Il principio di immedesimazione organica e la pubblica amministrazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 gennaio 2024| n. 865.

Il principio di immedesimazione organica e la pubblica amministrazione

In virtù del principio di immedesimazione organica, la pubblica amministrazione è civilmente responsabile in via diretta della condotta penalmente rilevante posta in essere dai propri dipendenti o funzionari nell’esercizio delle potestà istituzionali dell’ente, essendo conseguentemente ammissibile l’azione di regresso condotta, nei suoi confronti, da parte di altre amministrazioni solidalmente responsabili in via indiretta. (Principio affermato dalla S.C. in relazione all’azione di regresso esercitata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Ministero dell’Interno, a seguito della condanna in solido degli stessi quali corresponsabili civili, nei confronti di un Comune, il quale, in virtù del principio di immedesimazione organica, era tenuto a rispondere per fatto proprio del danno ingiusto provocato dalla condotta del Sindaco).

Ordinanza|9 gennaio 2024| n. 865. Il principio di immedesimazione organica e la pubblica amministrazione

Data udienza 14 dicembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Provvedimenti del giudice civile – Sentenza – Contenuto – In genere persona fisica appartenente alla p.a. – Condotta penalmente rilevante integrante estrinsecazione di potestà istituzionali – Responsabilità civile diretta della p.a. – Sussistenza – Fondamento – Immedesimazione organica – Regresso da parte di altre amministrazioni corresponsabili – Ammissibilità – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta da

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere Rel.

Dott. TASSONE Stefania – Consigliere

Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19085/2022 R.G. proposto da

Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero dell’Interno, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato (p.e.c. indicata:(Omissis)), presso i cui uffici domiciliano ope legis in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrenti –

contro

Comune di Sarno, rappresentato e difeso dall’Avv. Gi.D. (p.e.c. indicata:Omissis), con domicilio eletto in Roma, presso lo studio dell’Avv. Pa. Co.

– controricorrente –

e nei confronti di

Ba.Ge., No.Si., Sa.Gi. e Sa.Ge.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno n. 269/2022, depositata l’8 marzo 2022.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 dicembre 2023 dal Consigliere Emilio Iannello.

Il principio di immedesimazione organica e la pubblica amministrazione

RILEVATO CHE

No.Si., Sa.Gi. e Sa.Ge. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Salerno la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero degli Interni, il Comune di Sarno e Ba.Ge., sindaco p.t., chiedendo il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della morte del proprio congiunto Sa.Lu., in conseguenza degli eventi franosi verificatisi a S il 5 maggio 1998, per i quali erano decedute centotrentasette persone e per i quali era stata riconosciuta la penale responsabilità del Ba.Ge. per omicidio colposo plurimo, con la condanna generica, unitamente ai responsabili civili, al risarcimento del danno in favore della parte civile, da liquidarsi separatamente;

sia il Comune che le Amministrazioni dello Stato proposero domanda di regresso nei confronti dei coobbligati;

il Tribunale adito accolse la domanda, condannando i convenuti in solido al pagamento delle somme specificate nella sentenza impugnata; in accoglimento della domanda di regresso, condannò il Ba.Ge. a corrispondere alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Ministero dell’Interno le intere somme che sarebbero state pagate agli attori; rigetto invece la domanda di regresso in quanto proposta nei confronti del Comune;

con sentenza n. 269/2022, resa pubblica l’8 marzo 2022, la Corte d’appello di Salerno, per quanto ancora interessa, ha rigettato il gravame interposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Ministero dell’Interno che si dolevano del rigetto della domanda di regresso nei confronti del Comune di Sarno;

ha osservato la corte territoriale, per quanto qui rileva, che nel caso di responsabilità per fatto altrui non è consentito al responsabile per fatto altrui agire in via di regresso ai sensi dell’art. 2055, secondo comma, cod. civ. nei confronti di altro responsabile indiretto in quanto, essendo quest’ultimo per definizione estraneo alla causazione del fatto illecito nonché responsabile senza colpa, è inapplicabile il criterio della gravità della rispettiva colpa e dell’entità delle conseguenze derivatane, mentre è consentito al responsabile indiretto agire contro l’immediato autore del fatto lesivo per l’intera somma corrisposta al danneggiato, in applicazione del principio di cui all’art. 1298, primo comma, cod. civ.;

ha aggiunto che responsabile diretto della morte del congiunto degli attori era Ba.Ge. perché quale Sindaco, come accertato dal giudicato penale (a seguito della sentenza n. 19507 del 2013 della Corte di Cassazione), aveva omesso di allertare tempestivamente la popolazione, cui di contro aveva inoltrato avvisi tranquillizzanti, di disporre l’evacuazione delle persone residenti nelle zone a rischio quale unica condotta salvifica possibile, di convocare ed insediare con urgenza il comitato locale per la protezione civile e di segnalare prontamente alla Prefettura di Salerno la gravità degli eventi per consentirne gli interventi di competenza;

