Il riconoscimento fotografico effettuato nella fase delle indagini preliminari

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|17 marzo 2021| n. 10249.

Il riconoscimento fotografico effettuato nella fase delle indagini preliminari, non reiterato o non confermato nel corso del dibattimento, può essere ritenuto utilizzabile a fini probatori soltanto nel caso in cui, in applicazione della disciplina prevista per le contestazioni dall’art. 500, comma 4, cod. proc. pen., risulti da elementi concreti che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità con la finalità di condizionare l’esito dell’atto ricognitivo.

Sentenza|17 marzo 2021| n. 10249

Data udienza 3 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Rapina impropria – Contraddittorietà ed illogicità della motivazione con riferimento alla prova testimoniale – Annullamento senza rinvio perché l’imputato non ha commesso il fatto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMMINO Matil – Presidente

Dott. DI PAOLA Sergi – Consigliere

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere

Dott. PARDO – rel. Consigliere

Dott. SGADARI G. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 05/04/2018 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. PARDO IGNAZIO;
lette le conclusioni del procuratore generale Dott. Ettore Pedicini, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.
lette le conclusioni dei difensori che hanno insistito nei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza in data 5 aprile 2018, la corte di appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia del tribunale di Alessandria datata 13 dicembre 2016, esclusa la recidiva contestata a (OMISSIS), riduceva la pena inflitta al predetto in ordine al reato di rapina impropria ad anni 1, mesi 4 di reclusione ed Euro 228,00 di multa.
1.2 Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, avv.to (OMISSIS), deducendo con distinti motivi:
– mancanza o manifesta illogicita’ della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e) in relazione all’articolo 192 c.p.p., relativamente alla individuazione dell’imputato; al proposito, sottolineava come il riconoscimento fotografico, effettuato nel corso delle indagini preliminari dall’addetto alla vigilanza, era smentito dalla deposizione dibattimentale in cui il predetto teste non aveva riconosciuto l’imputato; doveva, inoltre, tenersi conto che nella descrizione il testimone aveva affermato che l’autore del fatto aveva un’eta’ diversa da quella del ricorrente cosi’ che doveva escludersi la possibilita’ di utilizzazione dell’individuazione fotografica effettuata nel corso delle indagini preliminari senza che la presenza della autovettura della madre nel parcheggio dell’esercizio commerciale ove erano avvenuti i fatti potesse rilevare quale elemento di prova decisivo;
– violazione degli articoli 56 e 628 c.p. e vizio di motivazione relativamente alla qualificazione giuridica del fatto nei termini di rapina impropria consumata e non quale ipotesi solo tentata, dovendosi fare applicazione del principio gia’ stabilito in tema di momento consumativo del furto secondo il quale ove l’agente abbia posto in essere l’azione sotto il costante controllo della persona offesa deve escludersi l’ipotesi consumata. Inoltre, sussisteva un’ipotesi di travisamento della prova poiche’ non vi era stato impossessamento della merce.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1 Il primo motivo e’ fondato ed il ricorso, pertanto, deve essere accolto.
Invero, dalla puntuale descrizione dello svolgimento del procedimento contenuto nelle sentenze di primo e secondo grado, sostanzialmente conforme alla ricostruzione del ricorso, risulta che l’unico teste che aveva assistito ai fatti, e cioe’ l’addetto alla sorveglianza dell’esercizio commerciale, chiamato a deporre dinanzi al tribunale non riconosceva l’imputato nell’album fotografico che gli veniva mostrato ne’ confermava in alcun modo il riconoscimento operato nel corso delle indagini preliminari.
Orbene, ad avviso di questa Corte di cassazione, ha errato la corte di appello di Torino nel ritenere che il riconoscimento effettuato in sede di indagini di P.G. possa valere quale elemento di prova a fronte di analogo atto con esito negativo effettuato in sede dibattimentale nel contraddittorio delle parti. Al proposito, occorre fare applicazione del principio secondo cui il riconoscimento fotografico effettuato nella fase delle indagini preliminari, non reiterato o non confermato nel corso del dibattimento, puo’ essere ritenuto utilizzabile a fini probatori soltanto nel caso in cui, in applicazione della disciplina prevista per le contestazioni dall’articolo 500 c.p.p., comma 4, risulti da elementi concreti che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilita’ con la finalita’ di condizionare l’esito dell’atto ricognitivo. (Sez. F, n. 43285 del 08/08/2019, Rv. 277471).
In motivazione detta pronuncia afferma che:” Va anzitutto precisato il riconoscimento fotografico che sia effettuato nel corso delle indagini preliminari senza essere reiterato o confermato nel dibattimento deve ritenersi inutilizzabile: l’inequivoco contenuto delle disposizioni degli articoli 431, 500, 511 e 512 c.p.p., lette congiuntamente, osta ad esegesi che conducano a ritenere utilizzabili a fini di prova, al di la’ delle eccezioni tassativamente stabilite dal codice di rito, dichiarazioni (in cio’ sostanziandosi, come noto, anche i riconoscimenti fotografici, che rappresentano infatti una species di tale genus: tra le tante, Sez. 4, n. 1867 del 21/02/2014, Jonovic, Rv. 258173) rese nel corso delle indagini preliminari al di fuori del contraddittorio delle parti e, dunque, in contrasto con quanto previsto dall’articolo 111 Cost.”