Art. 4 comma 2-bis D.L. 30 giugno 2005 n. 115 esprime una norma circoscritta alla sola idoneità degli aspiranti ad una professione priva di numero chiuso

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 16 aprile 2019, n. 2482.

La massima estrapolata:

L’art. 4 comma 2-bis D.L. 30 giugno 2005 n. 115 esprime una norma circoscritta alla sola idoneità degli aspiranti ad una professione priva di numero chiuso e che richiede selezioni di tipo solo abilitativo e non anche procedure selettive concorsuali finalizzate al conferimento di un numero limitato di posti, come di regola accade negli ordinari concorsi per il pubblico impiego.

Sentenza 16 aprile 2019, n. 2482

Data udienza 14 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso NRG 5189/2017, proposto da Ch. Bo., rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. De. e Mi. Bo., con domicilio eletto presso lo studio De. & Bo. in Roma, via (…),
contro
la Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Ni. Pe., Lu. Bo. e Fa. Lo., con domicilio eletto in Roma, via (…) e
nei confronti
Va. Li., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del TRGA Trento, n. 42/2017, resa tra le parti e concernente il concorso per titoli ed esami per il reclutamento del personale docente della scuola secondaria di I e II secondo grado;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della sola Provincia intimata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 14 marzo 2019 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti costituite, gli avvocati Delia e Pedrazzoli;
Ritenuto in fatto che:
– con deliberazione n. 269 del 4 marzo 2016, la Provincia autonoma di Trento indisse il concorso pubblico, per titoli ed esami, per l’assunzione a tempo indeterminato del personale docente della scuola secondaria di I e II grado (367 cattedre e 110 posti di sostegno) nelle istituzioni scolastiche provinciali a carattere statale della Provincia autonoma;
– l’art. 4 del relativo bando indicò, qual requisito specifici richiesti per l’ammissione a tal concorso, il possesso dell’abilitazione all’insegnamento per ciascuna cl. conc. cui s’intendesse partecipare o della specializzazione per il sostegno didattico agli alunni disabili;
– il successivo art. 5, n. 7) onerava i partecipanti a dichiarare il “… titolo di abilitazione posseduto o altro titolo di ammissione ai sensi dell’articolo 4, con l’esatta indicazione dell’istituzione che l’ha rilasciato, dell’anno scolastico o accademico in cui è stato conseguito, del voto riportato…”;
– il dott. Ch. Bo. dichiara d’esser dottore di ricerca (munito, inoltre, di due diplomi di perfezionamento post lauream), nonché d’esser iscritto nella III fascia delle graduatorie d’istituto, tanto da aver prestato servizio non di ruolo per un totale di 1334 gg. in cinque aa.ss. fino al bando di concorso in questione, pur essendo privo di un titolo d’abilitazione;
– egli pertanto presentò sì l’istanza di partecipazione al concorso de quo, utilizzandone però la spedizione in forma cartacea, anziché con la piattaforma informatica POLIS e senza allegarvi un documento di riconoscimento, secondo l’art. 38 del DPR 28 dicembre 2000 n. 445, non necessario invece per la sola spedizione informatica;
– al contempo il dott. Bo. impugnò innanzi al TRGA Trento, insieme a molti altri soggetti che versavano nella sua stessa situazione (capofila Vi. Ac.) e col ricorso NRG 92/2016, la DGP n. 269/2016 nelle parti in cui impose l’obbligatorio possesso del titolo abilitativo e la trasmissione solo in via telematica dell’istanza di partecipazione, all’uopo deducendo vari profili d’illegittimità, anche costituzionale e comunitaria;
– in particolare, i ricorrenti lamentarono di possedere un titolo di studio (laurea, dottorato di ricerca o titolo di pari natura) valido per l’accesso all’insegnamento ai sensi della DGP Trento n. 844 del 26 maggio 2014 (aggiornamento delle graduatorie d’istituto / docenti per il triennio 2014/17), ma di esser stati esclusi dal concorso per mancanza del titolo abilitante all’insegnamento, oltre ad aver proposto la predetta domanda su supporto solo cartaceo;
