Il giudice può autonomamente valutare anche le prove raccolte in un processo penale

Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 7 maggio 2019, n. 11948.

La massima estrapolata:

Il giudice, ai fini del proprio convincimento, può autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove raccolte in un processo penale e, segnatamente le dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali; e ciò anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento, potendo la parte contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale.

Sentenza 7 maggio 2019, n. 11948

Data udienza 13 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 2748-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2775/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 23/11/2017 R.G.N. 1625/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/03/2019 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS). –

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Bari ha respinto il reclamo proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che, all’esito del giudizio di opposizione L. n. 92 del 2012, ex articolo 1, comma 51, aveva rigettato la domanda volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimita’ del licenziamento intimato dall’Agenzia delle Dogane in data 25 maggio 2012 e la conseguente condanna dell’amministrazione alla reintegrazione nel posto di lavoro in precedenza occupato ed al risarcimento del danno, da quantificarsi in misura pari alle retribuzioni maturate dalla data dell’illegittimo recesso.
2. La Corte territoriale ha premesso in punto di fatto che al (OMISSIS) era stato contestato di aver svolto negli anni dal 2000 al 2003, in maniera abituare, attivita’ extra lavorativa di consulente del lavoro, mai autorizzata, e di avere posto in essere una condotta truffaldina nei confronti dell’Inps, prodigandosi per far ottenere a numerosi braccianti agricoli indebite prestazioni economiche nonche’ vantaggi contributivi ed assicurativi per giornate mai lavorate. I procedimenti disciplinari, avviati nell’anno 2004 e poi riuniti, erano stati sospesi e riavviati a seguito del passaggio in giudicato della sentenza penale che aveva dichiarato il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione dei reati ascritti al (OMISSIS).
3. Il giudice d’appello ha respinto i motivi di reclamo rilevando, innanzitutto, che, contrariamente a quanto asserito dal reclamante, il Tribunale non aveva fondato l’affermazione della responsabilita’ disciplinare sul giudicato penale, avendo, al contrario, ammesso la prova testimoniale richiesta dall’opponente e valutato le sue risultanze unitamente agli atti del procedimento penale, senza dubbio utilizzabili dal giudice civile, ivi compresi quelli assunti nella fase delle indagini preliminari.
4. Ha ritenuto condivisibili le conclusioni alle quali il Tribunale era pervenuto, all’esito della fase sommaria e del giudizio di opposizione, evidenziando l’inattendibilita’ dei testi addotti dal reclamante, i quali nell’immediatezza dei fatti avevano fornito una diversa versione, sicche’ le loro dichiarazioni sulla gratuita’ e saltuarieta’ della collaborazione prestata dal (OMISSIS) all’attivita’ gestita dal coniuge apparivano frutto di un successivo aggiustamento. Ha aggiunto che nel corso del procedimento penale lo stesso (OMISSIS), dinanzi al GIP, aveva ammesso di aver svolto attivita’ di consulenza del lavoro per alcune aziende. Infine ha richiamato le sommarie informazioni rese da imprenditori agricoli alla Polizia giudiziaria per ritenere fondati entrambi gli addebiti posti alla base dell’intimato licenziamento.
5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di tre motivi, ai quali l’Agenzia delle Dogane ha resistito con tempestivo controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia “violazione dell’articolo 68, commi 1 e 2, dell’articolo 66, comma 7, e dell’articolo 67, comma 6, lettera d) c.c.n.l. Agenzie Fiscali 2002-2005” e sostiene, in sintesi, che non poteva essere disposta la sospensione del procedimento disciplinare in quanto i fatti contestati non erano stati commessi in servizio. Non poteva, pertanto, trovare applicazione l’articolo 68 del CCNL all’epoca vigente, che si riferiva unicamente ai reati connessi con il rapporto di pubblico impiego o denunciati all’autorita’ giudiziaria dallo stesso datore di lavoro. Ne trae, quale conseguenza, la tardivita’ della sanzione disciplinare inflitta, perche’ irrogata quando da tempo era decorso il termine perentorio di 120 giorni previsto dall’articolo 66, comma 7, del richiamato c.c.n.l.. Aggiunge che il processo penale si era concluso con sentenza di “assoluzione per prescrizione” sicche’ l’Agenzia non poteva richiamare a fondamento dell’intimato recesso l’articolo 67, comma 6, lettera d), del contratto collettivo che presuppone l’accertamento della responsabilita’ penale dell’impiegato, responsabilita’ in relazione alla quale la prova non era stata raggiunta neppure nel giudizio civile.
