Il giudice non può affermare l’irrilevanza del condono

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 16 aprile 2020, n. 12322.

Massima estrapolata:

Il giudice non può affermare l’irrilevanza del condono senza considerare le ricadute che questo ha avuto sul ridimensionamento della redditività delle condotte. Né il reimpiego delle somme può essere considerato in via autonoma come attività delittuosa se precedente l’introduzione del reato di autoriciclaggio.

Sentenza 16 aprile 2020, n. 12322

Data udienza 20 dicembre 2019

Tag – parola chiave: Reati tributari – Misure cautelari – Confisca – Pericolosità non attuale dell’imputato – Somma non quantificata in maniera precisa – Annullamento della confisca – Sproporzione dei redditi di un soggetto rispetto al reddito del proprio nucleo familiare

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BONI Monica – Presidente

Dott. CENTOFANTI Francesco – Consigliere

Dott. MAGI Raffael – rel. Consigliere

Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BARI;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
nel procedimento a carico di questi ultimi;
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
AGENZIA NAZIONALE PER I BENI CONFISCATI ALLA MAFIA;
avverso il decreto del 02/05/2019 della CORTE APPELLO di BARI;
udita la relazione svolta dal Consigliere MAGI RAFFAELLO;
lette le conclusioni del PG. BIRRITTERI L., che ha chiesto l’accoglimento del ricorso del P.G. e il rigetto del ricorso proposto dalla difesa delle parti private.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Trani, Sezione per le Misure di Prevenzione, con decreto emesso in data 20 febbraio 2018 ha disposto, nei confronti di (OMISSIS) classe (OMISSIS) e dei terzi (OMISSIS), classe (OMISSIS), e (OMISSIS), classe (OMISSIS), la misura di prevenzione patrimoniale della confisca, in via disgiunta, in riferimento a numerose unita’ immobiliari compiutamente indicate nel dispositivo della decisione (alle pagine 181/183).
1.1 La ricognizione incidentale della pericolosita’ e del suo ambito temporale – quali presupposti della confisca dei beni risultati sproporzionati rispetto al reddito del nucleo familiare – si e’ diretta verso la persona di (OMISSIS) ed e’ stata ritenuta sussistente nei sensi che seguono.
1.2 Il Tribunale tratta il tema (da pag. 11 a pag. 24) indicando: a) le condanne definitive riportate nel corso del tempo (dal 1964 al 1986) da (OMISSIS); b) i cd. precedenti di polizia, consistenti in denunzie, diffide, arresti e sottoposizioni a misure di prevenzione personale (tra cui la sottoposizione alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza del 26 giugno 1970 e quella del 9 novembre 1985).
Quanto alle condanne definitive, va evidenziato che (OMISSIS) risulta condannato per la condotta di sequestro di persona a scopo di estorsione commessa il (OMISSIS) (sequestro in danno di (OMISSIS)).
In precedenza, tra quelle di maggior rilievo, risultano ricomprese una condanna per rapina per fatto commesso il (OMISSIS), una condanna per lesioni commesse il (OMISSIS), una condanna per contrabbando per fatti del (OMISSIS).
Il Tribunale, richiamando i contenuti di precedenti decreti emessi nel corso del tempo nei confronti di (OMISSIS) evidenzia altresi’ il coinvolgimento dello (OMISSIS) in procedimenti penali relativi ad altri cinque sequestri di persona, conclusi con sentenze di proscioglimento.
In dette vicende lo (OMISSIS), pur prosciolto, sarebbe risultato in “strettissimo collegamento” con gli imputati condannati.
Si compie altresi’ riferimento alle attivita’ di contrabbando svolte alla fine degli anni âEuroËœ70, alle ingenti disponibilita’ finanziarie del proposto, che risultavano – gia’ durante gli anni âEuroËœ80 – investite, sia in beni immobili, che in attivita’ di ristorazione, mediante la creazione e gestione del complesso turistico (OMISSIS) s.r.l..
Circa tale aspetto viene ricordato che con decisione del 19 ottobre 1992 il Tribunale di Bari aveva respinto una proposta applicativa di misure di prevenzione, evidenziando che da un lato non vi erano elementi concreti in punto di “attualita’” della pericolosita’, dall’altro che la condizione di sproporzione tra redditi e investimenti era da ritenersi in massima parte correlata alla “massiccia evasione fiscale” derivante proprio dalle attivita’ svolte dalla (OMISSIS) s.r.l. e non da altri reati.
Al contempo, si afferma, era “rimasta in ombra” in tale giudizio del 1992 la modalita’ di realizzazione della provvista finanziaria che determino’ l’investimento iniziale per la costruzione della struttura ricreativa.
1.3 Cio’ posto, il Tribunale di Trani evidenzia che la decisione emessa nell’anno 1992, che comporto’ la restituzione allo (OMISSIS) di tutti i beni originariamente in sequestro (ivi compresa una ingente provvista finanziaria liquida), non e’ di ostacolo alla applicazione della confisca e cio’, sia in rapporto alla avvenuta acquisizione di nuovi elementi di fatto (ulteriori acquisizioni societarie e investimenti, posteriori al 1992), che ai mutamenti in diritto derivanti dalla introduzione dell’istituto della confisca disgiunta all’interno del Codice Antimafia (Decreto Legislativo n. 159 del 2011).
Si afferma, in tale parte della decisione, la sussistenza di una condizione di pericolosita’ “storica” dello (OMISSIS) che copre un arco temporale molto esteso, accertato dal 1961 al 1984 (in riferimento ai fatti evidenziati in precedenza) e cio’, sia in rapporto ai fatti oggetto di condanna in sede penale, che in riferimento al coinvolgimento dello (OMISSIS) negli “altri” episodi di sequestro (in particolare si citano due episodi avvenuti nel 1979 e nel 1982) definiti con il proscioglimento. Viene elevato, in tale parte della decisione a “sintomo” di pericolosita’ il fatto storico della esistenza di contatti e frequentazioni dello (OMISSIS) con i soggetti che per tali episodi sono stati condannati.
Si compie riferimento, altresi’, all’attivismo dello (OMISSIS) nel settore delle compravendite immobiliari.
L’inquadramento operato dal Tribunale, sulla base di tali elementi, nelle categorie tipizzate di pericolosita’ viene operato, sia in riferimento alla fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, lettera a), (soggetto abitualmente dedito a traffici delittuosi), che a quella della lettera b) della medesima disposizione (per l’abituale destinazione al sostegno del tenore di vita dei proventi di attivita’ delittuose).
Si tratta, come si e’ detto, di pericolosita’ non piu’ attuale, che il Tribunale, alle pagine 23 e 24 del decreto di primo grado estende – temporalmente – anche ad un periodo posteriore al 1984, arrivando a coprire l’intero corso degli anni âEuroËœ90.
