, poi, secondo il ricorrente, ha l’onere, ove tale importo non sia stato determinato in sede civile, di procedere alla sua determinazione incidenter tantum, esame trascurato del tutto dalla Corte territoriale.
2.5. Con il quinto motivo, circa il reato di bancarotta documentale post-fallimentare, si eccepisce la nullita’ della sentenza per omessa motivazione sull’elemento materiale del reato.
Si osserva che l’imputato ha negato ogni condotta di sottrazione o distruzione e falsificazione delle scritture e ha eccepito che, ove tale condotta sia esistente, questa debba essere considerata limitata ai libri e scritture dell’impresa fallita, non alla contabilita’ successiva al fallimento. Si contesta, invece, il sistematico occultamento di documenti inerenti attivita’ svolte dopo il fallimento. Cio’ in relazione alle operazioni intercorse con le ditte (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre quella posta in essere con (OMISSIS) s.r.l. non si sarebbe dovuta prendere in considerazione, trattandosi di societa’ terza, mai dichiarata fallita. Si richiamano precedenti di questa Corte di legittimita’ indicati come in termini (n. 47197 del 2015).
2.6. Con il sesto motivo si denuncia violazione ed erronea applicazione della L. Fall., articolo 216, comma 2, u.p. per non aver ritenuto che la bancarotta documentale debba avere ad oggetto libri e scritture contabili dell’impresa ante fallimento.
2.7. Con il settimo motivo si eccepisce vizio di motivazione in relazione alla bancarotta documentale post-fallimentare.
Si negava, con l’appello e motivi nuovi, l’occultamento e distruzione delle scritture contabili. Sono state rinvenute presso l’abitazione del ricorrente, in (OMISSIS), indicata come suo domicilio fiscale e luogo di residenza, scritture inerenti l’attivita’ svolta dopo il fallimento. Peraltro l’obbligo di tenere le scritture a disposizione riguarda solo i bilanci e le scritture contabili della ditta. I documenti diversi, indicati come nascosti alle Dogane, non rientrerebbero, a parere del ricorrente, in detto obbligo.
2.8. Con l’ottavo motivo si denuncia vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla concessione del minimo della pena.
3. Risulta depositata articolata memoria difensiva, in data 31 dicembre 2019, con la quale si illustrano gli orientamenti di questa Corte di legittimita’ in relazione a tutti i punti affrontati con il ricorso principale e, soltanto nell’intestazione, si fa riferimento a motivi nuovi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato nei limiti di seguito illustrati.
2. Il terzo ed il quarto motivo sono fondati.
2.1. Va premesso che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, puo’ ritenersi nulla per difetto di motivazione la sentenza di appello che, a fronte di motivi di impugnazione specifici, con cui si contesti in maniera argomentata la ricostruzione operata dal giudice di primo grado, si limiti a ripetere la motivazione di condanna senza rispondere a ciascuna delle contestazioni adeguatamente mosse dalla Difesa con l’atto di appello (ex multis, Sez. 2, n. 56395 del 23/11/2017, Floresta, Rv. 271700). Coerentemente con l’indirizzo applicato in materia di motivazione per relationem (Sez. 2, n. 55199 del 29/5/2018, Salcini, Rv. 274252) deve, altresi’, escludersi l’illegittimita’ del richiamo della motivazione di altro provvedimento quando, tra l’altro, la motivazione stessa sia congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione ed il giudice abbia dimostrato di fare proprie le argomentazioni ivi contenute.
2.1.1. Va ancora osservato che il reato di bancarotta post-fallimentare si concreta nella distrazione delle somme, pervenute al fallito per l’attivita’ esercitata successivamente alla dichiarazione di fallimento, qualora dette somme superino i limiti determinati dal giudice delegato in relazione a quanto occorre per il mantenimento dell’imprenditore fallito e della famiglia, ai sensi della L. Fall., articolo 46, comma 1, n. 2. Occorre por mente, pero’, al fatto che, per quanto riguarda le somme di denaro, sono appresi i guadagni (cio’ che il fallito guadagna) eccedenti le necessita’ di mantenimento dell’imprenditore e della sua famiglia (articolo 46, comma 1, n. 2 cit.).
