Il possesso di un minimo reddito lecito costituisce infatti condizione soggettiva non eludibile ai fini del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno all’extracomunitario

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 14 settembre 2018, n. 5409.

La massima estrapolata:

Il possesso di un minimo reddito lecito costituisce infatti condizione soggettiva non eludibile ai fini del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno all’extracomunitario, in quanto attiene alla sostenibilità dello straniero nella comunità nazionale. La dimostrazione del possesso di un reddito di lavoro o di altra fonte lecita di sostentamento è finalizzata ad evitare la permanenza sul nostro territorio di soggetti che non sono in grado di offrire un’adeguata contropartita in termini di lavoro e di partecipazione fiscale alla spesa pubblica, ed ad evitare che il cittadino extracomunitario corra il rischio di dedicarsi ad attività illecite o criminose.

Sentenza 14 settembre 2018, n. 5409

Data udienza 26 luglio 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3645 del 2016, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Pa., con domicilio eletto presso lo studio An. Ma. Pe. in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’Interno, Questura di Genova, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LIGURIA – GENOVA, SEZIONE II, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno e l’intimazione a lasciare il territorio nazionale;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno e di Questura di Genova;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 luglio 2018 il Cons. Umberto Realfonzo e udito per la parte appellata l’avvocato dello Stato Alberto Giua;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il presente gravame l’appellante, in precedenza titolare di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato, chiede l’annullamento della sentenza con cui il T.A.R. Liguria, ha respinto il suo ricorso diretto avverso il rigetto dell’istanza di rinnovo del detto permesso per lavoro autonomo, motivata con il conseguimento dell’autorizzazione del Comune di Genova il 26/02/2015 per l’esercizio dell’attività di commercio ambulante aree pubbliche.
Il TAR ha ritenuto legittimo il rigetto: — per la mancanza del reddito minimo corrispondente all’importo annuo dell’assegno sociale” richiesto dalla normativa vigente “; — per la non sussistenza di legami familiari, suscettibili di valutazione comparata e di altre forme lecite di sostentamento economico.
Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno che ha versato gli atti del fascicolo di primo grado.
Con ordinanza n. -OMISSIS-in data 21 luglio 2016 è stata respinta l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento.
Udito all’Udienza pubblica di discussione il difensore dell’appellante l’appello è stato ritenuto in decisione dal Collegio.

