Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Ordinanza 1 giugno 2020, n. 10404.
La massima estrapolata:
Il riconoscimento dell’infortunio o della malattia professionale da parte dell’Inail non comporta automaticamente la responsabilità del datore di lavoro per i danni sofferti dal dipendente. È onere del lavoratore, che abbia contratto una malattia professionale, dimostrare l’inadempimento datoriale e il nesso di causalità con il danno dal medesimo sofferto.
Ordinanza 1 giugno 2020, n. 10404
Data udienza 11 aprile 2019
Tag – parola chiave: Sicurezza sul lavoro – Risarcimento danni – Prestatore – Attività svolta con negligenza – Responsabilità del datore di lavoro – Esclusione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere
Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5271-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2222/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 07/11/2016 R.G.N. 1445/2014.
RITENUTO
che la Corte di Appello di Bari, con sentenza pubblicata il 7.11.2016, ha respinto il gravame interposto da (OMISSIS), nei confronti di (OMISSIS) S.p.A., avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede, resa il 5.6.2013, con la quale era stata rigettata la domanda del lavoratore volta ad ottenere il riconoscimento del danno biologico derivato dalla patologia da cui era affetto (antrite) – asseritamente contratta a causa dell’inadempimento datoriale all’obbligo di sicurezza imposto dall’articolo 2087 c.c. – e la conseguente condanna della societa’ datrice alla liquidazione del danno stesso;
che la Corte di merito, per quanto ancora in questa sede rileva, esaminati gli elementi delibatori posti dal primo giudice a fondamento della decisione gravata, ha ritenuto che il lavoratore non avesse fornito la prova del dedotto inadempimento e che, dal suo canto (OMISSIS) S.p.A. avesse provato “di aver ottemperato nel tempo a tutti gli obblighi normativamente previsti in tema di sicurezza sul lavoro”;
che per la cassazione della sentenza ricorre (OMISSIS) articolando due motivi;
che (OMISSIS) S.p.A. resiste con controricorso;
che sono state comunicate memorie nell’interesse del ricorrente;
che il P.G. non ha formulato richieste.
CONSIDERATO
che, con il ricorso, si censura, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 1218 e 2087 c.c., e si deduce che risulterebbe evidente, dalle modalita’ di svolgimento dei fatti, che vi sia stata la violazione dell’articolo 2087 c.c., che pone a carico dell’imprenditore l’obbligo di adottare, nell’esercizio dell’impresa, tutte le misure che si rendono necessarie per tutelare l’integrita’ fisica e la personalita’ morale dei propri prestatori d’opera, nel rispetto dei fondamentali diritti alla salute ed all’integrita’ psicofisica costituzionalmente garantiti; si afferma, inoltre, che il ricorrente aveva certificato, in data 26.54.1995, la dipendenza causale della patologia da cui era affetto (antrite) dal lavoro svolto, a causa, appunto, delle modalita’ di svolgimento dello stesso “che comportavano l’assunzione irregolare dei pasti, a bordo delle macchine di trazione dei treni, in qualunque ora del giorno e della notte ed in condizioni igieniche precarie”; si asserisce, altresi’, che “pur non costituendo il certificato nesso causale, ai fini dell’accertamento di responsabilita’ ex articolo 2087 c.c., e’ di tutta evidenza che tale nesso determinava, e determina una inversione dell’onere probatorio ex articolo 1218 c.c.: onere che migra dal lavoratore al datore di lavoro”; 2) in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 113, 125 e 132 c.p.c. e articolo 118 disp. att. c.p.c., e si lamenta che la sentenza impugnata sia fondata su una motivazione insufficiente, contraddittoria ed illogica, nonche’ “in contrasto con i dati istruttori acquisiti, con totale obliterazione delle prove testimoni” e dei contenuti delle prove stesse”; ed altresi’ che “in essa non si tiene conto del fatto che la societa’ non ha fornito la prova di avere posto in essere quanto necessario alla salvaguardia della salute del lavoratore”;
