Il rilievo d’ufficio della nullità in grado d’appello

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|7 marzo 2023| n. 6728.

Il rilievo d’ufficio della nullità in grado d’appello

Il rilievo d’ufficio della nullità, in grado d’appello, non deve necessariamente concernere il rapporto giuridico oggetto diretto della domanda, ma può fondarsi anche su circostanze di fatto introdotte nel giudizio in via d’eccezione. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto precluso il rilievo officioso della nullità di una clausola contemplante la reviviscenza di un contratto di fideiussione, sul presupposto che la relativa questione fosse stata introdotta in via d’eccezione rispetto alla domanda principale di inefficacia di un pegno su azioni, costituito proprio a garanzia della liberazione dei fideiussori).

Ordinanza|7 marzo 2023| n. 6728. Il rilievo d’ufficio della nullità in grado d’appello

Data udienza 23 novembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Pegno – Fideiussione – Nullità della clausola di reviviscenza – Contro eccezione rispetto all’eccezione di permanenza del pegno – Rilevabilità d’ufficio – Annullamento con rinvio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 17286/2019 proposto da:
(OMISSIS) Sa, in persona del Presidente del CdA, (OMISSIS) Srl in persona dell’Amministratore Unico, elettivamente domiciliati in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato Smargiassi Giovanni, rappresentati e difesi dagli avvocati Moccia Flavio, Tedoldi Alberto;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato Di Brina Leonardo che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Brandstatter Gerhard;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 21/2019 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI BOLZANO, depositata il 16/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/11/2022 da CRICENTI GIUSEPPE.

Il rilievo d’ufficio della nullità in grado d’appello

RITENUTO

che:
1.-Le societa’ (OMISSIS) sa – societa’ di diritto svizzero – e (OMISSIS) srl hanno acquistato le quote della societa’ (OMISSIS) spa, rilevando la (OMISSIS) il 60% e la (OMISSIS) il 40% del totale.
2.-Contestualmente le due societa’ acquirenti hanno concesso un pegno sulle azioni acquistate a favore di alcuni fideiussori della societa’ oggetto di acquisizione. Questa garanzia copriva l’obbligo delle due societa’ acquirenti di liberare i fideiussori della societa’ acquisita dalle garanzie che costoro avevano verso le banche.
In sostanza, la societa’ (OMISSIS) spa, al momento dell’acquisto delle sue quote, aveva debiti nei confronti delle banche per finanziamenti da queste ultime elargiti, e tali debiti erano garantiti da fideiussioni di altri soggetti, che sono in sostanza gli odierni controricorrenti.
Le due societa’ acquirenti hanno adempiuto ai debiti della societa’ acquistata, ed hanno preteso di conseguenza che dovessero venire – dalle banche creditrici- liberati i fideiussori della societa’ garantita: dunque hanno chiesto in giudizio, con ricorso ex articolo 702 c.p.c., che fosse dichiarata l’intervenuta inefficacia del pegno per estinzione del debito garantito, ossia: hanno agito sostenendo che, essendo il pegno costituito a garanzia della liberazione dei fideiussori della societa’ acquistata, ed avendo le due societa’ acquirenti (che hanno concesso il pegno) estinto i debiti principali della societa’ da loro acquistata ( (OMISSIS) spa), conseguentemente dovevano ritenersi estinte anche le fideiussioni prestate per quei debiti. Poiche’ il pegno era concesso proprio a garanzia della liberazione di quelle fideiussioni, ecco che, avvenuta questa, il pegno doveva ritenersi a sua volta inefficace.
3.-Nel giudizio intentato dalle due societa’ acquirenti si sono costituiti i due fideiussori della societa’ acquistata, ossia (OMISSIS) e (OMISSIS), ed hanno eccepito che la loro fideiussione a favore della societa’ (OMISSIS) era ancora efficace non avendo le banche creditrici provveduto a liberarli.

