Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 5 maggio 2016, n. 18716
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza emessa il giorno 1 dicembre 2015, la Corte di appello di Bologna ha rigettato la richiesta di restituzione nel termine presentata da S.A. per proporre appello avverso la sentenza emessa dal Tribunale monocratico di Forlì in data 2 marzo 2015, con la quale il medesimo è stato condannato alla pena di anni uno e mesi cinque di reclusione per i delitti di cui agli artt. 612, primo e secondo comma, 594 e 368 cod. pen., commessi in (OMISSIS) . Il rigetto della richiesta è stato disposto sul rilievo che nel caso di specie non sono ravvisabili le ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore, posto che la mancata tempestiva proposizione dell’impugnazione, secondo quanto espressamente indicato nell’istanza, è ascrivibile al difensore per ignoranza della legge processuale penale, avendo il medesimo procrastinato la presentazione dell’appello in attesa della notifica dell’estratto contumaciale al S. , in realtà non dovuta, in quanto quest’ultimo, dopo essere rimasto originariamente contumace, era comparso in udienza per sottoporsi ad esame.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la precisata ordinanza, l’avvocato M.G. , quale difensore di fiducia del S. , sviluppando un unico motivo, nel quale si lamenta erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 43 e 45 cod. pen., nonché motivazione mancante, contraddittoria ed illogica.
Si premette che il difensore del S. , pur essendo stata revocata la contumacia, confidò nella notifica dell’estratto contumaciale al suo assistito, e ribadì tale suo convincimento a quest’ultimo anche mediante mail, fino ad accorgersi dell’errore in cui era incorso solo in data 19 ottobre 2015. Si rappresenta, poi, che, secondo quanto evidenziato dalle Sezioni unite (si cita Sez. U, n. 14991 del 11/04/2006, De Pascalis, Rv. 233419), il caso fortuito è integrato da “ogni evento non evitabile con la normale diligenza e non imputabile al soggetto a titolo di colpa o dolo”. Si segnala, quindi, che non può ravvisarsi alcuna colpa nella condotta del S. , posto che egli era stato rassicurato dal legale e non aveva elementi per insospettirsi dell’imperizia di questo, concretatasi nell’incorrere in un palese ed imprevedibile errore di diritto. Si richiamano, a sostegno della tesi della sussistenza del causo fortuito, Sez. 2, n. 31680 del 14/07/2011, Lan, Rv. 250747, e Sez. 6, n. 35149 del 26/06/2009, A, Rv. 244871), e si sollecita, se necessario, la rimessione della questione alle Sezioni Unite ed art. 618 cod. proc. pen..
3. Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza dello stesso. A tal fine, in particolare, ha evidenziato che la soluzione prospetta dalla difesa determinerebbe de facto una inosservanza generalizzata dei termini ordinari, e che, secondo diffusa giurisprudenza, un preciso dovere di diligenza grava anche sull’imputato, il quale, tra l’altro, ha l’onere di controllare l’esatto adempimento dell’incarico da parte del difensore, pure quando questi è nominato di fiducia.
4. Il difensore del S. ha depositato memoria di replica, nella quale ha segnalato che un particolare dovere di diligenza in capo all’imputato può configurarsi solo quando l’errore non sia imprevedibile; ciò, tanto più che nel caso di specie l’originario difensore non è stato negligente, ma ha manifestato imperizia, e che pretendere in ipotesi di imperizia del difensore una specifica vigilanza in capo all’imputato “significa creare una vera e propria presunzione assoluta di colpa”, ovvero richiedere “una condotta di eccezionale diligenza”.
Considerato in diritto
1. Il ricorso, sebbene pregevolmente esposto, è infondato.
2. Il motivo proposto deduce che il palese ed imprevedibile errore di diritto commesso dal difensore nel computo del termine per proporre impugnazione costituisce caso fortuito, e, quindi, come tale, ne impone la restituzione a norma dell’art. 175 cod. proc. pen.
