Corte di Cassazione, civile, Sentenza|22 febbraio 2021| n. 4667.
Il principio della retribuzione sufficiente di cui all’articolo 36 della Costituzione riguarda esclusivamente il lavoro subordinato e non può essere invocato in tema di compenso per prestazioni lavorative autonome, ancorché rese, con carattere di continuità e coordinazione, nell’ambito di un rapporto di collaborazione.
Sentenza|22 febbraio 2021| n. 4667
Data udienza 6 ottobre 2020
Integrale
Tag/parola chiave: Impiego pubblico – Guardia medica – Aumento del compenso orario – Esclusione – Art. 36 Accordo integrativo regionale Lazio del 14/03/2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere
Dott. LORITO Matilde – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17578/2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE ROMA “(OMISSIS)”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1560/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/01/2015 R.G.N. 3111/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/10/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 1560/2014, depositata il 27 gennaio 2015, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale della medesima sede, ha respinto la domanda proposta nei confronti della ASL Roma (OMISSIS) da (OMISSIS), titolare di incarico a tempo indeterminato di “continuita’ assistenziale” (gia’ guardia medica), domanda diretta a conseguire – previo accertamento della violazione dell’Accordo collettivo nazionale 20/1/2005 e dell’Accordo integrativo della Regione Lazio 14/3/2006 – il riconoscimento del diritto ad un aumento del compenso orario nella misura del 50% in relazione al mancato rispetto, da parte dell’Azienda, del rapporto ottimale medico/residenti e alle maggiori prestazioni che ne erano derivate.
2. La Corte ha ritenuto che l’aumento richiesto non potesse trovare fondamento nella clausola dell’articolo 36 dell’Accordo integrativo regionale concernente il fabbisogno di medici nelle zone disagiate, il presupposto dell’incremento rinvenendosi, in tale fattispecie, in una caratteristica oggettiva della zona e, in particolare, nella difficolta’ di raggiungerla, che era situazione non suscettibile di applicazione al caso dello sfavorevole rapporto numerico fra popolazione e addetti alla guardia medica; ha inoltre rilevato la sostanziale assenza di prova circa una piu’ intensa attivita’ del medico in rapporto al numero dei residenti nella zona di competenza, posto che lo scostamento dal rapporto ottimale non poteva di per se’ costituire indizio concludente del raddoppio, in concreto, delle sue prestazioni; ha poi osservato che l’impegno, previsto nell’articolo 36 dell’Accordo regionale, a individuare modalita’ anche incentivanti in caso di non raggiunta completezza delle piante organiche non poteva sopperire al difetto di tale prova, dato il carattere generale della previsione e l’assenza, comprensibile data la sede contrattuale, di indicazioni di sorta sulle ricadute concrete della incompletezza degli organici.
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Dott. (OMISSIS), con quattro motivi, cui ha resistito con controricorso l’Azienda Unita’ Sanitaria Roma “(OMISSIS)”.
4. Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso viene denunciata: (1.1.) violazione e falsa applicazione dei canoni ermeneutici (articoli 1362, 1363, 1365, 1366, 1367 c.c.) per avere la Corte di appello erroneamente escluso la possibilita’ di estendere, alla fattispecie dedotta in giudizio, la norma dettata per le “aree disagiate” dall’articolo 36 Accordo Integrativo della Regione Lazio 26 marzo 2006, anche tenuto conto delle previsioni in materia di cui all’articolo 64 Accordo Collettivo Nazionale 20 gennaio 2005; (1.2.) violazione e falsa applicazione dell’articolo 1359 c.c. e dell’articolo 2932 c.c., posto che l’Amministrazione era rimasta del tutto e colpevolmente inerte di fronte all’obbligo, stabilito dall’articolo 36 dell’Accordo Integrativo, di definire, nei dodici mesi successivi alla sua approvazione, modalita’ anche incentivanti per sopperire alle sofferenze di organico, cosi’ violando l’obbligo di comportarsi secondo buona fede in pendenza della condizione e legittimando l’emissione di una pronuncia che producesse gli effetti del contratto non concluso; (1.3.) violazione e falsa applicazione dell’articolo 1218 c.c., l’inadempimento dell’obbligo, di cui all’articolo 36 cit., da valutarsi anche secondo i parametri di correttezza e buona fede, dando luogo a responsabilita’ contrattuale della P.A.; (1.4.) violazione e falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c. e degli articoli 1226 e 2056 c.c., posto che il lavoratore, ove l’obbligo dell’Amministrazione di pervenire alla stipula di un successivo accordo per la quantificazione dei compensi dovuti per le prestazioni usuranti, non fosse suscettibile di esecuzione in forma specifica ex articolo 2932 c.c., avrebbe comunque diritto al risarcimento danni, e cioe’ al ristoro delle utilita’ perdute per tutto il periodo del protrarsi dell’inadempimento, determinabili anche in via equitativa; (1.5.) violazione e falsa applicazione dell’articolo 2225 c.c., non avendo la Corte di appello, a differenza del giudice di primo grado, ritenuto – in applicazione di tale norma e stante la carenza di un accordo raggiunto nei dodici mesi successivi all’approvazione dell’Accordo Integrativo – di determinare il corrispettivo “in relazione al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo”.
2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’articolo 36 Cost., in relazione alla natura usurante di un’attivita’ medica richiesta con una frequenza doppia rispetto all’ordinario e caratterizzata da una piu’ numerosa e differenziata casistica di patologie.
3. Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c., comma 2, nonche’ per vizio di motivazione, non avendo il giudice di appello posto a fondamento della propria decisione, e quindi avendo anche omesso di esaminare, il fatto notorio, per il quale l’intensita’ e lo sforzo di erogazione della prestazione resa dal medico (o da un lavoratore che, piu’ in generale, presti un qualsiasi servizio a beneficio di una popolazione indistinta), sono correlati alla densita’ abitativa dei residenti in una determinata zona.
4. Con il quarto il ricorrente deduce ex articolo 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’articolo 132 c.p.c. e all’articolo 111 Cost., comma 6, la nullita’ della sentenza impugnata in quanto affetta da una radicale anomalia motivazionale, avendo, in maniera del tutto illogica, affermato l’invarianza della gravosita’ della prestazione a fronte di un rapporto medico/pazienti doppio rispetto a quello contrattualmente previsto, senza considerare il profilo anche qualitativo di tale maggiore gravosita’ e il fatto notorio.
5. Cio’ posto, risulta prioritario l’esame del terzo e del quarto motivo di ricorso, con i quali viene censurata la sentenza di appello nella parte in cui la Corte ha ritenuto l’assenza di prova relativamente alla prestazione di una piu’ intensa e gravosa attivita’ per effetto dello sfavorevole rapporto medico/assistiti.
6. Al riguardo la Corte di appello ha rilevato che “lo scostamento dal rapporto ottimale” non puo’ “di per se’ costituire indizio concludente del raddoppio, in concreto, delle prestazioni”, precisando, quindi, come “l’impegno contenuto nell’articolo 36 dell’Accordo integrativo a individuare modalita’ incentivanti in caso di non raggiunta completezza delle piante organiche” non possa “sopperire a tale prova, dato il carattere generale della previsione e l’assenza, comprensibile data la sede contrattuale, di indicazioni di sorta sulle ricadute concrete della incompletezza degli organici”.