DIRITTO

L’appello è infondato.
Entrambi i motivi possono essere confutati unitariamente in quanto concernono un nucleo di censura sostanzialmente unico.
1.§ . Con il primo motivo si lamenta che il TAR Liguria, invocando il principio giuridico del “tempus regit actum”, avrebbe errato nel non considerare positivamente la nuova opportunità lavorativa del ricorrente — connessa con la trasformazione del suo precedente contratto di lavoro subordinato ad attività autonoma a tempo indeterminato — solo perché questa era avvenuta in data successiva all’adozione del provvedimento impugnato.
Il Questore avrebbe dovuto valutare favorevolmente il contratto in data 11/10/2015, sottoscritto cioè successivamente alla Comunicazione dei motivi ostativi del 5/05/2015 ma prima dell’emissione del decreto di rigetto.
Si sarebbe trattato infatti di un elemento sopravvenuto di rilievo tale da superare il formale criterio temporale. Pertanto l’Autorità avrebbe dovuto far luogo ad una valutazione concreta, effettiva ed attuale della sua situazione (cfr. T.A.R. Lombardia, Sez. IV n. 2584 del 21/11/2013; Consiglio di Stato, Sez. III 18/12/2015 n. 5775/15, Cassazione Civile, n. 2417/2006).
Qualora l’immigrato abbia iniziato una nuova attività remunerata, la situazione va riferita non tanto al momento in cui viene presentata la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno ma, invece, al momento in cui l’Autorità Amministrativa è chiamata a pronunciarsi.
L’appellante, soggetto di giovane età, dopo qualche difficoltà, avrebbe finalmente potuto contare su una buona attività lavorativa e conseguire una completa integrazione nel nostro Paese, nel quale vive da 5 anni insieme al padre, allo zio e al cugino e nel quale ha in atto una seria relazione sentimentale con una cittadina italiana.
2.§ . Con il secondo motivo lamenta la violazione dell’art. comma 5 d.lgs. n. 286/1998 per la mancata valutazione della situazione familiare e sociale del ricorrente nonché del reddito complessivo e difetto di istruttoria. Erroneamente il Questore di Genova avrebbe escluso l’esistenza di legami familiari in capo al ricorrente e, al riguardo, il TAR avrebbe totalmente ignorato i riflessi che le sue relazioni potevano avere sulla sua complessiva situazione economica.
Il ricorrente nel periodo di disoccupazione infatti: — sarebbe stato sostenuto dal padre soggiornante di lungo periodo, dallo zio e dal cugino possessori di permesso di soggiorno; — la sua compagna italiana avrebbe espressamente dichiarato di averlo sostenuto anche economicamente in passato e di essere disponibile, all’occorrenza, a farlo nei futuri periodi di difficoltà ; — lo stesso aveva dichiarato guadagni in nero nel 2015 collegati alla vendita di ciabatte nei mesi estivi.
Il TAR avrebbe ignorato simili elementi limitandosi ad affermare che, per quanto riguarda il reddito dei familiari conviventi, se ne può tenere conto “eccezionalmente, stante il favor per l’istituto, soltanto in sede di richiesta di ricongiungimento familiare ex art. 29 comma 3 lett. b) del D.lgs. n. 286/1998” in violazione dei principi dalla Sentenza della Corte Costituzionale 18/07/2013 n. 202 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. comma 5 TU n. 286/1998 nella parte in cui non dispone che l’Amministrazione tenga conto, tra l’altro, anche della dei vincoli familiari dell’interessato nello Stato escludendo ogni automatismo.
E ciò a maggior ragione nei casi in cui lo straniero non sia stato condannato per alcun reato.
3.§ . Entrambe le censure vanno respinte.
L’art. 5, comma 5, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 – nell’imporre alla Pubblica amministrazione di prendere in considerazione, in sede di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno i “nuovi sopraggiunti elementi” favorevoli allo straniero (anche se successivi alla presentazione della domanda) – si riferisce a quelli realmente esistenti e formalmente rappresentati, o comunque conosciuti, dall’Amministrazione al momento dell’adozione del provvedimento.
Ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, la valutazione della Pubblica amministrazione circa il possesso del requisito di un reddito minimo per il sostentamento, non può limitarsi ad una mera ricognizione della sussistenza di redditi adeguati nei periodi pregressi, ma deve risolversi in un giudizio prognostico, che tenga conto anche delle occasioni lavorative favorevoli sopravvenute nelle more dell’adozione del rigetto e delle prospettive di integrazione del lavoratore straniero nel tessuto socio economico dell’area in cui risiede (cfr. Consiglio di Stato sez. III 10/10/2017 n. 4694).
Nel caso in esame non vi sono elementi per ritenere che la dichiarata trasformazione del contratto di lavoro subordinato occasionale ad attività di lavoro autonomo a tempo indeterminato integrasse effettivamente una reale prospettiva di reddito futuro sufficiente.
Appare del tutto dubbia la pretesa rilevanza economica della nuova attività lavorativa, in quanto l’appellante non ha assolutamente fornito, neanche in questa sede, reali elementi in tal senso.
Al riguardo il Collegio non nasconde i propri dubbi sull’autenticità di un contratto “di lavoro” totalmente mancante del nominativo, del codice fiscale, del , del timbro e dei dati identificativi dell’amministratore della società e soprattutto della copia della comunicazione telematica UNILAV, effettuata tramite la procedura c.d. “SARE” al competente Centro per l’impiego.
Per questo la nuova pretesa attività lavorativa non appare avere alcuna rilevanza e comunque l’interessato non ha fornito concreta indicazioni in tal proposito.
Il possesso di un minimo reddito lecito costituisce infatti condizione soggettiva non eludibile ai fini del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno all’extracomunitario, in quanto attiene alla sostenibilità dello straniero nella comunità nazionale. La dimostrazione del possesso di un reddito di lavoro o di altra fonte lecita di sostentamento è finalizzata ad evitare la permanenza sul nostro territorio di soggetti che non sono in grado di offrire un’adeguata contropartita in termini di lavoro e di partecipazione fiscale alla spesa pubblica, ed ad evitare che il cittadino extracomunitario corra il rischio di dedicarsi ad attività illecite o criminose (Consiglio di Stato sez. III 22/02/2017 n. 843).
Ed a tal fine, in funzione di garanzia degli interessati, la misura di detto requisito reddituale non è indeterminata e lasciata ad una valutazione caso per caso dell’Autorità, bensì è stabilita, per il lavoro subordinato dall’art. 29, comma 3, d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 e, per il lavoro autonomo, dall’art. 26, comma 3, cit. del medesimo d.lgs. n. 286 (cfr. Consiglio di Stato sez. III 20/03/2018 n. 1801).
In definitiva l’appellante è stato disoccupato per tutto il 2014, nel 2015 aveva prodotto un reddito di soli Euro 356,52; aveva usufruito di un (non meglio specificato) sostegno del padre e della sua compagna cinquantenne che, ha prodotto una autodichiarazione (allegata agli atti del primo grado e corredata da una copia dei cedolini del suo stipendio) con cui si era impegnata a continuare nel sostegno.
A quest’ultimo proposito si ricorda che le dichiarazioni di intenti di voler contribuire al mantenimento di soggetti non familiari, e comunque estranei all’obbligo alimentare del richiedente, non può essere considerato elemento utile ai fini della dimostrazione del requisito reddituale, in quanto potrebbe cessare in qualsiasi momento (cfr. Consiglio di Stato sez. III 18 aprile 2018 n. 2345).
Nel caso tutti gli elementi addotti sono dunque oggettivamente irrilevanti ai fini della determinazione del reddito minimo dell’extracomunitario vivente nel territorio dello Stato italiano, necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.
La sentenza impugnata merita dunque integrale conferma.
4.§ . In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto.
Le spese tuttavia in ragione della natura delle questioni controverse e dell’assenza di concreta attività difensiva da parte della Difesa Erariale possono essere integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando:
1. Respinge l’appello, come in epigrafe proposto.
2. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 luglio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Umberto Realfonzo – Consigliere, Estensore
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *