Il rapporto di prestazione d’opera professionale

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 28 ottobre 2019, n. 27466.

La massima estrapolata:

Il rapporto di prestazione d’opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del diritto al compenso, postula l’avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso. La prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico, quando il diritto al compenso sia dal convenuto contestato sotto il profilo della mancata instaurazione di un siffatto rapporto, può essere data dall’attore con ogni mezzo istruttorio, mentre compete al giudice di merito valutare se, nel caso concreto, questa prova possa o meno ritenersi fornita, sottraendosi il risultato del relativo accertamento, se adeguatamente e coerentemente motivato, al sindacato di legittimità.

Ordinanza 28 ottobre 2019, n. 27466

Data udienza 22 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SANGIORGIO Maria Rosaria – Presidente

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8560/2015 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso in proprio e dall’avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS), con studio in (OMISSIS), presso il quale elegge domicilio;
– controricorrente –
avverso la sentenza del Tribunale di Verona n. 2191/2014, notificata in data 22.01.2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 marzo 2019 dal Consigliere Milena Falaschi.

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:
– il Giudice di pace di Verona, con sentenza n. 4307 del 2012, dichiarata inammissibile dal Presidente del Tribunale l’istanza di ricusazione proposta dall’opposto, accoglieva l’opposizione proposta da (OMISSIS) avverso il decreto ingiunto dall’avv. (OMISSIS) per il pagamento dell’importo di Euro 2.888,27 per compensi professionali, ritenendo non assolto l’onere della prova relativo al conferimento dell’incarico;
– in virtu’ di appello interposto dal (OMISSIS), il Tribunale di Verona, con sentenza n. 2191 del 2014, nella resistenza del (OMISSIS), rigettava il gravame, confermando la decisione di primo grado. In particolare, il giudice del gravame precisava che l’attivita’ espletata dall’avv. (OMISSIS), consistita nella redazione di atto di precetto e di avviso di sloggio, era avvenuta senza il consenso dell’appellato, che lo aveva incaricato, come da procura in atti, a svolgere la sola funzione di domiciliatario, avendo conferito la difesa ad altro difensore, l’avv. (OMISSIS);
– per la cassazione della sentenza del Tribunale di Verona ricorre il (OMISSIS) sulla base di quattro motivi;
– il (OMISSIS) resiste con controricorso;
– il ricorrente in data 15.03.2019 ha anche depositato memoria illustrativa.
Atteso che:
– osserva preliminarmente il Collegio che la memoria illustrativa del ricorrente e’ tardiva: e’ pervenuta alla cancelleria della Corte il 15 marzo 2019 (venerdi’), fissata l’udienza camerale per il 22 marzo 2019 (venerdi’ successivo), mentre le memorie dovevano essere depositate non oltre dieci giorni prima dell’udienza presso la cancelleria della Corte (articolo 380 bis.1 c.p.c.). Della stessa pertanto non puo’ tenersi conto;
– venendo al merito del ricorso, con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex articolo 360 c.p.c., n. 3 e articolo 111 Cost., la violazione degli articoli 30-bis, 34, 51, 52, 53, 54, 56 e 112 c.p.c., per non essersi il giudice di appello neppure soffermato sulle molteplici cause di ricusazione mosse dal (OMISSIS) nei confronti del giudice di prime cure.
Il motivo non puo’ trovare accoglimento.
Sebbene l’articolo 53 c.p.c., comma 2, preveda espressamente la non impugnabilita’ del provvedimento che decide sull’istanza di ricusazione, per consolidato orientamento giurisprudenziale, l’ordinanza che neghi la violazione al diritto ad un giudice imparziale, pur non essendo impugnabile “ex se”, puo’ essere censurata con l’impugnazione proposta contro la sentenza che conclude il giudizio. In altri termini, non e’ precluso il riesame dell’ordinanza di rigetto dell’istanza di ricusazione nel corso del processo, ma esso avviene attraverso il controllo sulla pronuncia resa dal iudex suspectus, o con il suo concorso, in quanto l’eventuale vizio causato dalla incompatibilita’ del giudice ricusato si risolve in motivo di nullita’ dell’attivita’ svolta dal giudice stesso e, quindi, di gravame della sentenza da lui emessa (sul punto v. Cass. n. 2562 del 2016).
Come gia’ affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 17636 del 20 novembre 2003), il principio di imparzialita’ e’ garantito dalla possibilita’ per la parte, che abbia visto rigettata la propria istanza di ricusazione, di chiedere al giudice di appello un riesame di tale pronuncia impugnando la sentenza conclusiva resa dal giudice invano ricusato.
Ne consegue che nella specie il (OMISSIS), per far valere il diritto ad un giudice imparziale negatogli, avrebbe dovuto allegare e quindi provare, in via pregiudiziale, l’incidenza dell’asserita incompatibilita’ sull’attivita’ svolta dal giudice ricusato e non limitarsi a riproporre in sede di appello le cause di incompatibilita’ svolte dinnanzi al giudice di primo grado.