– i ricorrenti in primo grado proposero altresì tre distinti atti per motivi aggiunti contro: 1) -l’atto dirigenziale che dispose la loro non ammissione o l’esclusione dal predetto concorso; 2) – le varie delibere giuntali che approvarono le graduatorie dei candidati per le cl. conc. A022, A040, A041, A028 e A042; 3) – da parte soltanto di alcuni ricorrenti, le delibere giuntali che approvarono le graduatorie per le restanti classi;
– nelle more del giudizio, il dott. Bo., ammesso con riserva a sostenere le prove del concorso, le superava collocandosi al 23° posto assoluto (ed al 1° posto dei candidati ammessi con riserva) della graduatoria finale per la cl. conc. di appartenenza, la quale, peraltro, vide solo 53 candidati in tutto su 80 posti banditi;
– con sentenza non definitiva n. 355 del 25 ottobre 2016, l’adito TAR dichiarò improcedibili il gravame introduttivo ed il primo atto per motivi per sopravvenuta carenza di interesse, nei confronti di quelli, tra i ricorrenti, che non avevano superato le prove del concorso, fissando nuova udienza per la prosecuzione del giudizio verso gli altri, compreso il dott. Bo.;
– con sentenza n. 42 del 3 febbraio 2017 e previa integrazione del contraddittorio processuale con i candidati ammessi a tal concorso, l’adito TAR, per la parte relativa alla posizione dello stesso dott. Bo., ne ha dichiarato inammissibile la pretesa azionata, sia perché egli produsse un ricorso collettivo e cumulativo (con riguardo a posizioni molto differenziate tra i consorti), sia perché egli presentò sì l’istanza di partecipazione in forma cartacea ma senza allegare la necessaria copia del documento di riconoscimento ai sensi dell’art. 38, co. 3 del DPR 445/2000 (non fu mero errore materiale), ignorando la sua richiesta di sopravvenuta improcedibilità grazie al superamento di tutte le prove d’esame;
– ha appellato quindi il dott. Bo., col ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità dell’impugnata sentenza per:
a) non aver statuito, in base ai principi posti da Cons. St., ad. plen., n. 5/2015, la delibazione, in via prioritaria ed assorbente rispetto agli ulteriori motivi di diritto, della sua domanda di improcedibilità del ricorso per il consolidamento della propria posizione grazie al superamento delle prove di detto concorso (e della concomitante e decisiva questione che sono stati coperti un numero inferiore di posti rispetto a quelli banditi), in virtù dell’art. 4, co. 2-bis del DL 30 giugno 2005 n. 115 (conv. modif. dalla l. 17 agosto 2005 n. 168) ed avendo così ottenuto l’abilitazione all’insegnamento;
b) la piena legittimità del ricorso collettivo, proposto sì da una pluralità di soggetti con posizione diverse, ma non in modo simultaneo contro concorsi distinti, bensì da tutti contro sole le due clausole ad effetto escludente dell’unico bando relativo ad un solo concorso (distinto per classi) ed in possesso tutti dello stesso titolo (laurea);
c) non aver colto che il bando non volle mantenere ed aggiornare la clausola di salvaguardia di cui al DM 460/1998, al fine di consentire, come già ha affermato la Sezione (sent. n. 2676/2015), la “… partecipazione al concorso quanto meno a coloro che avessero conseguito un diploma di laurea idoneo entro la data fissata per la presentazione delle domande di partecipare alla procedura selettiva…”, indipendentemente se tal titolo fosse stato conseguito dopo l’a. acc. 2001/2002;
d) l’inapplicabilità nella specie dell’obbligo di presentare la domanda di partecipazione al concorso (stante l’effetto immediatamente escludente delle clausole del relativo bando), né comunque del documento di riconoscimento ai sensi dell’art. 38, co. 3 del DPR 445/2000 (poiché il bando non previde detto obbligo ma, anzi, l’ammissione di tutti i candidati al concorso de quo, con riserva di accertamento del possesso dei requisiti di ammissione, tant’è che, per paradosso ed accedendo all’indicazione di eterointegrazione del bando con la legge, tutti i candidati andavano esclusi per non aver presentato il documento stesso), né tampoco di significati inespressi alle clausole stesse;