2.1. La soluzione prospettata, così come evidenziato nel ricorso, è condivisa in giurisprudenza da Sez. 6, n. 35149 del 26/06/2009, A., Rv. 244871, e Sez. 2, n. 31680 del 14/07/2011, Lan, Rv. 250747, le quali affermano l’illegittimità del diniego della richiesta di restituzione in termini per la presentazione dei motivi di appello ex art. 175 cod. proc. pen., quando l’omesso adempimento dell’incarico di proporre impugnazione da parte del difensore di fiducia, non attivatosi contrariamente alle aspettative dell’imputato, sia stato determinato da una situazione di imprevedibile ignoranza della legge processuale penale, tale da configurare un’ipotesi di caso fortuito o forza maggiore. L’orientamento giurisprudenziale indicato (ma in realtà Sez. 2, n. 31680 del 2011 si limita ad un’affermazione tralaticia del principio, posto che l’esito è stato quello del rigetto del ricorso per l’assenza di prova in ordine all’imprevedibile ignoranza del difensore circa i termini per proporre appello) si fonda sull’osservazione che non può pretendersi che l’imputato, nell’effettuare la scelta del suo legale, debba verificare la padronanza da parte dello stesso di ordinarie regole di diritto che dovrebbero costituire il bagaglio tecnico di qualsiasi soggetto abilitato alla professione forense, e che quindi, in caso di gravi errori del fiduciario, ricorra un’ipotesi di caso fortuito; detto orientamento, inoltre, fa riferimento al principio della giurisprudenza CEDU secondo cui il giudice nazionale ha il dovere di restaurare i diritti processuali fondamentali dell’imputato quando le carenze difensive siano manifeste e siano segnalate alla sua attenzione.
2.2. L’orientamento maggioritario della giurisprudenza, tuttavia, è nel senso che il mancato o inesatto adempimento da parte del difensore di fiducia dell’incarico di proporre impugnazione, a qualsiasi causa ascrivibile, non è idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore (cfr., segnatamente, tra le tantissime: Sez. 2, n. 16066 del 02/04/2015, Costica, Rv. 263761; Sez. 3, n. 39437 del 05/06/2013, Leka, Rv. 257221; Sez. 1, n. 1801 del 30/11/2012, dep. 2013, Masini, Rv. 254211; Sez. 4, n. 20655 del 14/03/2012, Ferioli, Rv. 254072; Sez. 2, n. 18886 del 24/01/2012, Dennaoui, Rv. 252812; Sez. 5, n. 43277 del 06/07/2011, Mangano, Rv. 251695; Sez. 2, n. 48243 del 11/11/2003, La Spina, Rv. 227085; Sez. 2, n. 49179 del 11/11/2003, Sulli, Rv. 227696; Sez. 5, n. 626 del 01/02/2000, Bettili, Rv. 215490). A sostegno di questa conclusione si osserva che il mancato o inesatto adempimento da parte del difensore di fiducia dell’incarico di proporre impugnazione, a qualsiasi causa ascrivibile, non è idoneo ad integrare le ipotesi di caso fortuito e di forza maggiore – che si concretano in forze impeditive non altrimenti vincibili, le quali legittimano la restituzione in termini – sia perché consiste in una falsa rappresentazione della realtà, superabile mediante la normale diligenza ed attenzione, sia perché non può essere esclusa, in via presuntiva, la sussistenza di un onere dell’assistito di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito, nelle ipotesi in cui il controllo sull’adempimento defensionale non sia impedito al comune cittadino da un complesso quadro normativo.
2.3. Il Collegio ritiene di dover condividere questa seconda soluzione, che risulta coerente anche con le indicazioni della giurisprudenza delle sezioni civili, secondo la quale la decadenza da un temine processuale, ivi compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto (così Sez. 6 – 3 civ., n. 17704 del 29/07/2010, Rv. 615151). In particolare, sembra corretto osservare che, nel caso di mancato rispetto dei termini di impugnazione, non ricorre semplicemente un onere dell’imputato di vigilare sull’attività del difensore, posto che la facoltà di impugnare spetta personalmente al primo, in via autonoma e concorrente rispetto al secondo.
3. All’infondatezza del motivo, segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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