1.2. La seconda censura, formulata ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, addebita alla sentenza impugnata la violazione degli articoli 2119 e 2697 c.c. nonche’ dell’articolo 116 c.p.c., dalla quale sarebbe derivata una errata ricostruzione dei fatti. Il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto valorizzare solo le testimonianze rese dai testi escussi nella fase dell’opposizione, non potendo attribuire valore alcuno alle sommarie informazioni acquisite durante la fase delle indagini preliminari, in quanto assunte in assenza di contraddittorio e senza che i testi assumessero la responsabilita’ che deriva dalla testimonianza. Aggiunge che l’onere di provare i fatti posti a fondamento del recesso grava sul datore di lavoro che nella specie non lo aveva assolto in quanto non era stata mai “acquisita alcuna prova certa ed inconfutabile dello svolgimento della presunta attivita’ di lavoro extra istituzionale non autorizzata dall’amministrazione”, la quale, inoltre, non avendo presentato una denuncia penale aveva, evidentemente, ritenuto che i fatti non avessero quella gravita’ necessaria per giustificare il licenziamento.
1.3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, della “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., articolo 654 c.p.p. e articolo 111 Cost.” “per avere i giudici di merito erroneamente ritenuto vincolante nel giudizio civile la sentenza n. 1376 del 6/7/2011 di proscioglimento per prescrizione”. Sostiene che solo nel caso di sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione possono essere valorizzate le prove assunte nel dibattimento penale, mentre in ogni altra fattispecie la commissione dei fatti ritenuti di rilevanza disciplinare deve essere provata e non possono essere a tal fine valorizzati gli atti di indagine che non siano entrati a far parte del fascicolo del dibattimento. Non poteva, pertanto, il giudice di merito ritenere che fosse stata provata la truffa asseritamente consumata ai danni dell’Inps, perche’ solo in caso di sentenza di condanna definitiva sussiste la prova certa ed evidente della colpevolezza.
2. Il primo motivo e’ inammissibile, nella parte in cui si duole dell’illegittimita’ della sospensione, dalla quale fa derivare la tardivita’ del recesso.
La sentenza impugnata non affronta la questione dei rapporti fra procedimento disciplinare e processo penale e, nel riportare la sintesi dei motivi di reclamo, evidenzia che il (OMISSIS) con il ricorso in appello aveva censurato la pronuncia di prime cure perche’: a) il Tribunale si era limitato a recepire l’esito complessivo del giudizio penale, violando l’articolo 654 c.p.p. in quanto nessuna sentenza di condanna era stata emessa a suo carico; b) l’amministrazione avrebbe dovuto effettuare indagini e compiere un’autonoma valutazione delle condotte asseritamente tenute dal dipendente; c) i testi escussi nel giudizio civile avevano escluso lo svolgimento di un’attivita’ incompatibile con il rapporto di impiego.
Non vi e’ cenno ad un motivo di reclamo volto a riproporre la denuncia di tardivita’ della sanzione disciplinare, che, come si da’ atto nella stessa sentenza impugnata, era stata respinta dal giudice dell’opposizione.
Nella giurisprudenza di questa Corte e’ consolidato l’orientamento secondo cui, qualora una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimita’ ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione in entrambi i gradi del giudizio di merito, ma anche di specificare in quale atto e con quale modalita’ l’allegazione sia avvenuta, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicita’ di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr. fra le piu’ recenti Cass. n. 2038/2019 e Cass. n. 15430/2018).