Cio’ in riferimento alle condotte di evasione fiscale che, pur non accertate processualmente, vengono desunte dal fatto che lo (OMISSIS) ha beneficiato del condono fiscale di cui alla L. n. 413 del 1991, con versamenti operati tra il 1992 ed il 1993 che hanno consentito di “sanare” gli illeciti tributari commessi tra il 1983 ed il 1990.
Si sostiene, in tale parte della decisione che lo (OMISSIS), a seguito della restituzione – avvenuta nel 1992 – di circa 2 milioni di Euro avrebbe, in sostanza, proceduto in epoca posteriore al reimpiego di tale somma, di illecita provenienza in quanto profitto di evasione fiscale, e cio’ sino alla fine degli anni âEuroËœ90.
Successivamente il Tribunale analizza gli aspetti strettamente patrimoniali relativi alla “serie storica” degli investimenti ed alla ricostruzione dei redditi conseguiti dal nucleo familiare, con i risultati evidenziati in premessa.
2. Con decreto emesso in data 2 maggio 2019 la Corte di Appello di Bari ha riformato la prima decisione, nei sensi che seguono.
2.1 E’ stata operata la restituzione di taluni beni oggetto di confisca in primo grado (indicati alle pagine 12 e 13), essenzialmente in ragione della “riduzione” dell’ambito temporale di pericolosita’ “storica” del proposto, come meglio si dira’ nel prosieguo.
2.2 La Corte di secondo grado, nel valutare i motivi di appello con cui era stata invocata la preclusione processuale per il giudicato favorevole del 19 ottobre 1992, afferma in sintesi che:
a) la decisione emessa nel 1992 attesta la mancata derivazione del bene di maggior rilievo (il complesso dedicato alla ristorazione) dal reato di sequestro di persona in ragione della assenza di prova su tale punto, ma ritiene verosimile – senza compiere un accertamento pieno – la derivazione del patrimonio dello (OMISSIS) da condotte di evasione fiscale, trasmettendo gli atti alla locale Procura della Repubblica;
b) cio’ rende possibile la attuale confisca disgiunta, in ragione della sopravvenienza sia di dati normativi che fattuali, idonei a superare l’effetto preclusivo della decisione di cui sopra.
Il novum fattuale viene indicato nell’apprezzamento delle condotte di evasione, che erano state – peraltro – ammesse nella procedura del 1992 (anche documentate con consulenza di parte tesa a indicarne la possibile consistenza) e sanate dallo (OMISSIS), usufruendo del condono, con i versamenti posteriori alla revoca del sequestro del 1992, versamenti che non comportano la riqualificazione dei profitti in termini di liceita’.
Il risparmio di spesa ha rappresentato, si afferma, la provvista per gli investimenti, anche successivi a tale epoca, ne’ puo’ dirsi necessaria – a fini di applicazione della misura di prevenzione – la previa definizione di un procedimento penale a carico.
2.3 Rivisitando il giudizio di pericolosita’ “storica” la Corte di Appello afferma, pertanto, che:
a) la pericolosita’ dello (OMISSIS) va ritenuta sussistente quantomeno dal 1983 sino alla fine degli anni âEuroËœ90 e si ricollega da un lato alla condanna per la partecipazione al sequestro (OMISSIS), dall’altro alle condotte di evasione fiscale e successivo reimpiego del risparmio di spesa;
b) per il periodo antecedente al 1983 si ritiene carente il supporto probatorio che era stato evidenziato dal Tribunale, con delimitazione temporale, come si e’ detto, ristretta;
c) si ritengono dunque confiscabili gli immobili acquistati nel 1989 (dal coniuge (OMISSIS)), nel 1995 e nel 1998, posto che i medesimi – premessa la sproporzione gia’ accertata in primo grado – rientrano nel periodo di accertata pericolosita’;
d) vengono, di conseguenza, restituite le unita’ immobiliari acquistate nel (OMISSIS) e nel 1974 per assenza di correlazione temporale con la pericolosita’ dello (OMISSIS).
3. Avverso detto decreto hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale territoriale e le parti private.
3.1 D ricorso del Procuratore Generale e’ relativo alla restituzione parziale dei beni oggetto di confisca in primo grado.
Il P.G. ricorrente deduce erronea applicazione della disciplina regolatrice e apparenza di motivazione.
Il ricorrente evidenzia che la Corte di secondo grado si e’ limitata ad affermare, quanto al periodo storico antecedente al 1983, la “mancanza di specifici elementi di prova” li’ dove il Tribunale aveva puntualmente evidenziato i pregiudizi penali (tra cui la condanna per contrabbando) e le intervenute applicazioni della sorveglianza speciale. La successiva condanna per la partecipazione al sequestro di persona (inquadrabile nelle ipotesi di pericolosita’ qualificata) e la massiccia evasione fiscale attribuita allo (OMISSIS) dimostravano, pertanto, la continuita’ delle condotte illecite tenute nel corso del tempo dal medesimo, con immotivata riduzione del periodo di pericolosita’ oggetto di ricostruzione in primo grado.
3.2 Nell’interesse di (OMISSIS) e dei terzi (OMISSIS) e (OMISSIS) e’ stato proposto dai difensori e procuratori speciali – in riferimento alla posizione dei terzi – avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS) unico atto di ricorso. 3.2.1 Al primo motivo si deduce la inosservanza della legge processuale con riferimento all’annesso riconoscimento della preclusione processuale derivante dal decreto emesso in data 19 ottobre 1992 dal Tribunale di Bari.
Si compie riferimento ai contenuti della decisione emessa in data 19 ottobre 1992 nel cui ambito si era affermato: a) che la prova della “derivazione” dei beni dalle attivita’ illecite poste in essere dallo (OMISSIS) in riferimento ai fatti di pericolosita’ qualificata (ossia la partecipazione al sequestro di persona) “manca del tutto”; b) che lo (OMISSIS), pur da ritenersi pericoloso in considerazione delle condotte pregresse, non puo’ ritenersi attualmente pericoloso (dal 1989 in poi), mancando elementi in tal senso.
Circa tali aspetti si precisa che il Tribunale e la Corte di Appello, hanno tuttavia ritenuto assente la preclusione derivante dai contenuti della decisione prima citata, facendo riferimento a intervenuti mutamenti, tanto del quadro legislativo che degli elementi conoscitivi disponibili.
Si e’, in particolare, evidenziato in sede di merito il rilievo delle condotte di evasione fiscale su cui la decisione del 1992 non avrebbe realizzato un accertamento pieno, limitandosi a trasmettere gli atti alla Procura competente.
Ad avviso dei ricorrenti tali affermazioni sono erronee.