Sin dalla sentenza, resa a Sezioni Unite, 16 maggio 1951, n. 6764, la Corte ha avuto modo di precisare che – a differenza di quanto previsto nel codice di rito del 1865, sotto il cui impero sulla ricusazione si provvedeva con sentenza, e questa era appellabile se pronunciata dal tribunale (mentre era inappellabile quella pronunciata dal conciliatore e dal pretore) (articoli 125, 128 e 129) nel sistema del codice vigente “il procedimento di ricusazione, pur costituendo sempre un incidente della causa principale nella quale si inserisce, non si chiude, come quella, con la pronuncia di una sentenza ma con una pronuncia che ben puo’ dirsi ordinatoria perche’ diretta unicamente alla determinazione della composizione dell’ufficio, e quindi con ordinanza”. La ragione di un tale mutamento viene colta nella “massima semplicita’ di forme con cui il nuovo legislatore ha inteso, data l’estrema delicatezza della materia, regolare il procedimento di ricusazione, non altro disponendo che l’audizione del giudice ricusato e l’assunzione, neppure obbligatoria ma facoltativa, delle prove offerte e, quindi, senza un contraddittorio vero e proprio neppure tra il ricusante e il giudice ricusato, e soprattutto senza impugnazioni di sorta”. La Cass. 27 giugno 2000, n. 8729 ha, poi, definitivamente sancito il principio della conversione dell’eventuale vizio della non riconosciuta incompatibilita’ del giudice ricusato in motivo di nullita’ della sentenza, in ragione della quale costituisce presupposto per il riesame la supposta ingiustizia della sentenza, quale atto finale che definisce il procedimento e in cui la ricusazione che e’ stata proposta e’ confluita, oltre all’eventuale vizio causato dall’incompatibilita’ del giudice ricusato rispetto alla lite essendo motivo di impugnazione della sentenza.
In questa prospettiva, nessuna deduzione contiene il ricorso in tal senso, limitandosi il (OMISSIS) a riproporre sia in appello sia in sede di legittimita’ la doglianza di violazione del diritto ad un giudizio imparziale, derivante da una erronea decisione negativa sulla ricusazione, e le cause di incompatibilita’ del giudice ricusato;
– con il secondo e il terzo motivo il ricorrente denuncia, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’articolo 84 c.p.c. e dell’articolo 2697 c.c., in relazione agli articoli 2229 e ss., 2727, 2728 e 2729 c.c., nonche’ il difetto assoluto di motivazione su punti decisivi della controversia. A detta del ricorrente, il Tribunale di merito non avrebbe tenuto conto del principio secondo cui la mancanza della procura alle liti in capo all’avvocato non rileva ai fini del diritto al compenso, essendo a tal fine sufficiente il perfezionamento di un contratto di mandato, per il quale vige il principio di liberta’ della forma. Pertanto, non avendo mai negato il (OMISSIS) lo svolgimento dell’attivita’ di patrocinio del (OMISSIS), quest’ultimo aveva diritto al compenso per l’attivita’ svolta.
Il motivo e’ infondato.
Per consolidato orientamento di questa Corte, il rapporto di prestazione d’opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del diritto al compenso, postula l’avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volonta’ di avvalersi della sua attivita’ e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso. La prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico, quando il diritto al compenso sia dal convenuto contestato sotto il profilo della mancata instaurazione di un siffatto rapporto, puo’ essere data dall’attore con ogni mezzo istruttorio, mentre compete al giudice di merito valutare se, nel caso concreto, questa prova possa o meno ritenersi fornita, sottraendosi il risultato del relativo accertamento, se adeguatamente e coerentemente motivato, al sindacato di legittimita’ (Cass. n. 1792 del 2017 e precedentemente Cass. n. 3016 del 2006; Cass. n. 1244 del 2000; Cass. n. 2345 del 1995).
Nella specie, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, la sentenza ha tenuto ben presente la distinzione tra rapporto endoprocessuale, nascente dalla procura ad litem, e rapporto di patrocinio, quale rapporto che si instaura tra il professionista incaricato ed il soggetto che ha conferito l’incarico, e ha ritenuto che, prescindendo dalla procura alle liti, l’attivita’ svolta dall’avv. (OMISSIS) era stata realizzata senza il consenso (neppure verbale o implicito) del (OMISSIS).
Lo svolgimento della dedotta attivita’ difensiva da parte del (OMISSIS), dunque, deve ritenersi contestata e di conseguenza inidonea a far sorgere il diritto al compenso, in assenza di qualsivoglia specifico conferimento di incarico da parte del cliente, essendo rimasta accertata esclusivamente la domiciliazione presso il ricorrente.
Del resto e’ nota la differenza tra rilascio di procura, nella specie avvenuta in favore dell’avv. (OMISSIS) solo per la domiciliazione, e il rilascio di mandato professionale, regolato dalle norme di un ordinario mandato, in virtu’ del quale la posizione del cliente viene assunta non dal patrocinato ma da chi ha richiesto per lui l’opera professionale (v. Cass. n. 19416 del 2016);
– con il quarto motivo il ricorrente denuncia, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’articolo 2721 c.c., in relazione all’articolo 202 c.p.c., per avere la Corte di merito erroneamente escluso l’ammissibilita’ della prova testimoniale volta a dimostrare l’avvenuto conferimento dell’incarico a favore dell’avv. (OMISSIS) da parte del (OMISSIS), con motivazione pretestuosa.
Il motivo non puo’ trovare ingresso.
La richiesta di provare per testimoni un fatto esige non solo che questo sia dedotto in un capitolo specifico e determinato, ma anche che sia collocato univocamente nel tempo e nello spazio, al duplice scopo di consentire al giudice la valutazione della concludenza della prova e alla controparte la preparazione di un’adeguata difesa (Cass. n. 1808 del 2015).
Alla luce di tale orientamento, si deve condividere la motivazione del giudice di merito che nella specie ha dichiarato inammissibile il capitolo di prova articolato dal ricorrente sul punto e asseritamente volto a dimostrare l’avvenuto conferimento dell’incarico, dal momento che non indicava ne’ il tempo ne’ il luogo del rilascio, e cio’ a fronte della posizione del (OMISSIS) che aveva escluso radicalmente detta circostanza.
Conclusivamente, il ricorso va respinto.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’articolo 13 del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di legittimita’ in favore del controricorrente, che vengono liquidate in complessivi Euro 1.300,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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