e) non aver colto come il titolo di dottorato di ricerca e la sua equipollenza facesse conseguire al titolare, ai fini del concorso in esame, l’abilitazione all’insegnamento, pure in base all’ottenimento del titolo in Spagna, alle norme UE in tema di professioni regolamentate, nonché all’art. 33 Cost. sull’esame di Stato per l’abilitazione allo svolgimento di queste ultime;
d) la ribadizione del I motivo assorbito dal TRGA;
– s’è costituita in giudizio la Provincia intimata, concludendo per il rigetto dell’appello;
Considerato in diritto anzitutto che:
– sebbene non scrutinato dal TRGA, è comunque malamente invocato dall’appellante, nel caso in esame -in cui si verte su concorsi a pubblici impieghi-, l’art. 4, co. 2-bis del DL 115/2005, per cui “… conseguono ad ogni effetto l’abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d’esame scritte ed orali previste dal bando, anche se l’ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela…”;
– il citato art. 4 detta norme per le elezione degli organi degli ordini professionali, nonché in tema di abilitazione alle professioni liberali, onde il relativo co. 2-bis si riferisce a tal specifico contesto e, più propriamente, all’esame di Stato ex art. 33 Cost. preordinato al conseguimento dell’abilitazione stessa, né v’è un qualunque dato testuale o funzionale che ricolleghi detto art. 4 ai concorsi per il reclutamento di lavoratori subordinati pubblici;
– invero, l’art. 4, co. 2-bis esprime una norma circoscritta alla sola idoneità degli aspiranti ad una professione priva di numero chiuso e che richiede selezioni di tipo solo abilitativo e non anche procedure selettive concorsuali finalizzate al conferimento di un numero limitato di posti, come di regola accade negli ordinari concorsi per il pubblico impiego (cfr. Cons. St., VI, 11 dicembre 2015 n. 5639), quand’anche, per avventura, tutti i posti non restino coperti in esito a questi ultimi;
– pertanto, lo stesso art. 4, co. 2-bis detta un regime specifico di sanatoria solo verso l’accertamento dell’idoneità a svolgere una determinata attività professionale, al fine d’evitare, alla luce d’una scelta operata dal legislatore in sede di bilanciamento di interessi contrapposti, che gli effetti di tal accertamento, già così compiuto a favore del candidato, siano o possano esser travolti dall’esito eventualmente sfavorevole di una controversia avviata contro la conclusione negativa d’un precedente accertamento, onde tra i due accertamenti prevale quello successivo, avente esito positivo (cfr. così Cons. St., III, 10 maggio 2017 n. 2171);
– per contro, l’ammissione con riserva ad un pubblico concorso di un candidato, che come l’odierno appellante, ne abbia impugnato l’esclusione, mira a produrre il solo effetto di impedire, pendente il giudizio, il protrarsi della lesione da lui lamentata, consentendogli la partecipazione alle prove di tal concorso, mentre gli altri effetti conseguono al passaggio in giudicato della pronuncia di merito favorevole, la sola idonea a rimuovere dalla realtà giuridica l’atto d’esclusione e, dunque, a porre in capo alla P.A. l’obbligo di attribuire alla parte vittoriosa tutti i vantaggi che le derivano dal superamento del concorso, rese inattaccabili dallo scioglimento positivo della predetta riserva (cfr. così Cons. St., III, 16 giugno 2015 n. 3018);
– la ragione è evidente e risiede nel fatto che, nei concorsi a pubblici impieghi, l’esclusione dal o la non ammissione d’un candidato al concorso per mancanza dei requisiti previsti dal bando non è una statuizione che consegue ad un sub-procedimento avente connotati di autonomia e specialità rispetto all’unico procedimento concorsuale finalizzato alla selezione dei vincitori -tant’è che, come nella specie, la P.A. si riserva sempre la facoltà di verificare in capo a ciascun candidato il possesso di detti requisiti-, onde anche l’eventuale evoluzione del procedimento selettivo ed il superamento stesso delle prove d’esame da parte del candidato non sono di per sé sintomatici del positivo scrutinio dei requisiti di ammissione, operazione che può essere postergata fino all’approvazione della graduatoria, ma è ineludibile e ha effetto preclusivo su ogni favorevole sorte degli esami e sul conseguimento dell’impiego (arg. ex Cons. St., V, 27 novembre 2015 n. 5381);
