Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 18839.
Il direttore dei lavori deve avere le competenze necessarie a controllare la corretta esecuzione
In tema di appalto, il direttore dei lavori, quale rappresentante del committente, deve avere le competenze necessarie a controllare la corretta esecuzione delle opere da parte dell’appaltatore e dei suoi ausiliari, essendo altrimenti tenuto ad astenersi dall’accettare l’incarico o a delimitare, sin dall’origine, le prestazioni promesse, sicché è responsabile nei confronti del committente, se non rileva in corso d’opera l’inadeguatezza delle opere strutturali, sebbene affidate ad altro professionista, salvo che dimostri che i vizi potevano essere verificati solo a costruzione ultimata. (Nella specie, la S.C. ha affermato l’infondatezza dell’assunto della ricorrente, architetto, secondo cui non rientrerebbe tra le competenze del direttore dei lavori anche la verifica della validità del progetto strutturale, rilevando come la professionista avesse assunto l’incarico di direttore dei lavori senza alcuna limitazione alla sola parte architettonica dei lavori e che, finanche il giorno del crollo parziale del fabbricato oggetto dell’appalto, lungi dal manifestare la delimitazione delle proprie competenze e dei propri compiti riguardo ai lavori, aveva, previo sopralluogo, escluso la situazione di pericolo).
Ordinanza|| n. 18839. Il direttore dei lavori deve avere le competenze necessarie a controllare la corretta esecuzione
Data udienza 27 febbraio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Appalto – Contratto – Direttore e direzione dei lavori obblighi – Portata – Conseguenze – Fondamento – Fattispecie
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4497/2021 R.G. proposto da
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. (OMISSIS) (p.e.c. indicata: (OMISSIS)), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS) (p.e.c. indicata: (OMISSIS)), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– controricorrente e ricorrente incidentale –
entrambi contro:
(OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’Avv. (OMISSIS) (indirizzo di posta elettronica certificata: (OMISSIS));
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– intimati –
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, n. 4199/2020, pubblicata il 4 dicembre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 febbraio 2023 dal Consigliere Emilio Iannello.
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FATTI DI CAUSA
1. La sig. (OMISSIS) ricorre, con tre mezzi, nei confronti dei soggetti indicati in epigrafe, per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli (n. 4199/2020, pubblicata il 4 dicembre 2020) che, nel rigettare il suo gravame – e nel confermarne, dunque, la responsabilita’ sua professionale per danni conseguenti alla esecuzione di lavori edili la cui direzione le era stata affidata nella sua qualita’ di architetto -, in accoglimento dell’appello incidentale dei coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari del fabbricato parzialmente crollato a causa dei detti lavori, ha determinato in aumento l’importo risarcitorio.
2. Il sig. (OMISSIS), condannato in solido al risarcimento per i medesimi fatti, nella sua qualita’ di ingegnere autore del progetto strutturale, propone ricorso incidentale con due mezzi.
3. Ad entrambi i ricorsi resistono, depositando distinti controricorsi, i predetti coniugi.
Gli altri intimati, rispettivamente committenti dei lavori, esecutore degli stessi e altri professionisti condannati in solido al risarcimento, non svolgono difese.
La ricorrente principale e i controricorrenti hanno depositato memorie.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Entrambi i ricorsi si espongono ad un preliminare ed assorbente rilievo di inammissibilita’, per palese inosservanza del requisito di contenuto-forma prescritto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3.
Risulta, infatti, in entrambi, del tutto carente l’esposizione sommaria dei fatti, da detta norma richiesta a pena di inammissibilita’ del ricorso per cassazione, allo scopo di garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. Sez. U. 18/05/2006, n. 11653).
La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. Sez. U. 20/02/2003, n. 2602).
Stante tale funzione, per soddisfare detto requisito e’ necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni, in fatto e in diritto, su cui si e’ fondata la sentenza di primo grado, dei motivi di appello e delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata: il tutto nella misura in cui tali indicazioni sono essenziali per la comprensione dei motivi di ricorso e la loro valutazione.
Nel caso di specie ne’ l’uno ne’ l’altro ricorso, come detto, soddisfano tali requisiti contenutistici e nessuno di essi consente a questa Corte di cogliere gli elementi necessari per compiere il vaglio al quale e’ stata chiamata.
