Il fatto notorio va inteso in senso rigoroso

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 16 dicembre 2019, n. 33154.

La massima estrapolata:

Il fatto notorio, derogando al principio dispositivo delle prove e al principio del contraddittorio, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire incontestabile. Ne consegue che tra le nozioni di comune esperienza non possono farsi rientrare le acquisizioni specifiche di natura tecnica e quegli elementi valutativi che richiedono il preventivo accertamento di particolari dati estimativi. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza gravata che aveva ritenuto provato, per scienza comune, il fatto che il funzionamento delle caldaie a gas potesse provocare emissioni di calore, oltre che di fumo, ossido di carbonio e scintille).

Ordinanza 16 dicembre 2019, n. 33154

Data udienza 11 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARRATO Aldo – Presidente

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 28944/2015 proposto da:
CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), in qualita’ di eredi di (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1063/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 01/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/09/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la vicenda puo’ riassumersi nei termini seguenti:
– (OMISSIS) e (OMISSIS) impugnarono davanti al Tribunale la Delib. Assembleare del Condominio (OMISSIS), con la quale, all’unanimita’ dei presenti (19 condomini rappresentanti i 627,5 millesimi) era stato “autorizzato, chi lo richiede, al passaggio della tubazione del gas in facciata e all’uso dell’attuale pattumiera per alloggiare il nuovo contatore e l’eventuale caldaia di produzione di acqua calda”;
– il Tribunale di Torino, con sentenza del 17/7/2003, rigetto’ l’opposizione;
– la Corte d’appello di Torino, in parziale accoglimento dell’impugnazione degli attori, annullo’ la Delib., assumendo che essa, implicando una innovazione, avrebbe dovuto essere approvata con la maggioranza rinforzata dei due terzi;
– la Corte di cassazione, con la sentenza n. 945 del 16/1/2013, accolto il ricorso principale del Condominio, casso’ la decisione d’appello per avere erratamente affermato che la Delib. costituisse un’innovazione;
– la Corte di Torino, in sede di rinvio, accolse l’appello e annullo’ la Delib.;
– il ragionamento portante di quest’ultima decisione risiede nei seguenti argomenti:
a) la nuova utilizzazione del tubo di scarico dei rifiuti era “limitata ai soli condomini della verticale con veduta anche sul cortile, mancando invece per ragioni strutturali la possibilita’ per gli altri condomini di farne lo stesso uso ovvero farne diverso uso qualora anche un solo condomino vi installi la caldaia”, con conseguente lesione del diritto d’uso della cosa comune;
b) le caldaie a gas erano foriere, per scienza comune, d’emissione di calore, fumo, ossido di carbonio e scintille, cosi’ impedendo altri usi del locale gia’ adibito a pattumiera;
c) non avrebbe potuto collocarsi, per divieto di legge (L. n. 46 del 1990) piu’ di una caldaia;
ritenuto che il Condominio ricorre sulla base di due motivi e che (OMISSIS), anche quale erede di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) , quali eredi di (OMISSIS), resistono con controricorso;
ritenuto che con il primo motivo il ricorrente deduce omesso esame di un fatto controverso e decisivo, motivazione apparente, nonche’ violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2697, c.c. e articolo 115 c.p.c., sulla base di quanto segue:
– la Delib. si era limitata ad autorizzare il diverso uso della canna e della pattumiera, essendo del tutto evidente che l’utilizzo per l’alloggiamento delle caldaie era soggetto alle previe autorizzazioni amministrative, come emergeva dall’ordinanza municipale del 4/6/92, che la sentenza aveva omesso del tutto di prendere in esame;
– non era dato cogliere da dove la sentenza avesse tratto il convincimento che la canna dello scarico spazzatura avrebbe dovuto essere utilizzata per alloggiare le canne fumarie delle caldaie, ne’ era dato sapere perche’ la stessa avesse reputato che le caldaie avrebbero dovuto essere collocate nel locale ex pattumiera, trattavasi, quindi di “ricostruzione di pura fantasia”;
– era rimasto violato l’articolo 115 c.p.c., poiche’ la Corte di Torino aveva considerato erroneamente ammesse, perche’ non asseritamente contestate, le affermazioni di controparte in ordine alla incompatibilita’ della presenza della caldaia con altre infrastrutture, a causa delle immissioni promananti dalle prime; in quanto, siccome chiarito in sede di legittimita’, non tutti i fatti debbono essere specificamente contestati, non ogni parola, ma solo quelli aventi forza costitutiva;
– non rientravano nella comune esperienza le conoscenze di natura tecnica, e, quindi, si rilevava altro profilo di violazione dell’articolo 115 c.p.c., comma 2;