– da ciò discende come la disciplina eccezionale di sanatoria contenuta nel ripetuto art. 4, co. 2-bis riguardi in via esclusiva gli esami d’idoneità per l’accesso a libere professioni e non già le procedure concorsuali per l’accesso a pubblici impieghi (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 12 ottobre 2017 n. 4730);
Considerato ancora in via preliminare che:
– lamenta l’appellante l’erroneo accoglimento dell’eccezione della Provincia intimata in ordine alla sussistenza in primo grado, in capo anche a lui -che propose il relativo ricorso insieme ad un folto gruppo di altri soggetti non titolati per la sua stessa classe di concorso-, dei presupposti affinché fosse ammissibile tal gravame collettivo, né quello cumulativo;
– non dura fatica il Collegio a dar atto alla P.A. intimata dell’estrema varietà di situazioni personali e professionali in cui versavano i ricorrenti in primo grado, con riguardo alle differenze di titoli di studio, dell’epoca del loro conseguimento, delle discipline per le quali intendevano concorrere e via di seguito, ma si tratta d’una questione irrilevante rispetto all’oggetto del contendere, riassumibile in sintesi, nella (pretesa) illegittima fissazione dei requisiti d’ammissione al concorso indetto dalla Provincia per il reclutamento di docenti per le scuole secondarie di I e di II grado (posti comuni e di sostegno), nonché nelle modalità di presentazione delle loro istanze di partecipazione;
– per vero, nell’un caso (ricorso collettivo) è jus receptum (cfr., ancora da ultimo, Cons. St., VI, 15 giugno 2018 n. 3705; id., IV, 25 ottobre 2018 n. 6075; id., VI, 15 gennaio 2019 n. 382) il principio per cui non osta al ricorso collettivo la diversità delle situazioni di fatto dei ricorrenti ove l’identità delle situazioni sostanziali, fatte valere dai ricorrenti, si correli alla comune lesione che essi reputino d’aver subito tutti e ciascuno da un’unica statuizione della P.A., trascendente la vicenda personale di ognuno di loro (p. es. le facoltà partecipative di cui sono titolari) e che non crei di per sé sola situazioni, pure potenziali, di conflitto d’interessi tra di loro (cfr. così Cons. St., IV, 16 maggio 2018 n. 2910);
– circa poi il ricorso cumulativo, non sfugge al Collegio il principio (ben sintetizzato in Cons. St., V, 4 gennaio 2018 n. 51) in virtù del quale, nel processo amministrativo, il ricorso cumulativo, cioè la proposizione contestuale ed uno actu di più domande -anche d’annullamento e ciascuna diretta nei confronti di un separato provvedimento-, pur non essendo precluso in astratto ha comunque e carattere eccezionale, nel senso che questo Giudice può esser adito con tal tipo di gravame solo se ricorra una connessione oggettiva tra gli atti impugnati, in quanto riferibili ad una stessa ed unica sequenza procedimentale o iscrivibili all’interno della medesima azione amministrativa;
– ciò implica, dunque, la contestazione di tal azione nel suo complesso, cosa, questa, che è accaduta nella specie ove tanto il dott. Bo., quanto i suoi consorti hanno impugnato man mano i singoli arresti procedimentali di un unico concorso a pubblici impieghi;
Considerato inoltre che:
– nel merito, l’appello non può esser condiviso e va integralmente rigettato, precisando anzitutto la necessaria previa valutazione della mancata allegazione alla domanda, presentata in forma cartacea dal dott. Bo., della copia del suo documento di riconoscimento, poiché tal evento fu ad effetto espulsivo immediato;
