Il delitto di cui all’articolo 612-bis del Cp è integrato anche da “minacce”

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|17 febbraio 2021| n. 6207.

Il delitto di cui all’articolo 612-bis del Cp poiché è integrato anche da “minacce”, assorbe il delitto di cui all’articolo 612 del Cp, purché le minacce siano state poste in essere nel medesimo contesto temporale e fattuale integrante la condotta di atti persecutori.

Sentenza|17 febbraio 2021| n. 6207

Data udienza 17 novembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Atti persecutori in danno della moglie – Giudizio abbreviato – Difetto fi specificità dei motivi di doglianza – Attendibilità e credibilità intrinseca delle dichiarazioni della persona offesa e dei testi escussi – Inammissibilità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. MICCOLI Grazia – rel. Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 30/09/2019 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MICCOLI GRAZIA;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, nella persona della Dott. TASSONE KATE, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
letta la memoria a firma del difensore della parte civile (OMISSIS), avv. (OMISSIS), il quale ha concluso chiedendo la conferma della pronunzia di affermazione della responsabilita’ penale dell’imputato
letta la memoria a firma del difensore dell’imputato, avv. (OMISSIS), il quale, ha chiesto un rinvio, eccependo la tardivita’ della comunicazione della requisitoria del Procuratore Generale e, comunque, ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 30 settembre 2019 la Corte di Appello di Roma ha, per quanto di interesse in questa sede, confermato la pronunzia di primo grado con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, (OMISSIS) era stato condannato per il reato di atti persecutori in danno della moglie, commesso, anche in presenza della figlia minore, in (OMISSIS).
Il reato e’ stato ascritto per avere “profferito in tempi diversi, anche tramite la piattaforma “whatsapp”, minacce di ritorsioni e di morte del seguente tenore: “non ho pieta’, ricordati sei morta….morta…morta…sono pronto, vado a (OMISSIS) in galera…usciro’ e avro’ un ultimo impegno nella mia vita…uccidere ancora…non dimentico…finche’ la morte mi trovera’…. vi spellero’ come serpenti” e simili, recandosi altresi’ presso l’abitazione della persona offesa e della figlia minore, tentando di entrare all’interno esclamando le seguenti parole: “Ti ammazzo, sei una ciuccia cazzi, ti spello viva” e rimanendo poi ad attenderla in strada sotto l’abitazione, il tutto facendo seguito ad altre condotte aggressive e minacciose e violando il provvedimento di divieto di avvicinamento alla persona offesa gia’ emesso dal Tribunale di Velletri in data 21 novembre 2018 per il reato di maltrattamenti in famiglia, ingenerando cosi’ un perdurante e grave stato di ansia e di paura e il fondato timore per l’incolumita’ personale e di propri familiari con alterazione delle abitudini di vita”,
Sono state confermate anche le statuizioni civili, con condanna alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile.
2. Avverso la suindicata sentenza di appello propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, articolandolo nei due motivi qui di seguito sintetizzati.
2.1. Con il primo si denunzia violazione di legge in relazione all’affermazione di responsabilita’ per il delitto di cui all’articolo 612 bis c.p..
Sostiene il ricorrente che nella specie mancherebbe l’elemento oggettivo della reiterazione di autonome condotte di minaccia, giacche’ i fatti si sono svolti nell’arco della stessa mattinata e consumati nello stesso luogo. Si tratterebbe di un unico fatto di minaccia, anche se articolato in due fasi cronologicamente successive
2.2. Con il secondo motivo si denunziano vizi motivazionali in relazione all’autonomia e reiterazione delle condotte.
I giudici di merito avrebbero fatto riferimento a condotte del tutto estranee al capo di imputazione.
3. Ai sensi della Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Kate Tassone, ha rassegnato per iscritto le proprie conclusioni chiedendo il rigetto del ricorso.
4. Con memoria in data 11 novembre 2020, il difensore della parte civile costituita ha illustrato le ragioni a sostegno della sua richiesta ed ha rassegnato le proprie conclusioni, non chiedendo che il ricorrente venga condannato alla rifusione delle spese del grado.