. Sono pertanto non condivisibili gli assunti che appaiono attribuire valenza probatoria al riconoscimento fotografico non seguito o addirittura contraddetto dalla deposizione dibattimentale del suo autore (come espressi in Sez. 5, n. 44373 del 29/04/2015, Bartolozzi, Rv. 265813), che, se avevano giustificazione a fronte, in particolare, della formulazione dell’articolo 500 c.p.p., comma 4, anteriore alle modifiche operate dalla L. n. 63 del 2001, articolo 16 (ove si prevedeva, infatti, la valenza probatoria dei fatti delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari ove sussistenti altri elementi di prova confermativi dell’attendibilita’), non la presentano piu’ una volta intervenute, come logica conseguenza del novellato articolo 111 Cost., comma 4, le modifiche appena citate (che hanno appunto condotto a circoscrivere detta valenza ai soli fini di valutazione della credibilita’ del teste). Tale indirizzo appare incontrare dunque, in definitiva, il dato ostativo rappresentato dalle specifiche disposizioni normative gia’ ricordate, di stretta interpretazione, dovendo invece condividersi il diverso indirizzo che attribuisce valore probatorio al riconoscimento reso nella fase delle indagini preliminari, in caso di esito negativo nel dibattimento, solo ove emergano concreti elementi che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilita’ con la finalita’ di condizionare l’esito dell’atto ricognitivo, in applicazione della disciplina prevista per le contestazioni dall’articolo 500 c.p.p. (Sez. 2, n. 43294 del 02/10/2015, Ahmetovic, Rv. 265078).
Tale affermazione consta anche di un precedente analogo secondo cui in tema di riconoscimento fotografico effettuato nella fase delle indagini preliminari, cui segua, nel corso del dibattimento, una ricognizione personale effettuata dal medesimo testimone, con esito negativo, potra’ essere riconosciuta maggiore valenza probatoria all’atto compiuto nella fase delle indagini preliminari soltanto nel caso in cui emergano concreti elementi che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilita’ con la finalita’ di condizionare l’esito dell’atto ricognitivo, in applicazione della disciplina prevista per le contestazioni dall’articolo 500 c.p.p. (Sez. 2, n. 43294 del 02/10/2015, Rv. 265078).
Differente appare, invece, il caso affrontato e diversamente risolto da altra pronuncia la quale ha stabilito che il riconoscimento fotografico compiuto nel corso delle indagini preliminari e’ utilizzabile ed idoneo a fondare l’affermazione di penale responsabilita’, anche se non seguito da una formale ricognizione dibattimentale, nel caso in cui il testimone confermi di avere effettuato tale riconoscimento con esito positivo in precedenza, ma di non poterlo reiterare a causa del decorso di un apprezzabile lasso di tempo, atteso che l’individuazione di un soggetto, personale o fotografica, costituisce manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del piu’ generale concetto di dichiarazione, la cui forza probatoria discende dal valore della dichiarazione confermativa, alla stregua della deposizione dibattimentale (Sez. 2, n. 20489 del 07/05/2019, Rv. 275585); difatti, in tale ultimo caso, il teste,pur non essendo in grado di reiterare il riconoscimento, conferma il fatto storico di avere compiuto analogo atto con certezza nel corso delle indagini e non sussiste contrasto tra il narrato in fase di indagini e quanto riferito in dibattimento. Cosi’ che “il teste da una parte conferma la veridicita’ di quanto affermato precedentemente in sede di individuazione fotografica e dall’altra precisa che in quel momento non e’ in grado di ripetere l’atto” e “…la suddetta dichiarazione, fatta in dibattimento, diviene pienamente utilizzabile, ferma restando la prudente valutazione del giudice: in questa situazione di non contrasto fra le due dichiarazioni, “non puo’ trovare applicazione l’articolo 500 c.p.p., comma 2, ma solo le regole generali in ordine alla valutazione dell’attendibilita’ del teste sulla dichiarazione precedente resa e dallo stesso teste veicolata nel dibattimento grazie al fatto che ha dichiarato che quello che dichiaro’ e’ vero”.
Orbene, l’applicazione delle predette regole al caso in esame comporta affermare la fondatezza del primo motivo poiche’, dalla lettura della sentenza di primo grado, emerge chiaramente che il Giacolone, escusso in dibattimento nel contraddittorio delle parti, non riconosceva l’imputato nelle effigi riportate nell’album fotografico mostratogli, senza neppure confermare di avere effettuato il riconoscimento del (OMISSIS) in sede di indagini; cosi’ che a fronte di un primo riconoscimento positivo nella fase delle indagini ne e’ seguito altro del tutto negativo in dibattimento,con la conseguenza di non potere attribuire all’atto compiuto in sede di indagini alcuna valenza probatoria; ne’ nel caso in esame sussiste qualsiasi elemento per ritenere che il teste sia stato sottoposto a violenza o minaccia ai fini della acquisizione a fini di prova delle dichiarazioni predibattimentali.
Ed escluso tale elemento di prova dagli atti utilizzabili non si puo’ validare il ragionamento della corte di appello circa la valenza probatoria della presenza di un’autovettura nel parcheggio del centro commerciale intestata alla madre del ricorrente poiche’ tale elemento e’ privo anch’esso di efficacia decisiva essendo pacifico che il malvivente si dava alla fuga nei campi e non a bordo di quell’auto, cosi’ che venuta meno la prova ritenuta principale il solo elemento di riscontro non puo’ essere idoneo a fondare la colpevolezza.
Alla luce delle predette considerazioni, pertanto, l’impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio e l’imputato assolto per non avere commesso il fatto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perche’ l’imputato non ha commesso il fatto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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