Il mancato esame di una questione di legittimità costituzionale

Corte di Cassazione, sezione sesta (terza) civile, Ordinanza 3 giugno 2020, n. 10524.

La massima estrapolata:

Il mancato esame di una questione di legittimità costituzionale non può formare oggetto di appello e non costituisce, corrispondentemente, vizio di omessa pronunzia nel giudizio di legittimità

Ordinanza 3 giugno 2020, n. 10524

Data udienza 28 novembre 2019

Tag – parola chiave: Contratti ed obbligazioni – Affiliazione commerciale – Recupero crediti – Ingiunzione di pagamento – Opposizione – Domanda riconvenzionale – Compensazione – Regolamentazione delle spese di lite – Articolo 96 cpc – Lite temeraria – Legge 129 del 2004 – Interpretazione del contratto – Articoli 1362 e 1363 cc – Criteri – Sentenza della corte costituzionale 152 del 2016 – Motivazione del giudice di merito – Sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 8053 del 2014 – Limiti del sindacato di legittimità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 25130-2018 proposto da:
(OMISSIS) SNC DI (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 433/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 25/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. POSITANO GABRIELE.

RILEVATO

che:
(OMISSIS) di (OMISSIS) s.n.c. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 8951 delle 2013 con il quale (OMISSIS) S.p.A. ingiungeva il pagamento della somma di Euro 13.811 oltre interessi di mora dalle scadenze delle singole fatture sino al saldo per la vendita di pezzi di ricambio consegnati e non pagati, deducendo di essere creditrice della maggiore somma di Euro 30.587, pari alla valorizzazione di “119 pezzi obsoleti”, precedentemente acquistati e ancora in possesso della ex affiliata. Per effetto della compensazione chiedeva la condanna al pagamento della residua somma di Euro 16.770. Si costituiva l’opposta chiedendo la conferma del decreto il rigetto della domanda riconvenzionale e di quella di compensazione parziale;
con sentenza n. 10935 del 2015, il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione e la domanda riconvenzionale condannando l’opponente al pagamento delle spese di lite, oltre all’ulteriore somma di Euro 3500 ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3. Il primo giudice rilevava che il contratto di affiliazione commerciale esistente sin dall’anno 2003 fra le parti, che vedeva (OMISSIS) di (OMISSIS) s.n.c. quale affiliata, era cessato ad opera dell’affiliante con effetto dal 21 marzo 2010, e che il credito fatto valere in sede monitoria non era stato contestato dalla opponente, che si era limitata a far valere un contro-credito in compensazione il quale, al contrario, non era stato provato. Lo stesso si fonderebbe sulla circostanza che, una volta risolto il contratto, l’opposta si sarebbe impegnata ad acquistare nuovamente dalla opponente 119 pezzi di ricambio (serpentine per scaldabagno). Al contrario, dal contenuto del contratto non emergerebbe tale obbligo (clausola 29). In ogni caso, (OMISSIS) di (OMISSIS) s.n.c. non aveva dimostrato, attraverso le fatture, di avere acquistato dalla controparte i predetti pezzi di ricambio;
avverso tale decisione proponeva appello (OMISSIS) di (OMISSIS) s.n.c. deducendo che, una volta sciolto il contratto, la controparte si sarebbe impegnata ad acquistare nuovamente quelle serpentine, come previsto dall’articolo 29 del contratto. Si costituiva Vaillant eccependo la nullita’ del gravame per mancanza della vocatio in ius e, comunque l’inammissibilita’ ai sensi dell’articolo 342 c.p.c. e, nel merito, l’infondatezza;
la Corte d’Appello di Milano con sentenza del 25 gennaio 2018 rigettava l’impugnazione condannando la societa’ appellante al pagamento delle spese di lite;
avverso tale decisione propone ricorso per cassazione (OMISSIS) di (OMISSIS) s.n.c. affidandosi a tre motivi. Si costituisce (OMISSIS) spa con controricorso, che illustra con memoria insistendo nella condanna ex articolo 96 c.p.c. anche in questa sede.