La L. n. 55 del 1990 – all’epoca vigente – estendeva le disposizioni di cui alla L. n. 575 del 1965 (concernente la pericolosita’ qualificata per indizi di appartenenza alle associazioni mafiosi) ai soggetti condannati per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione e dunque alla condizione soggettiva dello (OMISSIS) (condannato per il sequestro (OMISSIS)), aspetto che il Tribunale, con evidente errore in diritto, non considera esistente (affermando la vigenza delle disposizioni solo in epoca posteriore alla definizione della procedura di prevenzione).
Da cio’ la difesa desume che la stessa valorizzazione delle condotte di evasione fiscale, come fatto nuovo idoneo a determinare la confisca disgiunta, si basa su una erronea ricognizione dei contenuti della decisione emessa nel 1992.
Si evidenzia, in particolare, che le condotte di evasione erano emerse – con allegazioni difensive – gia’ nel corso del procedimento concluso con la decisione prima citata e, pertanto, trattandosi di elementi conosciuti – ed apprezzati in tale procedura – non potevano essere considerati un novum in senso fattuale.
Ancora, sul piano del novum legislativo, si evidenzia che l’istituto della confisca disgiunta, pur riconosciuto con le disposizioni introdotte del 2008 e nel 2009 non era estraneo alle applicazioni giurisprudenziali in tema di pericolosita’ qualificata (viene citato l’arresto Sez. U., del 3.07.1996, Simonelli e talune decisioni posteriori di questa Corte) e, pertanto, ben poteva – nella procedura definita nel 1992 pervenirsi a confisca dei beni anche in ipotesi di cessazione della pericolosita’.
Ne’ appaiono sussistenti, secondo i ricorrenti, elementi fattuali di reale novita’ circa le pretese condotte di evasione, posto che le decisioni di merito pervenute alla odierna confisca hanno operato costante riferimento, in fatto, proprio ai contenuti delle allegazioni difensive relative alla procedura definita nell’anno 1992 e non ad accertamenti posteriori.
Gli accadimenti posteriori vengono evocati – in sede di merito – in riferimento a condotte, al piu’, di reimpiego di quei medesimi proventi, oggetto di restituzione a seguito della decisione, favorevole allo (OMISSIS), del 1992.
Ma su tale punto i ricorrenti evidenziano non soltanto che la restituzione delle somme di denaro non poteva essere – di certo – riferibile alla condanna per il sequestro di persona (posto che, come risulta dalla sentenza di merito, per la liberazione del (OMISSIS) non venne pagato alcun riscatto), ma anche che non risulta alcuna decisione su fatti di reato posteriori, tanto che nel 2008 (OMISSIS) ha ottenuto la riabilitazione.
Gli impieghi posteriori all’anno 1992 derivano, pertanto, dalla liquidita’ oggetto di restituzione a seguito della decisione favorevole emessa all’epoca e – in quanto somma di denaro non oggetto di confisca – ben potevano essere impiegati, in parte, per gli acquisti successivamente realizzati.
L’assenza di reali elementi nuovi, sia in fatto, che in diritto, doveva condurre all’accoglimento della eccezione difensiva in tema di preclusione derivante dal giudicato, pur tenendosi conto della particolare natura del giudicato di prevenzione.
3.2.2 Al secondo motivo si deduce erronea applicazione di legge in tema di ricognizione della pericolosita’.
I ricorrenti evidenziano che quanto alla condanna per contrabbando la stessa e’ di modesta entita’ e non potrebbe giustificare la effettiva percezione di un reddito illecito consistente.
Quanto alle condotte di evasione fiscale si evidenzia che in sede di merito non e’ stato minimamente affrontato il tema della distinzione – in tale ambito – tra delitti e contravvenzioni, tema centrale ai fini di un possibile inquadramento soggettivo nelle categorie tipizzate di pericolosita’. Si citano, sull’argomento, recenti arresti di questa Corte tra cui Sez. VI, 21.9.2017, D’Alessandro.
Ed ancora, si evidenzia che, se da un lato l’avvenuta adesione al condono fiscale (con sanatoria degli illeciti intervenuti tra il 1983 e il 1990) puo’ rappresentare un elemento di prova circa la loro sussistenza, dall’altro la stessa giurisprudenza di legittimita’ impone – in simili casi – di detrarre gli importi versati a titolo di condono dal contenitore della ipotizzata provvista illecita, in virtu’ dell’avvenuta estinzione della obbligazione tributaria.
Una volta operato il recupero della imposta evasa, la quota-parte di reddito derivante da attivita’ lecita non potrebbe, in simili casi essere ritenuta profitto di attivita’ illecita, con tutto cio’ che ne deriva sia in punto di qualificazione della pericolosita’ soggettiva che in punto di sproporzione tra reddito e investimenti.
In virtu’ di quanto detto sopra, la Corte di Appello non avrebbe posto in essere un inquadramento della pericolosita’ “tipica” dello (OMISSIS) conforme ai contenuti della linea interpretativa seguita da questa Corte di legittimita’ in epoca posteriore alla pronunzia con cui la Cedu (sentenza De Tommaso contro Italia del febbraio 2017) ha condannato l’Italia per il deficit di prevedibilita’ e chiarezza delle disposizioni di legge in tema di descrizione dei connotati della pericolosita’ generica.
3.2.3 Al terzo motivo si deduce, quanto alla posizione dei terzi interessati, erronea applicazione di legge.
Quanto alla posizione di (OMISSIS) si deduce l’omessa valutazione delle doglianze relativa alla avvenuta percezione di redditi dalla (OMISSIS), redditi del tutto indipendenti dalle condotte di pretesa evasione, non poste in essere dal terzo.
Quanto alla posizione di (OMISSIS), la Corte di Appello avrebbe omesso di calcolare i redditi da locazione derivanti dagli immobili oggetto di restituzione.
3.2.4 La difesa dei ricorrenti, inoltre, ha depositato sia note di contrasto ai contenuti del ricorso proposto dal P.G. territoriale, che note relative al contenuto della requisitoria del P.G. presso questa Corte di Cassazione.
In tali atti si evidenzia che nessun rilievo puo’ essere attribuito – sul tema della perimetrazione temporale della pericolosita’ – alla attrazione legislativa del reato di sequestro di persona (ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, comma 1, lettera b) all’area della pericolosita’ qualificata, posto che non solo tale collocazione e’ posteriore alla definizione del procedimento del 1992, ma perche’ le stesse Sezioni Unite di questa Corte nella nota decisione (OMISSIS) del 2014 indicano come possibile una deroga alla rigida correlazione temporale tra pericolosita’ e incrementi patrimoniali nel solo “settore” della criminalita’ organizzata di stampo mafioso e non per le singole fattispecie di reato come il sequestro di persona.
Si ribadisce, peraltro, che gia’ nel 1992 vigeva la norma che estendeva le regole della prevenzione antimafia al reato in parola e tale dato, come esposto nel ricorso, va in realta’ a sostenere la tesi della preclusione non superabile.