Detto onere non e’ stato assolto dal ricorrente, che si e’ limitato ad argomentare sulla illegittimita’ della sospensione, senza allegare di avere proposto uno specifico motivo di reclamo avverso il capo della sentenza di primo grado che aveva disatteso l’eccezione. Si deve, pertanto, ritenere che il motivo non sia stato proposto e che si sia formato giudicato interno sulla tempestivita’ della sanzione, accertata dal Tribunale, con conseguente inammissibilita’ in parte qua del ricorso per cassazione.
2.1. Il motivo e’, poi, manifestamente infondato li’ dove assume che solo una sentenza penale di condanna avrebbe legittimato la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso.
L’articolo 67 del CCNL 28.5.2004 per il personale del comparto delle Agenzie Fiscali, individuate dall’articolo 3 CCNQ 18.12.2002, prevede che il licenziamento senza preavviso si applica in caso di… b) condanna passata in giudicato per un delitto commesso in servizio o fuori servizio che, pur non attenendo in via diretta al rapporto di lavoro, non ne consenta neanche provvisoriamente la prosecuzione per la sua specifica gravita’;… d) commissione in genere – anche nei confronti di terzi – di fatti o atti, anche dolosi, che, pur costituendo o meno illeciti di rilevanza penale, sono di gravita’ tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro….. e) condanna passata in giudicato: 1. per i delitti indicati nell’articolo 15, commi 1 e 4 septies, lettera a), b) limitatamente all’articolo 316 c.p., lettera c), ed e) della L. n. 55 del 1990 e successive modificazioni e integrazioni; 2. quando alla condanna consegua comunque l’interdizione perpetua dai pubblici uffici; 3. per i delitti previsti dalla L. n. 97 del 2001, articolo 3, comma 1.
Solo per le fattispecie tipizzate nelle lettera b) ed e) il recesso viene ricollegato al passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna, mentre nell’ipotesi di cui alla lettera d) rileva la gravita’ della condotta e l’irrogazione della sanzione disciplinare espulsiva e’ consentita, a prescindere dalla rilevanza penale dell’azione, in relazione a “fatti o atti anche dolosi che, pur costituendo o meno illeciti di rilevanza penale, sono di gravita’ tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto” (Cass. n. 21260/2018). Non vi e’ dubbio che in detta fattispecie possa essere sussunta anche la condotta del dipendente astrattamente idonea ad integrare un delitto quando, per il sopravvenire di una causa estintiva del reato, non sia stato possibile accertare con efficacia di giudicato la responsabilita’ penale.
3. La seconda censura, formulata ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, e’ parimenti inammissibile, perche’ il reclamo risulta proposto in data 24 settembre 2015, nella vigenza dell’articolo 348 ter, comma 5, inserito dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera a) convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134.
Questa Corte ha gia’ affermato, e deve essere qui ribadito, che “nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’articolo 348-ter c.p.c., comma 5, (applicabile, ai sensi del Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilita’ del motivo di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.” (Cass. n. 26774/2016).
Nella specie il ricorrente non ha indicato le ragioni di diversita’ fra le due pronunce, diversita’ che va all’evidenza esclusa, avendo la Corte territoriale prestato piena adesione alla ricostruzione operata dal giudice di prime cure.
3.1. A sostegno del preteso vizio motivazionale, inoltre, il (OMISSIS) ha richiamato giurisprudenza di questa Corte non piu’ attuale, perche’ relativa all’interpretazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, nel testo antecedente alle modifiche apportate dal Decreto Legge n. 83 del 2012.
Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. 22.9.2014 n. 19881 e Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053) hanno osservato che la ratio del recente intervento normativo e’ espressa dai lavori parlamentari li’ dove si afferma che la riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 ha la finalita’ di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando si risolva nella violazione dell’articolo 132 c.p.c., ravvisabile nel caso in cui la motivazione o manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero esista formalmente come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioe’ di riconoscerla come giustificazione del decisum. Esula, invece, dal vizio di violazione di legge la verifica della sufficienza e della razionalita’ della motivazione sulle quaestiones facti, implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.