considerato che l’esposto motivo merita di essere accolto per le ragioni che seguono:
a) con la Delib. fatta oggetto di contestazione era stato “autorizzato, chi lo richiede, al passaggio della tubazione del gas in facciata e all’uso dell’attuale pattumiera per alloggiare il nuovo contatore e l’eventuale caldaia di produzione di acqua calda” e, di conseguenza, non solo non e’ dato cogliere da quale emergenza probatoria la sentenza abbia tratto il convincimento che la vecchia canna per lo scarico della spazzatura, ormai non piu’ in uso, avrebbe dovuto alloggiare lo scarico dei fumi delle caldaie eventualmente alloggiate, di talche’ l’enunciato appare non pertinente;
b) la non evidenziazione di collegamento tra la conclusione (la canna avrebbe dovuto accogliere gli scarichi di future caldaie) e l’acquisizione probatoria sul punto si pone in contrasto con l’articolo 115 c.p.c., comma 1, come gia’ questa Corte ha avuto modo di precisare, affermando che in virtu’ del principio di disponibilita’ delle prove, di cui all’articolo 115 c.p.c., il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti; tanto che non e’ stato reputato sufficiente che una determinata circostanza sia acquisita al processo attraverso la produzione di un documento ad opera di una delle parti in causa, perche’ il giudice possa utilizzarla come base del suo convincimento, essendo, invece, necessario che la parte, interessata a far valere la circostanza, ne faccia oggetto della propria tesi difensiva, richiamandola al momento della produzione o anche successivamente per evitare preclusioni (Sez. 3, n. 2076, 13/2/2002, Rv. 552243; si veda pure Sez. 3, n. 26769, 23/10/2018);
c) e’ appena il caso di soggiungere che le osservazioni che precedono ovviamente non pongono in discussione il consolidato orientamento secondo il quale una questione di violazione o di falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., non puo’ porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorche’ si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., da ultimo, Sez. 6-1, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299);
d) la sentenza d’appello afferma costituire fatto non controverso, perche’ non contestato dal Condominio, la circostanza che “il funzionamento di caldaie a gas in uno spazio chiuso come la canna pattumiera possa provocare emissioni quantomeno di calore (oltre che di fumo, ossido di carbonio e scintille)”, l’asserto, oltre che incongruente, poiche’ presuppone che la canna sarebbe stata adibita a scarico dei fumi, in contrasto con le evidenze probatorie apprezzate dal Giudice del merito (si rinvia ai punti b e c), declina una nozione difatto “non contestato” non condivisibile;
e) questa Corte, infatti, ha in piu’ occasioni chiarito che l’onere del convenuto, previsto dall’articolo 416 c.p.c., per il rito del lavoro, e dall’articolo 167 c.p.c., per il rito ordinario, di prendere posizione,
nell’atto di costituzione, sui fatti allegati dall’attore a fondamento della domanda, comporta che il difetto di contestazione implica l’ammissione in giudizio solo dei fatti cosiddetti principali, ossia costitutivi del diritto azionato, mentre per i fatti cosiddetti secondari, ossia dedotti in esclusiva funziona probatoria, la non contestazione costituisce argomento di prova ai sensi dell’articolo 116 c.p.c., comma 2 (Sez. 1, n. 5191, 27/2/2008, Rv. 602119);
f) con specifico riferimento agli apprezzamenti valutativi di fatti sensibili, quali sono quelli qui evidenziati dalla Corte locale, si e’ puntualmente specificato che il principio di non contestazione non opera rispetto a fattispecie, come quella del diritto al risarcimento danno (nella specie danno biologico da esposizione all’amianto), il cui accertamento, richiedendo un riscontro sulla condotta, sul nesso di causalita’, sull’evento e sul pregiudizio, ha carattere fortemente valutativo, e che, pertanto, devono essere necessariamente ricondotte al “thema probandum” come disciplinato dall’articolo 2697 c.c., la cui verificazione spetta al giudice (Sez. L., n. 21460, 19/8/2019, Rv. 654812);
g) altro errore nel quale e’ incorsa la sentenza in esame si rivela nell’aver reputato provato, quale circostanza notoria, il fatto che il funzionamento delle caldaie a gas ” possa provocare emissioni quantomeno di calore (oltre che di fumo, ossido di carbonio e scintille”; invero, il fatto notorio, derogando al principio dispositivo delle prove e al principio del contraddittorio, va inteso in senso rigoroso, e cioe’ come fatto acquisito alle conoscenze della collettivita’ con tale grado di certezza da apparire incontestabile; ne consegue che tra le nozioni di comune esperienza non possono farsi rientrare le acquisizioni specifiche di natura tecnica e quegli elementi valutativi che richiedono il preventivo accertamento di particolari dati estimativi (Sez. 2, n. 13234, 3175/2010, Rv. 613158; conf.: Sez. 1, n. 6299/2014; Sez. 5, 22950/2014);
