Il giudizio di disconoscimento di paternità è pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l’accertamento di altra paternità

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|22 marzo 2023| n. 8268.

Il giudizio di disconoscimento di paternità è pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l’accertamento di altra paternità

Il giudizio di disconoscimento di paternità è pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l’accertamento di altra paternità così che, nel caso della loro contemporanea pendenza, si applica l’istituto della sospensione per pregiudizialità ex art. 295 c.p.c.

Sentenza|22 marzo 2023| n. 8268. Il giudizio di disconoscimento di paternità è pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l’accertamento di altra paternità

Data udienza 7 febbraio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Filiazione – Giudizio di disconoscimento di paternità – Giudizio pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l’accertamento di altra paternità – Sospensione – Art. 295 cc

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente f.f.

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente di Sez.

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8291-2022 proposto da:

PROCURATORE GENERALE DELLA CORTE DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

RICORSO NON NOTIFICATO AD ALCUNO;

avverso la sentenza n. 14782-2018 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 17/07/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/02/2023 dal Consigliere GIULIA IOFRIDA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale LUISA DE RENZIS, che si riporta, come da memoria gia’ depositata.

Il giudizio di disconoscimento di paternità è pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l’accertamento di altra paternità

FATTI DI CAUSA

La Procura generale della Corte di Cassazione, ai sensi dell’articolo 363, comma 1, c.p.c., ha chiesto, con atto depositato il 5/4/2022, l’enunciazione, nell’interesse della legge, del seguente principio di diritto: “Il giudizio di disconoscimento di paternita’ e’ pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l’accertamento di altra paternita’ cosi’ che, nel caso della loro contemporanea pendenza, si applica l’istituto della sospensione per pregiudizialita’ ex articolo 295 c.c.”.

I fatti di causa dai quali prende le mosse la richiesta della Procura generale sono i seguenti.

(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), premesso di risultare figli di (OMISSIS) e (OMISSIS), entrambi deceduti, hanno adito il Tribunale di Roma, nel 2016, chiedendo l’accertamento giudiziale di paternita’ di (OMISSIS). A sostegno della domanda proposta, gli attori hanno dedotto: a) di avere appreso che la madre, (OMISSIS), aveva intrattenuto una relazione con (OMISSIS), proprietario terriero alle cui dipendenze avevano lavorato i coniugi (OMISSIS); b) che da questa relazione erano nati nove dei dodici figli della donna, tra i quali i tre attori; c) che questi ultimi non erano stati cresciuti e mantenuti dal presunto padre e avevano vissuto in condizioni di grave indigenza, mentre i figli del (OMISSIS), nati nel matrimonio, avevano beneficiato delle elevate consistenze reddituali e patrimoniali del padre; d) che, sin dal 2010, essi avevano promosso un’azione giudiziale per il disconoscimento della paternita’ di (OMISSIS), marito della madre e, all’esito del giudizio, recepite le conclusioni formulate nella C.Testo Unico avente ad oggetto indagini ematologiche ed immunogenetiche sul DNA, era stata esclusa l’esistenza del legame di filiazione tra gli attori e lo (OMISSIS), ma la sentenza era stata impugnata da parte di uno dei fratelli degli attori, in qualita’ di erede dello (OMISSIS); e) nel giudizio di dichiarazione giudiziale di paternita’, si erano costituiti (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), eredi del (OMISSIS), eccependo, preliminarmente, l’inammissibilita’ dell’azione proposta, stante la pendenza, dinanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro, del giudizio avente ad oggetto il disconoscimento di paternita’ e risultando pertanto, allo stato, gli attori figli di (OMISSIS), marito della madre; f) nel corso del giudizio dinanzi al Tribunale di Roma, gli attori hanno chiesto la sospensione del giudizio in attesa della definizione del processo pendente dinanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro; g) con sentenza n. 14782/2018, depositata il 17.7.2018, il Tribunale di Roma, rilevato che il procedimento di disconoscimento di paternita’ azionato dagli attori non era stato ancora definito, essendo pendente appello, accogliendo l’eccezione spiegata dai convenuti e rigettata l’istanza di sospensione del giudizio ex articolo 295 c.p.c., essendosi ritenuto che l’articolo 295 c.p.c. e’ una norma di stretta interpretazione (cfr. Cass. Sez.Un. 10027/2012) e che tra i due giudizi non puo’ dirsi sussistente un rapporto di stretta pregiudizialita’, teso ad evitare che si realizzi un contrasto di giudicati, ha dichiarato inammissibile la domanda, richiamato il consolidato orientamento espresso dallo stesso Tribunale di Roma (sentenze del 24.4.2015 e del 19.1.2017), nonche’ del giudice di legittimita’ (Cass. n. 8190/1998 e, da ultimo, Cass. n. 12167/2005 e Cass. n. 487/2014), in forza del quale non e’ ammesso il riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio in cui la persona si trova (principio sancito dall’articolo 253 c.c.), in quanto “presupposto perche’ possa essere esperita l’azione di accertamento giudiziale di paternita’ e’ l’assenza di uno stato di figlio formalmente accertato”, e condannato gli attori al pagamento delle spese di lite; h) la predetta sentenza, non impugnata, e’ passata in giudicato.

 

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La Procura generale, ritenute pertanto sussistenti le condizioni di non ricorribilita’ per cassazione e di non impugnabilita’ della decisione giudiziale, previste dall’articolo 363, comma 1, c.p.c. per farsi luogo alla richiesta di enunciazione di principio di diritto nell’interesse della legge, ha declinato la questione di diritto nelle seguenti correlate domande: I) “il giudizio finalizzato ad accertare la paternita’ al di fuori del matrimonio puo’ essere proposto anche se la paternita’ del marito non e’ ancora stata disconosciuta giudizialmente con pronuncia passata in giudicato-“; II) “il processo di accertamento giudiziale di paternita’ biologica puo’ essere proposto e sospeso ex articolo 295 c.p.c., sulla base di un nesso di pregiudizialita’ tecnico-giuridica, in attesa della definizione del giudizio di disconoscimento della paternita’-“.

Premesso che la questione affrontata dal Tribunale di Roma e’ stata oggetto di decisione di merito contrastanti che, a loro volta, riflettono l’orientamento non univoco della dottrina, la Procura generale – richiamata anche l’evoluzione della giurisprudenza di legittimita’ – ha osservato come la Suprema Corte, nell’ordinanza n. 17392 del 2018, ha chiarito che tra l’azione di disconoscimento della paternita’ e quella di dichiarazione giudiziale di altra paternita’ sussiste un nesso di pregiudizialita’ in senso tecnico-giuridico, con conseguente possibilita’ di sospensione, ex articolo 295 c.p.c..

Nella richiesta ai sensi dell’articolo 363 c.p.c., viene altresi’ evidenziato come appaia necessario che la Corte di Cassazione “affermi e consolidi un principio di diritto compatibile con la piena tutela dei diritti dei soggetti coinvolti, evitando cosi’ che una tesi troppo formalistica, e soprattutto poco adeguata al contesto normativo di riferimento, costringa le parti a dover attendere il tempo – non breve, e’ noto – del giudizio di disconoscimento e di incardinare ex novo un’azione gia’ proposta (quella di accertamento giudiziale della paternita’), laddove l’istituto della sospensione ex articolo 295 c.p.c. possa soccorrere e conservare gli effetti dell’azione gia’ incardinata, contestualmente o separatamente al giudizio di disconoscimento”. Si osserva inoltre che, nell’ambito della giurisprudenza di merito, come emblematicamente emerge dalla decisione del tribunale di Roma, ancora “persiste una tendenza ad effettuare confusione nel coordinamento tra i due giudizi, dichiarando l’inammissibilita’ dell’azione di accertamento giudiziale della paternita’ nella pendenza dell’azione di disconoscimento, tralasciando di considerare che, di fronte ad un’azione ricostruttiva della filiazione, sia pure promossa prematuramente, la pronuncia di inammissibilita’ costringe le parti alla nuova proposizione della domanda, ad effettuare nuove spese, a dilatare i tempi del giudizio”, mentre la tesi giuridica che predilige “l’aspetto per cosi’ dire sanante o conservativo dell’azione gia’ intrapresa (facendo leva sull’istituto della sospensione necessaria ex articolo 295 c.p.c.) e’ quella che bene accorda i due istituti, meglio tutela i diritti delle parti e rispetta il principio (di valenza generale) di necessaria economia processuale quale strumento di fondamentale importanza per la deflazione dei contenziosi”. A cio’ non osta la formulazione dell’articolo 253 c.c. e nemmeno il testo dell’articolo 269 c.c. perche’ il diverso status filiationis preclude la dichiarazione (l’accertamento) della filiazione al di fuori del matrimonio ma non “la richiesta (la domanda) di una siffatta dichiarazione”. Si evidenzia, inoltre, nella richiesta, come si possa anche ipotizzare “una frontiera processuale” non incompatibile con il quadro normativo, che, come previsto dall’articolo 276, comma 2, c.c. ammette a partecipare al giudizio “chiunque vi abbia interesse”, vale a dire la possibilita’ che i giudizi di cui si tratta possano essere introdotti cumulativamente, con unico atto introduttivo, dal soggetto che vanti la legittimazione per entrambi i giudizi (ad es. il figlio), anche ammettendo l’ipotesi che il presunto padre naturale possa prendere parte al giudizio di disconoscimento della paternita’ del marito, non trovando tale ipotesi di introduzione cumulativa ostacolo nel comma 1 dell’articolo 247 c.c. poiche’ il fatto che il figlio, la madre ed il marito siano “parti necessarie del giudizio non comporta che queste siano le uniche parti del giudizio”. In ordine alle vicende sopravvenute rispetto al deposito della richiesta del P.G., deve rilevarsi, anzitutto, che la Corte Costituzionale, investita, con ordinanza dell’11/3/2021 della Corte d’appello di Salerno (richiamata nella richiesta del P.G. dell’aprile 2022), con sentenza n. 177 del 14/7/2022, ha dichiarato inammissibile la questioni di legittimita’ costituzionale dell’articolo 269, comma 1, c.c. sollevata – in riferimento alla Cost., articoli 2, 3, 24, 29, 30, 111 e 117, comma 1, in riferimento all’articolo 8 CEDU, agli articoli 7 e 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo e dell’articolo 24, par. 2, CDFUE – nella parte in cui non consente la dichiarazione giudiziale di paternita’ o maternita’ alle condizioni richieste per il riconoscimento, non permettendo dunque di pronunciare una sentenza dichiarativa della genitorialita’ prima che sia demolito lo stato attribuito al figlio o, quantomeno, di addivenire ad una sentenza dichiarativa della paternita’ o della maternita’ condizionata all’esito del giudizio demolitivo dello stato di filiazione goduto dal figlio. Deve, inoltre, essere rilevato che uno dei due attori, (OMISSIS), ha proposto ricorso dinanzi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, ravvisando una violazione dell’articolo 8 della CEDU, in ragione del fatto che l’ordinamento giuridico italiano (articoli 253 e 269 c.c.) non consente l’introduzione di una domanda di riconoscimento della paternita’ biologica prima della previa rimozione del diverso status (il cui procedimento, ad avviso della ricorrente, ha comunque una durata eccessiva): piu’ precisamente, la ricorrente, dell’eta’ di 68 anni, lamentando, da un lato, l’impossibilita’ di avviare un’azione per il riconoscimento della paternita’ nei confronti del padre biologico (in ragione della previsione che subordina l’accertamento di altra paternita’ al passaggio in giudicato della sentenza relativa al disconoscimento di altra paternita’) e, dall’altro, l’eccessiva lunghezza del procedimento di paternita’ protrattosi, nel caso di specie, per oltre dodici anni.

