Il liquidatore può ed anzi deve assumere in autonomia la decisione circa la presentazione della domanda di fallimento

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 15 aprile 2019, n. 10523.

La massima estrapolata:

Il liquidatore, al pari dell’amministratore, può ed anzi deve assumere in autonomia la decisione circa la presentazione della domanda di fallimento della società, senza soggiacere al deliberato della maggioranza dei soci. Infatti, il liquidatore non può essere privato, ad opera dei soci, del potere-dovere di richiedere il fallimento della società che versi in stato di insolvenza, potendosi solo dibattersi di una responsabilità di tale soggetto per aver domandato l’apertura della procedura concorsuale in una situazione in cui ne difettavano le condizioni

Ordinanza 15 aprile 2019, n. 10523

Data udienza 20 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 2102/2015 proposto da:
(OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e (OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentate e difese dall’avvocato (OMISSIS), giuste procure a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione, in persona del curatore avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 476/2014 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, del 04/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2018 dal cons. Dott. FALABELLA MASSIMO;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS STANISLAO, che ha chiesto che la Corte dichiari inammissibile il ricorso, o in subordine che lo rigetti, con le conseguenze di legge.

FATTI DI CAUSA

1. – La liquidatrice di (OMISSIS) s.r.l. formulava istanza di fallimento della societa’ per lo stato di insolvenza in cui la stessa versava: istanza che il Tribunale di Reggio Calabria accoglieva.
2. – La sentenza era impugnata da (OMISSIS) s.r.l. e da (OMISSIS) s.r.l., socie di (OMISSIS). Nella resistenza della curatela, il reclamo era respinto. La Corte di appello di Reggio Calabria, dopo aver rilevato che la liquidatrice era pienamente legittimata a presentare domanda di fallimento per la societa’ da lei rappresentata, senza necessita’ di essere a cio’ specificamente autorizzata dall’assemblea dei soci, ha ritenuto sussistente lo stato di insolvenza di (OMISSIS) osservando: che la disponibilita’ dei soci di maggioranza a sostenere la fallita non aveva trovato alcuna concretizzazione; che per il contratto di leasing cui era vincolata la societa’ non era pervenuta alcuna offerta di subingresso; che, contrariamente a quanto affermato dai reclamanti, non si ravvisavano i presupposti per il concordato preventivo di (OMISSIS), tanto piu’ che l’elemento maggiormente consistente dell’attivo della societa’ – un asserito credito per Euro 7.200.000,00 – era stato contestato in sede giudiziale.
3. – Contro la pronuncia della Corte reggina (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto un ricorso per cassazione basato su due motivi. Resiste con controricorso la curatela fallimentare. Sono state depositate memorie. Il pubblico ministero ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o respinto.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo si deduce la violazione ed errata applicazione dell’articolo 2479 c.c. e dei principi di diritto societario in tema di competenze gestorie. Secondo le societa’ istanti i soci avevano avocato a loro stessi la decisione circa l’istanza di auto-fallimento, sicche’ la Corte di appello aveva disatteso la regola, desumibile dall’attuale disciplina, per cui sono i soci a decidere sulle materie loro “auto-attribuite” da una minoranza qualificata.
Il motivo e’ inammissibile.
Nel ricorso per cassazione le ricorrenti hanno conferito rilievo a due circostanze: il fatto che “piu’ volte posta all’ordine del giorno, la questione relativa alla dichiarazione di fallimento (era) stata sempre denegata dai soci”; il fatto per cui questi ultimi “avevano richiesto che la questione della presentazione dell’istanza fosse trattata a livello assembleare”. Di quest’ultima deduzione non e’ traccia nella sentenza impugnata; le ricorrenti spiegano che essa sarebbe stata dedotta in sede di reclamo, ma non riproducono lo stralcio dell’atto di impugnazione rilevante a tal fine: sicche’ non risulta chiaro quale fosse il preciso contenuto dell’allegazione. In tal senso la censura non puo’ avere ingresso in questa