 

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Cio’ in quanto nei contratti di fideiussione era prevista una clausola di reviviscenza o sopravvivenza della fideiussione, di cui si dira’ meglio in seguito.
Il Tribunale di Bolzano ha accolto la tesi dei convenuti, ed ha ritenuto che, non essendo avvenuta totale liberazione dei fideiussori, costoro avevano diritto ancora al pegno, che, come si e’ detto, era stato concesso proprio a garanzia di quella liberazione.
In appello, le due societa’ acquirenti hanno eccepito che la clausola di reviviscenza, in base alla quale le fideiussioni erano da considerarsi ancora efficaci, era nulla, per violazione delle regole di concorrenza, e che tale nullita’ avrebbe dovuto essere rilevata dalla Corte, anche d’ufficio, con cio’ dovendosi di conseguenza non tener conto della clausola stessa, e dichiararsi l’avvenuta estinzione dei debiti e delle relative fideiussioni. La Corte di Appello ha rigettato il gravame, confermando la decisione di primo grado.
4.- (OMISSIS) Sa e (OMISSIS) srl ricorrono contro questa decisione con due motivi. I due originari convenuti hanno notificato controricorso.
La trattazione e’ stata fissata ai sensi dell’articolo 380-bis.1. c.p.c. e non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero presso la Corte. Le parti hanno depositato memoria.

 

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CONSIDERATO

Che:
5.- Il primo motivo censura la sentenza impugnata “ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per violazione e falsa od omessa applicazione degli articoli 1175, 1366, 1375 e 1421 c.c., degli articoli 101, 112 e 345 c.p.c., in relazione alla L. n. 287 del 1990, articolo 2, comma 3”.
Il motivo contiene due distinte censure.
La prima censura ha di mira la ratio della sentenza impugnata nella parte in cui assume che la nullita’ della clausola di reviviscenza, convenuta nei contratti di fideiussione, non poteva essere rilevata nel giudizio di appello in quanto mai fatta oggetto di trattazione e precisamente l’affermazione a pag. 10, con cui la sentenza conclude l’esame del problema della nullita’ di detta clausola, osservando che “la questione della nullita’ della fideiussione non e’ mai stata oggetto di trattazione e non potra’ quindi essere oggetto di alcuna pronuncia”.
Si tratta di un’affermazione che risulta essere la conclusione di quanto la sentenza ha affermato precedentemente a pag. 5, la’ dove ha dapprima osservato “che la questione e’ stata dedotta dalle appellanti per la prima volta in comparsa conclusionale, quindi a preclusioni gia’ spirate”, e, quindi, di seguito ha soggiunto che “anche facendo riferimento al potere di rilievo officioso della nullita’ del contratto ex articolo 345 c.p.c., che spetta al giudice investito del gravame relativo a una controversia sul riconoscimento di pretesa che suppone la validita’ e efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione (cosi’ Cass. civ. S.U. n. 7294/2017), va rilevato che il contratto oggetto del presente giudizio, concluso tra le parti in causa e’ il contratto di pegno del 17.10.2013, della validita’ del quale non si dubita e non invece i contratti di fideiussione, ritenuti ora nulli dalle appellanti”.

 