Resta il fatto, dunque, che le condotte poste in essere dallo (OMISSIS) nel periodo 1961-1983 sono del tutto inidonee, seguendo le coordinate della recente giurisprudenza, a dare luogo ad una qualificazione “tipizzata” della pericolosita’ di (OMISSIS), cosi’ come ritenuto – in tale parte della decisione – dalla Corte di Appello di Bari. Si compie riferimento, sul tema, ai contenuti della sentenza n. 24 del 2019, con cui la Corte costituzionale ha espunto dal quadro legislativo, per violazione dei canoni di prevedibilita’ e tassativita’ descrittiva, la fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lettera a), ed ha imposto l’adozione, quanto ai contenuti della previsione di legge di cui alla lettera b) del medesimo articolo, di coordinate interpretative rispettose del canone della tassativita’, gia’ emerse in sede di legittimita’.
Gli argomenti difensivi esposti nell’atto di ricorso sono ribaditi nella memoria di replica alle conclusioni scritte del P.G..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso proposto dal Procuratore Generale e’ infondato; il ricorso proposto da (OMISSIS) e dai terzi interessati e’ fondato, nei limiti e per le ragioni che seguono.
2. La complessa vicenda oggetto dei giudizi di merito e’ stata trattata e decisa in primo grado in epoca antecedente alla emissione della decisione della Corte Costituzionale numero 24 del 24 gennaio 2019 (depositata il 27 febbraio del 2019), mentre il decreto della Corte di Appello – che pure non ne fa menzione – risulta posteriore.
2.1 Lo scrutinio dei motivi di ricorso – nel cui ambito e’ peraltro introdotto il tema del necessario adeguamento interpretativo ai contenuti della sentenza della Consulta – va, pertanto, operato anche alla luce dei contenuti apportati dal giudice delle leggi ed in particolare detto scrutinio non puo’ prescindere dalla constatazione dell’avvenuta esclusione dal quadro normativo della categoria tipica dei soggetti “abitualmente dediti a traffici delittuosi” (categoria evocata dal Tribunale nell’ambito della ricostruzione della pericolosita’ di (OMISSIS)), ne’ dalla natura giuridica – di sentenza interpretativa di rigetto – da attribuirsi alla citata decisione n. 24 del 2019 sui temi oggetto di trattazione (la categoria tipica della abituale destinazione al mantenimento del tenore di vita dei proventi di attivita’ delittuose).
2.2 Come questa Corte ha gia’ avuto modo di osservare (per tutte v. Sez. 1, n. 27696 dell’1.4.2019, rv. 275888), li’ dove in sede di merito – cosi’ come nel caso in esame – si sia proceduto ad un inquadramento “promiscuo” del soggetto proposto nelle categorie tipiche di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, lettera a) e b), l’effetto della decisione n. 24 del 2019 della Corte costituzionale e’ duplice: da un lato occorre prendere atto della avvenuta declaratoria di illegittimita’ costituzionale della ipotesi di cui al citato articolo 1, lettera a) (con immediata rimozione degli effetti della norma oggetto della declaratoria di incostituzionalita’), dall’altro occorre realizzare una accurata ricognizione dei contenuti del provvedimento di merito sulla ipotesi residua di cui alla lettera b) (il vivere abitualmente, anche in parte, con i proventi di attivita’ delittuose) e cio’ in ragione del fatto che anche rispetto a tale disposizione la decisione del giudice delle leggi – lungi dal convalidare senza rilievi la modalita’ lessicale di formulazione del testo di legge – si atteggia a sentenza interpretativa di rigetto, i cui contenuti argomentativi pongono precise condizioni di “validita’ costituzionale” del modus interpretativo adottato nel caso concreto (si vedano, sul tema anche Sez. I, n. 27696 del 1.4.2019, rv. 275888-02; Sez. II, n. 11445 del 8.3.2019, rv. 276061; Sez. VI, n. 21513 del 9.4.2019, rv. 275737).
2.3 In particolare, giova ricordare che a seguito dell’intervento della Consulta in tale parte “constatativa” del giudizio di prevenzione, l’applicazione della disposizione di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, lettera b), puo’ dirsi conforme ai principi costituzionali di riferimento se ed in quanto il giudice di merito abbia rispettato, dandone conto in motivazione, quei connotati di “tassativita’” dei contenuti, gia’ individuati da questa Corte di Cassazione negli arresti posteriori alla nota decisione Corte Edu De Tommaso contro Italia e cosi’ riassunti dal giudice delle leggi nella sent. n. 24 del 2019″ (…) le “categorie di delitto” che possono essere assunte a presupposto della misura sono in effetti suscettibili di trovare concretizzazione nel caso di specie esaminato dal giudice in virtu’ del triplice requisito – da provarsi sulla base di precisi “elementi di fatto”, di cui il tribunale dovra’ dare conto puntualmente nella motivazione (articolo 13 Cost., comma 2) – per cui deve trattarsi di a) delitti commessi abitualmente (e dunque in un significativo arco temporale) dal soggetto, b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui, c) i quali a loro volta costituiscano – o abbiano costituito in una determinata epoca – l’unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito.
2.4 Resta pertanto ineliminabile, nel giudizio di prevenzione, la realizzazione di una operazione preliminare di inquadramento del soggetto – di cui si discute – in una delle categorie legali di descrizione della pericolosita’, secondo canoni interpretativi tesi a valorizzare la dimensione tassativa delle previsioni di legge, in particolare per quanto concerne l’area della pericolosita’ generica (caratterizzata da contenuti legislativi che fanno ricorso a locuzioni piu’ elastiche rispetto a quelle della pericolosita’ qualificata, modellate su specifiche fattispecie di delitto).
In particolare, va evidenziato che e’ stata proprio la promozione ed il consolidamento di simile opzione ermeneutica a determinare – in sede di decisione sull’incidente di legittimita’ costituzionale – la presa d’atto, da parte della Consulta, di una conformita’ del “diritto vivente” – in riferimento alla fattispecie di cui alla lettera b) del citato articolo 1 – ai canoni imposti dalla definitiva “attrazione” del sistema della prevenzione in un ambito presidiato dai principi costituzionali espressi dall’articolo 13 Cost., in tema di tutela della liberta’ personale – nonche’ dagli articoli 42 e 117 Cost. e articolo 1 Prot. add. Cedu in tema di tutela della proprieta’ -, pur nella riaffermazione della distinzione tra “materia penale” in senso stretto ed intervento “preventivo” e limitativo di diritti costituzionalmente garantiti.