sede. E’ invece incontestabile che la prima deduzione fosse stata fatta valere col reclamo, giacche’ la Corte distrettuale l’ha richiamata espressamente (pag. 3 della sentenza). Cio’ detto, ove avessero voluto dolersi della mancata considerazione dell’evenienza in esame, siccome rappresentativa della riserva espressa dai soci quanto alla decisione di far fallire (OMISSIS), le societa’ ricorrenti avrebbero dovuto proporre la censura di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, evidenziando come la Corte di appello avesse mancato di apprezzare la medesima. Cio’ non e’ accaduto: e del resto, quanto all’obiettiva configurabilita’ di siffatta censura, deve sottolinearsi come le ricorrenti non abbiano nemmeno chiarito se avanti alla Corte di merito avessero dedotto che, attraverso la descritta condotta, avessero inteso attribuirsi, anche per il futuro, la decisione di domandare il fallimento della societa’ (e che, in definitiva, esse avessero specificamente prospettato che il quadro fattuale consegnato all’esame del giudice del reclamo fosse rappresentativo della volonta’ dei soci di privare il liquidatore della facolta’ di richiedere il fallimento); ne’, per la verita’, le istanti hanno spiegato se le decisioni menzionate fossero state adottate da soci che rappresentavano un terzo del capitale sociale.
Peraltro, il profilo inerente alla volonta’ – da parte dei soci titolari di una tale quota di partecipazione – di sottoporre alla approvazione dei soci stessi, ex articolo 2479 c.c., comma 1, la decisione circa la presentazione della domanda di fallimento della societa’ e’ in se’ priva di decisivita’.
Non pare dubbio, infatti, che il liquidatore, al pari dell’amministratore, possa (e anzi debba) assumere in autonomia una siffatta determinazione, senza soggiacere al deliberato della maggioranza dei soci. Diversi argomenti sorreggono un tale assunto. Anzitutto i liquidatori, al pari degli amministratori, sono responsabili penalmente, a norma della L. Fall., articolo 224, per aver aggravato il dissesto, laddove si siano astenuti dal richiedere il fallimento (L. Fall., articolo 217, comma 1, n. 4). In secondo luogo, l’articolo 2484 c.c. non annovera piu’ tra le cause di scioglimento della societa’ il fallimento (come invece faceva l’articolo 2448 c.c., u.c., nella versione anteriore alla introduzione della riforma del diritto societario attuatasi col Decreto Legislativo n. 6 del 2003): onde non puo’ sostenersi, come in passato, che la decisione dell’amministratore o del liquidatore di richiedere il fallimento della societa’ incida sulla vitalita’ dell’ente e sia conseguentemente riservata alla competenza dell’assemblea dei soci. Da ultimo, va rimarcato che sono venuti meno alcuni indici normativi ritenuti in passato particolarmente significativi da parte di chi conferiva centralita’ alla volonta’ assembleare. Non sono infatti piu’ in vigore le previsioni, contenute nella vecchia versione della L. Fall., articoli 152, 161 e 187, che assegnavano all’assemblea straordinaria il potere di assumere una deliberazione circa la sottoposizione della societa’ alle c.d. procedure minori del concordato fallimentare, del concordato preventivo e dell’amministrazione controllata: previsioni da cui era stato desunto, con l’argomento a fortiori, che nemmeno l’istanza di auto-fallimento sfuggisse alla competenza dell’organo deliberativo. Di contro, oggi l’articolo 152, comma 2, lettera b), in tema di concordato fallimentare, richiamato dalla L. Fall., articolo 161, comma 4, per il concordato preventivo, precisa che la proposta di concordato sia sottoscritta da coloro che hanno la rappresentanza della societa’ e che nelle societa’ per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilita’ limitata, nonche’ nelle societa’ cooperative, essa sia deliberata dagli amministratori, salva diversa disposizione dell’atto costitutivo o dello statuto: ed e’ stato precisato, di recente, che l’iniziativa dell’avvio della procedura concordataria possa essere attualmente autonomamente assunta, di norma, anche dal liquidatore, il quale e’ investito, giusta l’articolo 2489 c.c., comma 1, del potere di compiere ogni atto utile per la liquidazione della societa’ (cfr. Cass. 1 giugno 2017, n. 13867).