– a tal riguardo, la circostanza della mancata allegazione del documento d’identità fu contestata nel giudizio di primo grado, a seguito dell’esclusione dell’appellante dal concorso de quo appunto per tal ragione (I atto per motivi aggiunti depositato il 5 maggio 2016; II atto, depositato in data 11 ottobre 2016), ossia per l’omessa presentazione di documenti non richiesti dal bando, per cui fu contestato l’eccesso di potere di tal provvedimento;
– in tal caso, scolorano le considerazioni sull’efficacia escludente delle due clausole del bando a suo tempo impugnate innanzi al TRGA e, dunque, sull’inutilità di presentare la domanda in formato non digitale, perché tal presentazione fu una scelta personale dell’appellante e, se come egli dice, essa era inutile, sfugge la ragione dell’invio dell’istanza in tal formato, se tanto egli sarebbe stato escluso comunque, evidente invece essendo per contro che, scelta la strada della presentazione, la serietà dell’impegno così assunto gli avrebbe dovuto imporre di seguire le regole vigenti in materia, anche per non offrire alla P.A. il destro per escluderlo per motivi diversi dalla mancanza dei requisiti;
– ciò posto, il TRGA, come d’altronde le stesse parti insistono nel citare l’art. 38, co. 3 del DPR 445/2000 il quale va letto in una col successivo art. 39, se estrapolato dal suo contesto, potrebbe esser fonte di equivoci, più o meno volontari, sulla portata degli obblighi e delle facoltà connesse all’uso, piuttosto che un altro, delle modalità di presentazione di dette istanze;
– detto art. 38, nel testo oggi vigente e tale anche per i fatti di causa (2016), recita:
“… 1. Tutte le istanze e le dichiarazioni da presentare alla pubblica amministrazione o ai gestori o esercenti di pubblici servizi possono essere inviate anche per fax e via telematica.
2. Le istanze e le dichiarazioni inviate per via telematica, ivi comprese le domande per la partecipazione a selezioni e concorsi per l’assunzione, a qualsiasi titolo, in tutte le pubbliche amministrazioni, o per l’iscrizione in albi, registri o elenchi tenuti presso le pubbliche amministrazioni, sono valide se effettuate secondo quanto previsto dall’articolo 65 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
3. Le istanze e le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre agli organi della amministrazione pubblica o ai gestori o esercenti di pubblici servizi sono sottoscritte dall’interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore. La copia fotostatica del documento è inserita nel fascicolo. La copia dell’istanza sottoscritta dall’interessato e la copia del documento di identità possono essere inviate per via telematica…”;
– il successivo art. 39, che novella e sostituisce ogni contraria disposizione del DPR 9 maggio 1994 n. 487 e dell’art. 3 della l. 15 maggio 1997 n. 127 sulla sottoscrizione delle istanze di partecipazione a concorsi pubblici, dispone che tal sottoscrizione “… non è soggetta ad autenticazione…”
– dalla serena lettura congiunta delle due disposizioni s’evince tanto l’assenza di obblighi, da parte di chi presenta un’istanza di partecipazione a concorsi pubblici in via telematica -che è la modalità in uso dalla Provincia (si vedrà poi se contestata, o meno)-, all’uopo soccorrendo l’art. 65 del D.lgs. 82/2005 (CAD), nel testo vigente ratione temporis, ai fini dell’esatta identificazione del proponente secondo il modo prescelto o indicato dalla P.A.;
– in secondo luogo, v’è l’obbligo, in capo a chi adopera altre modalità per presentare tal istanza, di seguire esclusivamente la regola dell’art. 38, co. 3, non coperta dalla semplificazione telematica indicata dal CAD (di cui hanno goduto i candidati che spedirono la loro istanza in quel formato, per cui il paradosso adombrato dall’appellante non c’è, è un errore di diritto) e tale da imporre la sottoscrizione dell’istanza in questione, con l’allegazione contestuale della copia del documento di riconoscimento;