h) sotto altro profilo la decisione della Corte torinese pone a carico del Condominio un onere probatorio inesigibile, dipendente da un giudizio prognostico irragionevole, assumendo che le norme sulla sicurezza non consentono “l’installazione di piu’ caldaie a gas qualora la canna fumaria non sia ramificata ma unica come la (ex) canna pattumiera”: trattasi di un giudizio ipotetico, che resta esterno al tema della decisione, la quale avrebbe dovuto verificare esclusivamente la legittimita’ della Delib., con la quale si era autorizzato il mutamento di destinazione d’uso, “senza tuttavia prevedere l’esecuzione, da parte del condominio, di alcuna opera, da realizzarsi, eventualmente, solo successivamente su iniziativa di singoli condomini”, come ha scritto questa Corte con la sentenza n. 945/2013 che ebbe a cassare la prima decisione d’appello, evidentemente previa acquisizione delle autorizzazioni amministrative del caso e nel rispetto di esse;
ritenuto che con il secondo motivo viene denunziata violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1102 c.c., in quanto il pari uso deve intendersi potenziale, ma non assolutamente paritetico e qui non era prevedibile che altri condomini diversi da quelli posti in corrispondenza della canna (uno per ognuno dei tre piani) potesse giammai usare la stessa al fine autorizzato, salvo a utilizzare quella posta in corrispondenza della facciata del proprio appartamento (trattavasi di tre canne, che potevano essere sfruttate, rispettivamente, da ognuno dei tre condomini di riferimento);
considerato che anche questo motivo e’ fondato, sulla base di quanto appresso:
a) come ben noto la nozione di pari uso della cosa comune, agli effetti dell’articolo 1102 c.c., non va intesa nei termini di assoluta identita’ dell’utilizzazione del bene da parte di ciascun comproprietario, in quanto l’identita’ nel tempo e nello spazio di tale uso comporterebbe un sostanziale divieto per ogni partecipante di servirsi del bene a proprio esclusivo o particolare vantaggio, pure laddove non risulti alterato il rapporto di equilibrio tra i condomini nel godimento dell’oggetto della comunione (ex multis, Sez. 2, n. 7466, 14/4/2015, Rv. 635044); sicche’, i limiti posti dall’articolo 1102 c.c., all’uso della cosa comune da parte di ciascun condo’mino, ossia il divieto di alterarne la destinazione e l’obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri comproprietari, non impediscono al singolo condomino, se rispettati, di servirsi del bene anche per fini esclusivamente propri e di trarne ogni possibile utilita’ (Sez. 2, n. 6458, 6/3/2019, Rv. 652935);
b) e’ del tutto evidente che non solo i condomini i cui appartamenti non risultino interessati dalla colonna di scarico, il cui uso, venuta meno la destinazione originaria, e’ stato mutato, onde consentire una speciale utilita’ in favore di quei condomini, il cui appartamento risulti collocato in modo tale da poter fruire del vantaggio, non possono rivendicare il diritto all’assoluta identita’ d’utilizzazione, ma, del pari, non hanno motivo di dolersi quei condomini, i cui appartamenti risultino serviti dalla canna, che non intendano godere del predetto nuovo uso, in quanto l’utilizzazione che altri ne faccia non e’ stato dimostrato si ponga in alternativa escludente ai loro danni;
considerato che la sentenza impugnata sulla scorta di quanto esposto deve essere cassata e, sussistendo le condizioni di cui all’articolo 384 c.p.c., comma 2, decisa la causa nel merito, l’appello deve essere rigettato;
considerato che in virtu’ del principio di soccombenza finale i resistenti controricorrenti dovranno rimborsare in solido al Condominio le spese legali del giudizio d’appello, di legittimita’ (a seguito della cassazione di cui alla sentenza di questa Corte n. 945/2013) e di rinvio, nonche’ del presente giudizio di legittimita’;
che, tenuto conto del valore e della qualita’ della causa, nonche’ delle attivita’ svolte, si ritengono congrui i valori di cui appresso:
a) grado d’appello, Euro 3.418,34;
b) giudizio di cassazione, Euro 3.000,00;
c) giudizio di rinvio, Euro 3.100,00;
d) secondo giudizio di cassazione, Euro 3.000,00.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’appello; condanna (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento spese legali in favore del Condominio (OMISSIS), che liquida nella complessiva somma di Euro 6.518,34 per il grado d’appello e il giudizio di rinvio, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, e agli accessori di legge; nonche’ nella complessiva somma di Euro 6.000,00 per i due giudizi di cassazione, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in complessivi Euro 400,00, e agli accessori di legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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