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2. Il ricorso principale (quello cioe’ proposto da (OMISSIS)) esordisce infatti con la trascrizione di uno stralcio della premessa narrativa contenuta nella stessa sentenza impugnata, selezionandone pero’ una parte limitata:
a) ad alcuni cenni del fatto sostanziale (primi due capoversi);
b) alla indicazione dei soggetti nei cui confronti fu instaurato e poi esteso il contraddittorio in primo grado (terzo e quarto capoverso);
c) alla indicazione dei soggetti partecipanti ai successivi giudizi di appello (dal quinto all’ottavo capoverso);
d) ad un cenno alla successiva riunione dei gravami separatamente proposti (nono capoverso);
e) al riferimento alla richiesta di nuova c.t.u. in appello avanzata dai coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) per l’accertamento dei danni successivamente manifestatisi ed alla ordinanza in tal senso emessa dalla Corte (decimo e undecimo capoverso);
f) alla indicazione della data d’udienza di precisazione delle conclusioni ed ai termini allora concessi ex articolo 190 c.p.c.;
g) alla trascrizione, infine, del dispositivo della sentenza d’appello (pagg. 5 – 7 del ricorso).
3. Viene dunque omesso ogni riferimento:
i) alle ragioni in fatto e in diritto della responsabilita’ ascritta in domanda a ciascuno dei convenuti;
ii) alle difese svolte al riguardo ed all’esistenza di eventuali domande riconvenzionali (manca, peraltro, qualsiasi cenno all’esistenza di eventuali domande di regresso o comunque volte alla graduazione delle colpe dei vari corresponsabili);
iii) alle ragioni della decisione del giudice di primo grado e prima ancora al contenuto stesso di tale decisione;
iv) ai motivi di gravame;
v) alle motivazioni (peraltro assai corpose) della sentenza d’appello.
Nell’esposizione del ricorso si passa piuttosto, subito dopo, alla illustrazione dei motivi, in termini tali pero’ che neppure questi consentono di comprendere, sia pure indirettamente, da un lato, quali fossero i temi controversi e la posizione delle diverse parti su di essi, dall’altro, e correlativamente, la pertinenza delle ragioni addotte rispetto ai motivi della decisione impugnata, che – si ripete – vengono pressoche’ totalmente ignorati.
4. L’esposizione dei fatti contenuta nel ricorso incidentale (come detto proposto dall’Ing. (OMISSIS)) manifesta analoghe gravi lacune.
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Esso, infatti, si apre con una “breve premessa” che si risolve sostanzialmente nella descrizione del decisum della Corte d’appello senza offrire alcuna delle indicazioni sopra elencate; alle pagg. 4 e 5 del ricorso sono riportati alcuni brevi stralci della motivazione della sentenza d’appello, ma solo nella parte in cui essa si riferisce alla posizione dell’Arch. (OMISSIS) e cio’ al solo fine di resistere, con il controricorso contestualmente proposto, al ricorso principale di quest’ultima.
5. In ogni caso, se fosse possibile esaminare i motivi dell’uno e dell’altro ricorso, rinvenendo all’esito della loro lettura quanto necessario alla percezione del fatto sostanziale e processuale, essi si dovrebbero dire comunque tutti inammissibili per ragioni intrinseche che si vanno qui di seguito a evidenziare.
6. Il primo motivo del ricorso principale – rubricato “Violazione e falsa applicazione della Legge Regionale 7 gennaio 1983, n. 9, articoli 3 e 5 (“Norme per l’esercizio delle funzioni regionali in materia di difesa del territorio dal rischio sismico”), della L. n. 1086 del 1971, articoli 2 e 3 (“Norme per la disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato”), nonche’ dell’articolo 2055 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3″ – esibisce un contenuto meramente assertivo, mirato in sostanza a sostenere l’assenza di responsabilita’ alcuna in capo alla ricorrente e comunque la necessita’ di una diversa e minore graduazione della stessa in rapporto a quelle del progettista strutturale e del collaudatore, senza pero’ confrontarsi con la motivazione su entrambi tali temi addotta nella sentenza impugnata (della quale si trascrive solo un breve ma assai incompleto passaggio, alle pagg. 15 – 16 del ricorso) e senza prima ancora indicare in che termini tale tema era stato devoluto in appello, ossia quali erano state le motivazioni della sentenza di primo grado e quali motivi di gravame erano stati proposti contro la stessa.