Da queste norme e dalla ratio ad esse sottesa, si evince che nel fallimento non vanno riversati i ricavi dell’attivita’ esercitata dal fallito dopo il fallimento, ma i guadagni conseguiti, con la conseguenza che, per stabilire se ed in quale misura il fallito abbia sottratto beni alla massa fallimentare, occorre tener conto dei costi incontrati nella gestione dell’attivita’, dovendosi per l’effetto considerare distratte le somme che rappresentano il guadagno effettivo, eccedente i limiti stabiliti dal giudice delegato (Sez. 5, n. 24493 del 19/03/2013, Mangiola, Rv. 256321).
A cio’ si aggiunga che e’ noto che (Sez. 5, n. 16606 del 09/03/2010, Quero, Rv. 247256) integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale post-fallimentare la condotta di colui che, dopo essere stato dichiarato fallito, intraprenda una nuova attivita’ dalla quale tragga guadagni eccedenti i redditi necessari per il mantenimento proprio e della propria famiglia, omettendo di conferirli a favore della procedura concorsuale in corso, in violazione dell’articolo 46 cit. E’ stato pacificamente affermato, invero, che in effetti, non esiste un divieto assoluto per il fallito di lavorare dopo la dichiarazione di fallimento, ma sussiste l’obbligo di non depauperare il patrimonio sociale e di versare parte dei proventi dell’attivita’ lavorativa svolta nella massa attiva fallimentare, trattenendo quanto necessario al mantenimento (Sez. 5, n. 38244 del 17/03/2004, Citarelli, Rv. 230340).
2.1.2. Occorre anche considerare che ad integrare il delitto non e’ sufficiente che il fallito abbia utilizzato i proventi dell’attivita’ lavorativa senza aver chiesto od ottenuto un preventivo provvedimento dal giudice delegato circa le somme che aveva il diritto di trattenere, in quanto la materialita’ del fatto di bancarotta distrattiva richiede la concreta sottrazione di somme, superanti il limite massimo previsto dalla disciplina sul fallimento. Con la conseguenza che, in assenza di determinazione, da parte del giudice delegato, delle somme che il fallito e’ autorizzato a trattenere, dovra’ essere il giudice penale ad effettuare, incidentalmente, la valutazione richiesta dall’articolo 46 cit., avendo mente alle esigenze di mantenimento del fallito e della sua famiglia.
Va, infine, rilevato che la giurisprudenza di legittimita’ civile, pone in evidenza che il fallito resta, comunque, gravato dall’onere di dimostrare partitamente la natura e l’entita’ di quelle che sostiene essere state le “spese” e quindi le “passivita’”. Si e’ rimarcato, ad esempio, che qualora il fallito, dopo l’apertura della procedura concorsuale, intraprenda una nuova attivita’ autorizzata e si avvalga, della collaborazione di un terzo, i pagamenti in favore di quest’ultimo eseguiti dal fallito ricadono nel regime generale di inefficacia di cui alla L. Fall., articolo 44, in assenza di prova, da parte di chi ne invoca l’immunita’ dalle iniziative recuperatorie della curatela, circa la natura di “costi” inerenti alle operazioni che, ai sensi della diversa disposizione di cui al citato decreto, articolo 42, comma 2, sono destinate ad incrementare l’attivo concorsuale con beni sopravvenuti al fallito (Sez. 1, n. 1600 del 24/01/2008, Rv. 601383; Sez. 1, n. 8274 del 07/06/2002, Rv. 554970).
2.2. Cio’ posto risulta, come dedotto, che nell’atto di appello e nei motivi aggiunti, la Difesa aveva confutato, espressamente, con riferimento alla bancarotta distrattiva post-fallimentare (cfr. atto di appello depositato il 23 gennaio 2014) l’omesso esame, da parte del giudice di primo grado, della differenza tra le somme pervenute al fallito, dopo la dichiarazione di fallimento, per l’attivita’ esercitata in quanto necessarie al mantenimento del nucleo familiare del fallito, rispetto ai guadagni dallo stesso conseguiti, con esclusione dei costi sostenuti nella gestione dell’attivita’. Cio’ con riferimento alla fallita (OMISSIS) s.a.s., evidenziando, gia’ in quella sede, la confusione operata rispetto alla diversa attivita’ esercitata di fatto dal medesimo (OMISSIS), a partire dal giugno 2011, in relazione alla societa’ intestata alle figlie.