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La seconda censura riguarda, invece, la motivazione, successiva a tale assunto, con la quale la sentenza impugnata ha sostenuto la nullita’ della clausola di reviviscenza.
La prima censura – esposta dalle ricorrenti dopo avere riferito della giurisprudenza che ha affermato la nullita’ delle clausole di reviviscenza viene cosi’ prospettata: “Nel ritenere di non poter esaminare tale questione, notoriamente rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado ai sensi dell’articolo 1421 c.c., nell’amplissima e dettagliata ricostruzione offerta dalle note sentenze delle Sezioni Unite nn. 26242 e 26243 del 2014, la sentenza impugnata ha chiaramente violato e falsamente applicato tale norma e, ad un tempo, gli articoli 112 e 345 c.p.c., trattandosi pacificamente di eccezione in senso lato, che la Corte aveva l’obbligo di rilevare ex officio. Ne’ vale obiettare che le fideiussioni de quibus non formassero direttamente oggetto della domanda di nullita’, bensi’ dell’obbligo di liberazione al cui adempimento e’ collegata la cancellazione del pegno sulle azioni (OMISSIS) costituito a garanzia di tale liberazione, come si legge in fondo a pag. 7 della sentenza impugnata, dove si richiama Cass., sez. un., 7294/2017.”.
Il Collegio rileva che e’ ammissibile soltanto tale prima censura, in quanto essa attinge l’unica ratio decidendi impugnabile fra le due enunciate dalla corte, cioe’ quella, esposta sotto un duplice profilo, in primo luogo con l’assunto che l’eccezione di nullita’ integrava una “la questione e’ stata dedotta dalle appellanti per la prima volta in comparsa conclusionale, quindi a preclusioni gia’ spirate”, e, in secondo luogo, evidentemente per il caso che tale primo rilievo non sia condivisibile, con l’assunto che, pur considerando la rilevabilita’ d’ufficio della questione, essa non fosse possibile alla stregua dei principi di diritto di cui a Cass., Sez. Un., n. 7294 del 2017.
Entrambe tali rationes afferiscono a profili inerenti al rito, mentre la motivazione impugnata con il secondo motivo, inerendo alla stessa sussistenza della dedotta nullita’, integra un profilo di decisione nel merito.

 

Il rilievo d’ufficio della nullità in grado d’appello

Ora, la giurisprudenza di questa Corte e’ nel senso che, quando il giudice di merito enunci su uno dei punti controversi una ragione di rito e, poi, una di merito, l’esercizio del diritto di impugnazione e’ ammissibile soltanto con riferimento alla prima ragione, perche’ la seconda e’ enunciata in difetto potestas iudicandi. Si veda, infatti, Cass., Sez. Un., n. 3840 del 2007, secondo cui: “Qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilita’ (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si e’ spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere ne’ l’interesse ad impugnare; conseguentemente e’ ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed e’ viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata” (tale principio di diritto e’ costantemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte. Esso, infatti, non e’ contraddetto da Cass. nn. 30354 del 2017 e 7995 del 2022, che hanno dato rilievo alla circostanza che la ragione di rito, pur enunciata non abbia pero’ trovato corrispondenza nel dispositivo, che e’ stato di “merito”, mentre solo apparente e’ nella sostanza l’allontanamento da esso di Cass. n. 28364 del 2022, dato che il provvedimento impugnato era di inammissibilita’ e, dunque, era impugnata una decisione di rito, Cass. n. 28364 del 2022. Si vedano, comunque le numerose conformi alla decisione del 2007, comprensive di altre decisioni delle Sezioni Unite e, da ultimo Cass. n. 29529 del 2022, che, peraltro, dissente pure dalla valorizzazione del dispositivo fatta dalle indiate due decisioni, nonche’ Cass. (ord.) n. 27388 del 2022).
Il Collegio si conforma all’orientamento affermato dalle SS.UU. nel 2007, tanto piu’ che expressis verbis la sentenza qui impugnata ha detto conclusivamente che la questione della nullita’ “non potra’ quindi essere oggetto di alcuna pronuncia”, il che assegna alla sentenza contenuto solo processuale anche – ove si ritenesse rilevante, ma non e’ questa la sede per approfondire – quanto alla parte dispositiva per espressa motivazione del giudice di merito.
Ne segue che e’ ammissibile solo la prima censura e, pertanto, non si puo’ e non si deve procedere allo scrutinio della seconda, quella inerente la pretesa esclusione della nullita’.
Ora, la prima censura e’ manifestamente fondata quanto ad entrambe le gradate rationes decidendi in rito enunciate dalla sentenza impugnata.