che il primo motivo non e’ fondato; ed invero, alla stregua dei consolidati arresti giurisprudenziali di questa Corte di legittimita’ (cfr, ex plurimis, Cass. nn. 13956/12; 17092/12; 18626/13; 22710/15), la responsabilita’ dell’imprenditore per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l’integrita’ fisica del lavoratore discende o da norme specifiche o, nell’ipotesi in cui esse non siano rinvenibili, dalla disposizione di ordine generale di cui all’articolo 2087 c.c., costituente norma di chiusura del sistema antinfortunistico estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate e valutate dal legislatore al momento della sua formulazione e che impone all’imprenditore l’obbligo di adottare nell’esercizio dell’impresa tutte le misure che, avuto riguardo alla particolarita’ del lavoro in concreto svolto dai dipendenti, siano necessarie a tutelare l’integrita’ psico-fisica dei lavoratori (cfr., tra le molte, Cass. nn. 6377/2003; 16645/2003): responsabilita’ che, nella fattispecie, non appare sussistente, poiche’, come, in piu’ occasioni sottolineato da questa Suprema Corte, il riconoscimento della malattia professionale non comporta automaticamente anche il riconoscimento di responsabilita’ del datore di lavoro ai sensi dell’articolo 2087 c.c. (cfr., tra le molte, Cass. nn. 3366/2017; 21203/10), poiche’ incombe sul lavoratore che lamenti di avere contratto quella malattia, l’onere di provare il fatto che costituisce l’inadempimento ed il nesso di causalita’ materiale tra l’inadempimento ed il danno; onere probatorio al quale il lavoratore non ha adempiuto, non potendosi considerare prova idonea a fondare un giudizio di responsabilita’ della datrice di lavoro il semplice riferimento ad un certificato medico del 26.5.1995, peraltro neppure prodotto, ne’ trascritto, nel quale si asserisce che sia dato atto della dipendenza causale della patologia di cui si tratta dal lavoro svolto;
che neppure il secondo motivo puo’ essere accolto; al riguardo, va, innanzitutto, premesso che lo stesso appare, all’evidenza, teso ad ottenere un nuovo esame del merito attraverso una nuova valutazione degli elementi delibatori, pacificamente estraneo al giudizio di legittimita’ (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014), poiche’ “il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza spetta in via esclusiva al giudice di merito”; per la qual cosa,’ “la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata” (peraltro, nella fattispecie, manca una specifica censura sul punto), “per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, o per mancata ammissione delle stesse, non conferisce al giudice di legittimita’ il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensi’ solo la facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito” (cfr., ex multis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014 citt.; Cass. n. 2056/2011); inoltre, alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di questa Suprema Corte, qualora il ricorrente denunci, in sede di legittimita’, l’omessa o errata valutazione di prove testimoniali, ha l’onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per cassazione, ma anche di specificare i punti ritenuti fondamentali al fine di consentire il vaglio di decisivita’ che avrebbe eventualmente dovuto condurre il giudice ad una diversa pronunzia, con l’attribuzione di una diversa valutazione alle dichiarazioni testimoniali relativamente alle quali, si denunzia il vizio (Cass., S.U., n. 22716/2011; Cass., ord. n. 5567/2017; Cass., sent. n. 6023/2009);
che, nel caso di specie, invero, la contestazione, peraltro del tutto generica, sulle dichiarazioni rese dai testimoni escussi, senza che le stesse siano state trascritte compiutamente, ma solo accennate, si risolve in una inammissibile richiesta di riesame del contenuto di deposizioni testimoniali e di verifica dell’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione sarebbe mancata o sarebbe stata illogica (cfr., ex plurimis, Cass. n. 4056/2009), finalizzata ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea, come innanzi sottolineato, alla natura ed alle finalita’ del giudizio di cassazione (cfr., ex multis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014);
che, inoltre, i giudici di secondo grado, sulla scorta del materiale probatorio esaminato, ed in linea con gli arresti giurisprudenziali di legittimita’, hanno rilevato che il lavoratore non ha fornito la prova dell’asserito inadempimento datoriale e che, di contro, la societa’ ha provato “di aver ottemperato a tutti gli obblighi normativamente previsti in tema di sicurezza sul lavoro”;
che, per le osservazioni in precedenza svolte, il ricorso va rigettato;
che le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;
che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater,; da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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