3.2. Le Sezioni Unite hanno anche precisato che il vizio tipizzato dall’articolo 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione attuale, non riguarda la motivazione della sentenza ma concerne, invece, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.
Il motivo, quindi, e’ validamente formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 solo qualora il ricorrente indichi il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”.
Nel caso di specie la censura, non formulata nel rispetto degli oneri sopra indicati, si risolve in un’inammissibile critica della valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice di merito, alla quale ne contrappone una difforme, sollecitando questa Corte ad esprimere un giudizio di fatto, sulla maggiore o minore attendibilita’ dei testi escussi, non consentito in sede di legittimita’.
4. Infine il ricorso e’ infondato anche nella parte in cui assume che, essendo mancato l’accertamento con sentenza passata in giudicato della responsabilita’ penale del (OMISSIS), l’amministrazione, prima, ed il giudice, poi, avrebbero dovuto procedere ad un’autonoma attivita’ di indagine, senza poter utilizzare gli atti assunti nel procedimento penale al di fuori del dibattimento.
Il Collegio intende dare continuita’ all’orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui, poiche’ nulla impedisce alla P.A. di avvalersi a fini disciplinari degli atti del procedimento penale, “l’amministrazione datrice di lavoro e’ libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che i medesimi forniscano, senza bisogno di ulteriori acquisizioni ed indagini, sufficienti elementi per la contestazione di illeciti disciplinari al proprio dipendente” (Cass. n. 21260/2018 che richiama Cass. nn. 8410/2018, 5284/2017, 19183/2016, 758/2006).
E’ stato anche affermato che il giudice, ai fini del proprio convincimento, puo’ autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove raccolte in un processo penale e, segnatamente le dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali, e cio’ anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento, potendo la parte contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti cosi’ acquisiti in sede penale.” (Cass. n. 20562/2018).
Quanto, poi, alla rilevanza della sentenza penale nel successivo procedimento disciplinare opera il principio generale secondo cui il giudicato non preclude, in sede disciplinare, “una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale attesa la diversita’ dei presupposti delle rispettive responsabilita’, fermo solo il limite dell’immutabilita’ dell’accertamento dei fatti nella loro materialita’ – e dunque, della ricostruzione dell’episodio posto a fondamento dell’incolpazione – operato nel giudizio penale” (Cass. S.U. 9 luglio 2015 n. 14344 in tema di responsabilita’ disciplinare dei magistrati). Il giudicato di assoluzione e, a maggior ragione, la sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato non determinano l’automatica archiviazione del procedimento disciplinare perche’, fermo restando che il fatto non puo’ essere ricostruito in termini difformi, non si puo’ escludere che lo stesso, inidoneo a fondare una responsabilita’ penale, possa comunque integrare un inadempimento sanzionabile sul piano disciplinare.
A detti principi si sono correttamente attenuti i giudici di merito che, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, non hanno preteso di attribuire efficacia di giudicato alla sentenza penale di proscioglimento per intervenuta prescrizione, bensi’, in relazione ad entrambi gli addebiti contestati al (OMISSIS), dopo avere dato spazio alle richieste istruttorie del ricorrente, hanno proceduto ad una complessiva valutazione del materiale probatorio acquisito in sede civile e nel corso del procedimento penale, ed hanno ritenuto provato sia lo svolgimento dell’attivita’ di consulente non autorizzata, sia la condotta truffaldina, finalizzata a far ottenere ai propri assistiti erogazioni di trattamenti assistenziali e previdenziali non dovuti.
5. In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate come da dispositivo.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato dovuto dal ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. articolo 13, comma 1-bis.

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