 

Il rilievo d’ufficio della nullità in grado d’appello

Essendo la nullita’ negoziale una questione rilevabile d’ufficio ed essendo rilevabile anche in appello, e’ palese l’erroneita’ della prima affermazione fatta dalla corte bolzanina circa l’essere stata sollevata l’eccezione dalle qui ricorrenti ed allora appellanti nella conclusionale, quando erano maturate le preclusioni.
In disparte la non spiegata evocazione delle preclusioni, rilievo che resta oscuro, parrebbe che l’assunto della corte territoriale sia nel senso di voler conchiuso il rilievo di ufficio della questione di nullita’ ad un momento anteriore alla conclusionale, cioe’, evidentemente, alla precisazione delle conclusioni, che e’ istituto presente nel giudizio di appello: si veda l’articolo 352 c.p.c., comma 1, nel testo applicabile al giudizio. Un simile assunto e’ privo di pregio,, atteso che, sussistendo il potere del giudice, come concede la stessa sentenza impugnata (si veda Cass., Sez. Un., n. 26242 del 2014) ed essendo esso esercitabile da parte del giudice di appello anche in sede decisoria (semmai dovendo il giudice di appello esercitare il potere nel rispetto dell’articolo 101 c.p.c., comma 2), l’esercizio del potere della parte deve avere la stessa durata.
Ne segue che il potere di rilievo della nullita’ poteva essere esercitato anche nella conclusionale, come lo e’ stato, tenuto conto che il rilievo avveniva sulla base delle allegazioni acquisite al giudizio (sulla base delle quali avrebbe potuto esercitare il rilievo anche il giudice).
La corte territoriale, dopo avere concesso nella sostanza quanto appena osservato, ha, pero’, enunciato la seconda ratio decidendi in rito, appoggiandola a Cass., Sez. Un., n. 7294 del 2017.
In tale decisione, le Sezioni Unite hanno affermato – si riporta il principio di diritto espressamente enunciato nella motivazione – che “allorquando il giudice di primo grado abbia deciso su pretese che suppongono la validita’ ed efficacia di un rapporto contrattuale oggetto delle allegazioni introdotte nella controversia, senza che ne’ le parti abbiano discusso ne’ lo stesso giudice abbia prospettato ed esaminato la questione relativa a quella validita’ ed efficacia, si deve ritenere che la proposizione dell’appello sul riconoscimento della pretesa, poiche’ tra i fatti costitutivi della stessa per come riconosciuta dal primo giudice vi e’ il contratto, implichi che la questione della sua nullita’ sia soggetta al potere di rilevazione d’ufficio del giudice, integrando un’eccezione cd. in senso lato, relativa ad un fatto gia’ allegato in primo grado. Cio’, risultava e risulta giustificato, in ognuno dei regimi dell’articolo 345 c.p.c. succedutisi nella storia del codice di rito, dalla previsione, sempre rimasta vigente, del potere di rilevazione d’ufficio delle eccezioni soggette a rilievo officioso”.

 