2.5 Occorre, pertanto, riportare per sintesi i contenuti della decisione in parola e lo stretto “collegamento funzionale” che la Corte costituzionale ha ritenuto sussistente, in tale contesto, tra il compito integrativo affidato alla interpretazione giurisprudenziale e il mantenimento di un livello accettabile di “qualita’ della legge”: ” (..) occorre ancora rammentare che, gia’ in epoca immediatamente precedente alla sentenza de Tommaso, la giurisprudenza di legittimita’ aveva compiuto un commendevole sforzo di conferire, in via ermeneutica, maggiore precisione alle due fattispecie di “pericolosita’ generica” qui all’esame. Tale sforzo interpretativo e’ stato ripreso e potenziato successivamente alla pronuncia della Corte EDU, al dichiarato fine di porre rimedio al deficit di precisione in quella sede rilevato. Questa lettura convenzionalmente orientata, talora indicata come “tassativizzante”, muove dal presupposto metodologico secondo cui la fase prognostica relativa alla probabilita’ che il soggetto delinqua in futuro e’ necessariamente preceduta da una fase diagnostico – constatativa, nella quale vengono accertati (con giudizio retrospettivo) gli elementi costitutivi delle cosiddette “fattispecie di pericolosita’ generica”, attraverso un apprezzamento di “fatti”, costituenti a loro volta “indicatori” della possibilita’ di iscrivere il soggetto proposto in una delle categorie criminologiche previste dalla legge (Corte di cassazione, sezione prima, sentenza 1 febbraio 201831 maggio 2018, n. 24707; sezione seconda, sentenza 4 giugno 2015-22 giugno 2015, n. 26235; sezione prima, sentenza 24 marzo 2015-17 luglio 2015, n. 31209; sezione prima, sentenza 11 febbraio 2014-5 giugno 2014, n. 23641). Con riferimento, in particolare, alle “fattispecie di pericolosita’ generica” disciplinate dalla L. n. 1423 del 1956, articolo 1, nn. 1) e 2), e – oggi – dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, lettera a) e b), (disposizione, quest’ultima, alla quale per comodita’ si fara’ prevalentemente riferimento nel prosieguo), i loro elementi costitutivi sono stati dalla Corte di cassazione precisati nei termini seguenti. L’aggettivo “delittuoso”, che compare sia nella lettera a) che nella lettera b) della disposizione, viene letto nel senso che l’attivita’ del proposto debba caratterizzarsi in termini di “delitto” e non di un qualsiasi illecito (Corte di cassazione, sezione prima, sentenza 19 aprile 2018-3 ottobre 2018, n. 43826; sezione seconda, sentenza 23 marzo 2012-3 maggio 2012, n. 16348), si’ da escludere, ad esempio, che “il mero status di evasore fiscale” sia sufficiente a fondare la misura, ben potendo l’evasione tributaria consistere anche in meri illeciti amministrativi (Corte di cassazione, sezione quinta, sentenza 6 dicembre 2016-9 febbraio 2017, n. 6067; sezione sesta, sentenza 21 settembre 2017-21 novembre 2017, n. 53003). L’avverbio “abitualmente”, che pure compare sia nella lettera a) che nella lettera b) della disposizione, viene letto nel senso di richiedere una “realizzazione di attivita’ delittuose (…) non episodica, ma almeno caratterizzante un significativo intervallo temporale della vita del proposto” (Cass., n. 31209 del 2015), in modo che si possa “attribuire al soggetto proposto una pluralita’ di condotte passate” (Corte di cassazione, sezione prima, sentenza 15 giugno 2017-9 gennaio 2018, n. 349), talora richiedendosi che esse connotino “in modo significativo lo stile di vita del soggetto, che quindi si deve caratterizzare quale individuo che abbia consapevolmente scelto il crimine come pratica comune di vita per periodi adeguati o comunque significativi” (Corte di cassazione, sezione seconda, sentenza 19 gennaio 2018-15 marzo 2018, n. 11846) (…).
Viene, dunque, in rilievo la descritta connotazione dei termini “delittuosi” ed il significato attribuito alla nozione di abitualita’, come veri e propri presidi della legittimita’ costituzionale della stessa “base legale” del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1 lettera b), in tema di prevenzione: ” (…) allorche’ si versi – come nelle questioni ora all’esame – al di fuori della materia penale, non puo’ del tutto escludersi che l’esigenza di predeterminazione delle condizioni in presenza delle quali puo’ legittimamente limitarsi un diritto costituzionalmente e convenzionalmente protetto possa essere soddisfatta anche sulla base dell’interpretazione, fornita da una giurisprudenza costante e uniforme, di disposizioni legislative pure caratterizzate dall’uso di clausole generali, o comunque da formule connotate in origine da un certo grado di imprecisione. Essenziale nell’ottica costituzionale cosi’ come in quella convenzionale – e’, infatti, che tale interpretazione giurisprudenziale sia in grado di porre la persona potenzialmente destinataria delle misure limitative del diritto in condizioni di poter ragionevolmente prevedere l’applicazione della misura stessa (…). La locuzione “coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attivita’ delittuose” e’ oggi suscettibile, infatti, di essere interpretata come espressiva della necessita’ di predeterminazione non tanto di singoli “titoli” di reato, quanto di specifiche “categorie” di reato. Tale interpretazione della fattispecie permette di ritenere soddisfatta l’esigenza – sulla quale ha da ultimo giustamente insistito la Corte Europea, ma sulla quale aveva gia’ richiamato l’attenzione la sentenza n. 177 del 1980 di questa Corte – di individuazione dei “tipi di comportamento” (“types of behaviour”) assunti a presupposto della misura (…) “.
2.6 Dai contenuti della decisione n. 24 del 2019 Corte Cost. deriva – pertanto – una particolare esigenza di uniformita’ dell’indirizzo giurisprudenziale maturato nella presente sede di legittimita’ e richiamato dalla Consulta, sui punti caratterizzanti l’operazione ermeneutica sin qui rievocati, posto che l’adozione di letture diverse delle disposizioni ancora vigenti, tese a riportare in vita modelli di classificazione basati su concetti non rispondenti alla tassativita’ descrittiva, finirebbe con il porsi in contrasto con il delicato assetto di conformita’ ai principi costituzionali e convenzionali proposto e realizzato in tale decisione.
Va quindi ribadita l’affermazione (v. Sez. I, n. 349 del 15.6.2017, dep. 2018, Bosco, rv. 271996 e successive conformi) per cui, nella costruzione della fattispecie legale di pericolosita’ di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1 lettera b), il termine “delittuoso” non e’ connotazione di disvalore generico della condotta pregressa, ma attributo che la qualifica, dunque il giudice della misura di prevenzione deve, preliminarmente, attribuire al soggetto proposto una pluralita’ di condotte passate (dato il riferimento alla abitualita’) che – vuoi facendosi riferimento ad accertamenti realizzati in sede penale, vuoi attraverso una autonoma ricostruzione incidentale che non risulti contraddetta da esiti assolutori – siano “rispondenti al tipo” di una previsione di legge penalmente rilevante e consistente in un delitto.
3. Operata tale premessa, necessaria ad esaminare entrambi gli atti di ricorso, va qui rilevata la infondatezza del ricorso proposto dal Procuratore Generale territoriale.