 

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I giudici di Strasburgo, con sentenza del 6/12/2022, all’esito della camera di consiglio del 15/11/2022, ritenuto il ricorso ricevibile e respinte le eccezioni formulate dal Governo italiano, hanno affermato che: a) i fatti relativi al procedimento di paternita’ rientrano incontestabilmente nell’ambito di applicazione dell’articolo 8 della Convenzione, che riconosce il diritto di ogni individuo a conoscere le proprie origini e a farle stabilire legalmente, che la “vita privata” puo’ includere aspetti dell’identita’ non solo fisica, ma anche sociale dell’individuo e che il diritto a conoscere le proprie origini ed a vederle accertate non puo’ essere pregiudicato per il raggiungimento della maggiore eta’ gia’ al momento della proposizione del procedimento interno; b) trovandosi la ricorrente da dodici anni “nell’incertezza della sua identita’ personale”, in quanto le e’ impossibile proporre un’azione per l’accertamento della paternita’, poiche’ la sentenza di disconoscimento di paternita’ non e’ ancora definitiva (pendendo ancora, “secondo le ultime informazioni ricevute” dalla Corte, il giudizio di disconoscimento in cassazione), cosicche’ lo svolgimento del procedimento deve ritenersi interferire in modo sproporzionato con il diritto al rispetto della propria vita privata, la suddetta violazione dell’articolo 8 della Cedu sussiste, atteso che le autorita’ italiane sono venute meno al loro obbligo positivo di garantire alla ricorrente il diritto al rispetto della sua vita privata, con conseguente, in applicazione dell’articolo 41 della Convenzione, condanna dello Stato italiano al risarcimento, a titolo di danno morale, della somma di Euro 10.000,00 ed al pagamento delle spese.

In merito alla compatibilita’ del sistema italiano – che prevede che il disconoscimento di paternita’ sia pregiudiziale rispetto all’accertamento di altra paternita’ – con l’articolo 8 della Cedu, tenuto conto del margine di discrezionalita’ dello Stato, la Corte Edu ha affermato, in motivazione, che, nell’ambito di un siffatto sistema, devono essere difesi gli interessi della persona che intende determinare la propria filiazione e che tale obiettivo non si realizza quando il procedimento dura diversi anni, peraltro senza possibilita’ di misure volte ad accelerare il procedimento, e impedisce la proposizione di un’azione di accertamento di paternita’; si e’ richiamata nella sentenza, in un’ottica di dialogo tra le Corti, la decisione della Corte Costituzionale n. 177 del 2022, nella parte in cui e’ stato sottolineato come il sistema vigente, che richiede la previa demolizione in via giudiziale dello status, costituisce, in effetti, un onere gravoso a carico del figlio che intenda far accertare la propria identita’ biologica, e rischia di risolversi, oltre che in una violazione del principio di ragionevole durata del processo (Cost., articolo 111, comma 2), in un ostacolo “all’esercizio del diritto di azione garantito dalla Cost., articolo 24, e cio’ per giunta in relazione ad azioni volte alla tutela di diritti fondamentali, attinenti allo status ed alla identita’ biologica” (sentenza n. 50 del 2006) (par. 7). La Corte Edu ha, altresi’, ricordato come la Corte Costituzionale avesse ammonito il legislatore ad intervenire per disciplinare le questioni relative all’accertamento della verita’ biologica, senza limitare in modo sproporzionato altri diritti costituzionali, e ha espressamente affermato di condividere la seconda criticita’ ravvisata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 177 del 2022, relativa al rischio per il figlio di rimanere privo di status: quello oramai demolito e quello che potrebbe non palesarsi all’esito del successivo giudizio.

 

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Deve ancora aggiungersi, in relazione all’esito del giudizio di disconoscimento della paternita’, che la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 1649/2019, pubblicata il 23/8/2019 – con la quale era stato respinto il gravame proposto da (OMISSIS) (uno dei fratelli degli attori) avverso decisione del Tribunale di Catanzaro del 2015, che, dichiarato inammissibile l’intervento in giudizio dei figli dell’asserito padre biologico, (OMISSIS), nelle more del giudizio deceduto, aveva accertato che (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) non erano figli di (OMISSIS), – e’ stata confermata da questa Corte di Cassazione, con ordinanza n. 32628/2022, pubblicata il 4/11/22 (dopo che il giudizio era stato, con ordinanza interlocutoria del 15/9/21, rinviato a Nuovo Ruolo in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite sul contrasto insorto, all’interno della Corte, in merito al carattere della nullita’ della consulenza tecnica d’ufficio, oggetto di doglianza in un motivo del ricorso, in caso di allargamento dell’indagine oltre i limiti stabiliti dal giudice, contrasto definito con la sentenza delle Sezioni unite n. 3086/2022), essendosi respinto il ricorso per cassazione proposto.

E’ stata formulata istanza di discussione orale.

In prossimita’ dell’udienza pubblica del 7 febbraio 2023, il pubblico ministero ha depositato note illustrative, chiedendo l’accoglimento del principio di diritto sopra trascritto e che la Corte valuti l’opportunita’ di definire la questione giuridica con una pronuncia ancora piu’ ampia al fine di ipotizzare, in alcuni casi, la possibilita’ che i giudizi siano introdotti in via cumulativa.

 

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1.La questione sottoposta all’esame di queste Sezioni Unite attiene all’accertamento dei rapporti tra l’azione di disconoscimento della paternita’ (azione con cui si contesta lo status di figlio) e quella di dichiarazione giudiziale di genitorialita’ (azione che tende a conseguire lo status di figlio), con specifico riferimento ai profili processuali, in relazione a decisione resa dal Tribunale di Roma nel 2018, passata in giudicato, di inammissibilita’ della domanda di dichiarazione giudiziale di paternita’, non essendo stata ancora definita la causa, pendente, di demolizione del pregresso status.

1.1.La richiesta e’ ammissibile, ai sensi dell’articolo 363 c.p.c..

Questa Corte, con riguardo all’ambito di applicazione dell’articolo 363, comma 3, c.p.c. – come novellato dal Decreto Legislativo n. 2 febbraio 2006, n. 40, articolo 4 – ha affermato (Cass. 27187/2007 che “se le parti non possono, nel loro interesse e sulla base della normativa vigente, investire la Corte di cassazione di questioni di particolare importanza in rapporto a provvedimenti giurisdizionali non impugnabili, e il P.G. presso la stessa Corte non chieda l’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge, le Sezioni Unite della Corte – chiamate comunque a pronunciarsi su tali questioni su disposizione del Primo Presidente – dichiarata l’inammissibilita’ del ricorso, possono esercitare d’ufficio il potere discrezionale di formulare il principio di diritto concretamente applicabile. Tale potere, espressione della funzione di nomofilachia, comporta che – in relazione a questioni la cui particolare importanza sia desumibile non solo dal punto di vista normativo, ma anche da elementi di fatto – la Corte di cassazione possa eccezionalmente pronunciare una regola di giudizio che, sebbene non influente nella concreta vicenda processuale, serva tuttavia come criterio di decisione di casi analoghi o simili”.

 

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La richiesta del P.G. di enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge si configura non come mezzo di impugnazione, ma “come procedimento autonomo, originato da un’iniziativa diretta a consentire il controllo sulla corretta osservanza ed uniforme applicazione della legge, con riferimento non solo all’ipotesi di mancata proposizione del ricorso per cassazione, ma anche a quelle di provvedimenti non impugnabili o non ricorribili per cassazione, in quanto privi di natura decisoria, con la conseguenza che l’iniziativa del P.G., che si concreta in una mera richiesta e non gia’ in un ricorso, non dev’essere notificata alle parti, prive di legittimazione a partecipare al procedimento” (Cass. Sez.Un. 13332/2010; conf. Cass. Sez.Un. 23469/2016 e Cass. Sez.Un. 19427/2021).

Si tratta di un procedimento del tutto peculiare, in cui non e’ prevista la instaurazione di un vero e proprio contraddittorio, con la notifica della richiesta del Procuratore generale alle parti o ad eventuali controinteressati, i quali sono privi di legittimazione a partecipare al procedimento, non essendo configurabile in capo agli stessi un interesse giuridicamente rilevante ad intervenire in un processo destinato a concludersi con una pronuncia che, per espresso dettato legislativo, non spiega efficacia nei loro confronti (articolo 363, ult. comma, c.p.c..: “La pronuncia della Corte non ha effetto sul provvedimento del giudice di merito”; cfr. Cass. Sez.Un. 13332/2010).

Nella sentenza n. 404/2011, si e’ poi ritenuta inammissibile la richiesta ex articolo 363 c.p.c. del P.G., sul rilievo della sua astrattezza nello specifico, rilevandosi che il principio di diritto richiesto ” anche se non e’ in grado di incidere sulla fattispecie concreta, non puo’ tuttavia prescinderne; tale ricorso, pertanto, pur non avendo natura impugnatoria, non puo’ assumere carattere preventivo o esplorativo, dovendo il P.G. attivarsi soltanto in caso di pronuncia contraria alla legge, per denunciarne l’errore e chiedere alla Corte di ristabilire l’ordine del sistema, chiarendo l’esatta portata e il reale significato della normativa di riferimento”.

 

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Il procedimento, promosso in seguito alla richiesta del Procuratore generale e disciplinato dal comma 10 dell’articolo 363 c.p.c., richiede la ricorrenza dei seguenti presupposti processuali (v. Cass. Sez.Un. 18 novembre 2016, n. 23469; Cass. Sez.Un. 1946/2017): a) l’avvenuta pronuncia di uno specifico provvedimento giurisdizionale non impugnato o non impugnabile ne’ ricorribile per cassazione; b) l’illegittimita’ del provvedimento stesso (o, in caso di pluralita’ di provvedimenti divergenti, di almeno uno di essi), quale indefettibile momento di collegamento ad una controversia concreta; c) un interesse della legge, quale interesse generale o trascendente quello delle parti, all’affermazione di un principio di diritto per l’importanza di una sua formulazione espressa.

La Riforma di cui al Decreto Legislativo n. 10 ottobre 2022, n. 149 non ha inciso sulla disposizione in esame.

Orbene, i requisiti sopra indicati ricorrono tutti nel caso in esame.

Invero, il Procuratore generale specifica di avere formulato la richiesta, non in via astratta o esplorativa, ma con riferimento ad un ben preciso e pertinente caso della vita venuto all’esame del Tribunale di Roma e risolo con declaratoria di inammissibilita’ dell’azione di dichiarazione giudiziale di paternita’ dei sign. ri (OMISSIS), passata in giudicato, e nella richiesta della Procura, con denuncia dell’errore e istanza a questa Corte di ristabilire l’ordine del sistema, si e’ evidenziata l’esistenza, non solo presso tale ufficio giudiziario ma anche presso altri tribunali d’Italia, di un orientamento opposto a quello seguito da questa Corte nella sentenza n. 17392/2018, il che rende apprezzabile la sussistenza di un interesse ad una pronuncia che, “prescindendo completamente dalla tutela dello ius litigatoris, si sostanzia nella stessa enunciazione del principio di diritto richiesta alla Corte, finalizzata alla stabilizzazione della giurisprudenza” (Cass. Sez. Un. 13332/2010).

Il tutto anche tenuto conto delle implicazioni Eurounitarie nella materia conseguenti alla violazione dell’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, CEDU.

 

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2. La richiesta del Procuratore Generale e’ fondata, per le ragioni che seguono.

2.1. In generale, sui diversi modi di accertamento della filiazione.

Nonostante la riforma della filiazione, attuata con L. 10.12.2012 n. 219 e con il D.lgs. 28.12.2013 n. 154, abbia riconosciuto la parita’ giuridica di tutti i figli (articolo 315 c.c.), ispirandosi all’obiettivo di “eliminare ogni discriminazione tra i figli (…) nel rispetto della Costituzione , articolo 30 ” (della L. 10 dicembre 2012, n. 219, articolo 2, comma 1) – cosi’ tutelando la condizione giuridica del figlio indipendentemente dal vincolo esistente tra i genitori, in linea con le indicazioni della Costituzione e dei principi affermati dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo – e’ stata mantenuta, per quanto riguarda l’attribuzione dello stato di figlio, la distinzione tra filiazione all’interno e al di fuori del matrimonio.

