Il delitto di frode in commercio

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 1 aprile 2019, n. 14017.

La massima estrapolata:

Il delitto di frode in commercio, incriminando la consegna all’acquirente di un “aliud pro alio” o di una cosa diversa da quella dichiarata o pattuita, tutela la lealtà e la correttezza negli scambi commerciali, ma non la liceità del commercio del prodotto destinato alla vendita.

Sentenza 1 aprile 2019, n. 14017

Data udienza 4 dicembre 2018

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAMACCI Luca – Rel. Presidente

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandr – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti nei confronti di
(OMISSIS), nato ad (OMISSIS)
avverso l’ordinanza del Tribunale di Asti del 31 maggio 2018;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal presidente;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. Salzano Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 31 maggio 2018, il Tribunale di Asti ha annullato il decreto di sequestro probatorio, emesso dal pubblico ministero presso lo stesso Tribunale, in relazione al reato di cui all’articolo 515 c.p., in quanto l’indagato avrebbe commercializzato fiori di canapa, tisane e altre infiorescenze, quali prodotti succedanei al tabacco, nonostante fossero etichettati come “non idonei al consumo alimentare”.
2. Il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso per cassazione, censurando il provvedimento in questione nella parte in cui si ritiene che la L. n. 242 del 2016 articolo 2, comma 2 vada interpretata nel senso che tra le finalita’ della coltivazione della canapa industriale – ipotesi consentita – sia inclusa anche la produzione delle infiorescenze per la libera vendita al pubblico, sia come alimento, sia come prodotto da fumo. Per il ricorrente, non vi sarebbe stata la liberalizzazione del commercio delle infiorescenze, in quanto, per queste ultime, la circolare del 23 maggio 2018 del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali avrebbe precisato che esse, pur non essendo citate espressamente dalla L. n. 242 del 2016 ne’ tra le finalita’ della coltura, ne’ tra i suoi possibili usi, rientrerebbero nell’ambito delle coltivazioni destinate al florovivaismo, purche’ tali prodotti derivino da una delle varieta’ ammesse ed iscritte nel catalogo comune delle varieta’ delle specie di piante agricole, il cui contenuto complessivo di THC non superi i livelli stabiliti dalla normativa, oltre al fatto che il prodotto non deve contenere sostanze dichiarate dannose per la salute dalle istituzioni competenti. Ne deriverebbe che, fuori dall’ambito specificato, l’uso delle infiorescenze sarebbe soggetto alle disposizioni ordinarie che non prevedrebbero il loro uso indiscriminato. Secondo il pubblico ministero, sussisterebbe una non corrispondenza tra il prodotto consegnato e quello dichiarato, in quanto la denominazione “uso tecnico” rappresenterebbe un’indicazione totalmente diversa dall’uso diretto per il consumo umano alimentare o per combustione, come si evince della pubblicizzazione via web. Infine, pur non volendo ritenere integrato il delitto della tentata frode in commercio, il Tribunale avrebbe potuto affermare la sussistenza del reato di cui al Decreto Legislativo n. 206 del 2005, articolo 112, comma 2, in quanto risulterebbero immessi sul mercato prodotti pericolosi, come si evincerebbe dal parere del Consiglio Superiore della Sanita’ del 10 aprile 2018, espressosi in tale materia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso e’ inammissibile.
L’ordinanza impugnata afferma che il reato di cui all’articolo 515 c.p., non e’ configurabile, in quanto non e’ ravvisabile nel caso di specie un aliud pro alio, ne’ vi e’ una divergenza tra quanto dichiarato dal venditore e quanto messo in vendita nel mercato. Deve ritenersi, infatti, palesemente accertato che l’ (OMISSIS) avesse esposto i prodotti derivati dalla canapa, proprio con l’esplicito fine di venderli per l’inalazione o altri scopi. La frode in commercio e’ da ritenersi integrata quando il bene venduto sia immesso nel mercato con caratteristiche diverse per origine, provenienza, qualita’ o quantita’ da quanto oggetto di pattuizione tra acquirente e cedente. E questo presupposto non puo’ considerarsi sussistente, in quanto (OMISSIS) sul social network e nella sua tabaccheria non ha pubblicizzato i semi, le tisane, le infiorescenze e altri prodotti in modo diverso da quanto dichiarato. Mentre la fattispecie penale in questione tutela la lealta’ e la correttezza negli scambi commerciali, ma non – come erroneamente ritenuto dal pubblico ministero la liceiu’ del commercio del prodotto destinato alla vendita; cosicche’ risultano irrilevanti i riferimenti effettuati dal ricorrente ai quantitativi di THC presenti nei derivati dalla canapa venduti dall’indagato. Quanto alla denominazione “prodotto ad uso tecnico”, si tratta di un’indicazione per nulla fuorviante, rispetto alla destinazione dei beni venduti, in quanto non vi e’ alcun esplicito riferimento a uno specifico fine legittimo o richiesto nel mercato di tali prodotti. Peraltro, su questo punto, la Procura elabora una censura vertente sul merito del giudizio, insindacabile in sede di legittimita’, dal momento che il Tribunale si e’ gia’ pronurciato sulla destinazione e sulla lecita commerciabilita’ del prodotto. Con riguardo alla ritenuta applicabilita’ del Decreto Legislativo n. 206 del 2005, articolo 112, comma 2, la censura del pubblico ministero deve considerarsi il risultato di una prospettazione del tutto nuova, rispetto a un capo d’imputazione provvisorio riferito a un reato contraddistinto da ratio e presupposti giuridici totalmente diversi. Infine, quanto al tenore e all’importanza rivestita dal parere del Consiglio Superiore della Sanita’ del 10 aprile 2018, occorre precisare che trattasi di una raccomandazione di natura non normativa e comunque irrilevante ai fini della sussistenza del reato contestato, che non attiene – come visto – alla commerciabilita’ o alla pericolosita’ della merce. Peraltro, l’interpretazione data a tale atto dal pubblico ministero ricorrente farebbe desumere la pericolosita’ e l’illiceita’ dei prodotti derivanti dalla canapa, nonostante la L. n. 242 del 2016 ne preveda la lecita commercializzazione. In ogni caso, si evince chiaramente dal tenore di tale parere che si tratti sostanzialmente di un monito al legislatore, affinche’ si attivi, nell’interesse della salute individuale e nell’ottica del principio di precauzione, nell’adozione di misure idonee a non consentire la libera vendita dei prodotti contenenti THC, a prescindere dalle loro intrinseche ed estrinseche caratteristiche. E proprio la natura monitoria del parere in questione conferma che il quadro normativo attualmente vigente non puo’ essere interpretato nel senso indicato dal ricorrente.
4. Conseguentemente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

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