6.1. Cio’ espone il motivo, di per se’, a ulteriore rilievo di inammissibilita’ ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., n. 4, in relazione al principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione e’ rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo e’ regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione e’ erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale puo’ considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali e’ esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa e’ errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneita’ al raggiungimento dello scopo.
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In riferimento al ricorso per cassazione tale nullita’, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, e’ espressamente sanzionata con l’inammissibilita’ ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., n. 4 (Cass. 11/01/2005, n. 359; v. anche ex aliis Cass. Sez. U. 20/03/2017, n. 7074, in motivazione, non massimata sul punto; Id. 05/08/2016, n. 16598; Id. 03/11/2016, n. 22226; Cass. 15/04/2021, n. 9951; 05/07/2019, n. 18066; 13/03/2009, n. 6184; 10/03/2006, n. 5244; 04/03/2005, n. 4741).
6.2. Sotto altro convergente profilo puo’ ancora rilevarsi che il motivo, lungi dal far emergere una erronea qualificazione giuridica della fattispecie, impinge esclusivamente nella ricognizione fattuale della stessa, in astratto sindacabile solo sul piano della motivazione, nei limiti del vizio rilevante ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella specie non dedotto.
Secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilita’, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. nn. 16132/05, 26048/05, 20145/05, 1108/06, 10043/06, 20100/06, 21245/06, 14752/07, 3010/12 e 16038/13).
In altri termini, non e’ il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3 ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle.
6.3. Mette conto comunque aggiungere che la tesi di fondo su cui riposa l’assunto censorio, secondo cui non rientrerebbe tra le competenze del direttore dei lavori anche la verifica della validita’ del progetto strutturale, e’ destituita di fondamento alla luce del principio, affermato in fattispecie del tutto analoga da Cass. n. 7370 del 13/04/2015 e che si intende qui ribadire, secondo cui “il direttore dei lavori, nell’accettare l’incarico, deve poter garantire al committente quanto meno una… capacita’ di supervisione e di controllo anche sulla corretta esecuzione degli elementi portanti. Qualora una tale capacita’ non abbia o non possa esercitare, e’ tenuto ad astenersi dall’accettare l’incarico o a delimitare specificamente fin dall’origine le prestazioni promesse e le sue conseguenti responsabilita’, in relazione alle sue effettive competenze. In mancanza, deve quanto meno fornire la prova che i vizi verificatisi non potevano essere obiettivamente rilevati se non a costruzione ultimata”.
Nella specie nessuna di tali ipotesi emerge dalla sentenza impugnata, la quale anzi ha accertato esattamente il contrario, avendo in particolare evidenziato, a fondamento della ritenuta corresponsabilita’ della ricorrente che: la stessa aveva assunto l’incarico di direttore dei lavori senza alcuna limitazione alla sola parte architettonica dei lavori; era costantemente presente in cantiere; era “palese” la “abnormita’ dell’intervento di scalzamento che si andava ad eseguire” e la “conseguente immanente situazione di pericolo” (valutazione di merito, questa, insindacabile in questa sede, peraltro legittimamente ripresa dalla sentenza penale di non doversi procedere per prescrizione e condivisa dalla Corte d’appello); la mattina prima del crollo, allertata dagli operai circa il manifestarsi di crepe nella struttura del fabbricato limitrofo, aveva effettuato un accesso sui luoghi e, lungi dal manifestare la delimitazione delle proprie competenze e dei propri compiti riguardo ai lavori, aveva rassicurato i presenti, sostenendo che non vi fosse nulla di anomalo.
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6.4. Quanto poi alla graduazione in pari misura della percentuale di colpa e’ appena il caso di rimarcare che si tratta di tipica valutazione di merito non sindacabile in questa sede, tanto meno per violazione di legge (v. Cass. n. 2782 del 26/10/1973; n. 5375 del 05/04/2003; n. 7245 del 30/03/2011; n. 14467 del 09/07/2020).