Nel primo caso – situazione disciplinata dagli articoli 231, 232 e 234 c.c. – il matrimonio determina l’attribuzione automatica dello stato dei figli dei coniugi, in forza di una presunzione di paternita’, secondo la quale “il marito e’ padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio” o del possesso di stato (articolo 237 c.c.). L’articolo 231 c.c., che rimane norma cardine del sistema, continua ad essere rubricato come “paternita’ del marito” e stabilisce che “il marito e’ padre del figlio concepito o nato durant” e il matrimonio”. I presupposti per l’applicazione di tale norma sono il matrimonio dei genitori, la maternita’ della moglie, la nascita o il concepimento in costanza di matrimonio e la paternita’ del marito.

Tali risultanze possono essere contestate solo con azioni di stato tipiche: l’azione di disconoscimento della paternita’, l’azione di contestazione e l’azione di reclamo dello stato di figlio (quest’ultima, ove sia presente un titolo che attesti uno status difforme puo’ essere fatta valere solo dopo aver rimosso quel titolo con la relativa azione, come previsto dall’articolo 239, c. 4, c.c.).

In caso di filiazione fuori dal matrimonio, in assenza di meccanismi presuntivi, il figlio acquista il corrispondente titolo allo stato attraverso il riconoscimento da parte dei genitori (articoli 250 e ss. c.c.) o la dichiarazione giudiziale (articolo 269 c.c.). Le azioni di stato esperibili in questo caso sono la dichiarazione giudiziale di genitorialita’ e l’impugnativa del riconoscimento.

 

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2.2.Riguardo all’azione di disconoscimento della paternita’, deve osservarsi che tale azione, diretta a superare lo stato di figlio “legittimo” (dizione questa ormai superata alla luce della Riforma della filiazione del 2013) allo stesso attribuito per effetto delle presunzioni di legge, negando specificamente la paternita’ di colui che dal titolo risulta padre, presuppone la nascita del figlio e l’attribuzione in capo a quest’ultimo dello stato di figlio legittimo. Lo stato di figlio legittimo era, nel sistema originario, dotato invero di elevate garanzie di certezza e stabilita’, atteso che poteva essere disconosciuto solo in casi limitati (previsti dall’articolo 235 c.c.), ad iniziativa di soggetti tassativamente indicati (il marito, la madre ed il figlio e, in seguito alle modifiche di cui alla l.- n. 184 del 1983, articolo 81, anche un curatore speciale su istanza del figlio minore che abbia compiuto 16 anni o dal pubblico ministero per i minori infrasedicenni) ed entro i termini di cui all’articolo 244 c.c.

Prima della riforma, la Corte costituzionale aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 244 c.c., nella parte in cui, regolando il termine di decadenza annuale per l’esercizio dell’azione, non aveva previsto che esso potesse decorrere anche dalla scoperta dell’adulterio (sentenza n. 134 del 1985) nonche’ dalla conoscenza dell’impotenza (sentenza n. 170 del 1999). La giurisprudenza costituzionale aveva rilevato, in proposito: “l’irragionevole esclusione del diritto del padre di agire per il disconoscimento, nel caso di scoperta dell’adulterio oltre un anno dopo la nascita del figlio, poiche’ l’azione sarebbe inutiliter data” (sentenza n. 134 del 1985), cosi’ come aveva contestato la ragionevolezza di una previsione che negava l’azione a chi “non (era) stato a conoscenza di un elemento costitutivo dell’azione medesima” (sentenza n. 170 del 1999).

Ancora la Corte Costituzione, con la sentenza n. 50 del 2006, aveva dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 274 c.c., osservando come il giudizio di ammissibilita’ previsto dalla citata norma – non piu’ giustificato alla luce degli sviluppi normativi del diritto di famiglia e del progresso della scienza nei mezzi di ricerca della verifica della paternita’ – si risolva in un grave ostacolo all’esercizio del diritto di azione garantito dalla Cost., articolo 24, e cio’ per giunta in relazione ad azioni volte alla tutela di diritti fondamentali, attinenti allo status ed alla identita’ biologica.

 

Il giudizio di disconoscimento di paternità è pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l’accertamento di altra paternità

Con la sentenza n. 266 del 2006, il giudice delle leggi aveva, poi, dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 235 c.c., nella parte in cui, ai fini dell’azione di disconoscimento, condizionava l’esame delle prove tecniche sulla non paternita’ alla previa dimostrazione di fatti ulteriori: nello specifico, alla prova dell’adulterio. La sentenza n. 266 del 2006 rilevava, infatti, che “(i)l subordinare (…) l’accesso alle prove tecniche, che, da sole, consentono di affermare se il figlio e’ nato o meno da colui che e’ considerato il padre legittimo, alla previa prova dell’adulterio e’, da una parte, irragionevole, attesa l’irrilevanza di quest’ultima prova al fine dell’accoglimento, nel merito, della domanda proposta; e, dall’altra, si risolve in un sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dalla v, articolo 24”.

Con la novella introdotta dal Decreto Legislativo n. 154 del 2013, abrogato l’articolo 235 c.c., la disciplina dell’azione di disconoscimento e’ ora contenuta negli articoli 243 bis c.c. e ss.: all’eliminazione del filtro di previa ammissibilita’, si affiancano l’ampliamento dei soggetti legittimati attivi, la previsione dell’imprescrittibilita’ dell’azione rispetto al figlio, la decadenza quinquennale prevista a carico della madre e del padre che si trovava, al tempo della nascita nel luogo in cui la stessa e’ avvenuta e la generale previsione in forza della quale “chi esercita l’azione e’ ammesso a provare che non sussiste rapporto di filiazione tra il figlio e il presunto padre” (con l’eliminazione dell’originario impianto casistico contenuto nell’articolo 235 c.c.).

Questa Corte ha quindi precisato che il quadro normativo (Cost., articoli 30, 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali della UE, e 244 c.c.) e giurisprudenziale attuale non comporta la prevalenza del “favor veritatis” sul “favor minoris”, ma impone un bilanciamento fra il diritto all’identita’ personale legato all’affermazione della verita’ biologica – anche in considerazione delle avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dell’elevatissimo grado di attendibilita’ dei risultati delle indagini – e l’interesse alla certezza degli “status” ed alla stabilita’ dei rapporti familiari, nell’ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all’identita’ personale, non necessariamente correlato alla verita’ biologica ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all’interno di una famiglia, specie quando trattasi di un minore infraquattordicenne (Cass. n. 27140/2021; cfr. anche, in tema di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita’, Cass. n. 4791/2020).

2.3.L’azione di dichiarazione giudiziale di paternita’ e di maternita’ e’ volta all’accertamento della genitorialita’ biologica, anche in contrasto con quella legittima, in presenza di figli nati al di fuori del matrimonio. La giurisprudenza di legittimita’ ha da tempo chiarito le caratteristiche dell’azione in esame sottolineando come “il favor veritatis, nell’azione giudiziale di paternita’ e maternita’, sorregge un nucleo di diritti inviolabili della persona umana, quali quello alla genitorialita’ e ad uno dei profili costitutivi della propria identita’ personale del quale il richiedente e’ stato privato per effetto del mancato riconoscimento” (Cass. n. 17773 del 2013).

Nell’originaria disciplina della famiglia e della filiazione, in ossequio al favor legitimitatis, erano previsti limiti molto rigorosi all’accertamento di quella che veniva definita la paternita’ naturale: l’articolo 269 c.c. indicava le ipotesi in cui l’azione era esperibile, l’articolo 273 c.c. fissava un termine biennale di decadenza, l’articolo 274 c.c. prevedeva un filtro di ammissibilita’ dell’azione, mentre l’articolo 278 c.c. vietava le indagini sulla paternita’ e maternita’, nei casi in cui il riconoscimento era vietato, anche oltre i limiti degli allora vigenti articoli 251-253 c.c. Malgrado l’eliminazione della tassativita’ delle ipotesi in cui l’azione era esperibile, la previsione della possibilita’ di fornire la prova della genitorialita’ con ogni mezzo, l’indicazione dell’imprescrittibilita’ dell’azione del figlio e l’abrogazione dell’articolo 275 c.c., introdotte dalla riforma del 1975, permanevano delle criticita’ che, prima della riforma degli anni 2012 e 2013, sono state rimosse solo grazie agli interventi della Corte Costituzionale.

 

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Vanno qui richiamate, in particolare, le sentenze n. 341 del 1990 (che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 274 c.c., nella parte in cui, nell’ipotesi di minore infrasedicenne, non prevedeva che l’azione promossa dal genitore esercente la potesta’ fosse ammessa solo quando ritenuta dal giudice rispondente all’interesse del figlio), n. 494 del 2002 (che, incidendo sull’articolo 278 c.c., ha consentito l’accertamento per via giudiziaria dello status filiationis dei figli incestuosi), n. 50 del 2006 (che ha dichiarato illegittimo il filtro di ammissibilita’ dell’articolo 274 c.c.), n. 266 del 2006, la quale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con la Cost., articolo 24, l’articolo 235, comma 1, n. 3, c.c., nella parte in cui ai fini dell’azione di disconoscimento della paternita’ subordina l’esame delle prove tecniche, da cui risulta “che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre”, alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie.

Si e’ cosi’ sancito il definitivo abbandono della presunzione (assoluta) per cui l’interesse del minore coincide e si soddisfa di per se’ con l’acquisizione dello status corrispondente a verita’, richiedendosi una valutazione in concreto del predetto interesse, con particolare riferimento “ai benefici dell’ampliamento della sfera affettiva, sociale ed economica del minore” (aspetto, quello relativo all’interesse del minore nell’attribuzione dello status, sul quale, in ragione dei fatti oggetto della richiesta della Procura generale, non ci si soffermera’ in questa sede).

Con specifico riferimento all’azione in esame, la riforma della filiazione del 2012-2013 non ha dunque introdotto particolari novita’, ad eccezione della previsione della legittimazione passiva in caso di azione proposta dopo la morte del genitore (articolo 276 c.c.). Tuttavia, il sistema binario di necessaria preventiva demolizione dello stato di filiazione ai fini dell’esperimento dell’azione di accertamento giudiziale di genitorialita’, confermato nella Riforma, risulta mitigato, come osservato in dottrina, dalle modifiche apportate alla disciplina dell’azione di disconoscimento della paternita’, le quali hanno fortemente inciso – rendendola piu’ immediata – sulla conseguibilita’ dello status filiationis veridico da parte di chi goda dello stato di figlio nato nel matrimonio: si pensi all’abrogazione dei presupposti tassativi di cui all’articolo 235 c.c., abrogato, e all’attuale formulazione dell’articolo 243, comma 2, c.c., secondo cui, sul piano probatorio, il marito e’ ammesso a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, o ogni altro fatto tendente ad escludere la paternita’.

La riforma si e’ poi mossa, per quanto attiene all’azione in esame, nell’ottica di un rafforzamento dei poteri del figlio (attraverso la previsione dell’imprescrittibilita’ dell’azione di disconoscimento prevista dall’articolo 270 c.c., anche nell’esigenza di assimilazione di tale azione a quella di impugnazione del riconoscimento) e della limitazione del ruolo degli altri soggetti interessati alla vicenda della filiazione (articolo 273 c.c.). Il processo di omogenizzazione della disciplina delle due azioni, di impugnazione del riconoscimento e di disconoscimento, ha condotto all’introduzione di termini prescrizionali, salva l’imprescrittibilita’ riguardo al figlio, per l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita’ (articolo 263, comma 3, c.c.), in particolare prevedendosi che l’azione non possa essere comunque proposta oltre cinque anni dall’annotazione del riconoscimento (ma la Corte Costituzionale, con sentenza del 12 maggio – 25 giugno 2021, n. 133, ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale della richiamata disposizione nella parte in cui non prevede che, per l’autore del riconoscimento, il termine annuale per proporre l’azione di impugnazione decorra dal giorno in cui ha avuto conoscenza della non paternita’), e di un analogo termine decadenziale per l’azione di disconoscimento di cinque anni dalla nascita (articolo 244, ultimo comma, c.c.) per l’esperimento dell’azione di stato per i legittimati diversi dal figlio. Il tutto, in una funzione di contenimento della accresciuta potenziale precarieta’ del rapporto genitoriale, dovuta anche alle sempre piu’ evolute tecniche di accertamento dei legami biologici, anche a distanza di anni, ed allo scopo di proteggere il minore dai pregiudizi derivanti dalla recisione di legami affettivi e relazionali nel frattempo consolidatisi.