– a tal riguardo, reputa necessario il Collegio enunciare il principio di diritto per cui l’allegazione al testo dell’istanza di un valido documento d’identità, ben lungi dal costituire un vuoto formalismo, costituisce piuttosto un fondamentale onere del sottoscrittore, configurandosi, nella previsione ex art. 38, co 3 del DPR 445/2000, qual elemento della fattispecie normativa teleologicamente diretto a comprovare, non tanto (o meglio, non soltanto) le generalità del dichiarante, ma ancor prima l’imprescindibile nesso d’imputabilità soggettiva della dichiarazione ad una determinata persona fisica, sicché tal istanza, solo se formata a norma degli art. 38 e 47 del decreto n. 445, diviene un documento con lo stesso valore giuridico di un “atto di notorietà ” e, quindi, la mancata allegazione del documento di identità rende del tutto nulle ed inefficaci le dichiarazioni sostitutive allegate alla domanda di partecipazione al concorso (non sanabili in alcun caso e certo non con le regole del soccorso istruttorio in materia di appalti, invocate dall’appellante per la prima volta in questa sede, pur se vigenti dal 2014), le quali devono considerarsi come del tutto omesse, ossia in violazione di legge e del bando;
– in primo grado e nel primo atto per motivi aggiunti, l’odierno appellante ed i suoi consorti avanti al TRGA si dolsero:
a) della violazione, a seguito della scelta del bando sull’esclusività dell’invio telematico delle loro istanze, dell’art. 4, commi 1 e 2 del DPR 487/1994, il quale però è malamente invocato, sia perché tal fonte secondaria non prende (più ) partito (fin dall’art. 3 della l. 127/1997) sulle modalità della sottoscrizione delle istanze, sia perché l’appellante scelse la forma cartacea ma non per questo fu escluso dal concorso, fermo restando che l’art. 4 è stato integrato più volte dalle successive fonti superiori o equiordinate;
b) dell’eccesso di potere in cui incorse la P.A. per averli esclusi a causa della mancata allegazione dei documenti di riconoscimento, non avvedendosi gli appellanti, tuttavia, che tal esclusione fu non una scelta discrezionale di detta P.A., ma la conseguenza diretta del loro inadempimento d’una norma applicabile naturaliter alla modalità di presentazione prescelta delle istanze de quibus;
– nel secondo atto per motivi aggiunti innanzi al TRGA, l’appellante e gli altri ricorrenti in quella sede hanno ribadito tali censure, ma pure queste ultime non hanno senso, giacché non la P.A., ma l’appellante e gli altri suoi consorti hanno utilizzato una modalità non prevista dal bando e, una volta scelta questa strada, erano loro opponibili tutte le norme regolatrici, ancorché non richiamate espressamente in quel bando da loro disatteso ab imis, di tal modalità di presentazione, essendo inesigibile ogni diverso o più mite comportamento della Provincia intimata, né un qualunque obbligo di soccorso istruttorio, quello sì indebito e contrario ad ogni sana regola di par condicio;
– in disparte il novum in appello su tal aspetto ed anche a voler seguire la tesi attorea su una sorta di automatica trasposizione del soccorso istruttorio in tema di appalti pubblici nel caso in esame, egli non tien conto dello scopo di tal istituto, certo di carattere e d’uso generale (cfr., per tutti, Cons. St., III, 14 giugno 2017 n. 2930), ma che è ammissibile se volto a chiarire e completare dichiarazioni o documenti comunque esistenti o talune oscurità del loro significato (cfr. Cons. St., V, 14 novembre 2017 n. 5240; id., V, 10 aprile 2018 n. 2180), non a consentire la produzione di dichiarazioni o di documenti che si sarebbero dovuti produrre in una con l’istanza di partecipazione, pena, altrimenti, la violazione della par condicio dei concorrenti (così Cons. St., V, 1° agosto 2018 n. 4765);
– se è vero il ricorso al soccorso istruttorio per evitare che irregolarità e inadempimenti meramente estrinseci possano pregiudicare i candidati più meritevoli e, più in generale, per escludere la nociva “corsa ad ostacoli” tra adempimenti burocratici complessi e non necessari per l’oggetto della procedura (arg. ex Cons. St., III, 6 agosto 2018 n. 4833), tal istituto è inutilizzabile in tutti i casi di domanda incompleta o non veritiera o non intelligibile o inappropriata (arg. ex Cons. St., V, 27 dicembre 2018 n. 7262; id., 4 febbraio 2019 n. 827), sui requisiti soggettivi d’ammissione del candidato (cfr. Cons. St., III, 22 febbraio 2019 n. 1237) o sull’imputabilità dell’istanza stessa al proponente (arg. ex Cons. St., V, 2 maggio 2017 n. 1975);