7. Anche il secondo motivo – con il quale si denuncia “nullita’ della consulenza di secondo grado e del processo di seconde cure, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4” in relazione alla “mancanza del fascicolo di ufficio di prime cure, degli allegati alla consulenza tecnica dell’Ing. (OMISSIS) e della produzione di parte della ricorrente” – si appalesa inammissibile, con riferimento ad entrambe le censure che al suo interno sono distinguibili.
7.1. Sotto un primo profilo il motivo fa riferimento alla mancata produzione in appello del fascicolo “di parte” del giudizio di primo grado e, dunque, dei documenti che, prodotti in primo grado, erano in esso inseriti (con particolare riferimento alla asseverazione Legge Regionale n. 9 del 1983, ex articolo 2 allegata alla domanda di deposito del progetto presentata al Dirigente del Settore Provinciale del Genio Civile di Napoli nella quale – si afferma in ricorso – vi era l’autocertificazione della stessa (OMISSIS) di essere il progettista architettonico ed il direttore dei lavori di un progetto architettonico, mentre il direttore dei lavori strutturali non veniva indicato, ma era da nominarsi). Afferma la ricorrente che tale mancata produzione era dipesa esclusivamente dal mancato rinvenimento del detto fascicolo nella cancelleria del giudice di primo grado. Sostiene che il non aver considerato tale circostanza e l’avere anzi addebitato il mancato deposito ad una negligenza di essa ricorrente, comporta la “macroscopica… violazione di plurimi principi di rango costituzionale”.
Una simile prospettazione censoria si espone a plurimi rilievi di inammissibilita’.
7.1.1. Anzitutto per il carattere apodittico della premessa da cui essa muove, quella cioe’ del mancato rinvenimento nella cancelleria del giudice di primo grado del fascicolo di parte.
Tale premessa viene suffragata in ricorso essenzialmente attraverso il riferimento ad una istanza del 25 marzo 2019 rivolta alla Corte d’appello dal difensore degli appellati nella quale, “premessa l’accertata mancanza del fascicolo di primo grado”, si chiede invitarsi il c.t.u. a provvedere alla ricostruzione degli allegati alla sua consulenza. Orbene, tale indicazione si appalesa, anzitutto, inosservante dell’onere di specificita’ e autosufficienza imposto dall’articolo 366 c.p.c., n. 6, mancando in ricorso alcun elemento che consenta la localizzazione della menzionata istanza nel fascicolo di causa cosi’ come pervenuto a questa Corte.
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7.1.2. In ogni caso appare evidente la genericita’ ed insufficienza di tale riferimento, per due convergenti motivi:
a) anzitutto perche’ si tratta di atto di parte e non, come sarebbe stato necessario, di una attestazione della cancelleria del giudice di primo grado;
b) in secondo luogo, perche’ idoneo al piu’ ad attestare, stando a quanto viene detto in ricorso, lo smarrimento del fascicolo “d’ufficio” (del quale per vero da’ atto anche la sentenza impugnata, a pag. 21), non anche di quello “di parte”, ne’ tanto meno il carattere incolpevole del mancato rinvenimento di quest’ultimo.
Al riguardo va rammentato che in virtu’ del principio dispositivo delle prove, il mancato reperimento del fascicolo di parte deve presumersi espressione, in mancanza della denunzia di altri eventi, di un atto volontario della parte, che e’ libera di ritirare il proprio fascicolo e di omettere la restituzione di esso o di alcuni dei documenti in esso contenuti; ne consegue che e’ onere della parte dedurre l’incolpevole mancanza (ove cio’ non risulti in maniera palese anche in assenza della parte e di una sua espressa segnalazione in tal senso) e che il giudice e’ tenuto ad ordinare la ricerca o disporre la ricostruzione della documentazione mancante solo ove risulti l’involontarieta’ della mancanza, dovendo, negli altri casi, decidere sulla base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione (Cass. n. 21571 del 07/10/2020; n. 10819 del 29/10/1998; n. 10224 del 26/04/2017).