 

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2.4.E’ impossibile, nel nostro ordinamento, far valere lo stato di figlio prima di aver rimosso il titolo cui risulta uno status contrastante.

L’articolo 269, comma 1, c.c. pone la regola (comune al riconoscimento, ex articolo 253 c.c. e all’azione di reclamo dello stato di figlio legittimo, ex articolo 239, comma 4, c.c.) in forza della quale la paternita’ e la maternita’ possono essere giudizialmente dichiarate soltanto “nei casi i cui il riconoscimento e’ ammesso” e l’articolo 253 c.c. prescrive che tale atto non e’ ammesso quando si ponga “in contrasto con lo stato di figlio in cui la persona si trova”.

Ne deriva che sia l’accertamento giudiziale positivo della filiazione fuori dal matrimonio sia l’atto di riconoscimento negoziale non possono intervenire quando si pongano “in contrasto” con lo stato di figlio preesistente (articolo 253 c.c.), allo scopo di impedire una sovrapposizione di stati di filiazione tra loro in contrasto, stante il carattere unico ed indivisibile dello status.

Questa Corte ha piu’ volte precisato che “la condizione di “figlio legittimo” e’ ostativa all’accoglimento della domanda di dichiarazione giudiziale di paternita’ da parte di colui che assume di essere il padre biologico, atteso che deve, prima, essere rimosso lo stato di “figlio legittimo”, con accertamento efficace erga omnes” (Cass. n. 27560/2021) e che la rimozione dell’impedimento, costituito ad un diverso stato di figlio, decorre solo dal passaggio in giudicato dell’azione di disconoscimento (Cass. n. 15990/2013).

Nel nostro ordinamento non e’ infatti ammesso il c.d. “riconoscimento di rottura” che, in certi sistemi giuridici, estingue autonomamente,

senza l’intervento del giudice, il titolo di figlio legittimo o figlio naturale riconosciuto.

Presupposto dell’accertamento giudiziale della filiazione fuori dal matrimonio (cosi’ come per il riconoscimento) e’, dunque, la demolizione dello stato di figlio preesistente. Atteso che tale stato e’ provato da un titolo, nell’attuale sistema, e’ richiesto il passaggio in giudicato della sentenza che conclude il giudizio demolitivo dello stato preesistente: giudicato sul disconoscimento della paternita’ (articolo 243 bis c.c. e ss., per quel che rileva in questa sede), sulla contestazione dello stato di figlio (articolo 240 c.c.) o sull’impugnazione del riconoscimento (articolo 263 c.c.).

Come precisato anche da parte della dottrina, il riconoscimento inammissibile ex articolo 253 c.c., non e’ da ritenersi nullo, ma inefficace (atteso che il titolo vigente gli si oppone ab externo), con la conseguenza che, come affermato da tempo da questa Corte (Cass. n. 10838/1997; Cass. n. 2782/1978), il riconoscimento, originariamente inefficace per contrasto con lo stato di figlio nato nel matrimonio, diviene efficace ex tunc, ove sia accolta l’azione di disconoscimento della paternita’.

 

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2.5. E’ utile fare richiamo ai recentissimi interventi del 2022 della Corte Costituzionale e della Corte EDU, nonche’ ad alcuni cenni di diritto comparato.

Sulla scelta di garantire il carattere unico e indivisibile dello status, si e’ recentemente pronunciata la Corte Costituzionale (sentenza n. 177 del luglio 2022), chiamata ad intervenire su questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 269 c.c., in rapporto all’articolo 253 c.c., sollevata dalla Corte di appello di Salerno, affermando che la scelta di richiedere la previa demolizione in via giudiziale dello status, anziche’ una sua rimozione automatica per effetto del successivo accertamento di un’identita’ contrastante, ha una duplice spiegazione: a) anzitutto, l’esigenza di “evitare un’instabilita’ e un’incertezza dello status” dal quale si diramano plurimi effetti, in campo pubblicistico e privatistico, atteso che “lo status e’ comprovato da un titolo, dotato di funzione certativa erga omnes, in quanto fondato su presunzioni legali o sull’atto di riconoscimento”, precisandosi che “quando non erano ancora disponibili le cosiddette prove scientifiche (in specie, i test genetici), non si sarebbe giustificata una sua caducazione solo in quanto contraddetto dall’accertamento di un diverso e confliggente status, all’esito di un giudizio che si avvaleva di mezzi di prova connotati da un tasso di affidabilita’ limitato (di regola, presunzioni e testimonianze)”, ragione questa, prosegue il Giudice delle leggi, oggi “fortemente incrinata dall’evoluzione della scienza, che ha reso disponibili prove capaci di offrire un grado elevatissimo di affidabilita’ nel dimostrare la sussistenza o insussistenza di un vincolo biologico (in proposito, Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 6 ottobre 2021, n. 27140)”, con la conseguenza che, rispetto al passato, in cui lo status, comprovato dal titolo, si caratterizzava per una notevole resistenza, “attualmente i nuovi accertamenti disponibili potrebbero suggerire soluzioni differenti, come, per l’appunto, la caducazione dello status antecedente, con il relativo titolo, quale effetto di un nuovo accertamento con esso incompatibile”; b) l’esigenza della previa azione demolitiva risiede, ad avviso della Corte Costituzionale, anche nel fine di dovere “assicurare a chi e’ gia’ titolare dello status di genitore di essere parte, e dunque di avere una congrua tutela sostanziale e processuale, nel giudizio che puo’ incidere sul suo legame familiare”, rilevandosi come un intervento sull’articolo 269 c.c. che escludesse la necessita’ dell’azione demolitiva dovrebbe garantire, in altro modo, un’adeguata protezione a chi e’ titolare del precedente status, il quale e’ propriamente parte solo nel giudizio in cui e’ contestato lo status preesistente.

Alla luce delle predette considerazioni, la Corte costituzionale ha concluso che, nonostante si tratti di una disposizione “non priva di criticita’ sotto il profilo costituzionale”, “per rimuovere il vulnus lamentato dal giudice a quo, eliminando la condizione del giudizio demolitivo del precedente status, sarebbe necessaria – alla luce dell’evoluzione delle tecniche di accertamento della filiazione – una riforma di sistema idonea a farsi carico di molteplici profili” e della complessita’ degli interessi, di rango costituzionale, coinvolti, ad es. dovendosi disporre, nel giudizio intrapreso per l’accertamento della nuova identita’, l’intervento necessario del genitore che vanta, sulla base del preesistente titolo, un legame familiare, e conseguentemente, rientrando nei compiti del legislatore procedere ad una “revisione organica della materia in esame” (revisione gia’ da tempo auspicata da Corte Cost. n. 100 del 2022, ma cfr. anche sentenze n. 143, n. 100 e n. 22 del 2022, n. 151, n. 32 e n. 33 del 2021; n. 80 e n. 47 del 2020, n. 23 del 2013) e stante il carattere generico del petitum, ha dichiarato inammissibile la questione prospettata in via principale.

 

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E’ stata poi dichiarata inammissibile anche la questione di illegittimita’ costituzionale sollevata dai giudici remittenti in via subordinata, in ordine alla possibilita’ di addivenire d una sentenza dichiarativa della paternita’ o della maternita’ condizionata sospensivamente all’esito del giudizio demolitivo, la cui necessita’ non veniva, in questo caso, messa in discussione, in quanto l’intervento additivo richiesto avrebbe condotto ad una eccessiva manipolazione del sistema, invertendo radicalmente l’ordine di proposizione delle due azioni fissato dal codice, peraltro in una materia, quella processuale, riservata al legislatore.

La Corte, nel dichiararne l’inammissibilita’, evidenzia come la introduzione nel sistema di una “sentenza condizionata” si ponga in contrasto con il “principio di discrezionalita’ del legislatore nella disciplina della materia processuale, salvo che la stessa palesi una “manifesta irragionevolezza o arbitrarieta’ delle scelte compiute”. Riguardo alle implicazioni processuali che derivano dal collegamento dell’articolo 269 e dell’articolo 253 c.c., si e’ dato conto che vi e’ stata un’evoluzione della giurisprudenza di legittimita’, che appare avviata verso una configurazione della necessaria rimozione del pregresso status non piu’ come presupposto processuale dell’azione di dichiarazione giudiziale della paternita’ (o maternita’) che rende inammissibili o improponibile la domanda (Cass. n. 8190/1998), ma come questione pregiudiziale in senso tecnico-giuridico, non ostativa alla proposizione della domanda ma solo al suo accoglimento, il che renderebbe necessaria una sospensione del giudizio pregiudicato in attesa della definizione del giudizio pregiudiziale (Cass. n. 17392/2018), rilevandosi che tale soluzione ermeneutica della sospensione ex articolo 295 c.p.c. del giudizio e articolo 269 c.p.c. non sarebbe applicabile nel giudizio a quo, nel quale non era stato neppure ancora avviato il processo relativo al disconoscimento di paternita’, e comunque essa e’ idonea solo a “temperare” non anche a sanare l’asserito vulnus ai principi costituzionali. In particolare, si e’ evidenziato che ” se e’ vero che l’esistenza di un nesso di pregiudizialita’ tecnica tra i due giudizi consente la loro proposizione cumulativa (articolo 103 c.p.c.) o la loro riunione per connessione (articolo 274 c.p.c.), si tratta di facolta’ non sempre esperibili: nello specifico, la riunione dipende dallo stadio di avanzamento dei due giudizi”.

La declaratoria di inammissibilita’ non ha comunque impedito alla Corte di precisare le criticita’ del sistema vigente, che richiede la previa demolizione in via giudiziale dello status.

In particolare, la Corte ha sottolineato come “la necessita’ di un giudizio articolato in piu’ gradi, che si concluda con una sentenza passata in giudicato demolitiva del precedente status, costituisce, in effetti, un onere gravoso a carico del figlio che intenda far accertare la propria identita’ biologica, e rischia di risolversi, oltre che in una violazione del principio di ragionevole durata del processo (Cost., articolo 111, comma 2), in un ostacolo all’esercizio del diritto di azione garantito dalla Cost., articolo 24, e cio’ per giunta in relazione ad azioni volte alla tutela di diritti fondamentali, attinenti allo status ed alla identita’ biologica” (par. 7).

 

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Una seconda criticita’ risiede, ad avviso della Corte, nel rischio per il figlio “di rimanere privo di status: quello oramai demolito e quello che potrebbe non palesarsi all’esito del successivo giudizio; rischio particolarmente grave quando riguardasse un minore, il cui interesse ai legami familiari merita – com’e’ noto – particolare tutela (si vedano le sentenze di questa Corte n. 127 del 2020 e n. 272 del 2017 e, in una prospettiva analoga, le pronunce della Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza n. 27140 del 2021 e sentenza 22 dicembre 2016, n. 26767)” (par. 7).

Si e’ dunque evidenziato come sia tempo di rivedere in termini semplificanti il rapporto tra demolizione e accertamento dello stato, in quanto il sistema duale, se prima dell’avvento delle prove genetiche era funzionale al raggiungimento della certezza in ordine alla non veridicita’ dello stato di filiazione in essere, ora e’ divenuto inattuale stante il carattere di preminenza del risultato dell’esame genetico, idoneo a provare o negare la genitorialita’ con un grado di sostanziale certezza.

