Il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|5 maggio 2021| n. 17118.

Il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione è configurabile anche ove quest’ultima derivi dall’illegittimità, originaria o sopravvenuta, dell’ordine di esecuzione, sempre che la stessa non dipenda da un comportamento doloso o colposo del condannato. (In applicazione di tale principio la Corte, in una fattispecie di esecuzione delle pene applicate con due sentenze di patteggiamento, per gli stessi fatti, e di successivo accoglimento dell’istanza proposta al giudice dell’esecuzione di revoca della sentenza che aveva applicato la pena più grave, ha ritenuto ingiusto e non addebitabile all’imputato il periodo di detenzione subita dopo la presentazione di tale istanza).

Sentenza|5 maggio 2021| n. 17118

Data udienza 14 gennaio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: MISURE CAUTELARI – INGIUSTA DETENZIONE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente

Dott. NARDIN Maura – Consigliere

Dott. ESPOSITO Aldo – rel. Consigliere

Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere

Dott. TANGA Antonio L. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 24/01/2019 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di BOLZANO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALDO ESPOSITO;
lette le conclusioni del PG DR.SSA FODARONI M. G., che ha chiesto l’annullamento del ricorso.

Il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe la Corte d’appello di Trento – Sezione distaccata di Bolzano – ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta nell’interesse di (OMISSIS), in relazione al periodo di detenzione in carcere di 445 giorni dal 3 marzo 2015 al 9 febbraio 2018 in conseguenza di due sentenze esecutive emesse in parte per gli stessi fatti, come riconosciuto nell’ordinanza del 27 gennaio 2017 dal giudice dell’esecuzione e nella sentenza della Corte di cassazione dell’11 ottobre 2017 (di annullamento della predetta ordinanza) e infine nell’ordinanza del 9 febbraio 2018 del giudice dell’esecuzione.
Secondo la Corte distrettuale, era incontestato il dato della sottoposizione del (OMISSIS) a 445 giorni di detenzione senza titolo e cio’ in conseguenza della emissione delle due sentenze di applicazione di pena ex articolo 444 c.p.p. in parte per gli stessi fatti, in violazione del principio del ne bis in idem. Per tale ragione, l’istanza proposta al giudice dell’esecuzione di revoca ex articolo 673 c.p.p. della sentenza piu’ grave era accolta, con conseguente riduzione del trattamento sanzionatorio.
Nell’ordinanza impugnata si e’ ritenuto il comportamento del (OMISSIS) che aveva dato causa alla restrizione cautelare caratterizzato da colpa grave e, percio’, ostativo al riconoscimento dell’indennizzo, in quanto entrambi i titoli esecutivi erano costituiti da sentenze di patteggiamento emesse su richieste personali dell’imputato a distanza di meno di tre mesi l’una dall’altra e, evidentemente, sul presupposto della conoscenza specifica dei fatti materiali sui quali si fondavano le dette richieste.
Inoltre, il (OMISSIS) aveva impugnato in Cassazione entrambe le sentenze, senza fare nessun riferimento alla problematica del ne bis in idem, tanto vero che entrambi i ricorsi erano stati dichiarati inammissibili. Il (OMISSIS), peraltro, ristretto in carcere dal 3 marzo 2015, solo in data 22 luglio 2016 depositava l’incidente di esecuzione, rilevando la situazione di parziale sovrapponibilita’ delle imputazioni.