– non a diversa conclusione può il Collegio pervenire con riguardo al soccorso istruttorio previsto dall’art. 6, co. 1, lett. b) della l. 241/1990, istituto non invocabile nell’ambito del procedimento quale parametro di legittimità dell’azione amministrativa, tutte le volte in cui si configurino in capo al partecipante obblighi di correttezza, specificati col richiamo alla clausola generale della buona fede e dell’autoresponsabilità, che impongono a quest’ultimo di assolvere oneri minimi di cooperazione e di diligenza quali il dovere di compilare moduli e di presentare documenti secondo quanto indicato dalla legge o dalla P.A. (cfr. Cons. Stato, IV, 20 febbraio 2019 n. 1180);
– alla luce di tal ultimo arresto, non giova alla tesi attorea il richiamo all’art. 18 della l. 241/1990, posto che nella specie si controverte non già dell’omessa acquisizione d’ufficio di fatti, stati e qualità di cui la P.A. procedente è in possesso o è tenuta a certificare, bensì della non imputabilità dell’istanza de qua all’appellante stesso, onere, questo, che attiene alla di lui esclusiva sfera personale e non è surrogabile da parte della P.A.;
– non è in grado l’appellante d’aggirare tal preclusione asserendo la mancanza di prova dell’assenza di copia di un suo documento di riconoscimento nella propria istanza -che invero non si rinviene nella copia (doc. 3) allegata al ricorso di primo grado-, in quanto, da un lato, tal circostanza è stata richiamata nella determina n. 32/2016 in base alla scansione del protocollo informatico dell’istanza stessa pervenuta alla Provincia il 6 aprile 2016 (atti, questi, che fanno fede fino a querela di falso) e, dall’altro l’appellante non ha offerto alcun serio principio di prova a confutazione, anzi i documenti di parte attorea tendono sul punto a concordare con la determina citata;
– neppure rileva l’assunto secondo cui, in fondo, le informazioni sui requisiti del ricorrente fossero in possesso di altre Amministrazioni, affermazione, questa, discendente dalla pretesa di far constare l’omessa allegazione a guisa di vizio emendabile d’una dichiarazione incompleta o erronea (mentre si tratta d’un vizio attinente all’essenza stessa della domanda proposta) e comunque in sé sbagliata, in quanto, al più, le informazioni dichiarate in possesso della P.A. non esime gli interessati da quel minimo onere di leale collaborazione che si sostanzia nell’obbligo di rendere dichiarazioni complete e veritiere, pur senza dover produrre anche le relative certificazioni;
– non convince infine il richiamo attoreo alla dir. n. 2005/36/CE sulle professioni regolamentate, in quanto l’art. 1, commi 1 e 2 del D.lgs. 9 novembre 2007 n. 206, nel recepire tale fonte comunitaria, ne esclude l’applicazione alle professioni “… il cui svolgimento sia riservato dalla legge a professionisti in quanto partecipi sia pure occasionalmente di pubblici poteri…” e fa “… salve le disposizioni che disciplinano l’accesso al pubblico impiego…”, quindi anche il personale docente della scuola pubblica, costituito appunto da lavoratori subordinati pubblici;
Considerato infine che:
– non sfugge certo al Collegio il fondamentale arresto della Sezione (cfr. Cons. St., VI, 11 giugno 2018 n. 3546) sull’interpretazione adeguatrice e costituzionalmente orientata dell’art. 1, co. 110 della l. 13 luglio 2015 n. 107, sulla cui scorta il concorso de quo fu bandito ed in forza del quale è sì astrattamente possibile ammettere a quest’ultimo soltanto i soggetti abilitati (ossia muniti di titolo specifico, ulteriore alla laurea), ma ciò sarebbe in realtà un concorso riservato a quei pochi che, per puro caso, riuscirono ad accedere ai vari tipi di corsi abilitanti (oltre ad aver svolto un’attività di servizio non di ruolo) e, dunque, in contrasto con l’art. 97, III co., Cost. e con l’art. 1, commi 110 e 114 della l. 107/2015, che di concorso “pubblico” trattano;