Il rilievo d’ufficio della nullità in grado d’appello

Ora, la sentenza impugnata ha ritenuto di escludere che potesse rilevarsi d’ufficio la nullita’ della clausola di reviviscenza in quanto essa non concerneva il contratto di pegno oggetto del giudizio, ma, in tal modo ha trascurato il tema di quella nullita’, introdotto nella conclusionale, concerneva fatti, cioe’ l’esistenza della clausola della fideiussione, introdotti nel giudizio per via di eccezione dalla parte qui resistente e, dunque anch’essi inerenti all’oggetto del giudizio per come determinato appunto dal potere delle qui ricorrenti di allargarlo con la deduzione di fatti integratori di un’eccezione, quelli inerenti la nullita’ dei contratti di fideiussione in quanto incidente sulla fondatezza della domanda. La corte bolzanina ha completamente travisato il senso della pronuncia delle SS.UU., perche’, dicendo che nel processo si discuteva dei contratto di pegno ha dimenticato che oggetto del decidere era pure, quale fatto estintivo del pegno e, dunque, quale fatto rilevante per la decisione sulla domanda inerente al pegno, l’essere avvenuta la liberazione dei fideiussori, e dunque la permanenza o meno di tale vincolo di garanzia.
Rispetto a tale questione e’ palese che la dedotta nullita’ della clausola di reviviscenza era questione rilevante e decisiva, concretantesi in una controeccezione rispetto alla prospettazione dei fideiussori.
La corte territoriale ha mal valutato il riferimento della sentenza delle Sezioni Unite, giustificato dall’oggetto della controversia allora decisa, ai fatti costitutivi della domanda, reputandolo – parrebbe – significativo del fatto che il rilievo della nullita’ sarebbe giustificato solo la’ dove inerente al rapporto giuridico oggetto diretto della domanda, nel mentre esso non ha affatto tale significato limitativo. La corte territoriale parrebbe cioe’ avere reputato che la questione di nullita’ avrebbe potuto prospettarsi solo con riferimento al contratto di pegno, quale fonte della domanda e non invece quanto alle fideiussioni, la cui persistenza, secondo i fideiussori, in forza della clausola di reviviscenza, escludeva la richiesta di declaratoria dell’inefficacia sopravvenuta del pegno. Ma il principio affermato dalle Sezioni Unite, o meglio la logica da Esse affermata (giustificata, si ricorda, dai principi posti dalle Sezioni Unite nella citata sentenza del 2014), non puo’ che riguardare anche il rilievo della nullita’ della clausola di reviviscenza, introdotto dalle qui ricorrenti, come controeccezione rispetto alla eccezione di permanenza del pegno per la permanenza del vincolo fideiussorio in forza della clausola stessa.

 

Il rilievo d’ufficio della nullità in grado d’appello

La prima censura del primo motivo deve dunque accogliersi con riferimento ad entrambe le rationes decidendi in rito con essa criticata. 6.- Con il secondo motivo si censura la sentenza “ex articolo 360, nn. 3 e 4, c.p.c. per violazione e falsa od omessa applicazione degli articoli 1175, 1322, 1343, 1346, 1419, 1421, 1362, 1363, 1366, 1369, 1375 e 1938 c.c., nonche’ dell’articolo 101 c.p.c., comma 2, articoli 112 e 345 c.p.c.” e si fornisce una sorta di specificazione della doglianza in questi termini testuali: “la clausola di “reviviscenza” (o di “sopravvivenza”) delle fideiussioni non incide sull’intervenuto adempimento dell’obbligo di liberazione e sul diritto delle parti ricorrenti a ottenere la cancellazione del pegno sulle azioni della societa’ ceduta, costituito a favore degli ex fideiussori, odierni intimati; invero, la condotta dei contraenti qui intimati e l’interpretazione della clausola di cancellazione del pegno sulle azioni (OMISSIS), costituito a garanzia dell’adempimento dell’obbligo di liberazione dei predetti dalle fideiussioni prestate agli istituti di credito finanziatori della societa’, in relazione alla suddetta clausola di sopravvivenza o di reviviscenza fatta salva da alcuni istituti di credito e opposta dagli stessi per negare la cancellazione del pegno, risultano palesemente nulle per non meritevolezza (articolo 1322 c.c.), difetto o illiceita’ della causa (articolo 1343 c.c.), indeterminatezza e indeterminabilita’ dell’oggetto (1346 c.c.), contrarie a correttezza e buona fede oggettiva (articoli 1175, 1366 e 1375 c.c.) e alla comune intenzione dei contraenti (articolo 1362 c.c.), che deve essere ricercata avendo riguardo al senso letterale delle parole alla luce dell’intero contesto negoziale ai sensi dell’articolo 1363 c.c., nonche’ in ossequio ai criteri d’interpretazione soggettiva di cui agli articoli 1369 e 1366 c.c., volti, rispettivamente, a consentire l’accertamento del significato dell’accordo in coerenza con la relativa ragione pratica o causa concreta e ad escludere interpretazioni cavillose, deponenti per un significato in contrasto con gli interessi che le parti hanno voluto tutelare mediante la stipulazione negoziale della garanzia pignoratizia nel rapporto contrattuale, da interpretare e attuare secondo principii e condotte improntate a lealta’ e correttezza”. Si aggiunge, poi, espressamente: “Mancato rilievo d’ufficio della nullita’ ed error in procedendo anche per violazione dell’articolo 101 c.p.c., comma 2, articoli 112 e 345 c.p.c.”, ma il motivo, nella sua lunga esposizione non contiene alcunche’ che sia riconducibile a questi ultimi paradigmi.