3.1 n ricorrente muove le sue critiche in riferimento ad una espressione indubbiamente sintetica – utilizzata dalla Corte di Appello nel corpo della decisione, quanto alla assenza di specifici elementi di prova idonei a sostenere la “condizione di pericolosita’ dello (OMISSIS)” a far data dal 1961, cosi’ come argomentata in primo grado.
Tuttavia la decisione va considerata nel suo complesso e, soprattutto, alla luce dei principi ricordati al paragrafo 2 della presente sentenza.
3.2 E’ evidente, infatti, che le considerazioni espresse – anche in altri punti della decisione – dalla Corte di Appello di Bari, correttamente individuano un vizio di metodo della prima decisione, li’ dove si fondava la “costante” pericolosita’ (per oltre un trentennio) dello (OMISSIS) non tanto sugli esiti dei giudizi penali (peraltro eterogenei) che lo hanno riguardato nel periodo 1961 – 1984, quanto su “contatti e frequentazioni” intervenute con soggetti autori di altri sequestri di persona (per episodi che hanno visto prosciolto lo (OMISSIS)) o su mere presunzioni relative alla movimentazione non giustificata di somme di danaro.
Per quanto sintetica, dunque, l’espressione utilizzata dalla Corte di Appello finisce con l’evidenziare che i connotati “tipici” del giudizio preliminare di inquadramento della pericolosita’ (cd. parte constatativa del giudizio di prevenzione) sono – in tale periodo storico – del tutto assenti, non potendo essere valorizzati, in tale ambito, mere frequentazioni o sospetti la cui valenza indicativa sia stata “smentita” (come nel caso della assoluzione) o non sia stata autonomamente elaborata dal giudice della procedura di prevenzione (si veda, sul tema, Sez. I, n. 43826 del 19.4.2018, rv. 273976, ove si e’ affermato che in sede di verifica della pericolosita’ sociale del soggetto proposto per l’applicazione della confisca di prevenzione ai sensi del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 1, comma 1, lettera a) e b), il giudice della prevenzione deve individuare il momento iniziale della suddetta pericolosita’, al fine di sostenerne la correlazione con l’acquisto dei beni, sulla base non della constatazione di condotte genericamente indicative della propensione al delitto, ma dell’apprezzamento di condotte delittuose corrispondenti al tipo criminologico della norma che intende applicare, individuando il momento in cui le stesse abbiano raggiunto consistenza e abitualita’ tali da consentire, gia’ all’epoca, l’applicazione della misura di prevenzione).
Cio’ perche’ in tali ipotesi non e’ soltanto la limitata consistenza dimostrativa del dato probatorio ad essere inidonea; finirebbe – in ipotesi di affermazione della condizione di pericolosita’ – con il venire meno quella esigenza di adeguata “constatazione di piu’ delitti produttivi di reddito” che rappresenta la stessa “base legale” della misura di prevenzione per pericolosita’ generica di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lettera b, come si e’ detto in precedenza.
Ne’ la continuita’ della pericolosita’ potrebbe basarsi su risalenti applicazioni di misure di prevenzione personali le cui basi cognitive – peraltro non ostentate nelle decisioni di merito – non risultino conformi alla – attualmente avvertita – necessita’ di operare una ricognizione di condotte “delittuose” produttive di reddito illecito.
Non puo’, pertanto, accedersi alla tesi sostenuta dal P.G. impugnante, ferme restando le necessarie precisazioni in diritto, sin qui operate.
Ne deriva il rigetto del ricorso introdotto dalla parte pubblica.
4. Il ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) e dei terzi e’ fondato al secondo motivo.
4.1 II primo motivo, incentrato sul rilievo della preclusione correlata alla definizione del procedimento di prevenzione celebrato nel 1992 e’ infondato, per le ragioni che seguono.
La decisione emessa in primo grado, nel prendere in esame i contenuti del provvedimento con cui era stata respinta la richiesta di misura personale e patrimoniale nei confronti dello (OMISSIS) e nel rapportarli alla disciplina allora vigente, contiene effettivamente un errore, li’ dove sostiene che l’estensione della disciplina della confisca antimafia alle categorie della pericolosita’ semplice – in rapporto al titolo di reato di cui all’articolo 630 c.p., – sia avvenuta in epoca posteriore alla definizione della procedura de qua.
La L. 19 marzo 1990, n. 55, nel suo testo iniziale, all’articolo 14 prevedeva l’estensione della disciplina “antimafia” di cui alla L. n. 575 del 1965, ai soggetti condannati per il delitto di cui all’articolo 630 c.p., nei modi che seguono: “Salvo che si tratti di procedimenti di prevenzione gia’ pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, da tale data le disposizioni della L. 31 maggio 1965, n. 575, concernenti le indagini e l’applicazione delle misure di prevenzione di carattere patrimoniale, nonche’ quelle contenute negli articoli da 10 a 10-sexies della medesima legge, si applicano con riferimento ai soggetti indiziati di appartenere alle associazioni indicate nell’articolo 1 della predetta legge o a quelle previste dalla L. 22 dicembre 1975, n. 685, articolo 75, ovvero ai soggetti indicati nella L. 27 dicembre 1956, n. 1423, articolo 1, comma 1, n. 2), quando l’attivita’ delittuosa da cui si ritiene derivino i proventi sia quella prevista dall’articolo 630 c.p.”.
In altre parole, la possibilita’ di procedere alla confisca – istituto regolamentato dalla L. n. 575 del 1965 per come novellata dalla L. n. 646 del 1982 – era all’epoca “condizionata” all’esito positivo di un duplice accertamento in fatto: a) l’esistenza, tra i reati astrattamente produttivi di una provvista economica attribuiti al soggetto, del sequestro di persona; b) l’esistenza di elementi idonei a rappresentare che i proventi illeciti fossero riferibili in modo specifico a tale reato.
Si trattava, dunque, di una tipologia particolare di confisca che, seppur con la logica del sistema della prevenzione, si atteggiava quasi a confisca “pertinenziale” essendo richiesta una verifica del nesso di derivazione del profitto illecito da una ben determinata fattispecie (il reato di cui all’articolo 630 c.p.).
4.1.1 Tutto cio’ consente di identificare il portato della decisione emessa nel 1992 nei confronti dello (OMISSIS) sotto un duplice profilo: a) il Tribunale afferma che la pericolosita’ dello (OMISSIS), pur in precedenza esistita, non e’ da ritenersi attuale; b) il Tribunale attesta, in ogni caso, l’assenza di elementi circa un verosimile nesso di derivazione tra il patrimonio dello (OMISSIS) e la condotta di concorso nel sequestro (OMISSIS), fattispecie che avrebbe – ma sempre in presenza di attuale pericolosita’ sociale -, consentito la confisca.