Con particolare riferimento al giudizio di appello va ancora rammentato che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, richiamato anche dalla Corte di merito, e’ onere della parte appellante produrre in giudizio il proprio fascicolo di primo grado, con la conseguenza che il mancato rinvenimento, nel fascicolo di parte, al momento della decisione della causa in secondo grado, dei documenti gia’ prodotti nel giudizio di primo grado su cui la medesima parte assuma di aver basato la propria pretesa dedotta in controversia non preclude al giudice di appello di decidere nel merito sul gravame, qualora non si alleghi che gli stessi siano stati smarriti, essendo onere della parte stessa, quando non si versi nel caso dell’incolpevole perdita di essi (con conseguente possibilita’ della loro ricostruzione previa autorizzazione giudiziale), assicurarne al giudice di appello la disponibilita’ in funzione della decisione (v. ex aliis Cass. n. 18287 del 25/06/2021; n. 13218 del 27/06/2016; n. 6522 del 26/04/2012; n. 12250 del 19/05/2010; n. 11196 del 15/05/2007; n. 23598 del 20/12/2004).
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Sulla base di tale indirizzo, la (OMISSIS) avrebbe quindi dovuto, prima che la causa fosse assunta in decisione, far rilevare la mancanza del documento in questione nel proprio fascicolo di parte, allegandone l’avvenuto incolpevole smarrimento e chiedendo, conseguentemente, di disporre le opportune ricerche in cancelleria e, se del caso, di essere autorizzata al nuovo deposito, in modo da assicurare alla Corte d’appello la disponibilita’ dei documenti in funzione della decisione. Non risulta, invece, che l’appellante abbia posto in essere tale condotta, con la conseguenza che legittimamente la Corte territoriale ha deciso il gravame sulla scorta dei documenti rinvenuti in atti.
7.1.2. Va infine evidenziato che la sentenza d’appello si cura comunque di valutare nel merito la rilevanza del documento in questione, negandola in radice sul rilievo che “anche ad ammettere che il contenuto del documento sia quello richiamato dall’istante, esso non giova alle ragioni della (OMISSIS). Infatti, la circostanza che la figura del direttore dei lavori strutturali, pure in astratto prevista, non fosse stata in concreto mai indicata, induce a ritenere corretta la statuizione del Tribunale, nel senso che l’arch. (OMISSIS) abbia assunto entrambe siffatte qualifiche”.
A supporto di tale conclusione la Corte d’appello richiama inoltre una serie di altri elementi di prova deponenti per l’assunzione tout court, da parte della (OMISSIS), della veste di direttore dei lavori, senza alcuna limitazione di competenza (v. sentenza, pag. 13, secondo cpv.).
Con tale ratio aggiuntiva la ricorrente omette di confrontarsi, palesandosi anche sotto detto profilo, peraltro dirimente, l’inammissibilita’ della doglianza.
7.2. Distinta censura e’ poi nel medesimo motivo svolta con riferimento alla mancata acquisizione degli allegati alla relazione di c.t.u. espletata in primo grado.
Sostiene la ricorrente che, in conseguenza di cio’, la Corte d’appello non avrebbe dovuto recepire le conclusioni dell’ausiliare, ne’ tanto meno quelle del secondo consulente che, incaricato di verificare l’esistenza degli ulteriori maggiori danni dedotti dagli appellati, ha posto a base delle proprie valutazioni il quadro del dissesto rilevato dal primo c.t.u. senza poter verificare, in mancanza di quegli allegati, “la congruita’ di quanto dal medesimo descritto e opinato”.
Tale censura si appalesa inammissibile sotto un duplice profilo. 7.2.1. Anzitutto perche’ anch’essa omette di confrontarsi con la motivazione addotta in sentenza, che espressamente prende in esame la richiesta di rinnovazione della prima c.t.u., avanzata per le esposte ragioni dall’appellante, ma la giudica inammissibile “sia perche’ tardivamente formulata solo nella comparsa conclusionale, sia in quanto concerne un capo di sentenza non investito dall’appello principale della (OMISSIS) e, quindi, non suscettibile di reformatio in peius nei confronti degli attori vittoriosi in primo grado”. A tal ultimo riguardo la Corte partenopea evidenzia in particolare che l’appellante “non (aveva) impugnato la quantificazione dei danni che il Tribunale, proprio sulla scorta della c.t.u. redatta dall’ing. (OMISSIS), aveva operato in sentenza”, concludendo che, di conseguenza, “la mancanza di alcuni degli allegati alla prima c.t.u. rappresenta una questione assolutamente ininfluente, rispetto al thema decidendum come delineato dai motivi di gravame”.