 

Il rilievo d’ufficio della nullità in grado d’appello

L’illustrazione assume come oggetto di critica la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui essa si e’ cosi’ articolata: “la fideiussione non e’ estinta in seguito al pagamento del debitore principale, ma resta condizionata al verificarsi degli eventi futuri e incerti ai quali e’ legata, in particolare alle azioni revocatoria, annullamento, indebito oggettivo e arricchimento senza giusta causa. E’ ragionevole ritenere che la garanzia, in seguito all’adempimento, di fatto, diventi una fideiussione per obbligazioni condizionate, come disciplinata dall’articolo 1938 c.c. La conseguenza e’ senz’altro gravosa per il fideiussore a causa del perpetrarsi della garanzia fideiussoria dopo l’estinzione del debito garantito. Tale perpetrarsi della garanzia, pero’, non costituisce una prestazione inesigibile e giuridicamente impossibile sine die. La sua durata, infatti, e’ legata alle azioni di impugnazione del pagamento e al relativo termine di prescrizione. In forza della clausola di sopravvivenza, in mancanza delle dichiarazioni liberatorie complete da parte di tutti gli istituti bancari garantiti dalle fideiussioni oggetto di esame, indipendentemente dall’avvenuto adempimento della prestazione principale, gia’ confermata, il signor (OMISSIS) e la (OMISSIS) S.r.l. risultano ancora obbligati l’uno nei confronti di (OMISSIS) S.p.A. e l’altra nei confronti di (OMISSIS) per le eventuali ipotesi di revocatoria, annullamento, indebito oggettivo e arricchimento senza giusta causa, per il tempo necessario allo spirare dei relativi termini di prescrizione”.
Questa motivazione viene criticata con argomentazioni che si snodano nell’illustrazione delle ragioni per cui la corte territoriale avrebbe violato le varie norme evocate.
Il Collegio reputa di dare rilievo come questione piu’ liquida alle argomentazioni con le quali il motivo si duole – tirando le conclusioni tra la pagina 27 e la 28 – dell’interpretazione che la Corte di Bolzano ha dato della garanzia oggetto del contratto di pegno, reputando che essa comprendeva anche quanto previsto dalla clausola di reviviscenza.
Mette conto di rilevare che, prima di procedere all’illustrazione di entrambi motivi, le ricorrenti hanno proceduto (pagg. 6-7 del ricorso) ad evidenziare il testo del contratto di pegno del 17 ottobre 2013 quanto all’articolo 3 (rubricato: “Obbligazioni Garantite e durata della garanzia”), lettera a) e b).
Esso risulta del seguente tenore:
nella lettera a) esso dispone che “le azioni soggette a pegno sono costituite in pegno a garanzia, in favore dei creditori pignoratizi, per la puntuale ed integrale liberazione entro e non oltre il 15.10.2015 di tutte le garanzie concesse dagli stessi creditori pignoratizi a diversi istituti bancari per i fidi in essere di (OMISSIS), nonche’ a garanzia dell’obbligo di restituzione di ogni e qualsiasi somma che i creditori pignoratizi dovessero corrispondere agli enti finanziatori in conseguenza dell’eventuale escussione di dette garanzie anteriormente alla loro liberazione, il tutto per un importo complessivo massimo di Euro 4.000.000, 00 (quattromilioni/00)”;
nella lettera b) a sua volta dispone che ” Le parti convengono che il pegno costituito in forza del presente atto: (i) non verra’ in alcun modo ridotto per effetto di eventuale adempimento parziale delle obbligazioni garantite; (ii) si aggiunge e non pregiudica ne’ contrasta con qualsiasi altra garanzia accessoria, vincolo o gravame presente o futuro di cui i creditori pignoratizi possano beneficiare; e (iii) rimarra’ in esistenza valido ed efficace fino alla completa e alla totale estinzione delle obbligazioni garantite per l’importo complessivo massimo di Euro 4.000.000 (quattromilioni/00) (di seguito il “periodo di garanzia”). Con l’estinzione completa delle obbligazioni garantite, il pegno decade automaticamente e su semplice richiesta scritta dei costituenti il pegno, i creditori pignoratizi sono obbligati a sottoscrivere prontamente e senza ritardo l’atto di cancellazione del pegno stesso idoneo a conseguire una pronta ed integrale cancellazione dello stesso”.