Questa S.C. si e’ gia’ espressa, in passato, sul tema che qui interessa, avendo particolare riguardo alla posizione dell’amministratore: e’ stato difatti affermato che il ricorso per la dichiarazione di fallimento del debitore, nel caso in cui si tratti di una societa’, deve essere presentato dall’amministratore, dotato del potere di rappresentanza legale, senza necessita’ della preventiva autorizzazione dell’assemblea o dei soci, non trattandosi di un atto negoziale ne’ di un atto di straordinaria amministrazione, ma di una dichiarazione di scienza, peraltro doverosa, in quanto l’omissione risulta penalmente sanzionata (Cass. 16 settembre 2009, n. 19983): alla stregua di quanto sopra osservato non vi e’ ragione per perorare una soluzione diversa con riguardo al caso in cui l’istanza di auto-fallimento promani dal liquidatore, piuttosto che dall’amministratore della societa’.
In conclusione, il liquidatore non puo’ essere privato, ad opera dei soci, del potere-dovere di richiedere il fallimento della societa’ che versi in stato di insolvenza. Puo’ solo dibattersi, come e’ naturale, di una responsabilita’ del detto soggetto per aver domandato l’apertura della procedura concorsuale in una situazione in cui ne difettavano le condizioni. Ma tale ipotesi e’ del tutto estranea all’odierna materia del contendere: sia perche’ in questa sede non si controverte delle conseguenze di una tale responsabilita’; sia perche’, a monte, tale responsabilita’ e’ comunque da escludere, visto che il fallimento e’ stato validamente dichiarato da parte del Tribunale, con sentenza che la Corte di appello ha correttamente confermato.
2. – Il secondo motivo oppone l’insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, con particolare riguardo al tema dell’accertata insolvenza. Le ricorrenti, in sintesi, sostengono: che la disponibilita’, affermata in sentenza, circa il fatto che la disponibilita’ dei soci di maggioranza a sostenere (OMISSIS) avrebbe integrato una “mera dichiarazione di intenti” era inveritiera e sconfessata da quanto accertato dal Tribunale di Catanzaro nel procedimento di revoca della liquidatrice; che, con riferimento al rilievo della Corte di appello secondo cui non risultava che altri soggetti avessero presentato offerte quanto al subentro nel contratto di leasing di cui era parte la fallita, la documentazione prodotta evidenziava che l’assenza di tali offerte non era dipesa da esse istanti, ma dalla liquidatrice; che competeva ai creditori esprimersi sulla proposta di concordato di (OMISSIS), non gia’ alla Corte di appello, la quale aveva apoditticamente rilevato la mancanza dei presupposti per l’apertura di tale procedura concorsuale; che (OMISSIS) godeva di credito, avendo le sue socie espressamente dichiarato essere disponibili a un aumento del capitale; che la Corte di merito aveva omesso di considerare che il passivo sociale era suscettibile di un ridimensionamento.
Anche tale censura e’ inammissibile.
La motivazione posta a fondamento dell’accertata insolvenza non presenta alcuno dei vizi radicali che assumono rilevanza nella presente sede; non integrano cioe’ l’anomalia motivazionale che si traduce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054). Tali vizi, d’altronde, dovrebbero risultare dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, nel mentre il motivo di impugnazione in esame veicola, in tutti i casi da esso menzionati – ad eccezione di quello concernente la proposta di concordato – censure basate su evidenze probatorie che si asseriscono trascurate. Quanto alla motivazione spesa con riguardo alla sussistenza dei presupposti per l’accesso alla procedura concordataria, e’ evidente che la stessa non sia affatto contraddittoria, giacche’ la Corte di appello, lungi dal sostituirsi ai creditori nella valutazione circa la convenienza della proposta formulata dalla societa’ (OMISSIS), si e’ limitata a dare atto dell’esistenza di una situazione di insolvenza che in se’ giustificava la dichiarazione di fallimento, di cui il Tribunale, prima, ed essa Corte, poi, erano stati investiti.
3. – In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
4. – Per le spese del presente giudizio di legittimita’ vale il principio di soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE
dichiara inammissibile il ricorso; condanna le societa’ ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dala L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

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