7.2.2. Mette conto peraltro soggiungere che la mancanza del fascicolo di primo grado non potrebbe comunque dar luogo al dedotto error in procedendo, ne’ tanto meno rilevare quale motivo di nullita’ del procedimento e della sentenza, costituendo jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo cui “l’acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado, ai sensi dell’articolo 347 c.p.c., non costituisce condizione essenziale per la validita’ del giudizio d’appello, con la conseguenza che la relativa omissione non determina un vizio del procedimento o della sentenza di secondo grado, potendo integrare il vizio di difetto di motivazione, a condizione che venga specificamente prospettato che da detto fascicolo il giudice d’appello avrebbe potuto o dovuto trarre elementi decisivi per la decisione della causa, non rilevabili aliunde ed esplicitati dalla parte interessata” (v. da ultimo Cass. n. 10164 del 30/03/2022; n. 9498 del 04/04/2019); onere, quest’ultimo, che peraltro nella specie non risulta assolto in alcuna misura, mantenendo la doglianza un carattere generico, riferito alla mera mancanza degli allegati in se’ considerati, senza alcuna precisazione riguardante gli elementi fattuali che da essi sarebbero in ipotesi potuti emergere ed assumere rilievo rispetto ai temi devoluti nel giudizio di appello.
8. E’ inammissibile anche il terzo motivo, con il quale si denuncia “violazione dell’articolo 2056 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3” in relazione alla liquidazione operata in primo e in secondo grado del danno da mancato godimento degli immobili danneggiati dal crollo.
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La censura e’ specificamente mirata a contestare il criterio utilizzato ai fini di detta liquidazione, rappresentato dal riferimento al valore locativo delle unita’ immobiliari.
Anche in tal caso la sua inammissibilita’ discende dalla totale obliterazione della motivazione della sentenza impugnata, che non consente alla ricorrente di avvedersi che, proprio con riferimento al parametro utilizzato per la liquidazione, la Corte d’appello ha evidenziato la sussistenza di un giudicato interno, trattandosi di criterio gia’ utilizzato in primo grado e non fatto segno di alcun motivo di gravame.
9. Il primo motivo del ricorso incidentale – rubricato: “violazione e falsa applicazione ex articolo 360 c.p.c., n. 4 per violazione dell’articolo 115 c.p.c. in ordine alla esistenza e alle risultanze della c.t.u. – Essa non puo’ considerarsi la medesima quale “fatto storico”, errore di diritto ed omessa valutazione di due fatti decisivi per il giudizio. Censura della sentenza. Necessita’ di rinvio al giudice del merito per una nuova valutazione delle risultanze processuali. Cass. 12387/2020″ – prospetta nella successiva illustrazione censure disarticolate cosi’ sintetizzabili:
– la relazione di c.t.u. non e’ stata mai rinvenuta nella sua integralita’ per smarrimento del fascicolo processuale; cio’ “si e’ andato inevitabilmente a riflettere sull’uso che il Collegio ha fatto della consulenza tecnica nel secondo grado”, avendo questo dato per acclarati fatti che invece erano mere valutazioni ed erano contestate;
– nessuna c.t.u. e’ stata disposta per indagare sullo stato degli edifici prima del crollo;
– nessun contratto di locazione era stato depositato a dimostrazione del danno da mancato godimento degli immobili;
– la Corte ha ritenuto la (prima) consulenza quale “punto, oggettivo e fattuale, da cui effettuare le seguenti consulenze” (cosi’ in ricorso), senza mettere in discussione “la natura degli accertamenti contenuti nella prima c.t.u.”, come invece avrebbe dovuto fare alla luce delle doglianze delle parti;
– la Corte ha dunque ignorato “due fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti e sono perfino contenuti nei motivi di appello, ovvero: a) lo stato in cui si trovavano gli edifici, prima che iniziassero i lavori (determinante per comprendere la dinamica ed ampiezza dei danni); b) la questione relativa ai canoni di locazione per il potenziale fitto degli appartamenti operato in totale assenza di contratti documentali e documentati nonche’ finanche da prove indiziarie”;
– la c.t.u. espletata in grado di appello, cosi’ come quella precedente, non ha mai realmente “costruito una catena causale” che dimostri come le lacune progettuali abbiano “effettivamente influito sugli accadimenti”.