La Corte EDU, nella sentenza del 6/12/2022 sopra citata, ha fatto, come gia’ rilevato, ampio richiamo alla pronuncia della Consulta n. 177/2022.

L’Ufficio del Massimario e del Ruolo di questa Corte ha evidenziato, nella Relazione redatta ai fini del presente procedimento, che la regola in forza della quale il riconoscimento non e’ efficace sino a quando sussiste la paternita’ di un altro uomo e’ comune a molti ordinamenti Europei (Francia, Germania, Spagna). In Austria, invece, e’ stata adottata una soluzione diversa, consentendosi l’accertamento dello stato di filiazione anche in contrasto con uno stato preesistente, con previsione di un meccanismo di caducazione dello status precedente. La paternita’ del marito della madre puo’ essere annullata da un riconoscimento “di rottura” da parte di un altro uomo, con una procedura di c.d. “scambio di paternita’” (§ 150 ABGB: il figlio puo’ agire per la dichiarazione di paternita’ anche in presenza di uno stato preesistente incompatibile e, in caso di successo, essa e’ di per se’ in grado di provocare la caducazione dello stato incompatibile e dunque di fatto una scambio di paternita’) e attraverso l’accertamento del “difetto di paternita’ del marito della madre”. In particolare, per il riconoscimento della paternita’ “di rottura”, il § 147 ABGB dispone che la paternita’ di un uomo gia’ stabilita (in forza di un matrimonio o di un provvedimento del tribunale) puo’ essere rimossa e tale riconoscimento diventa efficace solo a seguito del consenso del figlio (che, se minorenne, deve essere accompagnata dall’indicazione da parte della madre del nome dell’uomo che ha effettuato il riconoscimento quale padre del nato) prestato in forma pubblica.

In Austria, Germania, Olanda, Spagna e in Portogallo, inoltre, le due azioni possono essere promosse nello stesso processo.

2.6. In ordine ai profili processuali relativi al rapporto tra azione di disconoscimento di una e di accertamento di altra paternita’, occorre, anzitutto, chiarire se la rimozione dello status di figlio costituisca un presupposto processuale della domanda o una questione pregiudiziale in senso tecnico-giuridico.

 

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All’esito della pronuncia di incostituzionalita’ della preventiva delibazione che connotava il giudizio avente ad oggetto la dichiarazione giudiziale di maternita’ o paternita’, ai sensi dell’articolo 274 c.c. (sentenza della Corte Cost. n. 50 del 2006), non appare piu’ predicabile l’assunto secondo cui la rimozione del preesistente status di figlio costituirebbe un “presupposto processuale della domanda”.

Questo giudice di legittimita’, prima della suddetta declaratoria di incostituzionalita’ di tale disposizione, aveva ritenuto che tra i motivi di improponibilita’ della domanda (che potevano, da soli, risolvere la lite, portando ad una declaratoria di inammissibilita’) fosse ricompresa la richiesta di riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio “legittimo” (Cass. n. 7447/1993; Cass. n. 7644/1995; Cass. n. 8190/1998) o legittimato, proprio ragionando sulla previgente formulazione dell’articolo 274 c.c. (ormai abrogata). Nel precedente del 1998 (richiamato dal Tribunale di Roma nella sentenza del 2018 attinente alla vicenda che ha dato luogo alla richiesta della P.G. in esame) si affermava che “il giudizio instaurato per la dichiarazione della paternita’ o maternita’ naturale ha inizio con l’accertamento della previa ammissibilita’ della relativa domanda (articolo 274 c.c.), e prevede una prima fase procedimentale (collegata, senza soluzione di continuita’ sul piano processuale, a quella, eventuale e successiva, che conduce alla pronuncia sullo stato della persona) in cui il giudice adito e’ tenuto ad esaminare, con pienezza di cognizione, le questioni preliminari non soltanto di rito, ma anche di merito, e, tra esse, la esistenza di motivi di improponibilita’ della domanda che possano gia’, “ex se”, risolvere immediatamente la controversia, con la conseguenza che l’azione predetta va dichiarata inammissibile se proposta in presenza della situazione prevista dal precedente articolo 253 c.c. (richiesta di riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio legittimo o legittimato)”.

Con riferimento alla seconda questione, si possono ripercorrere le risposte della giurisprudenza di legittimita’ e di merito alla qualificazione del rapporto tra le due azioni in esame.

 

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Un primo orientamento, piu’ risalente nel tempo e piu’ volte invocato a sostegno della tesi ermeneutica sostenuta nella sentenza del Tribunale di Roma (che, si rammenta, ha dichiarato inammissibile la domanda di dichiarazione giudiziale di paternita’), si e’ formato con riferimento a fattispecie diverse rispetto a quella in esame.

Deve anzitutto rammentarsi che, gia’ nella sentenza n. 14315 del 2001, questa Corte aveva affermato che il padre naturale non e’ legittimato neppure ad intervenire in appello in un giudizio di disconoscimento della paternita’, essendo tale legittimazione riconosciuta a chi potrebbe proporre opposizione ai sensi dell’articolo 404 c.p.c., rimedio esperibile solo da chi faccia valere un diritto autonomo e incompatibile col rapporto giuridico accertato o costituito dalla sentenza opposta, e quindi solo a favore di chi sia pregiudicato in un suo diritto. Il principio e’ stato ribadito in Cass. n. 1784/2012 (“nel giudizio per il disconoscimento della paternita’, non e’ ammissibile l’intervento di colui che e’ indicato come padre naturale, non potendo la controversia sul relativo riconoscimento avere ingresso sino a quando la presunzione legale di legittimita’ della filiazione non sia venuta meno con il vittorioso esperimento dell’azione di disconoscimento”)

Orbene, con sentenza del 9 giugno 2005 n. 12167, questa Corte ha affermato che colui verso cui sia stata proposta l’azione di accertamento della paternita’ non e’ titolato a contrastare, con l’opposizione di terzo semplice, la pronuncia con cui e’ stata accolta l’azione di disconoscimento della paternita’ legittima proposta, verso altro soggetto, da colui che si affermi suo figlio (nella specie, (OMISSIS) aveva appreso dalla madre di essere figlio di (OMISSIS) e non del marito della stessa, (OMISSIS), aveva proposto ricorso, il Giudice aveva dichiarato ammissibile l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternita’ nei confronti di (OMISSIS) ed il Tribunale aveva dichiarato che egli non era figlio di (OMISSIS); tanto premesso, l’attore aveva poi chiesto che venisse dichiarata ammissibile l’azione per la dichiarazione della paternita’ nei confronti di P.G., il quale costituendosi, aveva contestato la fondatezza della domanda e chiesto la sospensione del giudizio, ex articolo 295 c.p.c., fino alla definizione di quello di opposizione di terzo, da lui introdotto ai sensi dell’articolo 404 c.p.c. avverso la sentenza con cu il Tribunale aveva disconosciuto la paternita’ di (OMISSIS); nel caso esaminato, pertanto, l’esclusione del nesso di pregiudizialita’ e’ stata argomentata da questa Corte, in forza del rilievo per cui la paternita’ legittima non puo’ essere ne’ messa in discussione ne’ difesa da colui che e’ indicato come padre naturale, atteso che, quando si deduce che l’esito positivo dell’azione di disconoscimento di paternita’ si riverbera sull’azione di riconoscimento della paternita’ promossa nei suoi confronti, egli in realta’ si limita a far valere un “pregiudizio di mero fatto”, laddove il rimedio contemplato dall’articolo 404 c.p.c. presuppone, in capo all’opponente, un diritto autonomo la cui tutela sia incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza impugnata).

Il predetto principio e’ stato ribadito anche nella sentenza n. 430 del 16 gennaio 2012, per affermare che ne’ colui che sia indicato come padre naturale, ne’ i suoi eredi, sono legittimati passivi nel giudizio di disconoscimento della paternita’ e che la sentenza che accoglie la domanda di disconoscimento e’ opponibile nei confronti di tali soggetti, anche se non hanno partecipato al relativo giudizio ed anche in Cass. n. 12211/2012; ad analoghe conclusioni, giunge anche la successiva sentenza n. 487 del 13 gennaio 2014 (relativa, ancora, ad un’opposizione di terzo proposta dall’asserito padre naturale avverso una sentenza che aveva accolto la domanda di disconoscimento della paternita’), nella quale si e’ dichiarata manifestamente infondata, in relazione alla Cost., articoli 24, 29 e 30, la questione di legittimita’ costituzionale degli articoli 244 c.c., 395, n. 1, e 404 c.p.c., nella parte in cui limitano la proponibilita’ dell’opposizione di terzo o l’intervento del soggetto indicato come padre naturale, o dei suoi eredi, nel giudizio di disconoscimento di paternita’, promosso da colui che solo all’esito del positivo esperimento di tale azione potra’ chiedere il riconoscimento di paternita’, precisandosi come l’insussistenza del nesso di pregiudizialita’ tra i due giudizi discenda anche dal fatto che “ne’ colui che sia indicato come padre naturale, ne’ i suoi eredi, sono legittimati passivi nel giudizio di disconoscimento della paternita’ e la sentenza che accoglie la domanda di disconoscimento e’ opponibile nei confronti di tali soggetti, anche se non hanno partecipato al relativo giudizio”. La posizione del padre naturale rispetto al giudizio demolitorio dello status si trova riaffermata in Cass. n. 20953/2018 (relativamente a giudizio di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita’ ex articolo 263 c.c.), Cass. n. 18601/2021, Cass. n. 27560/2021 (ove si chiarisce che il padre biologico, non legittimato a promuovere il giudizio di disconoscimento della paternita’, ne’ potendo intervenire in tale giudizio o promuovere l’opposizione di terzo contro la decisione ivi assunta – in qualita’ di “altro genitore”, puo’ comunque chiedere, ai sensi dell’articolo 244, comma 6, c.c., la nomina di un curatore speciale, che eserciti la relativa azione, nell’interesse del presunto figlio infraquattordicenne).

Il secondo orientamento, fatto proprio da questa Corte nella richiamata (in sede di richiesta ex articolo 363 c.p.c.) ordinanza n. 17392 del 3 luglio 2018, si pronuncia sulla specifica questione (diversa da quella esaminata dalle pronunce appena richiamate) dell’influenza che l’accoglimento della domanda di disconoscimento e’ idonea a spiegare sul giudizio di dichiarazione giudiziale di paternita’, avendo proprio riguardo alla condizione posta dall’articolo 269, comma 1, c.c., adottando una soluzione interpretativa gia’ affermata, come sopra rammentato, dalla Corte con riferimento al riconoscimento (invero, gia’ con sentenza n. 10838 del 5.11.1997, si era, infatti, affermato che un riconoscimento originariamente improduttivo di effetti giuridici, in quanto in contrasto con lo stato di figlio legittimo del riconosciuto, diventa efficace ex tunc a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di disconoscimento della paternita’), nel senso di uno stemperamento della rigidita’ del sistema binario demolitivo-accertativo.

Nel caso portato all’attenzione della Corte, l’attrice aveva convenuto in giudizio gli eredi di (OMISSIS), defunto, chiedendo di accertare che costui era suo padre. Con successivo atto, la stessa aveva poi evocato in giudizio la propria madre e le altre figlie di (OMISSIS) affinche’ venisse disconosciuta la paternita’ di quest’ultimo. Il Tribunale di Torino, ex articolo 295 c.p.c., aveva disposto la sospensione del giudizio. Contro tale provvedimento alcuni eredi di (OMISSIS) avevano proposto regolamento di competenza, evidenziando come il disconoscimento della paternita’ non avrebbe potuto costituire l’antecedente logico-giuridico dell’accertamento della paternita’, che doveva essere dichiarato inammissibile.