Al contempo, il Tribunale, sempre nella decisione del 1992, introduce – sulla base di allegazioni difensive – una diversa ipotesi esplicativa della sproporzione tra redditi e investimenti, rappresentata da condotte di evasione fiscale connesse alla gestione del complesso ricreativo e del ristorante, ipotesi la cui delibazione compiuta non poteva – in nessun caso – determinare la confisca, pur se la pericolosita’ fosse stata attuale, per i limiti di legge vigenti all’epoca.
4.1.2 Ora, le considerazioni che precedono – pur con la doverosa rettifica consentono di ritenere infondato il primo motivo di ricorso.
Ed invero, l’unico punto su cui non risulta intervenuto alcun dato nuovo (fenomenico o normativo che sia) risulta essere l’affermazione per cui tra il delitto di sequestro di persona oggetto di giudizio definitivo e il patrimonio mobiliare e immobiliare dello (OMISSIS) non vi e’ alcun nesso di derivazione e su tale aspetto puo’ mantenersi ferma la preclusione di merito derivante dal generalissimo principio del ne bis in idem, sia pure calato nel sistema della prevenzione (v. Sez. U. n. 18 del 1996, Simonelli, sulla natura di giudicato rebus sic stantibus).
Ma tale assunto e’ stato rispettato dai giudici del merito, che hanno basato la statuizione di confisca sulle reiterate condotte di evasione fiscale, da un lato, e sul novum normativo rappresentato dalla possibilita’, anche per le ipotesi di pericolosita’ semplice, di realizzare una confisca disgiunta per pericolosita’ pregressa (in virtu’ dei contenuti delle disposizioni entrate in vigore tra il 2008 e il 2009, poi confluite nel testo del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24).
Circa tale aspetto – che risulta, a ben vedere, decisivo – le doglianze difensive non risultano accoglibili.
In particolare, la ricostruzione delle condotte di evasione – fermo restando quanto si dira’ in sede di esame del secondo motivo di ricorso – se da un lato resta essenzialmente ancorata (salvo che per la adesione al condono fiscale) a quanto emerso durante la trattazione del procedimento del 1992, dall’altro non ha formato oggetto di delibazione, all’epoca, da parte del Tribunale, proprio in virtu’ della esistenza del limite normativo alla confisca disgiunta.
4.1.3 Non puo’ accedersi, in particolare, alla tesi – prospettata dai ricorrenti – che ipotizza come possibile gia’ all’epoca la confisca disgiunta per pericolosita’ semplice (da reato comune produttivo di reddito), atteso che i casi – essenzialmente dovuti alla elaborazione giurisprudenziale – in cui cio’ ebbe a verificarsi riguardavano il particolare settore della criminalita’ organizzata di stampo mafioso e, in ogni caso, non esisteva una disposizione di legge con esplicita portata facoltizzante a tale forma di confisca.
Risulta pertanto possibile – come gia’ si e’ affermato in alcuni arresti di questa Corte alle cui argomentazioni, condivise dal Collegio, si opera rinvio (v. Sez. I, n. 13375 del 20.9.2017, dep. 2018, Brussolo, rv. 272701)-, in assenza di effettivo novum fattuale – procedere, sulla sola base della disciplina legale sopravvenuta, alla confisca disgiunta e cio’ in virtu’ della natura giuridica di misura di sicurezza, sia pure atipica, della confisca di prevenzione, riaffermata dai contenuti della nota decisione emessa nel 2014 dalle Sezioni unite di questa Corte, (OMISSIS).
E’ evidente infatti, che nell’ambito di un “nuovo” procedimento, apertosi in un momento di vigenza delle nuove disposizioni facoltizzanti la confisca, mai potrebbe pervenirsi all’applicazione della confisca disgiunta dei beni – per condotte antecedenti alla entrata in vigore della disposizione di legge peggiorativa (dunque per condotte antecedenti al maggio del 2008) – se ed in quanto la confisca fosse da ritenersi sanzione penale in senso proprio, in virtu’ del principio di irretroattivita’ della norma penale. Tuttavia tale aspetto ha trovato adeguata soluzione nell’arresto Sez. Un. (OMISSIS), nel cui ambito – pur con significative precisazioni – si e’ riaffermata la natura giuridica di misura di sicurezza atipica di tale classe di confisca in quanto “le modifiche introdotte nella L. n. 575 del 1965, articolo 2 bis, dalle L. n. 125 del 2008 e L. n. 94 del 2009, non hanno modificato la natura preventiva della confisca emessa nell’ambito del procedimento di prevenzione, sicche’ rimane tuttora valida l’assimilazione dell’istituto alle misure di sicurezza e, dunque, l’applicabilita’, in caso di successioni di leggi nel tempo, della previsione di cui all’articolo 200 c.p.”. Tanto consente l’applicazione della legge vigente al momento della decisione, anche se – per taluni aspetti – peggiorativa del trattamento giuridico della persona destinataria, rispetto al momento in cui costui avrebbe, in ipotesi, tenuto la condotta “fonte” della ablazione patrimoniale.
Non vi e’ dubbio, pertanto, circa il fatto che nel “nuovo” procedimento siano riesaminabili in rapporto alla legge vigente, le acquisizioni patrimoniali avvenute non soltanto in epoca antecedente rispetto all’anno 2008 (Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, che segna l’accrescimento dell’area della confiscabilita’) ma anche, se del caso, in epoca antecedente rispetto all’anno 1982, momento che -con la L. n. 646 del 1982, segna l’introduzione nel settore della prevenzione dello strumento della confisca. Tale e’ infatti il portato della ritenuta natura giuridica della confisca, come evidenziato in giurisprudenza anche nei primi anni di vigenza della L. n. 646 del 1982 (v. Sez. I, n. 3833 del 24.11.1986, Bontade, rv. 174988).
Il primo motivo di ricorso va, pertanto, respinto, data la sopravvenienza di novum normativo, quanto alle condotte di evasione fiscale, idoneo a determinare l’assenza di preclusioni correlate all’esito favorevole del giudizio conclusosi nel 1992.
4.2 Il secondo motivo del ricorso proposto da (OMISSIS) e terzi e’ fondato.
4.2.1 Come si e’ evidenziato al par. 2, ove si e’ illustrata la rilevanza di quanto deciso dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2019, l’inquadramento soggettivo in punto di pericolosita’ – necessario anche a fini di confisca disgiunta, in quanto presupposto ineludibile della ablazione – non puo’ prescindere dalla ricognizione, da parte del giudice della prevenzione, di “delitti” idonei alla produzione di reddito illecito che abbia, in modo significativo, concorso a sostenere le condizioni di vita del soggetto nei cui confronti e’ realizzato l’accertamento.