10. Il motivo si espone a molteplici rilievi di inammissibilita’.
10.1. Anzitutto per l’affastellamento di censure diverse ed eterogenee che non consentono di comprendere quale sia il vizio cassatorio che si intende imputare alla sentenza, essendo appena il caso di rilevare che il riferimento in rubrica all’articolo 115 c.p.c. non trova alcun coerente sviluppo nella successiva illustrazione.
Questa, piuttosto, muovendo dal rilievo, come visto comune anche all’altro ricorso, del mancato rinvenimento di alcuni allegati alla prima consulenza, lungi dallo spiegare che riflesso patologico tale circostanza abbia avuto, in thesi, nella decisione impugnata, suscettibile di sindacato in cassazione – al riguardo essendo appena il caso di ribadire che il mancato rinvenimento di allegati alla consulenza espletata in primo grado non puo’ dar luogo ad error in procedendo (v. supra par. 7.2.1) – passa poi a dar contenuto ad una contestazione, nell’an e nel quantum, della ascritta responsabilita’ risarcitoria, in termini genericamente evocanti il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma in realta’ meramente apodittici e oppositivi e, comunque, chiaramente estranei al relativo paradigma censorio (basti considerare che l’omissione di cui ci si duole non e’ riferita a fatti storici ma ad asseriti rilievi critici alla consulenza ed ai motivi di appello: senza pero’ in realta’ dedurre un vizio di omessa pronuncia e senza comunque indicare specificamente il contenuto di tali motivi).
10.2. In secondo luogo, per l’evidente inosservanza del requisito di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 4, trattandosi anche in questo caso di ricorso che prescinde totalmente da qualsiasi considerazione della motivazione della sentenza impugnata, totalmente ignorata con riferimento a ciascuno dei temi trattati nel confuso argomentare censorio. Le critiche sono piuttosto interamente rivolte alle valutazioni del c.t.u., peraltro solo genericamente evocate e mai trascritte nel loro contenuto, come d’altronde deve dirsi anche dei rilievi critici che sarebbero stati proposti e non considerati, donde la violazione anche degli oneri di specificita’ ed autosufficienza imposti, a pena di inammissibilita’, dall’articolo 366 c.p.c., n. 6.
10.3. Con riferimento alla responsabilita’ del progettista ed al suo concorrente rilievo causale, la sentenza impugnata ha disatteso il relativo motivo di gravame rilevando che (v. pag. 28) “le argomentazioni ad esso sottese sono gia’ state confutate dal Giudice di primo grado, che, nel rimarcare le gravi carenze del progetto elaborato dall’ing. (OMISSIS), ha, sulla scorta della CTU e dei chiarimenti resi dall’ing. (OMISSIS), anche evidenziato come le ipotizzate carenze dell’opera di altri professionisti – il geologo ed il progettista architettonico – non valgano ad esimere da responsabilita’ il progettista strutturale. Questi, infatti, non poteva considerare corretti i dati indicati nel progetto architettonico, ma avrebbe dovuto far precedere la redazione del progetto strutturale da un’accurata verifica dello stato dei luoghi. A fronte di tale congrua e coerente motivazione, l’appellante si e’ limitato a reiterare i medesimi argomenti gia’ ampiamente sconfessati dal CTU nominato dal Tribunale e puntualmente richiamati in sentenza, senza addurre argomenti ulteriori, idonei a porne in risalto l’eventuale erroneita’”.
Una tale motivazione appare univocamente implicare una valutazione di inammissibilita’ del motivo di gravame per difetto del requisito di specificita’ prescritto dall’articolo 342 c.p.c., discendendone anche sotto questo ulteriore profilo l’inammissibilita’ della censura in questa sede proposta, in quanto mirata a riproporre il tema senza confrontarsi con tale preliminare e assorbente rilievo.
10.4. Puo’ ancora soggiungersi che, trattandosi di valutazione di merito espressa in termini conformi dai giudici di primo e di secondo grado, la censura e’ in questa sede preclusa anche dal divieto della c.d. doppia conforme posto dall’articolo 348-ter c.p.c., u.c..