Questa Corte, dopo aver precisato che i principi affermati dalle richiamate sentenze n. 12167 del 2005 e n. 487 del 2014 avevano scrutinato il nesso tra i due giudizi da angolazioni diverse rispetto a quella rilevante nel caso di specie, ha richiamato il disposto dell’articolo 253 c.c. (“in nessun caso e’ ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio in cui la persona si trova”), per sottolineare come l’accertamento contenuto in una sentenza che accoglie l’azione di disconoscimento di paternita’ ha efficacia ultra partes e retroattiva travolgendo, con effetti ex tunc, lo stato fino a quel momento goduto dal figlio (come gia’ piu’ volte affermato da Cass. n. 2782 del 1978; Cass. n. 10838 del 1997; Cass., n. 430 del 2012) e, dunque, “non puo’ non riverberarsi sul giudizio di accertamento pendente determinando, nel caso di vittorioso esperimento dell’azione di disconoscimento, il definitivo venir meno di quella condizione (di figlio legittimo) che era originariamente ostativa all’accoglimento della domanda di dichiarazione giudiziale di paternita’”.

Tanto premesso, prosegue la Corte, non sembra contestabile che l’accertamento con cui viene rimosso (o mantenuto) lo stato di figlio legittimo sia “pregiudiziale rispetto a quello con cui e’ rivendicata altra paternita’”. Viene ravvisato, pertanto, un nesso di pregiudizialita’ in senso tecnico-giuridico che giustifica la sospensione, cosi’ da evitare pronunce contrastanti (ove, in particolare, la domanda di dichiarazione giudiziale di paternita’ venisse, in ipotesi, accolta, laddove, per effetto del rigetto dell’azione di disconoscimento, non potrebbe esserlo).

In termini piu’ ampi, questa Corte osserva altresi’ che la tesi della inammissibilita’ del giudizio ex articolo 269 c.c., pendente quello demolitivo, porterebbe all’irragionevole risultato di condurre ad una pronuncia di inammissibilita’ anche nell’ipotesi in cui “successivamente all’introduzione di quel giudizio, ma prima della pronuncia che lo definisca, la res iudicata in questione si sia formata”. Ancora con riferimento al rapporto di pregiudizialita’, questa Corte sottolinea come non costituisca ostacolo alla pronuncia ex articolo 295 c.p.c. il fatto che il giudizio pregiudicante intercorra tra soggetti diversi. In particolare si sottolinea come il rapporto di pregiudizialita’ viene escluso tra causa pendenti tra soggetti diversi allo scopo di evitare che la parte rimasta estranea ad uno di essi possa eccepire l’inopponibilita’, nei propri confronti, della relativa decisione, ma tale eventualita’ e’ da escludere nel rapporto tra disconoscimento della paternita’ ed accertamento di altra paternita’ atteso che la sentenza resa in esito al giudizio di disconoscimento ha efficacia erga omnes.

Il principio affermato nella sentenza del 2018 e’ stato poi ribadito nella successiva ordinanza n. 19956 del 13 luglio 2021 (nella quale la Corte ha altresi’ precisato come, nel giudizio di accertamento della paternita’ di un minore nato in costanza di matrimonio, promosso a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che ha accolto la domanda di disconoscimento della paternita’ del marito della madre, l’eccezione di tardivita’ di quest’ultima azione, formulata dal presunto padre, debba ritenersi inammissibile perche’ la sentenza che accoglie la domanda di disconoscimento della paternita’ assume autorita’ di cosa giudicata erga omnes, opponibile anche al presunto padre, anche se non ha partecipato al relativo giudizio).

Secondo una dottrina, che ha condiviso l’indirizzo espresso dal giudice di legittimita’, proprio i termini utilizzati nell’articolo 269 c.c. orientano nel senso fatto proprio dalla Cassazione: la norma, infatti, afferma come il diverso status filiationis preclude la dichiarazione (vale a dire la sentenza che accerta) della filiazione al di fuori del matrimonio e non la richiesta (cioe’ la domanda) di tale dichiarazione. Lo stesso autore ha evidenziato, altresi’, come la soluzione suggerita dalla Corte presenti vantaggi anche in termini di economia processuale (atteso che, di fronte ad un’azione ricostruttiva della filiazione proposta prima della demolizione dello status preesistente, non costringe le parti ed il giudice ad un’immediata pronuncia di inammissibilita’) e di ragionevole durata del processo. Ad avviso di questa parte della dottrina, inoltre, la tesi in esame presenterebbe una valenza rivoluzionaria, consentendo al padre naturale di prendere parte al giudizio di disconoscimento.

2.7. La giurisprudenza di merito registra, parimenti, due orientamenti contrastanti: a) in forza del primo orientamento, parte della giurisprudenza ha dichiarato inammissibili le domande volte ad ottenere la dichiarazione giudiziale di paternita’, ove proposte nel medesimo giudizio avente ad oggetto il disconoscimento della paternita’ (Trib. Roma 19.1.2017 n. 914, chiamata a pronunciarsi sulla domanda di disconoscimento proposta dall’uomo che aveva effettuato al momento della nascita il riconoscimento – e che, solo molti anni dopo, aveva scoperto non essere il padre – nei confronti di colei che risultava sua figlia, ha dichiarato improcedibile la domanda riconvenzionale spiegata da quest’ultima, avente ad oggetto la dichiarazione giudiziale di paternita’ nei confronti del padre biologico, evocato in giudizio dall’attore; le medesime argomentazioni sono contenute nella successiva sentenza del Tribunale di Roma n. 14782 del 17.7.2018 – dalla quale ha preso le mosse la presente richiesta della Procura generale – che, chiamata a pronunciarsi rispetto ad una domanda di disconoscimento pendente in grado di appello, ha escluso la possibilita’ di disporre la sospensione ex articolo 295 c.p.c., in forza dei principi affermati dalla Suprema Corte in merito alla diversa fattispecie relativa all’opposizione di terzo proposta dall’asserito padre naturale avverso una sentenza che aveva accolto la domanda di disconoscimento della paternita’, nelle pronunce sopra esaminate; in conformita’, Tribunale di Bari, nella sentenza n. 1038 del 25.2.2016, relativa ad un giudizio nel quale erano state contestualmente proposte la domanda di disconoscimento di paternita’, in via principale, e quella di dichiarazione giudiziale di altra paternita’, in via riconvenzionale, ed il Tribunale di Nola, nella sentenza n. 1971 del 26.9.2019, nella quale, pur condivisi i principi affermati dalla Suprema Corte nell’ordinanza n. 17392 del 2018, con riferimento alla sospensione ex articolo 295 c.p.c., il Tribunale si limita ad osservare come, in assenza di contestualita’ processuale delle due azioni, non possa farsi applicazione di detta norma); b) un secondo orientamento si e’ espresso, al contrario, in modo favorevole alla contestuale proposizione della domanda di disconoscimento della paternita’ e di dichiarazione giudiziale di altra paternita’, ritenendo ammissibile un provvedimento di separazione delle cause e conseguente sospensione ex articolo 295 c.p.c., (Tribunale di Crotone, sentenza n. 633 del 18.5.2019, chiamato a decidere sulla domanda formulata dal curatore speciale nell’interesse di un minore avente ad oggetto entrambe le domande, disconoscimento e dichiarazione giudiziale di altra paternita’, ha ritenuto sussistente un rapporto di pregiudizialita’ di una controversia rispetto all’altra e, previa separazione delle domande, ha disposto la sospensione del giudizio relativo alla domanda ex articolo 269 c.p.c.; anche il Tribunale di Modena, nella sentenza n. 282 del 1.3.2019, ha richiamato i principi affermati dalla Corte nell’ordinanza n. 17392/2018, espressamente condividendoli, salvo poi concludere per una declaratoria di inammissibilita’ della domanda di accertamento giudiziale di paternita’ atteso che, nel caso di specie, la parte non aveva proposto alcuna domanda, ne’ nel giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Modena, ne’ in altro giudizio, volta ad accertare il difetto di veridicita’ del riconoscimento di paternita’ effettuato da altri).

2.8. Venendo quindi alla questione centrale relativa al nesso di pregiudizialita’ tecnico giuridica tra i due procedimenti e alla possibilita’ di sospensione ex articolo 295 c.p.c., la richiesta della Procura Generale prospetta i seguenti aspetti problematici: se il giudizio di disconoscimento possa ritenersi pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l’accertamento di altra paternita’ e se, nel caso della loro contemporanea pendenza, si applichi l’istituto della sospensione per pregiudizialita’ ex articolo 295 c.c..

In ordine al concetto di pregiudizialita’ (in ambito civilistico), cui fa riferimento quello di dipendenza enunciato dall’articolo 295 c.p.c. e che presuppone l’analisi del rapporto di possibile interferenza fra decisioni, la pregiudizialita’ si risolve, pertanto, in una relazione che lega due questioni e si qualifica come rapporto di antecedenza logica.

Il nesso sostanziale di pregiudizialita’ si manifesta, in primo luogo, nella dipendenza logica di una controversia rispetto all’altra, all’interno di uno stesso rapporto giuridico (a titolo di esempio, la giurisprudenza della Suprema Corte ha qualificato in termini di pregiudizialita’ logica il rapporto tra eccezione di inadempimento e volonta’ della parte di avvalersi della clausola risolutiva espressa, Cass. n. 21115 del 16/09/2013 e piu’ di recente, negli stessi termini, Cass. n. 27692 del 12/10/2021) e, in secondo luogo, nella dipendenza tecnica, che intercorre tra rapporti giuridici diversi ed e’ tale per cui l’esistenza di uno dipende dall’esistenza o inesistenza dell’altro (questa Corte, nell’ordinanza n. 3936 del 18/02/2008, ha ravvisato un rapporto di pregiudizialita’ tecnica tra una domanda di restituzione di somme, proposta dalla parte nell’asserita veste di erede testamentario universale, e quella spiegata dal terzo al quale le somme erano state versate, volta ad ottenere la nullita’ o l’annullamento del testamento; cfr. anche Cass. 15353/2010, ove, chiarendosi che “la sospensione ex articolo 295 c.p.c. presuppone l’esistenza di un nesso di pregiudizialita’ sostanziale, ossia una relazione tra rapporti giuridici sostanziali distinti ed autonomi (dedotti in via autonoma in due diversi giudizi), uno dei quali (pregiudiziale) integra la fattispecie dell’altro (dipendente), in modo tale che la decisione sul primo rapporto si riflette necessariamente, condizionandola, sulla decisione del secondo”, si e’ escluso che un giudizio di appello dovesse essere sospeso, ai sensi dell’articolo 295 c.p.c., per effetto della proposizione di un’opposizione di terzo ex articolo 404 c.p.c.).

In sostanza, quando si verta in ipotesi di rapporti giuridici distinti ed autonomi, la pregiudizialita’ tecnico-giuridica consiste in una relazione tra rapporti giuridici sostanziali, uno dei quali (pregiudiziale) integra la fattispecie dell’altro (dipendente) in modo tale che la decisione sul primo rapporto si riflette necessariamente, condizionandola, sulla decisione del secondo.

Queste Sezioni Unite hanno ribadito di recente (Cass. n. 21763/2021) che “il concetto di dipendenza fra decisioni puo’ presupporre a sua volta l’esistenza di un rapporto di dipendenza fra le cause e, in tale accezione, il nesso di pregiudizialita’ e’ posto in collegamento con la disposizione generale contenuta nell’articolo 34 c.p.c., che regola, tra le norme dedicate alle modificazioni della competenza per ragioni di connessione, l’istituto degli accertamenti incidentali, generalmente considerato come espressione di una ratio omologa a quella dell’articolo 295 c.p.c.”. Pertanto, al termine pregiudizialita’, attesa l’identita’ delle situazioni disciplinate dagli articoli 34 e 295 c.p.c. (diverse, quanto agli effetti, ma analoghe quanto ai presupposti), puo’ attribuirsi il comune scopo di eliminare il rischio di giudicati contrastanti.