Nel caso in esame tale ricognizione, anche in rapporto alla sua dimensione temporale (dal 1983 sino alla fine degli anni âEuroËœ90, con cio’ che ne deriva in termini di correlazione temporale con gli incrementi patrimoniali), non risulta compiuta in modo adeguato in sede di merito e cio’ rappresenta violazione di legge, in relazione alla necessita’ di esprimere argomentazioni in fatto che muovano da una esatta ricognizione della “base legale” delle misure di prevenzione (v. sul tema Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, rv. 271511).
In particolare, va rilevato che nel giudizio di pericolosita’ soggettiva, oltre a farsi rientrare la condotta di partecipazione al sequestro – la quale, pur se indubbiamente indicativa di pregressa adesione a contesti criminali, non risulta aver prodotto reddito illecito, per quanto affermato gia’ nel 1992 – si e’ compiuto reiterato riferimento a condotte di evasione fiscale, emerse gia’ durante la trattazione della procedura precedente ed ulteriormente asseverate dall’adesione dello (OMISSIS) al condono fiscale (per le annualita’ 1983-1990).
In tale parte la decisione, tuttavia, non affronta il tema della ricostruzione incidentale di condotte “delittuose” ossia idonee ad integrare, secondo la normativa tributaria vigente all’epoca, un delitto (per le modalita’ e la rilevanza della condotta di evasione) e non una semplice contravvenzione.
4.2.2 Tale primo aspetto – evidenziato nel ricorso – e’ indubbiamente incidente sulla complessiva “rispondenza” della decisione al modello legale di riferimento, rappresentato dai contenuti del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1 lettera b), si’ da determinare la necessita’ di rivalutazione della decisione impugnata.
Per costante orientamento di questa Corte di legittimita’ le condotte di evasione fiscale – pur se autonomamente ricostruite in sede di prevenzione, non essendo necessario l’approdo al giudicato penale, sempre che non sia intervenuta assoluzione – devono essere tali da rientrare in una delle fattispecie tipiche di delitto (tra le molte, Sez. V, n. 6067 del 6.12.2016, rv. 269026; Sez. 6, n. 53003 del 21.9.2017, rv. 272267; Sez. V, n. 12374 del 2018, n. m, sul punto; Sez. II, n. 13566 del 19.2.2019, rv. 2757171), aspetto che non e’ stato concretamente apprezzato sede di merito.
La conformita’ al modello legale tipico, in altre parole, sussiste se ed in quanto venga accertato il delitto (rectius la serie di condotte delittuose), produttivo di reddito illecito.
Nel caso della evasione fiscale va ritenuto che il soggetto dedito – in modo continuativo – a condotte delittuose elusive degli obblighi contributivi realizza, in tal modo, attraverso il risparmio della imposta, una provvista finanziaria che e’ indubbiamente da considerarsi quale “provento” di delitto (inteso quale sostanziale vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato, secondo l’insegnamento di Sez. U n. 9149 del 3.7.1996, Chabni, rv. 205707).
Nel caso in esame, tuttavia, oltre alla necessita’ di concreta individuazione dei “delitti”, vanno operate ulteriori considerazioni circa l’incidenza del condono e circa la “delimitazione temporale” del periodo di pericolosita’.
4.2.3 L’adesione al condono fiscale, come si e’ detto in precedenza, ha riguardato le annualita’ 1983-1990 ed ha comportato, oggettivamente, la riduzione di quel “risparmio di imposta” che il soggetto evasore aveva in precedenza accumulato.
Se dunque e’ da ritenersi, sotto il profilo della manifestazione concreta di pericolosita’, che il condono fiscale non possa azzerare il rilievo della condotta delittuosa a fini di ricostruzione della pericolosita’ storica (cosi’ come affermato, tra le altre, da Sez. II, n. 14346 del 13.3.2018, rv. 272376), e’ altrettanto indiscutibile che la quota di “redditivita’ illecita” che integra la fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lettera b), ne risulta sensibilmente ridotta in virtu’ del versamento postumo della somma necessaria alla estinzione degli illeciti: l’adesione al paradigma della tassativita’ impone che venga detratta una quota “significativa” del reddito, destinata al perfezionamento del procedimento di condono.
Vi e’ dunque una prima conseguenza, relativamente alla vicenda in esame, nel cui ambito la Corte di merito si e’ limitata ad affermare la “irrilevanza” della adesione al condono sul giudizio di pericolosita’ storica, senza tuttavia esaminarne (se ed in quanto ricostruite le fattispecie in termini di delitto) le ricadute in punto di ridimensionamento della redditivita’ delle condotte.
Anche tale profilo va dunque, previo annullamento della decisione impugnata, rimesso alle valutazioni del giudice del rinvio.
4.2.4 Ulteriore profilo di inadeguatezza dei contenuti della decisione impugnata riguarda l’estensione temporale della pericolosita’ ad annualita’ successive al 1990, posto che non risultano censite – neanche in via incidentale – condotte ulteriori di evasione degli obblighi tributari posteriori a tale data.
La Corte di secondo grado compie riferimento, sul tema, ad attivita’ di “reimpiego” della provvista economica in precedenza sottratta alla imposizione fiscale.
Tuttavia va sul punto osservato che il fenomeno del reimpiego di somme provenienti da delitto commesso dal medesimo soggetto che lo realizza – almeno sino alla introduzione in sede penale del delitto di autoriciclaggio di cui all’articolo 648 ter c.p., avvenuta con L. 15 dicembre 2014, n. 186 e nei limiti previsti da tale disposizione – non puo’ essere qualificato in via autonoma come “attivita’ delittuosa”, rilevante a fini di classificazione tipica della pericolosita’ in sede di prevenzione. L’estensione temporale della eventuale confisca – secondo i noti parametri di cui alla decisione Sez. U. (OMISSIS) – potrebbe dunque avvenire, nel caso dello (OMISSIS), non gia’ attraverso una impropria “catalogazione” del reimpiego dei relativi proventi in termini di attivita’ delittuosa, data l’epoca cui si riferiscono i fatti, antecedente alla incriminazione delle condotte di autoriciclaggio, ma al piu’ mediante una affidabile quantificazione della somma evasa, detratto l’importo versato in sede di condono, e successivo “dimensionamento” della medesima sul valore degli investimenti realizzati in epoca posteriore all’anno 1992, nei limiti dunque, di una affidabile ricostruzione di pertinenzialita’.
Sui punti sin qui esaminati, con assorbimento delle doglianze di cui al terzo motivo, va dunque affermata la fondatezza del ricorso delle parti private, con annullamento della decisione impugnata e rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Bari in diversa composizione (v. sul punto quanto affermato in Sez. Un. 111 del 2018, Gattuso, citata).

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Bari in diversa composizione. Rigetta il ricorso del Procuratore Generale.
Si da’ atto che il presente provvedimento, redatto dal relatore Consigliere MAGI Raffaello, e’ sottoscritto dal solo Consigliere anziano del Collegio per impedimento alla firma del suo Presidente e dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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