Rispetto a tale censura, meglio articolata dall’appellante anche attraverso il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte di legittimita’, la Corte di appello, con motivazione del tutto insufficiente (concentrata in poche righe a pag. 6 della pronuncia) si limita a giungere alle stesse conclusioni del primo giudice, assumendo di aver tenuto conto della differenza tra guadagni e ricavi, limitandosi a sostenere che i ricavi sarebbero senz’altro eccedenti le spese per il mantenimento della famiglia, avendo (OMISSIS) coinvolto nell’attivita’ le giovanissime figlie, con condotta diretta anche a coprire la reale documentazione contabile e fiscale; con cio’ confondendo del tutto la motivazione in relazione alle due distinte condotte, poste in essere in relazione alla (OMISSIS) s.a.s. ed alla (OMISSIS) s.r.l. Del resto si attribuisce l’impossibilita’ di ricostruzione corretta dei ricavi, tenendo conto dei costi sostenuti, proprio alla condotta del (OMISSIS), contestata come bancarotta fraudolenta documentale, con motivazione tautologica, senza nulla aggiungere in relazione all’attivita’ di fatto esercitata dal predetto per la (OMISSIS) s.r.l.
Il Collegio rileva che, nel caso al vaglio, il ricorrente risponde di bancarotta post-fallimentare a seguito del fallimento della (OMISSIS) s.a.s., nonche’ in proprio, quale socio accomandatario, della predetta s.a.s.; inoltre gli viene ascritta la bancarotta post-fallimentare relativa alle risorse ottenute, mai versate alla curatela, attraverso l’amministrazione di fatto della s.r.l. sopra indicata.
Non risulta, invero, specificato nella sentenza impugnata, con riferimenti ai guadagni che si riferiscono all’attivita’ che ha svolto l’imputato, dopo la dichiarazione di fallimento, espressamente, con la partita Iva della societa’ in accomandita semplice dichiarata fallita, in cosa sia consistita la distrazione post-fallimentare e in cosa si siano concretizzati i ricavi, collegabili alla predetta attivita’ sino al (OMISSIS), limitandosi la pronuncia di appello soltanto a fare riferimento all’attivita’ compiuta dal (OMISSIS) attraverso lo “scudo” rappresentato dalla societa’ intestata, formalmente, alle giovanissime figlie del ricorrente.
Sul punto, invero, la sentenza di primo grado, cui quella di appello, senza nulla aggiungere, fa rinvio evidenzia che:
– a partire dal fallimento dichiarato nel (OMISSIS) e sino alla data della sentenza di primo grado (17 dicembre 2013) (OMISSIS) ha compiuto per la (OMISSIS) s.a.s. operazioni imponibili di rilevante importo, tratte dalla documentazione fiscale e contabile reperita presso terzi soggetti, rispetto alle quali non vi e’ stato un accertamento, specifico, dei costi sostenuti stante la lacunosita’, ascrivibile al medesimo (OMISSIS), della documentazione contabile e fiscale;
– a partire dal (OMISSIS), (OMISSIS) ha continuato la stessa attivita’ dietro lo schermo della (OMISSIS) s.r.l., formalmente amministrata dalle figlie, quale amministratore di fatto, societa’ che gestiva in via esclusiva.
A fronte di tale duplice condotta, descritta compiutamente nell’imputazione, non appare affatto motivato, nel provvedimento impugnato, pur a fronte di specifiche critiche dell’appellante, quale di queste vada ascritta all’imputato come bancarotta post-fallimentare relativa alla (OMISSIS) s.a.s., eseguita utilizzando la partita Iva della societa’ fallita e quella corrispondente ad omonima ditta individuale, rispetto a quella ascrivibile al medesimo (OMISSIS), perche’ posta in essere dal predetto quale amministratore di fatto della (OMISSIS) s.r.l. intestata alle figlie, societa’, peraltro, mai fallita ed al cui esercizio, evidentemente avvenuto in nero, il predetto non e’ indicato come autorizzato dagli organi della procedura fallimentare.
Entrambi i provvedimenti di merito, invero, sottolineano la carenza di accertamento in relazione ai costi, ma fanno riferimento, generico, ad attivita’ svolta in nero, reputata in re ipsa superare i limiti di cui alla L. Fall., articolo 46, stante l’omesso versamento alla procedura fallimentare di guadagni, senza nulla aggiungere rispetto alla necessita’, secondo l’orientamento giurisprudenziale sopra indicato, di distinguere tra guadagni e ricavi. Inoltre la motivazione della pronuncia di appello e’ del tutto carente in relazione alla differenza tra l’attivita’ distrattiva compiuta quale bancarotta post-fallimentare in relazione alla (OMISSIS) s.a.s. e quella relativa alla (OMISSIS) s.r.l.