Ebbene, la mera lettura della clausola di cui all’articolo 3 evidenzia che i giudici di merito hanno violato in modo manifesto l’esegesi letterale della stessa e quella secondo il criterio di cui all’articolo 1363 c.c. per quanto rilevante al fine di comprendere se il pegno si poteva ritenere esteso a quanto supposto dalla c.d. clausola di reviviscenza.
Il riferimento nella lettera a) alle “garanzie concesse” palesa che non puo’ essere considerato garantito dal pegno quanto implicato dalla previsione della c.d. clausola di reviviscenza, atteso che, essendo il suo operare subordinato al verificarsi di futuri eventi condizionali, non puo’ essere considerato come relativo a cio’ che per i creditori pignoratizi si poteva considerare “garanzia concessa” agli istituti bancari: questa riguardava il fido, cioe’ le somme erogate. Si vuol dire, cioe’, che, in ossequio al criterio di esegesi letterale, l’evento supposto dalla clausola di reviviscenza non puo’ considerarsi a stretto rigore garanzia “concessa”, questa concernendo l’ammontare del fido.
La conferma di questa esegesi e comunque una ragione anche da sola sufficiente ad escludere che il pegno potesse comprendere quanto supposto dalla c.d. clausola di reviviscenza si trae in modo ancora una volta corrispondente ad un criterio di piana applicazione del criterio di
esegesi letterale, dal tenore della clausola la’ dove essa parla di
validita’ ed efficacia del pegno “fino alla completa totale “estinzione delle obbligazioni garantite”: e’ palese che l’estinzione totale e completa, essendo riferita alle obbligazioni “garantite”, allude ad obbligazioni esistenti e non ad obbligazioni ipoteticamente insorgenti successivamente. L’uso del participio “garantite”, che poi viene ripetuto anche nell’inciso successivo, non puo’ che alludere all’obbligazione nascente dall’erogazione del fido, cioe’ ricollegata ad una fattispecie costitutiva in essere. Non puo’ alludere ad una obbligazione dei beneficiari del pegno meramente futura ed eventuale. Il definitivo venir meno della possibile operativita’ della c.d. clausola di reviviscenza non si presta ad essere considerato fenomeno riconducibile al concetto dell’estinzione di un’obbligazione garantita.
Sulla base di queste considerazioni si evidenzia che la corte di merito, malamente applicando il criterio di esegesi letterale, pur sempre previsto dall’articolo 1362 c.c. e quello dell’articolo 1363, riferito alla clausola sopra ricordata nel suo complesso, e’ incorsa in un vizio di falsa applicazione di tale norme, avendo mal sussunto la fattispecie di cui alla clausola con riferimento ad esse.
Il motivo va accolto in parte qua e la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di Appello di Bolzano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
La ragione della disposta cassazione rende irrilevante il problema della nullita’ della clausola di reviviscenza, su cui la corte di merito erroneamente si e’ rifiutata di pronunciare.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo per quanto di ragione. Cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia alla Corte di appello di Trento – sezione distaccata di Bolzano, in diversa composizione, anche per le spese.

 

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