ha ancora osservato che, mentre il Ba.Ge. è l’unico autore delle condotte penalmente rilevanti causative dell’evento dannoso, il Comune e le Amministrazioni dello Stato sono solo responsabili civili indiretti in forza di disposizione normativa (art. 28 Cost.) prescindere dalla colpa e dalle regole di causalità del fatto, per cui le Amministrazioni dello Stato per un verso hanno diritto di agire in regresso per l’intero nei confronti dell’autore immediato del fatto antigiuridico, per l’altro non possono promuovere l’azione ai sensi dell’art. 2055, secondo comma, cod. civ. nei confronti del Comune di Sarno, altro responsabile civile parimenti incolpevole;

per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso, con unico atto, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero degli Interni sulla base di due motivi, cui resiste il Comune di Sarno, depositando controricorso;

è stata fissata la trattazione per la odierna adunanza camerale con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti; non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero;

Il principio di immedesimazione organica e la pubblica amministrazione

CONSIDERATO CHE

con il primo motivo si denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. “violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui agli articoli 28 della costituzione, 22 e 23 del t.u. n. 3 del 10 gennaio 1957, 185 del codice penale, 2043, 2049 e 2055, comma 2 del cod. civ. “;

osserva la parte ricorrente che, in ragione del rapporto di immedesimazione organica e dell’art. 28 Cost., ricorre la responsabilità diretta per fatto proprio del Comune di Sarno, come si evince da Cass. Sez. U. n. 13246 del 2019 e da quanto evidenziato dalla sentenza di legittimità nel processo penale a proposito dei poteri pubblicistici del Sindaco;

aggiunge che ricorre una fattispecie di mancato esercizio di funzioni pubbliche, con la conseguenza che gli atti e le omissioni, oltre che immediatamente riferibili alla persona fisica del Sindaco, nel sistema della protezione civile sia autorità comunale che ufficiale di governo, sono anche direttamente imputabili tanto al Comune quanto alle Amministrazioni statali in ragione delle rispettive funzioni;

conclude nel senso che ricorre pertanto il presupposto dell’azione di regresso;

con il secondo motivo si denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., “violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui agli articoli 185 del codice penale, 2043, 2049 e 2055, comma 2 e 3 del cod. civ.”, per avere la Corte territoriale, pur nell’ipotesi in cui “il titolo di responsabilità della Pubblica Amministrazione sia qualificabile per fatto altrui”, erroneamente escluso che ciascuna amministrazione potesse esercitare, ai sensi dell’art. 2055, secondo comma, c.c., l’azione di regresso contro l’altra amministrazione coobbligata solidale, giacché avrebbe dovuto fare applicazione, invece, del principio di diritto (a fondamento del quale i ricorrenti argomentano diffusamente) secondo cui, in virtù dell’autonomia sistematica e concettuale dell’articolo 2055 rispetto alla disciplina dell’azione di regresso per le obbligazioni da contratto di cui all’articolo 1298 del Codice Civile, è ammissibile l’azione di regresso ai sensi dell’articolo 2055, comma 2 e 3, anche tra coobbligati solidali aventi titoli di responsabilità diversi da quello della responsabilità per fatto proprio colpevole”;

sostengono infatti i ricorrenti che, mentre l’art. 1298 cod. civ. esprime la logica dell’autonomia privata e dell’obbligazione volontariamente assunta nell’interesse esclusivo del debitore, l’art. 2055 esprime la logica dell’ascrivibilità del fatto illecito e del principio che nessuno può rispondere oltre il limite di ciò che gli sia oggettivamente addebitabile;

aggiungono che nell’art. 2055, secondo comma, il concetto di colpa ha il carattere oggettivo dell’imputabilità del fatto al soggetto, come si evince anche dal terzo comma, dove il criterio della divisione in parti uguali si attaglia ad un concetto oggettivo di colpa e non alla responsabilità per fatto colpevole;

osservano ancora che il criterio della “entità delle conseguenze”è autonomo rispetto alla colpa intesa in senso oggettivo, poiché concerne le conseguenze del fatto provocato dal soggetto nei cui confronti il responsabile indiretto riveste una posizione di controllo o di garanzia;

mette conto preliminarmente dare atto che -come in altri analoghi ricorsi chiamati alla odierna udienza -la copia della sentenza depositata è priva della data di pubblicazione, né altrimenti risulta altra certificazione circa la data di pubblicazione;