In merito al fatto che, nel caso in esame, il giudizio pregiudicante intercorre tra soggetti diversi, si puo’ rilevare che, come gia’ sottolineato nell’ordinanza n. 17392 del 2018, avendo la sentenza resa in esito al giudizio di disconoscimento efficacia erga omnes, non puo’ ravvisarsi la possibilita’ che la parta rimasta estranea ad uno dei due giudizi possa eccepire l’inopponibilita’ nei propri confronti. Inoltre, non essendo consentito un accertamento in via incidentale su una questione di stato della persona, per evitare il conflitto di giudicati, non puo’ neanche invocarsi la possibilita’ del giudice di evitare la sospensione ex articolo 295 c.p.c. facendo ricorso al potere di conoscere incidenter tantum delle questioni pregiudiziali, allo stesso riconosciuto dall’articolo 34 c.p.c..

In effetti, la sospensione necessaria prevista dall’articolo 295 c.p.c. stabilisce che “il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa”.

La novella del 1990 ha portato dottrina e giurisprudenza ad un’interpretazione fortemente restrittiva delle ipotesi di sospensione necessaria, anche in ossequio al principio di economia processuale declinato nella prospettiva della ragionevole durata del processo (articoli 6 CEDU e Cost., 111, comma 2) e di effettivita’ della tutela giurisdizionale (Cost., articolo 24). Tale interpretazione e’ stata fatta propria da queste Sezioni Unite che, nella pronuncia n. 10027 del 2012, hanno affermato che l’istituto processuale della sospensione necessaria e’ costruito sui seguenti tre presupposti: 1) “la rilevazione del rapporto di dipendenza che si effettua ponendo a raffronto gli elementi fondanti delle due cause, quella pregiudicante e quella in tesi pregiudicata”; 2) “la conseguente necessita’ che i fatti siano conosciuti e giudicati, secondo diritto, nello stesso modo”; 3) “lo stato di incertezza in cui il giudizio su quei fatti versa, perche’ controversi tra le parti”.

La sospensione prevista dall’articolo 295 c.p.c. presuppone, quindi, ad avviso della Corte, le seguenti condizioni: che sussista un rapporto di pregiudizialita’-dipendenza tra due situazioni sostanziali; che queste ultime siano entrambe dedotte in giudizio; che non si realizzi o in virtu’ dell’articolo 34 c.p.c. o per effetto degli articoli 40 e 274 c.p.c. la simultaneita’ del processo.

Piu’ di recente, queste Sezioni Unite (Cass. n. 21763/2021), investite in merito alla questione di massima di particolare importanza relativa al rapporto tra la sospensione necessaria e facoltativa, ha condiviso l’orientamento espresso nel 2012 (sebbene con alcuni distinguo ritenuti necessari allo scopo di raggiungere l’obiettivo di “un’equilibrata efficienza dell’amministrazione della giustizia nel suo complesso”), ulteriormente precisando che “in tema di sospensione del giudizio per pregiudizialita’ necessaria, salvi i casi in cui essa sia imposta da una disposizione normativa specifica che richieda di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante, quando fra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialita’ tecnica e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato non puo’ ritenersi obbligatoria ai sensi dell’articolo 295 c.p.c. (e, se disposta, puo’ essere proposta subito istanza di prosecuzione ex articolo 297 c.p.c.), ma puo’ essere adottata, in via facoltativa, ai sensi dell’articolo 337, comma 2, c.p.c., applicandosi, nel caso del sopravvenuto verificarsi di un conflitto tra giudicati, il disposto dell’articolo 336, comma 2, c.p.c.”.

Ora, nel caso in esame, trattandosi di accertamenti relativi allo stato delle persone, non e’ possibile una pronuncia incidentale (ex articolo 34 c.p.c.) ed e’ la legge a richiedere espressamente di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante (come risulta dal combinato disposto degli articoli 253 e 269 c.c., cosi’ come interpretati dalla costante giurisprudenza di legittimita’ sopra richiamata).

Risulta, pertanto, che – a fronte della contemporanea pendenza di un procedimento di disconoscimento di paternita’ e di un altro procedimento volto alla dichiarazione giudiziale di altra paternita’ – stando all’interpretazione fornita da queste Sezioni Unite, non puo’ escludersi la necessita’ di una sospensione obbligatoria ex articolo 295 c.p.c..

Ovviamente, come anche rilevato dalla Corte Costituzionale nella pronuncia n. 177/2022, l’affermazione, nell’interesse della legge ai sensi dell’articolo 363 c.p.c., del principio di diritto proposto non risolve tutte le criticita’ ma opera solo un temperamento.

Infatti, il principio, laddove ricorre all’istituto della sospensione necessaria ex articolo 295 c.p.c., a fronte di una pregiudizialita’ tecnico-giuridica, non stravolge l’attuale assetto normativo “duale” sopra descritto, ribadendo anzi la necessita’ di far risolvere, con efficacia di giudicato, la questione sullo status pregresso, sollevata con specifica domanda, prima di decidere l’altra, di carattere dipendente, inerente alla domanda di accertamento della filiazione fuori dal matrimonio.

La richiesta non risulta meramente astratta, in quanto nel giudizio definito dal Tribunale di Roma nel 2018, si era proprio negata la sospensione necessaria ex articolo 295 c.p.c. del giudizio di dichiarazione giudiziale di paternita’ in attesa della definizione del pendente giudizio di disconoscimento.

Potrebbe, peraltro, verificarsi l’ipotesi (come nella controversia pendente dinanzi alla Corte d’appello di Salerno che ha ritenuto di investire la Corte Costituzionale, nel 2021) in cui il previo giudizio di disconoscimento non sia stato neppure avviato al momento della proposizione dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternita’.

E pertanto la Consulta, nella sentenza n. 177/2022, ha ritenuto necessario un intervento organico e di sistema del legislatore.

2.9.I limiti posti dall’articolo 363 c.p.c. nell’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge (cfr. Cass. Sez.Un. 404/2011), in rapporto alla necessita’ che esso non trascenda la valutazione delle violazioni di legge contenute nel provvedimento concretamente assunto, non piu’ ricorribile in cassazione ne’ altrimenti impugnabile, e abbia stretta attinenza con le questioni oggetto di tale provvedimento, avendo la funzione di evitare, in proiezione futura, il consolidamento di una enunciazione di diritto errata e di fornire la regola preferibile, per l’eventualita’ in cui si ripresenti un caso in cui quella enunciazione del principio di dirotto sia conferente, inducono queste Sezioni Unite a non estendere la portata del principio di diritto che si va ad affermare, nel senso prospettato dalla stessa Procura Generale in sede di memoria e di discussione orale, in relazione anche alla possibilita’ di instaurazione in via cumulativa dell’azione volta alla rimozione dello status di figlio e di quella volta all’accertamento di altra paternita’: invero, la fattispecie concreta che ha dato origine alla richiesta ai sensi dell’articolo 363 c.p.c. ha riguardato due giudizi promossi non contestualmente ma separatamente e pendenti anche in grado diverso. Va, tuttavia, evidenziato che, proprio in ragione dell’affermato nesso di pregiudizialita’ tra le due azioni, ostativo, finche’ il disconoscimento della paternita’ non sia accertato con sentenza passata in giudicato, non alla proposizione dell’azione di dichiarazione giudiziale di paternita’ ma solo al suo accoglimento, la possibilita’ che i due procedimenti, quello demolitorio dello status e quello ricostruttivo, possano svolgersi contestualmente non puo’ essere esclusa, in linea di principio, ed anzi consentirebbe di superare le criticita’ messe in luce da ultimo dalla Corte costituzionale nella richiamata pronuncia n. 177 del 2022.

Invero, per prevenire il conflitto di giudicati, derivante da decisioni tra loro incompatibili, le cause connesse per pregiudizialita’ dovrebbero essere, di regola, trattate e decise congiuntamente, attraverso il cumulo in un unico processo (c.d. simultaneus processus).

E il legislatore della recente Riforma di cui al Decreto Legislativo n. 149/2022 ha colto l’occasione, nel ridefinire il procedimento “in materia di persone, minorenni e famiglie”, per affermare una regola che risponde a tale esigenza di celerita’ e concentrazione delle tutele in ambito di liti nell’ambito della famiglia, nell’attuale articolo 479 bis.49 c.p.c.: “(Cumulo di domande di separazione e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio). Negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale le parti possono proporre anche domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e le domande a questa connesse. Le domande cosi’ proposte sono procedibili decorso il termine a tal fine previsto dalla legge, e previo passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale. Se il giudizio di separazione e quello di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio sono proposti tra le stesse parti davanti a giudici diversi, si applica l’articolo 40. In presenza di figli minori, la rimessione avviene in favore del giudice individuato ai sensi dell’articolo 473-bis.11, comma 1. Se i procedimenti di cui al comma 2 pendono davanti allo stesso giudice, si applica l’articolo 274. La sentenza emessa all’esito dei procedimenti di cui al presente articolo contiene autonomi capi per le diverse domande e determina la decorrenza dei diversi contributi economici eventualmente previsti”.

Orbene, la proposizione della domanda di disconoscimento e di quella di dichiarazione giudiziale mediante un unico atto introduttivo, gia’ riconosciuta da parte della giurisprudenza di merito, e’ stata commentata con favore da parte della dottrina che ha evidenziato come l’evidente connessione per pregiudizialita’-dipendenza possa portare alla riunione (rispettivamente ai sensi dell’articolo 40 c.p.c. o dell’articolo 274 c.p.c., a seconda che pendano davanti a giudici diversi o davanti al medesimo giudice) o alla sospensione ex articolo 295 c.p.c., nel caso in cui i due procedimenti non possano venire riuniti (quando, come nel caso di specie, uno dei due procedimenti penda in un grado diverso dall’altro).

Vi sono indubbiamente riflessi, in caso di contestuale svolgimento delle due azioni, in merito, soprattutto, alla possibilita’ del padre biologico di partecipare anche all’azione di disconoscimento.

Vero che non e’ consentito al padre biologico di un minore generato nel matrimonio contestare la paternita’ attribuita al marito della madre, ai sensi dell’articolo 231 c.c., ne’ autonomamente promuovere l’azione di disconoscimento, ex articolo 243 c.p.c. consentita solo al marito, alla madre ed al figlio, mentre e’ consentito a “chiunque vi abbia interesse” (compreso, quindi, il padre naturale) di contestare lo stato di figlio nato fuori dal matrimonio, impugnando il riconoscimento per difetto di veridicita’.

Trattasi di una scelta legislativa (e la questione di legittimita’ costituzionale di tale esclusione della legittimazione attiva e’ stata dichiarata inammissibile, in quanto coinvolgente la discrezionalita’ del legislatore, da Corte Cost. n. 429/1991), ancora dettata a tutela della famiglia che ha base nel matrimonio, che e’ stata ritenuta “discutibile” dalla dottrina, in rapporto all’unita’ dello status filiationis come disegnata dal Decreto Legislativo n. 154 del 2013.

Questa Corte ha da tempo affermato che il padre biologico, interessato a contestare la paternita’ legittima, non e’ legittimato al promovimento dell’azione di disconoscimento della paternita’ (riservato dall’articolo 244 c.c. esclusivamente alla madre, al marito, al figlio o, in caso di minore eta’, al curatore speciale su istanza del figlio che abbia compiuto 14 anni o su istanza del pubblico ministero, se di eta’ inferiore), ne’ ad intervenire nel relativo procedimento ne’ a proporre opposizione di terzo avverso la sentenza che ha deciso sul disconoscimento (Cass. n. 4035/1995; Cass. n. 487/2014 ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale degli articoli 244 c.c., 395, n. 1, e 404 c.p.c., nella parte in cui limitano la proponibilita’ dell’opposizione di terzo o l’intervento del soggetto indicato come padre naturale, o dei suoi eredi, nel giudizio di disconoscimento di paternita’, promosso da colui che solo all’esito del positivo esperimento di tale azione potra’ chiedere il riconoscimento di paternita’, ritenendo che il pregiudizio fatto valere sia di mero fatto; nello stesso senso anche Cass. n. 13638 del 2013; Cass. n. 18601/2021).

