Il reato di frode informatica

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 17 marzo 2020, n. 10354

Massima estrapolata:

Il reato di frode informatica, al pari della truffa, si consuma nel momento in cui l’agente consegue l’ingiusto profitto. Pertanto, è a quel momento che si deve fare riferimento ai fini del radicamento della competenza giurisdizionale.

Sentenza 17 marzo 2020, n. 10354

Data udienza 5 febbraio 2020

Tag – Parola chiave: Frode informatica – Consumazione – Agente che consegue l’ingiusto profitto – Radicamento della competenza giurisdizionale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente

Dott. DE SANTIS Anna Maria – Consigliere

Dott. FILIPPINI Stefano – Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – rel. Consigliere

Dott. SARACO Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/12/2018 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere RECCHIONE SANDRA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARINELLI FELICETTA che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Torino confermava la sentenza che aveva condannato il ricorrente per il reato di frode informatica. Si contestava al (OMISSIS) di avere prelevato abusivamente la somma di Euro 250 dalla carta poste pay di (OMISSIS) e di averla accredita sulla carta poste pay di (OMISSIS), nella sua disponibilita’, che poi prelevava appropriandosene.
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:
2.1 violazione di legge: la competenza territoriale sarebbe stata illegittimamente identificata nel luogo dove il ricorrente avrebbe conseguito l’ingiusto profitto mentre avrebbe dovuto essere identificata nel luogo ove aveva sede il sistema informatico oggetto di manipolazione oppure nel luogo dove si era consumato il depauperamento della persona offesa.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilita’ prevista dall’articolo 131 bis c.p., che era stata denegata senza tenere in considerazione la capacita’ economica della persona offesa e l’effettiva entita’ del danno.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile.
1.1. Con riguardo al primo motivo di ricorso che contesta la legittimita’ della scelta della Corte di appello di ritenere consumato il resto nel luogo dove l’autore della truffa ottiene il profitto, il collegio condivide la giurisprudenza secondo cui il reato di frode informatica (articolo 640 ter c.p.) ha la medesima struttura e quindi i medesimi elementi costitutivi della truffa, dalla quale si differenzia solamente perche’ l’attivita’ fraudolenta dell’agente investe non la persona (soggetto passivo), di cui difetta l’induzione in errore, bensi’ il sistema informatico di pertinenza della medesima, attraverso la manipolazione di detto sistema. Anche la frode informatica si consuma, pertanto, nel momento in cui l’agente consegue l’ingiusto profitto con correlativo danno patrimoniale altrui (Sez. 6, n. 3065 del 04/10/1999 – dep. 14/12/1999, P.m. e De Vecchis F, Rv. 214942; Sez. 1, n. 36359 del 20/05/2016 – dep. 01/09/2016, Confl. comp. in proc. Vizcaino, Rv. 268252).
Tale giurisprudenza ha definitivamente superato il risalente indirizzo che identificava il luogo di consumazione della frode informatica nel luogo in cui veniva eseguita la attivita’ manipolatoria del sistema (Sez. 3, n. 23798 del 24/05/2012 dep. 15/06/2012, Casalini e altro, Rv. 253633; Sez. 2, n. 6958 del 25/01/2011 – dep. 23/02/2011, Giambertone e altri, Rv. 249660).
La manipolazione del sistema informatico rappresenta infatti una modalita’ “speciale” e tipizzata di espressione dei comportamenti fraudolenti necessari per integrare la truffa “semplice”: si tratta di una modalita’ della condotta che non esaurisce e perfeziona l’illecito che si consuma nel momento dell’ottenimento del profitto, come nella fattispecie “generale”.
Nessun vizio si rileva dunque nella scelta della Corte territoriale di confermare la legittimita’ della competenza territoriale.
1.2. Anche il motivo che contesta la legittimita’ del diniego del riconoscimento della causa di esclusione della punibilita’ previsto dall’articolo 131 bis c.p. e’ inammissibile.
Il collegio ribadisce che ai fini del presupposto ostativo alla configurabilita’ della causa di non punibilita’ prevista dall’articolo 131 bis c.p., il comportamento e’ abituale quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame. La Corte ha chiarito che, ai fini della valutazione del presupposto indicato, il giudice puo’ fare riferimento non solo alle condanne irrevocabili ed agli illeciti sottoposti alla sua cognizione – nel caso in cui il procedimento riguardi distinti reati della stessa indole, anche se tenui- ma anche ai reati in precedenza ritenuti non punibili ex articolo 131 bis c.p., (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016 – dep. 06/04/2016, Tushaj, Rv. 26659101).
Nel caso in esame, in coerenza con tali indicazioni ermeneutiche la Corte territoriale rilevava che il ricorrente era gravato da precedenti per usura, bancarotta fraudolenta e calunnia ritenuti ostativi alla concessione del beneficio in quanto indicativi della propensione alla consumazione di fatti illeciti e, dunque, della non occasionalita’ del fatto in contestazione. Si tratta di una valutazione di merito espressa con motivazione priva di vizi logici e aderente alle emergenze processuali che non si presta ad alcuna censura in questa sede.
2. Alla dichiarata inammissibilita’ del ricorso consegue, per il disposto dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro 2000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000.00 in favore della Cassa delle ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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