7. Su tali premesse la sentenza impugnata si sottrae, in primo luogo, alla critica espressa con il quarto motivo, poiche’ “La motivazione e’ solo apparente, e la sentenza e’ nulla perche’ affetta da error in procedendo, quando, benche’ graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche’ recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le piu’ varie, ipotetiche congetture” (Sez. U. n. 22232/2016; conforme Cass. n. 13977/2019); mentre, nel caso di specie, il giudice di merito ha ben chiarito su quali basi poggiasse il proprio convincimento, richiamando, con l’espressione in concreto, l’indispensabilita’ di un insieme di elementi che conferissero determinatezza, nella realta’ dei fatti e delle situazioni, alla dedotta (in astratto) maggiore gravosita’ della prestazione, oltre schemi preconcetti e aprioristici, e, sotto altro profilo, valutando l’inidoneita’ dell’articolo 36 dell’Accordo Integrativo Regionale, la’ dove prevede l’impegno a individuare modalita’ incentivanti in caso di sofferenze di organico, a fornire la prova richiesta.
8. Parimenti infondato risulta il terzo motivo.
8.1. In proposito si deve anzitutto ribadire il principio, secondo il quale “Il ricorso, da parte del giudice, alle nozioni di fatto di comune esperienza, le quali riguardano fatti acquisiti alla conoscenza della collettivita’ con tale grado di certezza da apparire indubitabili ed incontestabili, e non anche elementi valutativi che implicano cognizioni particolari ovvero nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, attiene all’esercizio di un potere discrezionale; pertanto la violazione dell’articolo 115 c.p.c., comma 2, puo’ configurarsi solo quando il giudice ne abbia fatto positivamente uso e non anche ove non abbia ritenuto necessario avvalersene, venendo in tal caso la censura ad incidere su una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimita’” (Cass. n. 7726/2019).
8.2. Con riferimento alla nozione di fatto notorio e ai limiti stringenti della sua portata applicativa, e’ stato, d’altra parte, affermato che “Il fatto notorio, derogando al principio dispositivo delle prove e al principio del contraddittorio, va inteso in senso rigoroso, e cioe’ come fatto acquisito alle conoscenze della collettivita’ con tale grado di certezza da apparire incontestabile. Ne consegue che tra le nozioni di comune esperienza non possono farsi rientrare le acquisizioni specifiche di natura tecnica e quegli elementi valutativi che richiedono il preventivo accertamento di particolari dati estimativi” (Cass. n. 33154/2019); e inoltre affermato che “Il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati ne’ controllati, va inteso in senso rigoroso, e cioe’ come fatto acquisito alle conoscenze della collettivita’ con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile. Ne consegue che restano estranei a tale nozione le acquisizioni specifiche di natura tecnica, gli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari o richiedono il preventivo accertamento di particolari dati, nonche’ quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiche’ questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione di analoghe controversie” (Cass. n. 6299/2014).
9. L’accertamento compiuto dalla Corte di merito, di cui sopra (n. 5 e n. 6), ha carattere fondamentale, per l’idoneita’ a sorreggere in via autonoma la decisione di rigetto della domanda, e, siccome non oggetto di una critica adeguata, consente di ritenere assorbite le ulteriori censure svolte dal ricorrente: dovendosi comunque rilevare come il secondo motivo sia infondato, poiche’ “Il principio della retribuzione sufficiente di cui all’articolo 36 Cost., riguarda esclusivamente il lavoro subordinato e non puo’ essere invocato in tema di compenso per prestazioni lavorative autonome, ancorche’ rese, con carattere di continuita’ e coordinazione, nell’ambito di un rapporto di collaborazione” (Cass. n. 5807/2004; conformi, fra le altre: Cass. n. 16059/2003; n. 13941/2000); dovendosi rilevare, inoltre, come attraverso le censure sub 1.2., 1.3. e 1.4. siano poste questioni e temi di indagine nuovi, non compresi nel giudizio di appello, e pertanto non prospettabili per la prima volta nella sede di legittimita’ (Cass. 907/2018, fra le molte conformi) e, quanto alla censura sub 1.5., come essa, pur denunciando il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3, non individui le affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contrasto con la norma richiamata, rifluendo sostanzialmente nelle gia’ esaminate (e infondate) critiche di ordine motivazionale.
10. Consegue da quanto sopra che il ricorso deve essere respinto.
11. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 3.500,00 per compenso professionale, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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