Con riferimento al minore infraquattordicenne, tuttavia, questa Corte, come gia’ rilevato sopra, ha interpretato la norma richiamata riconoscendo comunque al padre biologico il diritto di chiedere al giudice la nomina di un curatore speciale per promuovere l’azione di disconoscimento (Cass. n. 4020/2017; Cass. n. 27560/2017).

In dottrina, si e’ poi osservato che la partecipazione del presunto padre naturale al giudizio di disconoscimento, oltre che semplificare il quadro probatorio dal quale ricavare la verita’, non sarebbe neppure idonea a creare “qualche imbarazzo nella compagine familiare fondata sul matrimonio”, in quanto il quieto vivere familiare gia’ sarebbe stato scardinato per effetto della stessa proposizione della domanda di disconoscimento, che il presunto padre naturale non puo’ autonomamente promuovere.

In ordine alla compatibilita’ con l’articolo 8 della CEDU, i giudici di Strasburgo hanno affermato che l’impossibilita’ “assoluta” per un uomo che afferma di essere il padre biologico di cercare di stabilire la propria paternita’, per il solo motivo che un altro uomo ha gia’ riconosciuto il bambino, integra una violazione dell’articolo 8. Nella sentenza Rózanski v. Poland, app.55339/00, la Corte ha dichiarato che il fatto che le autorita’ disponessero di un potere discrezionale nel decidere se avviare o meno un procedimento di contestazione di un riconoscimento di paternita’ non era di per se’ criticabile. Tuttavia, la mancanza di accesso diretto a una procedura attraverso la quale il richiedente potesse cercare di stabilire la paternita’, l’assenza nel diritto interno di orientamenti su come dovrebbe essere esercitato il potere discrezionale delle autorita’ di contestare un riconoscimento di paternita’ e il modo superficiale in cui sono state esaminate le domande del richiedente di contestare il riconoscimento da parte di un altro uomo, ha portato la Corte a constatare una violazione dell’articolo 8. Con sentenza del 13.10.2020, la Corte Edu, nel caso Koychev c. Bulgaria, app.32495/15, si e’ pronunciata sulla violazione dell’articolo 8 CEDU, da parte della legge bulgara, nella parte in cui la medesima non consente a colui che affermi di essere il padre biologico del minore, di contestare il riconoscimento della paternita’ effettuato da un altro uomo (nella specie, il marito della madre in virtu’ di un matrimonio contratto alcuni anni dopo la nascita del minore). La vicenda sulla quale la Corte si e’ pronunciata riguarda il ricorso del sig. Koychev, il quale, tra il 2003 e il 2005 ha avuto una relazione dalla quale e’ nato un bambino nel 2006 (riconosciuto solo nel 2013). La madre si e’ opposta al riconoscimento e solo in seguito il ricorrente e’ stato informato che il minore era stato riconosciuto dal nuovo compagno della madre. Nel 2014 l’azione di riconoscimento promossa dal ricorrente e’ stata dichiarata inammissibile dal Tribunale. Il sig. Koychev, ha, dunque agito contro il riconoscimento del nuovo compagno della madre, allegando che non era il padre biologico del bambino. Sia in primo grado che in appello e’ stata pronunciata l’inammissibilita’ della domanda, poiche’, secondo la legge bulgara, solo la madre e il figlio possono ricorrere contro la dichiarazione di riconoscimento di paternita’. Nel 2015, la Corte di Cassazione ha confermato l’inammissibilita’ rilevando che il ricorrente avrebbe dovuto rivolgersi al pubblico ministero o alla direzione territoriale dei servizi sociali, i quali avrebbero potuto promuovere azione di annullamento del riconoscimento di paternita’.

A differenza della legge bulgara, nel nostro ordinamento, e’, peraltro, consentito a “chiunque vi abbia interesse”, compreso, quindi, il padre naturale, di contestare lo stato di figlio nato fuori dal matrimonio. E’ stato osservato che, ove si trattasse di contestare la paternita’ di un figlio nato nel matrimonio, atteso che il padre biologico non puo’ contestare la paternita’ attribuita al marito della madre ai sensi dell’articolo 231 c.c. ne’ con l’azione di disconoscimento della paternita’ ne’ con quella di contestazione dello stato di figlio, si giungerebbe al punto di negare al padre naturale il diritto di ottenere l’accertamento della sua paternita’, con possibile violazione dell’articolo 8 CEDU.

Tale conclusione, come visto, puo’ essere temperata, nel caso di minori infraquattordicenni, attraverso il riconoscimento al padre naturale della possibilita’ di sollecitare la nomina di un curatore speciale per promuovere l’azione di disconoscimento (Cass. 27560/2021).

In ordine alla posizione del presunto padre naturale nel giudizio, cumulato o riunito, di disconoscimento, va, inoltre, richiamato il principio secondo cui la riunione di cause connesse lascia inalterata l’autonomia dei giudizi per tutto quanto concerne la posizione assunta dalle parti in ciascuno di essi, con la conseguenza che gli atti e le statuizioni riferiti ad un processo non si ripercuotono sull’altro processo sol perche’ questo e’ stato riunito al primo (Cass. 15383/2011; Cass. 5434/2021) ed il principio di autonomia dei giudizi e’ suscettibile di temperamento solo al fine di evitare un inutile aggravio degli oneri processuali e purche’ non ne risulti vulnerato il diritto di difesa.

Si puo’ poi aggiungere, sulla possibile contestualita’ delle due azioni, che questa Corte ha gia’ ritenuto ammissibile una domanda di regresso e di rimborso delle somme anticipate da un genitore per il mantenimento del figlio nato fuori dal matrimonio, nell’ambito del giudizio di accertamento della paternita’ o maternita’ naturale. Nella sentenza n. 17914 del 2010 si e’ affermato che “in materia di mantenimento del figlio naturale, la domanda di rimborso delle somme anticipate da un genitore puo’ essere proposta nel giudizio di accertamento della paternita’ o maternita’ naturale, mentre l’esecuzione del titolo e la conseguente decorrenza della prescrizione del diritto a contenuto patrimoniale richiedono la preventiva definitivita’ della sentenza di accertamento dello “status ” (conf. Cass. 21364/2018). Quindi, con riguardo alla proponibilita’ dell’azione di regresso, da parte del genitore che aveva provveduto in via esclusiva al mantenimento del figlio, unitamente alla domanda di dichiarazione giudiziale della paternita’ naturale, questa Corte ha gia’ ammesso l’esercizio della prima azione, prima del passaggio in giudicato della sentenza di dichiarazione giudiziale della paternita’ (che produce gli stessi effetti, del riconoscimento, con decorrenza dalla nascita del figlio), anche se l’esecuzione del titolo e la conseguente decorrenza della prescrizione del diritto a contenuto patrimoniale richiedono la preventiva definitivita’ della sentenza di accertamento dello status.

In conclusione, proprio in ragione del nesso di pregiudizialita’ affermato, non si puo’ escludere la possibilita’, in alcuni casi, del simultaneus processus (che rappresenta in genere la soluzione da privilegiare rispetto a quella della sospensione ex articolo 295 c.p.c. che rappresenta sempre un’extrema ratio) tra azione di disconoscimento (o di impugnazione del riconoscimento o di contestazione dello status di figlio) ed azione di dichiarazione giudiziale di paternita’, che potrebbero nascere separatamente e venire riunite (ex articolo 40 c.p.c., se pendano davanti a giudici diversi, o ex articolo 274 c.p.c., se pendano dinanzi allo steso ufficio giudiziario) ovvero essere cumulativamente promosse in unico atto introduttivo da parte del soggetto legittimato ad entrambe le azioni (ad es. il figlio e la madre), salva ovviamente la possibilita’ ex articolo 103 c.p.c., comma 2, per il giudice del merito di disporre la separazione dei giudizi, nei casi di difficile gestione del processo cumulativo (laddove ad es. i soggetti direttamente coinvolti dal lato genitoriale siano ancora in vita). Il tutto, nel rispetto della cronologia e della pregiudizialita’ degli accertamenti riguardanti il disconoscimento della paternita’ ed attraverso una necessaria e rigorosa scansione (utilizzando il vigente meccanismo della “calendarizzazione”) dei tempi procedurali e dell’attivita’ istruttoria relativa all’azione pregiudicante, da esperire necessariamente in via prioritaria.

Il raccordo tra i due istituti e la possibilita’ di introduzione cumulativa delle due azioni, salva sempre la discrezionalita’ del giudice di merito nel governo della trattazione del processo, in ragione di variabili organizzative oltre che processuali, potrebbe rispondere all’esigenza, valorizzata dalla Corte EDU nella decisione citata del 2022, di assicurare la piu’ sollecita definizione dello status e di concretizzare nella sua effettivita’ il diritto del figlio all’acquisizione del nuovo status. Rimane comunque ferma la necessita’, in difetto di un intervento del legislatore e tenuto conto di quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 177/22 (rammentandosi che, sul punto dell’ammissibilita’ di una sentenza dichiarativa della paternita’ o della maternita’ condizionata sospensivamente all’esito del giudizio demolitivo, la Consulta ha rilevato che essa attiene alla materia processuale, la cui disciplina e’ riservata in primis al legislatore), di attendere il passaggio in giudicato della sentenza, parziale, di disconoscimento, prima di potere esaminare la domanda, dipendente, di dichiarazione giudiziale di paternita’.

3.Si puo’ quindi concludere che l’analisi, attuale, degli articoli 253 e 269 c.c. deve essere condotta alla luce dei principi costituzionali, articoli 2, Cost., 29 e 30, in particolare) e sovranazionali (in particolare, l’articolo 8 della CEDU, implicante, oltre ad obblighi negativi delle autorita’ pubbliche, anche obblighi positivi inerenti all’effettivo rispetto della vita privata). L’onere particolarmente gravoso a carico del figlio (come qualificato dalla Corte Costituzionale, nella sentenza n. 177 del 2022) – che richiede la necessita’ di un giudizio articolato in piu’ gradi che si concluda con una sentenza passata in giudicato demolitiva del precedente stato – ed il rischio che lo stesso rimanga “privo di status”, in assenza di un intervento del legislatore (cui spetta, come affermato dalla Corte costituzionale, il compito di realizzare un “intervento di sistema” che “possa tenere conto di tutti gli interessi coinvolti, senza comprimere in maniera sproporzionata diritti di rango costituzionale”), possono essere comunque, in parte, temperati attraverso il riconoscimento della possibilita’ di sospendere il giudizio relativo all’attribuzione del nuovo status, non essendo ancora definito con sentenza passata in giudicato quello sulla rimozione dello status preesistente.

Ove, infatti, non si consentisse tale sospensione e si propendesse per una declaratoria di inammissibilita’ – come ha fatto il Tribunale di Roma nel caso concreto richiamato dalla Procura Generale -, si correrebbe il rischio di violare il principio della ragionevole durata del processo nonche’ di realizzare un ostacolo all’esercizio del diritto – garantito dalla Cost., articoli 6 Cedu e 24 – di agire a tutela del diritto fondamentale allo status e all’identita’ biologica, protetto anche ai sensi dell’articolo 8 Cedu. Conclusivamente, deve essere affermato, nell’interesse della legge, affinche’ possa orientare la giurisprudenza, il seguente principio di diritto: “Il giudizio di disconoscimento di paternita’ e’ pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l’accertamento di altra paternita’ cosi’ che, nel caso della loro contemporanea pendenza, si applica l’istituto della sospensione per pregiudizialita’ ex articolo 295 c.c.”.

 

PQM

 

La Corte enuncia nell’interesse della legge, a norma dell’articolo 363 c.p.c., comma 1, il seguente principio di diritto: “Il giudizio di disconoscimento di paternita’ e’ pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l’accertamento di altra paternita’ cosi’ che, nel caso della loro contemporanea pendenza, si applica l’istituto della sospensione per pregiudizialita’ ex articolo 295 c.c.”.

Dispone che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2003, articolo 52, siano omessi le generalita’ e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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