10.5. Con riferimento alla liquidazione del danno la censura e’ infine resa inammissibile anche perche’ preclusa dal giudicato interno che deriva dal fatto che, sul punto, non risulta che la parte abbia proposto specifico motivo di gravame.
11. Il secondo motivo del ricorso incidentale – rubricato “Violazione e falsa applicazione ex articolo 360, n. 3 in riferimento all’articolo 2056 c.c. ed ancora articolo 360 c.p.c., n. 4 in relazione alla erronea applicazione dei principi normativi sulla funzione processuale della CTU. (Cass. 8460 del 5 maggio 2020). Omessa valutazione delle CTP di parte. Mancato esame critico delle CTU. Censura della Sentenza” – e’ a sua volta inammissibile per la patente violazione dell’articolo 366 c.p.c., n. 4.
Esso si risolve nel generico richiamo a quelli che, in base alla giurisprudenza della cassazione, sono i criteri cui i giudici di merito dovrebbero attenersi nella valutazione delle relazioni di consulenza, specie allorquando nei confronti di questa vengano proposti rilievi critici, senza pero’ alcun concreto riferimento alla rilevanza di tali temi nel caso concreto, ossia senza indicare, se non in termini del tetto generici e apodittici, dove e in qual modo la Corte di merito abbia violato detti criteri, anche in tal caso scontando il ricorso la totale e sistematica cancellazione dal proprio orizzonte argomentativo delle motivazioni della sentenza impugnata, totalmente ignorata.
12. In definitiva, entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna di entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese processuali sostenute per la difesa dei controricorrenti, coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), da distrarsi in favore del loro difensore antistatario, che ne ha fatto rituale richiesta nei controricorsi e nella successiva memoria.
13. Devono altresi’ essere liquidate, con distrazione, le spese processuali sostenute per la difesa dei predetti nel procedimento di sospensione dell’esecuzione ex articolo 373 c.p.c., come allegato dai medesimi controricorrenti nell’istanza del 10 ottobre 2022 e nella memoria, dovendo in proposito ritenersi sufficiente la documentazione allegata e regolare il contraddittorio (cfr. Cass. 01/02/2023, n. 2971; 24/10/2018, n. 26966; 20/10/2015, n. 21198).
Le spese di tale procedimento si ritengono liquidabili con l’applicazione del criterio indicato dal Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 5, comma 5 atteso che tale Decreto Ministeriale non disciplina il criterio di liquidazione del detto procedimento. La liquidazione si effettua applicando il comma 6 dello stesso articolo con riferimento al valore minimo cola’ indicato (v. Cass. n. 30847 del 29/11/2018, in motivazione; cui adde, da ultimo, Cass. n. 36176 del 12/12/2022, anch’essa in motivazione).
Non ricorrendo l’identita’ di posizione processuale dei soggetti contro i quali l’unica difesa si e’ vittoriosamente svolta nel detto procedimento incidentale, non trova applicazione il Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4, comma 2.
14. Nel rapporto tra i due ricorrenti, conflittuale in relazione alla censura dalla prima svolta in punto di graduazione delle rispettive colpe, tema sul quale difatti il secondo ha proposto controricorso, va considerata soccombente la ricorrente principale, che va dunque condannata alla rifusione delle spese processuali anche in favore del predetto.
15. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, ove dovuto, a norma dell’articolo 1-bis, dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibili entrambi i ricorsi.
Condanna la ricorrente principale (OMISSIS) al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida: a) in Euro 11.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, in favore dell’Avv. (OMISSIS), difensore distrattario dei controricorrenti coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS); b) in Euro 7.800 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 in favore dell’altro controricorrente (OMISSIS).
Condanna il ricorrente incidentale (OMISSIS) al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 11.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, in favore dell’Avv. (OMISSIS), difensore distrattario dei controricorrenti coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS).
Condanna entrambi i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese processuali dell’incidente di sospensione davanti alla Corte d’appello di Napoli, che liquida in Euro 2.051,00, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, distratte anch’esse in favore del procuratore antistatario, Avv. (OMISSIS).
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, ove dovuto, a norma dell’articolo 1-bis dello stesso articolo 13.
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