La sentenza stante la mancanza di motivazione va, pertanto, annullata sul punto con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Torino, per nuovo esame, onde colmare la lacuna motivazionale tenendo, comunque, in debito conto che, in sede di merito, e’ onere del fallito dare la prova, anche per via induttiva, dei costi sostenuti nell’esercizio dell’attivita’ lavorativa.
2.3. E’ appena il caso di osservare che le censure svolte in relazione al reato di bancarotta fraudolenta documentale sono infondate tenuto conto che, dai provvedimenti di merito, emerge che la contabilita’ reperita soltanto presso l’abitazione del ricorrente, e’ collegata senz’altro all’attivita’ della s.a.s. dichiarata fallita. Peraltro le scritture contabili risultano tenute in modo non esauriente, posto che entrambe le sentenze di merito sottolineano che il volume di affari e’ stato ricostruito soltanto a seguito di documentazione reperita presso terzi (societa’ (OMISSIS) sa, di (OMISSIS), (OMISSIS) s.r.l.), in occasione di controlli esercitati presso quelle societa’.
3. Fin da ora, infine, e’ possibile stabilire i criteri cui il giudice del rinvio dovra’ attenersi nella valutazione della posizione del (OMISSIS), ove risolva positivamente la problematica afferente l’esistenza del reato di bancarotta post-fallimentare, circa l’aggravante contestata.
E’ da precisare, infatti, che, ove all’esito del rinvio, sia confermato il giudizio di responsabilita’ dell’imputato, in relazione al reato di bancarotta patrimoniale post-fallimentare per entrambe o una soltanto delle condotte di cui al capo di imputazione, e’ in ogni caso da valutare se l’aggravante di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 2, sia sussistente.
Si tratta del divieto, in capo alla fallita, di svolgere attivita’ commerciale, senza autorizzazione del giudice delegato all’attivita’ aziendale, previsto dal Decreto Legislativo n. 114 del 1998, articolo 5, comma 2, lettera a) abrogato dal Decreto Legislativo n. 169 del 2007, articolo 20.
Sul punto si osserva che il Decreto Correttivo del 2007, n. 169, recante disposizioni integrative e correttive al Regio Decreto n. 267 del 1942 ed al Decreto Legislativo n. 5 del 2006, ha soppresso, con l’articolo 20 e con decorrenza dal 1 gennaio 2008, il Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 114, articolo 5, comma 2, (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio a norma della L. 15 marzo 1997, n. 59, articolo 4, comma 4) alla cui stregua non potevano esercitare l’attivita’ commerciale salvo che avessero ottenuto la riabilitazione, tra gli altri, coloro che sono stati dichiarati falliti. Tale cancellazione si aggiunge all’abrogazione della previgente L. Fall., articolo 50 per cui l’istituto della riabilitazione e’ stato, in definitiva, eliminato dalla disciplina del fallimento, introducendo quello dell’esdebitazione, esteso dal citato Decreto Legislativo n. 169 del 2007, alle procedure fallimentari pendenti alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 5 del 2006, a quelle chiuse a detta data, alle procedure per le quali la relativa domanda fosse stata presentata a tale data.
In definitiva la nuova disciplina sopra indicata, in uno all’esito della pronuncia della Corte Cost. n. 39 del 2008, mass. 32129, escludono che possano ritenersi soggetti alle incapacita’ personali relative all’esercizio dell’attivita’ commerciale (n.d.r. intese in senso stretto), i falliti per i quali sia intervenuta la chiusura della procedura concorsuale.
Sicche’ ai fini della sussistenza dell’aggravante in parola, di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 2, dovra’ essere precisato, dai giudici di merito se l’esercizio dell’attivita’ commerciale non autorizzata dalla procedura fallimentare, da parte del fallito, indicata come protratta, nel complesso, fino alla data della sentenza di primo grado (momento peraltro significativo anche ai fini della decorrenza del dies a quo della prescrizione: Sez. 5, 11/05/2011 n. 18565, Vitali, Rv. 250082), si collochi prima o dopo la chiusura del fallimento della s.a.s.
4. Per quanto sin qui esposto, ritenendo assorbito l’ottavo motivo di ricorso, in quanto relativo al trattamento sanzionatorio, si impone l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame nei limiti di cui alla parte motiva, da parte di altra sezione della Corte di appello di Torino.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Torino per nuovo esame.
Si da’ atto che il presente provvedimento non e’ allo stato sottoscritto, per impedimento del Presidente e dell’estensore ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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