– in tal caso, tal interpretazione, conforme allo scopo della l. 107/2015 -ossia il superamento del precariato come canale unico o preferenziale d’accesso all’insegnamento, risultato certamente non raggiungibile ove non si consentisse di partecipare al concorso anche a chi un servizio precario non avesse mai prestato-, implica il riferimento alla disciplina di transizione dal previgente regime al sistema dei titoli definiti dagli artt. 3 e 4 della l. 19 novembre 1990 n. 341, cioè l’art. 402 del D.lgs. 16 aprile 1994 n. 297;
– quest’ultimo recita: “fino al termine dell’ultimo anno dei corsi di studi universitari per il rilascio dei titoli previsti dagli articoli 3 e 4 della legge 19 novembre 1990 n. 341, ai fini dell’ammissione ai concorsi a posti e a cattedre di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d’arte, è richiesto il possesso dei seguenti titoli di studio: a) diploma conseguito presso le scuole magistrali o presso gli istituti magistrali, od abilitazione valida, per i concorsi a posti di docente di scuola materna; b) diploma conseguito presso gli istituti magistrali per i concorsi a posti di docente elementare; c) laurea conformemente a quanto stabilito con decreto del Ministro della pubblica istruzione, od abilitazione valida per l’insegnamento della disciplina o gruppo di discipline cui il concorso si riferisce, per i concorsi a cattedre e a posti di insegnamento nelle scuole secondarie, tranne che per gli insegnamenti per i quali è sufficiente il diploma di istruzione secondaria superiore”, fattispecie che potrebbe riguardare, tra gli altri, pure l’odierno appellante quale semplice laureato;
– a ciò ostano, per un verso, la legittima esclusione dell’appellante per il sol fatto di avere omesso di allegare il documento di riconoscimento alla sua domanda proposta in formato cartaceo e, quindi, a l’insanabile invalidità di essa e, per altro verso, le circostanze che egli si laureò nel 2004 onde, se lo avesse voluto, ben avrebbe avuto tutto il tempo di partecipare ai vari corsi abilitanti tenutisi nel tempo intercorso tra la sua laurea ed il concorso in esame;
– né l’appellante può sostenere alcuna discriminazione posta dal bando nei di lui confronti, giacché egli avrebbe potuto, in quanto non fornito da alcun titolo di servizio nella scuola pubblica, prendere parte al concorso pubblico a cattedre del 2012, ove era presente pure la cl. conc. per la quale egli ha partecipato al concorso del 2016, in modo da poter ottenere in quella sede la prescritta abilitazione;
– è appena da soggiungere come neppure il nuovo regime concorsuale delineato dal D.lgs. 59/2017 rinuncia al sistema dell’abilitazione, nel senso che quest’ultima non viene abolita ma diventa il necessario posterius rispetto al superamento del futuro concorso, aperto sì a tutti i laureati, i quali, tuttavia, otterranno l’abilitazione in virtù di appositi corsi di formazione successivi all’assunzione
– infine non può esser invocato nella specie, per il sol fatto che l’appellante ha superato le prove cui era stato ammesso con riserva in forza di statuizioni cautelari di questo Giudice, l’art. 4, co. 2-bis del DL 30 giugno 2005 n. 115 (conv. modif. dalla l. 17 agosto 2005 n. 115), in quanto la disciplina eccezionale di sanatoria colà contenuta concerne in via esclusiva gli esami d’idoneità per l’accesso a libere professioni e non già le procedure concorsuali per l’accesso a pubblici impieghi (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 12 ottobre 2017 n. 4729);
– l’appello va quindi rigettato, ma la complessità della vicenda e giusti motivi suggeriscono la compensazione integrale, tra le parti, delle spese di lite;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso NRG 5078/2017 in epigrafe), lo respinge.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 14 marzo 2019, con l’intervento dei sigg. Ma.:
Sergio Santoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere, Estensore
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere

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