Il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione

2. Il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la suindicata ordinanza per violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’articolo 314 c.p.p..
Si deduce che, vertendosi in tema di ingiustizia formale della detenzione, non doveva essere formulato un vaglio circa l’esistenza o meno di condotte imputabili al condannato.
Le scelte difensive, peraltro insindacabili nel giudizio di riparazione per ingiusta detenzione, erano strettamente connesse alla scansione delle imputazioni progressivamente mosse nei confronti del (OMISSIS). Il primo procedimento traeva origine da un arresto in flagranza che culminava con la sentenza di applicazione di pena del G.U.P. del Tribunale di Brescia del 25 marzo 2011, divenuta definitiva in data 17 novembre 2011. Il secondo procedimento, invece, scaturiva dall’attivita’ investigativa della Procura di Bolzano, che diveniva nota all’imputato successivamente alla definizione del primo procedimento penale svoltosi dinanzi al G.U.P. del Tribunale di Bolzano del 15 giugno 2011, divenuta definitiva in data 8 marzo 2012.
Entrambe le vicende concernevano il furto aggravato di un fucile Beretta avvenuto in (OMISSIS) ai danni di (OMISSIS) (qualificato invece come ricettazione dal G.U.P. del Tribunale di Brescia) e la detenzione di un passaporto falso.
La Corte di appello ha sostanzialmente sindacato la scelta difensiva di non segnalare la sussistenza del bis in idem nel secondo procedimento, il cui trattamento sanzionatorio era risultato maggiormente benevolo. Il ricorso difensivo non era intempestivo, in quanto l’incidente di esecuzione era stato depositato in data 22 luglio 2016, cioe’ quattro mesi prima del fine pena calcolato al 21 novembre 2016. Il Giudice dell’esecuzione scioglieva la riserva solo in data 27 gennaio 2017, con ordinanza poi annullata dalla Corte di cassazione per violazione dell’articolo 669 c.p.p..
3. Con memoria del 13 gennaio 2020, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, rileva che l’ordinanza impugnata era stata notificata al ricorrente i data 21 maggio 2019, per cui era divenuta irrevocabile in data 5 giugno 2019. Per tale ragione, il ricorso era tardivo in quanto era stato depositato solo in data 13 giugno 2019. Esso, inoltre, non conteneva la procura speciale per proporre il ricorso in Cassazione, in quanto nel gravame si faceva riferimento esclusivamente alla procura rilasciata dinanzi al giudice di merito.
Con successiva memoria del 29 febbraio 2020, il Ministero evidenzia che, a fronte di una condotta gravemente colposa, non poteva essere riconosciuto il diritto all’indennizzo.
Il Ministero, quindi, chiede il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato limitatamente al periodo di detenzione dal 22 luglio 2016 al 9 febbraio 2018 ed e’ infondato nel resto.
2. In via preliminare, va osservato che il ricorso era stato tempestivamente presentato, perche’ inoltrato a mezzo di raccomandata A.R. in data 5 giugno 2019 (vedi il timbro di invio sulla busta) e, cioe’, entro il termine di quindici giorni dalla data di notifica dell’ordinanza al ricorrente (21 maggio 2019). Al riguardo, va rilevato che, ai fini della verifica della tempestivita’ della domanda di riparazione per ingiusta detenzione, il giudice, nel caso in cui la richiesta sia presentata a mezzo del servizio postale, deve fare riferimento alla sua data di spedizione e non a quella della ricezione del plico postale (Sez. 4, n. 847 del 16/11/2017, dep. 2018, Rosa Salsano, Rv. 271663).
Anche sotto il profilo della legittimazione a proporre ricorso non emergono violazioni di legge. Nel procedimento relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione, infatti, non e’ necessario il conferimento di procura speciale al difensore per la proposizione del ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza della Corte d’appello che ha provveduto alla liquidazione dell’indennizzo, essendo sufficiente che il predetto difensore sia iscritto nell’albo speciale di cui all’articolo 613 c.p.p. (Sez. 4, n. 5926 del 22/01/2019, Deserti, Rv. 275125).
3. Il caso in esame concerne il ricorso avverso l’ordinanza di rigetto di istanza di riparazione per ingiusta detenzione, proposto da (OMISSIS), il quale era stato sottoposto ad esecuzione delle pene applicate con due sentenze di patteggiamento, che in parte riguardavano gli stessi fatti, in violazione del principio del ne bis in idem, per cui in sede esecutiva la sentenza piu’ grave era revocata ai sensi dell’articolo 673 c.p.p..
Va premesso che, con sentenza n. 310 del 25/07/1996, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 314 c.p.p. “nella parte in cui non prevede il diritto all’equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione”.
In tale pronunzia e’ stato affermato che “la diversita’ della situazione di chi abbia subito la detenzione a causa di una misura cautelare, che in prosieguo sia risultata ingiusta rispetto a quella di chi sia rimasto vittima di un ordine di esecuzione arbitrario non e’ tale da giustificare un trattamento cosi discriminatorio, al punto che la prima situazione venga qualificata ingiusta e meritevole di equa riparazione e la seconda venga invece dal legislatore completamente ignorata”.
Da tale decisione non e’ derivata una modifica della fattispecie dalla quale scaturisce il diritto all’indennizzo, se non nell’ambito oggettivo di applicazione, che e’ venuto a ricomprendere anche l’ordine di esecuzione illegittimo; le vicende della fase dell’esecuzione della pena, pertanto, rilevano ai fini della applicabilita’ dell’istituto disciplinato dall’articolo 314 c.p.p., sempre che da esse derivi una ingiustizia della detenzione patita, ingiustizia che, si innesta su un errore dell’autorita’ procedente (errore che, per definizione, non puo’ mai rinvenirsi nell’esercizio di un potere di apprezzamento discrezionale e che quindi va ricercato nelle eventuali violazioni di legge: Sez. 4, n. 57203 del 21/09/2017, Paraschiva, Rv. 271689).