CONSIDERATO

che:
con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 e della L.Cost. n. 1 del 1948, articolo 1, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ovvero il mancato esame dell’eccezione di incostituzionalita’ dell’articolo 96 c.p.c., comma 3. In sede di appello l’odierna ricorrente avrebbe proposto l’eccezione di legittimita’ costituzionale del citato articolo 96 c.p.c. e la Corte territoriale si sarebbe limitata a disattendere l’eccezione omettendo di decidere sulla questione;
con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la falsa applicazione degli articoli 1363 c.c. e ss., in combinato disposto con la L. n. 129 del 2004, articolo 3, e la lettura superficiale del contratto di franchising e affiliazione in essere tra le parti;
con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame della testimonianza sul punto dell’utilizzo dei pezzi di ricambio per i clienti in garanzia;
i giudici di merito avrebbero applicato alla fattispecie in esame soltanto l’articolo 29 del contratto. In particolare il Tribunale avrebbe omesso di esaminare gli altri articoli, con cio’ violando l’articolo 1363 c.c., poiche’ nessuna retrocessione era stata invocata, ma la semplice conclusione di tutti i rapporti in essere, ancora pendenti tra le parti e disciplinati dagli altri articoli del contratto. In particolare gli articoli 13 e 14;
il ricorso e’ inammissibile ai sensi dell’articolo 360 bis c.p.c., n. 1, perche’ la sentenza e’ stata emessa sulla base di un orientamento costante di legittimita’ e il ricorso non offre elementi per mutare orientamento;
inoltre, il mancato esame di una questione di legittimita’ costituzionale non puo’ formare oggetto di appello e non costituisce, corrispondentemente, vizio di omessa pronunzia nel giudizio di legittimita’ (Cass. 19 gennaio 2018 n. 1311);
a prescindere da cio’, la questione e’ stata scrutinata dalla Corte Costituzionale che, con la decisione n. 152 del 2016 ha ritenuto che non e’ fondata la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, impugnato, in relazione agli articoli 3, 24 e 111 Cost., in quanto stabilisce che, in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, puo’ condannare il soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte, anziche’ dell’Erario. Introducendo tale disposizione, la L. n. 69 del 2009 ha constatato che l’istituto della responsabilita’ aggravata (regolato nell’articolo 96 c.p.c., commi 1 e 2), pur rappresentando in astratto un serio deterrente nei confronti delle liti temerarie e, quindi, uno strumento efficace di deflazione del contenzioso, nella prassi applicativa, risultava scarsamente utilizzato a causa dell’oggettiva difficolta’ della parte vittoriosa di provare il danno derivante dall’illecito processuale. La previsione de qua ha natura non tanto risarcitoria del danno cagionato alla controparte dalla proposizione di una lite temeraria, quanto piu’ propriamente sanzionatoria delle condotte di quanti, abusando del diritto di azione e di difesa, si servano dello strumento processuale a fini dilatori, aggravando il volume del contenzioso;
la novella del 2009, nell’estendere a tutti i gradi di giudizio lo strumento deflattivo delineato dall’abrogato articolo 385 c.p.c., comma 4, per la sola fase di legittimita’, non presenta connotati di irragionevolezza, ma riflette una delle possibili scelte del legislatore, non costituzionalmente vincolato nella sua discrezionalita’, nell’individuare il beneficiario di una misura che sanziona un comportamento processuale abusivo e che funga da deterrente al ripetersi di una siffatta condotta;
oltre a cio’, il primo motivo esula del tutto dal perimetro dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, invocato, come definito da Cass. Sezioni Unite 4 luglio 2014 n. 8053 e seguenti;
quanto al secondo motivo, la Corte territoriale ha affermato che la disposizione (articolo 29) e’ chiara e cio’ esclude il ricorso ad altri parametri. Tale profilo non e’ contestato e rende non specifiche le censure relative agli altri criteri ermeneutici;
inoltre, l’illustrazione della censura inerente alla violazione dei criteri ermeneutici omette di considerare la motivazione con cui la Corte territoriale ha proceduto all’esame della questione sull’articolo 29 del contratto: essa si estende dalle ultime nove righe della pagina 5 sino a quella successiva, ad eccezione delle ultime otto righe. Tutta la motivazione resa dalla corte meneghina viene ignorata e, dunque, le considerazioni espresse con il secondo motivo restano inidonee a svolgere la funzione di motivo di censura rispetto alla sentenza in parte qua. Sicche’, il motivo e’ inammissibile anche sotto tale profilo;
una volta consolidatasi la motivazione sull’esegesi dell’articolo 29 in relazione allo svolgimento della vicenda inter partes, il motivo sulle prove resta a sua volta inammissibile, in quanto la corte ha spiegato nelle quattro righe che precedono (le ultime tre della pagina 6) che la prova per testi era irrilevante “alla stregua di quanto sin ora esposto”, cioe’ per l’esegesi fatta sulla questione relativa alla clausola contrattuale;
inoltre, la sentenza dice che le prove erano generiche e lo stesso ricorso (pag. 16) riferisce che il primo giudice “aveva impedito la prova…rigettando la richiesta di prova per testi”: la stessa sentenza dice che parte ricorrente si era limitata a riproporre le istanze di prime cure, mentre sarebbe stato necessario un motivo di appello, di cui il motivo non riferisce. E cio’ a prescindere dal fatto che le censure oggetto del terzo motivo sono dedotte in violazione dell’articolo 366c.p.c., n. 6, dato che nulla si deduce sui capitoli di prova. Infine, quanto ai documenti, tra l’altro riferiti in modo generico, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, per giurisprudenza pacifica, il vizio previsto dall’articolo 360 c.p.c., n. 5 (a partire da Cass. Sezioni Unite 2014 richiamata);
sussiste altresi’ la responsabilita’ aggravata dei ricorrenti ex articolo 96 c.p.c., comma 3, che hanno agito – tramite il legale – senza la exacta diligentia esigibile in relazione ad una prestazione professionale altamente qualificata come e’ quella dell’avvocato, in particolare se cassazionista (in proposito, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 20732 del 14/10/2016, Rv. 642925-01): infatti, nel caso non viene in rilievo, ai fini dell’applicazione della citata disposizione, la mera inammissibilita’ del ricorso, bensi’ la palese violazione dell’articolo 366 c.p.c. – che si traduce in errore grossolano – di regole di redazione dell’atto introduttivo che non possono essere ignorate da un difensore (a riguardo, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 18960 dell’8/6/2017 e Cass. Sez. 6 – 3, n. 29812 del 18/11/2019). Deriva da quanto ora esposto la condanna dei ricorrenti al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 2.000,00 in favore della controricorrente;
va affermata la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge e alle spese ex articolo 96 c.p.c. pari ad Euro 2000,00 in favore della controricorrente.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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