si tratta di profilo rilevante ai fini dell’onere della parte ricorrente di dimostrare la tempestività della propria impugnazione: mancando nella copia autentica depositata la data della pubblicazione del provvedimento impugnato, e non essendo stata documentata da altra certificazione tale data, ai fini dell’assolvimento dell’onere probatorio della tempestività dell’impugnazione non resta che il riferimento alla data di deliberazione della sentenza (fra le tante Cass. n. 29263 del 2023; n. 18510 del 2023 e n. 2721 del 2014);

nel caso di specie, però, tale circostanza rimane priva di conseguenze ai fini dell’ammissibilità della impugnazione atteso che, pur computando il termine per impugnare con decorrenza dalla data di deliberazione in camera di consiglio della decisione (16 febbraio 2022), il ricorso, notificato in data 25 luglio 2022, si rivela perfettamente tempestivo;

si osserva, d’altro canto, che nella specie la copia analogica prodotta, pur con le dette omissioni, non si può considerare come copia non autentica, in quanto risulta -e vi è in tal senso anche espressa asseverazione del Procuratore dello Stato resa ai sensi dell’art. 16-bis, comma 9-bis, 16-decies e 16-undecies d.l. n. 179 del 2012 -“tratta con modalità telematiche”e “conforme”allo “esemplare presente nel fascicolo informatico”come “reso disponibile dai servizi informatici e telematici del competente plesso giurisdizionale”, e, dunque, deve considerarsi conforme al documento informatico effettivamente presente nel fascicolo del giudizio di merito e, pertanto, autentica; tanto giustifica che non si possa considerare il ricorso improcedibile, secondo l’orientamento espresso da Cass. n. 5771 del 2023 e da Cass. n. 24885 del 2023;

in particolare, la mancanza del numero di pubblicazione della decisione, cui ha dato rilevanza Cass. n. 24885 del 2023, assumendo che renderebbe impossibile identificare il provvedimento oggetto del giudizio di cassazione, non sembra potersi apprezzare in questo senso, perché sia la data di deliberazione, sia il numero di ruolo del giudizio di merito consentono di identificare comunque il provvedimento; la stessa ipotetica mancanza di indicazione del numero di ruolo – peraltro presente nella specie (n. 186/2020 R.G. A.C. Corte d’appello di Salerno) – resterebbe ovviabile in quanto il contenuto della decisione impugnata consente di identificare il provvedimento e ciò anche qualora – come potrebbe capitare -l’ufficio di merito abbia emesso decisioni fra le stesse parti di natura c.d. seriale;

il primo motivo è fondato;

deve darsi in tal senso continuità all’indirizzo già espresso da questa Corte con riferimento ai medesimi fatti di cui al presente ricorso, recependo nella presente sede quanto affermato da Cass. n. 35020, n. 35419, n. 35872, n. 36902 del 2022 e n. 365 del 2023;

occorre muovere dai principi di diritto enunciati da Cass. sez. U. 16 maggio 2019, n. 13246;

il comportamento della P.A. che può dar luogo, in violazione dei criteri generali dell’art. 2043 c.c., al risarcimento del danno per il fatto penalmente illecito del dipendente, o si riconduce all’estrinsecazione del potere pubblicistico e cioè ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell’ambito e nell’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti, oppure si riduce ad una mera attività materiale, disancorata e non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi formali;

nel primo caso (attività provvedimentale o, se si volesse generalizzare, istituzionale in quanto estrinsecazione di pubblicistiche ed istituzionali potestà), l’immedesimazione organica di regola pienamente sussiste ed è allora ammessa la responsabilità diretta in forza della sicura imputazione della condotta all’ente;

nel secondo caso, di attività estranea a quella istituzionale o comunque materiale, ove pure vada esclusa l’operatività del criterio di imputazione pubblicistico fondato sull’attribuzione della condotta del funzionario o dipendente all’ente, opera (nei limiti indicati dalle Sezioni Unite, profilo qui non rilevante) il diverso criterio della responsabilità indiretta, per fatto del proprio dipendente o funzionario, in forza di principi corrispondenti a quelli elaborati per ogni privato preponente e desunti dall’art. 2049 c.c.;

nella sentenza n. 19507 del 2013 della Corte di Cassazione, che ha concluso il procedimento penale per omicidio colposo plurimo nei confronti del Sindaco p.t., si legge, quanto alla imputazione sollevata nei confronti di questi, che: “non considerava la “mappa dei rischi” allegata al menzionato piano di protezione civile, nella quale quello derivante da alluvioni, frane e valanghe veniva ritenuto di “grado alto” e, quindi, degno della massima attenzione, con la indicazione degli adempimenti da attuarsi al verificarsi dell’emergenza; ometteva di dare tempestivamente il segnale di allarme alla popolazione, di disporre l’evacuazione delle persone residenti nelle zone a rischio, di convocare ed insediare tempestivamente il comitato locale per la protezione civile, di dare tempestivo e congruo allarme alla Prefettura di Salerno alla quale, anzi, fino alle ore 20,47, forniva notizie imprudentemente rassicuranti sull’emergenza in corso, suscettibili di non provocare l’adeguato allertamento degli organi competenti; forniva alla popolazione in pericolo notizie imprudentemente rassicuranti sulla emergenza in atto, diffondendo due appelli televisivi …, con i quali invitava i cittadini a restare nelle proprie abitazioni, facendo così ritenere che la situazione fosse sotto controllo ed inesistente il pericolo; inoltre, a fronte di una precisa richiesta di evacuazione dei plessi ospedalieri di S, in pericolo, avanzata dall’Autorità sanitaria competente, rifiutava tale evacuazione assumendo la insussistenza di pericolo per la vita dei pazienti”;