In tale pronunzia e’ stato sottolineato che il diritto alla riparazione e’ configurabile anche ove l’ingiusta detenzione derivi da vicende successive alla condanna connesse all’esecuzione della pena, purche’ sussista un errore dell’autorita’ procedente e non ricorra un comportamento doloso o gravemente colposo dell’interessato che sia stato concausa dell’errore relativo all’esecuzione della pena.
La sentenza n. 57203 del 21/09/2017 cit. ha illustrato le plurime fattispecie di ordine di esecuzione illegittimo – o divenuto tale successivamente – per fattori non ascrivibili a comportamento doloso o colposo del condannato, nelle quali questa Corte, in applicazione dei predetti principi, ha riconosciuto il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione:
a) ordine di esecuzione legittimamente emesso ma relativo a pena che, a causa del lungo arco temporale intercorso tra l’emissione del titolo e la sua esecuzione, si era poi estinta ex articolo 172 c.p. (senza che rilevasse l’assenza di un’espressa declaratoria di estinzione della pena) (Sez. 4, n. 45247 del 20/10/2015, Myteveli, Rv. 264895);
b) ordine di esecuzione relativo a pena gia’ estinta per indulto, anche se non ancora applicato dal giudice di esecuzione (Sez. 4, n. 30492 del 12/06/2014, Riva, Rv. 262240);
c) periodo di detenzione eccedente a quello risultante dall’applicazione della liberazione anticipata, in conseguenza di un ordine di esecuzione non ancora aggiornato al nuovo fine pena (Sez. 4, n. 18542 del 14/01/2014, Truzzi, Rv. 259210);
d) tardiva esecuzione dell’ordine di scarcerazione disposta per liberazione anticipata per il periodo di detenzione ingiustamente sofferto (Sez. 4, n. 47993 del 30/09/2016, Pittau, Rv. 268617).
A tale elencazione si ritiene di aggiungere le ipotesi di esecuzione sofferta in virtu’ di ordine di esecuzione legittimo, ma successivamente revocato per effetto di provvedimento di restituzione in termini per proporre impugnazione e successiva assoluzione (Sez. 4, n. 54838 del 13/11/2018, Panait Murs, non massimata), di applicazione dell’isolamento diurno per erronea predisposizione di ordine di esecuzione (Sez. 4, n. 18358 del 10/01/2019, Mafodda, Rv. 276258) e di sentenza dichiarativa di non doversi procedere per ne bis in idem pronunciata ai sensi dell’articolo 649 c.p.p., comma 2, a seguito della rescissione del precedente giudicato in ragione della nullita’ del decreto di latitanza (Sez. 4, n. 42328 del 02/05/2017, Saulo, Rv. 270818).
La sentenza n. 57203 del 21/09/2017 cit. ha chiarito l’ampia portata della sentenza n. 310 del 1996 della Corte Costituzionale, evidenziando il rilievo ai fini del riconoscimento del diritto previsto dall’articolo 314 c.p.p. a tutte le ipotesi di detenzione illegittimamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione e la distinzione tra pena definita da pronuncia irrevocabile e pena definitiva, dovendosi intendere per tale – alla luce dell’ampio spazio lasciato agli interventi del giudice dell’esecuzione e della magistratura di sorveglianza – “solo quella determinata all’esito della complessiva gestione giudiziale del trattamento sanzionatorio”. Essa, inoltre, ha effettuato un’ampia ricognizione della casistica delle pronunzie della Corte Europea dei diritti dell’uomo in tema di detenzione ingiusta (soprattutto in tema di liberazione anticipata), tutte convergenti nel senso della piu’ ampia tutela in caso di ingiusta detenzione per errore nella fase dell’esecuzione della pena.
4. Cio’ posto sui principi operanti in materia, nella fattispecie in esame, per effetto dell’esecuzione di entrambe le sentenze di condanna, emesse in parte per il medesimo fatto, il (OMISSIS) trascorreva un numero di giorni di detenzione superiore a quello legittimo (e, cioe’, in relazione al periodo di carcerazione subito per effetto della esecuzione della condanna piu’ grave).
Come si e’ sopra esposto, la sentenza n. 310 del 25/07/1996 della Corte Costituzionale ha ampliato la tutela indennitaria di cui all’articolo 314 c.p.p. alla fase dell’esecuzione della pena in caso di illegittimita’ originaria o sopravvenuta dell’ordine di esecuzione, sempre che la stessa non dipenda da comportamento doloso o colposo del condannato.
La presentazione tardiva da parte del (OMISSIS) dell’incidente di esecuzione relativamente alle due sentenze di applicazione di pena per il medesimo fatto integra gli estremi della condotta colposa.
Tuttavia, il periodo di detenzione successivo alla data di presentazione dell’istanza non puo’ essergli addebitato, in quanto la successiva durata del procedimento non costituisce fatto a lui imputabile.
La possibilita’ di riparare il danno, pertanto, deve essere valutata solo relativamente al periodo compreso tra la data di presentazione dell’incidente di esecuzione (22 luglio 2016) e la data di cessazione dello stato di detenzione (9 febbraio 2018).
5. In conclusione, l’ordinanza impugnata merita quindi di essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Trento, limitatamente al periodo di detenzione dal 22 luglio 2016 al 9 febbraio 2018, occorrendo procedere ad un nuovo esame, tenendo conto di quanto sopra evidenziato.

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato limitatamente al periodo di detenzione dal 22 luglio 2016 al 9 febbraio 2018, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano. Rigetta il ricorso nel resto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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