l’attività colposa che viene in rilievo non è meramente materiale ed estranea ai compiti istituzionali, tale da essere legata solo da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri esercitati -alle condizioni indicate dalle Sezioni Unite -, ma è istituzionale nel senso di estrinsecazione di pubblicistiche ed istituzionali potestà;

la circostanza che l’attività non sia per lo più collegata ad un formale provvedimento amministrativo ed integri piuttosto una condotta di tipo omissivo non muta i termini della questione poiché l’omessa adozione di un provvedimento amministrativo non costituisce comportamento materiale, ma illegittima condotta istituzionale (peraltro al sindaco risultano imputate anche condotte di carattere commissivo sotto il profilo delle notizie imprudentemente rassicuranti fornite durante l’emergenza in corso: anch’esse sono attività ricollegate al potere a lui spettante quale organo sia del Comune, sia della Presidenza, sia del Ministero);

l’attribuzione del potere illegittimamente non esercitato è criterio di responsabilità dell’autorità rimasta inerte, per cui non esercitare il potere non è un contegno meramente materiale della persona fisica, ma azione amministrativa illegittima ove quel potere doveva essere esercitato;

sia le attività omesse dal sindaco, sia le attività positive compiute con esternazioni verso la cittadinanza, pur non essendosi concretate nell’adozione di provvedimenti -ma, rispettivamente, le prime, appunto nell’omessa adozione di questi, le seconde in attività comunque riconducibili alla funzione del sindaco nella prevenzione delle calamità -sono comportamenti che debbono considerarsi espressione della funzione del sindaco;

le prime, in particolare, risultano certamente ex necesse imputabili al rapporto organico sebbene come espressione di mancato esercizio di un potere, le seconde altrettanto certamente sono espressione di detto rapporto, atteso che i messaggi alla cittadinanza, pur non essendo provvedimenti, comunque integrano operazioni materiali espressione del detto rapporto: non in altra veste o per altri scopi essi sono stati posti in essere dal sindaco, ma proprio nell’esercizio, purtroppo malamente interpretato, dei poteri che nel suo ruolo di organo al tempo stesso di tre amministrazioni (Comune, Presidenza del Consiglio e Ministero dell’Interno) gli erano conferiti;

costituendo manifestazione di attività istituzionale anche l’omesso esercizio di potestà pubblica, la responsabilità del Comune nel caso di specie ha carattere diretto ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., per cui non vi è ostacolo, anche secondo l’assunto del giudice di merito, all’esercizio dell’azione di regresso ai sensi del secondo comma dell’art. 2055 c.c. da parte delle Amministrazioni statali ricorrenti (conformemente, peraltro, all’indirizzo di questa Corte: v. Cass. n. 856 del 1982, n. 17763 del 2005, n. 24802 del 2008, n. 24567 del 2017);

deve dunque ribadirsi il principio di diritto già enunciato nei menzionati precedenti, secondo cui “sussiste la responsabilità diretta della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., per il fatto penalmente illecito commesso dalla persona fisica appartenente all’amministrazione, tale da far reputare sussistente l’immedesimazione organica con quest’ultima, non solo in presenza di formale provvedimento amministrativo, ma anche quando sia stato illegittimamente omesso l’esercizio del potere autoritativo”;

resta fermo, naturalmente, che la commisurazione, in concreto, delle responsabilità degli enti (di ciascuno dei quali il sindaco, come s’è detto, era organo), nel riparto interno tra di essi ai fini del regresso, resta regolata dall’art. 2055 cod. civ. e dalle regole di riparto degli oneri di allegazione e prova che da esso discendono (v. Cass. n. 3626 del 10/02/2017; Cass. 11/11/2019, 28987, in motivazione);

il secondo motivo, proposto in via subordinata, deve evidentemente ritenersi assorbito dall’accoglimento del precedente motivo;

in accoglimento, dunque, del primo motivo, assorbito il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata al giudice a quo, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità;

Il principio di immedesimazione organica e la pubblica amministrazione

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra Sezione della Corte di appello di Salerno, comunque in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2024.

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