5. L’avv. (OMISSIS), difensore dell’imputato, nella sua memoria datata 11 novembre 2020 ha eccepito preliminarmente la tardivita’ della comunicazione delle richieste del Procuratore Generale, chiedendo il rinvio dell’udienza. Ha infatti sostenuto quanto segue: “La novella normativa prescrive che entro il quindicesimo giorno precedente l’udienza, il Procuratore Generale formula le sue richieste con atto spedito alla cancelleria della Corte a mezzo di posta elettronica certificata. La cancelleria provvede immediatamente a inviare, con lo stesso mezzo, l’atto contenente le richieste ai difensori delle altre parti… Le richieste del Procuratore Generale, quindi, dovevano essermi comunicate entro il 2 novembre 2020 ma mi sono state inviate solamente il 6 novembre 2020. Per questo motivo, in via preliminare, eccepisco la tardivita’ con cui il Procuratore Generale ha inviato la requisitoria alla Cancelleria e/o il ritardo con cui la Cancelleria mi ha trasmesso le richieste, chiedendo un rinvio che garantisca il rispetto della nuova normativa e, nel merito, chiedo l’accoglimento del ricorso per Cassazione, con ogni consequenziale provvedimento”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. In via preliminare vanno evidenziate le ragioni per le quali e’ stata disattesa la richiesta di rinvio formulata dalla difesa dell’imputato, la quale ha eccepito la violazione dei termini previsti dal Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito con modifiche con L. n. 176 del 2020. In particolare, la difesa si duole del ritardo con il quale la cancelleria ha comunicato la requisitoria del Procuratore Generale, tempestivamente depositata entro 15 giorni prima della data dell’udienza (17 novembre 2020) ma inviata solo in data 6 novembre 2020.
1.1. Com’e’ noto la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione a norma degli articoli 127 e 614 c.p.p. e’, ratione temporis, disciplinata dalla normativa emergenziale (dovuta alla pandemia COVID – 19), che dispone l’assimilazione al modello camerale cd. non partecipato (di cui all’articolo 611 c.p.p.) dei procedimenti regolati dai citati articoli 127 e 614, ove nessuna delle parti abbia fatto richiesta di discussione orale nel termine “perentorio di venticinque giorni liberi prima dell’udienza”.
La norma attribuisce solo a tale termine natura “perentoria”, mentre prevede, proprio nel caso in cui non vi sia richiesta di trattazione orale, che “entro il quindicesimo giorno precedente l’udienza, il procuratore generale formula le sue richieste con atto spedito alla cancelleria della Corte a mezzo di posta elettronica certificata. La cancelleria provvede immediatamente a inviare, con lo stesso mezzo, l’atto contenente le richieste ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l’udienza, possono presentare con atto scritto, inviato alla cancelleria della corte a mezzo di posta elettronica certificata, le conclusioni”.
1.2. E’ allora evidente che nessuna nullita’ puo’ prospettarsi per il mancato rispetto delle cadenze temporali appena indicate, dovendo sottolinearsi che il legislatore ha solo previsto che, dopo l’acquisizione via PEC della requisitoria, essa sia con lo stesso mezzo “immediatamente” comunicata alla difesa, perche’ sia messa in condizioni di presentare le conclusioni scritte, anche replicando a quelle della Procura Generale.
La sequenza procedimentale, prevista nella indicata norma per ragioni organizzative, evidenzia come il legislatore si sia preoccupato solo del fatto che sia la parte civile che l’imputato concludano dopo avere conosciuto la requisitoria del Procuratore Generale, non condizionando affatto lo svolgimento del processo alla comunicazione tempestiva di tale requisitoria.
Si tratta di una scelta legislativa conforme ai principi gia’ affermati da questa Corte, in tema di procedimento camerale; si e’ detto infatti che anche l’omessa formulazione, in tutto o in parte, delle conclusioni da parte del Procuratore Generale, cosi’ come previste dall’articolo 611 c.p.p., comma 1, non impedisce la decisione del collegio, atteso che ricorre la nullita’ ex articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera b), unicamente nel caso in cui il Pubblico Ministero non sia stato messo nelle condizioni di concludere (Sez. 2, Sentenza n. 24629 del 02/07/2020 Rv. 279552).
1.3. In effetti, in mancanza di una previsione espressa di perentorieta’ dei suindicati termini e della correlata sanzione di nullita’, solo la circostanza che le parti non siano state messe in condizioni di concludere puo’ rilevare perche’ ricorra una delle nullita’ previste dall’articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera b) e c).
Cio’ non e’ avvenuto nella specie, giacche’ sia la parte civile che l’imputato hanno potuto esercitare il diritto di difesa, essendo stata loro comunicata la requisitoria del Procuratore Generale in tempo utile per la formulazione delle loro rispettive conclusioni nel termine di giorni cinque prima dell’udienza.
Va solo precisato, in relazione a tale ultimo termine e in conformita’ ai principi affermati dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, che la sua inosservanza esime dall’obbligo di prendere in esame le memorie depositate dalle parti (ex multis, Sez. 6, n. 11630 del 27/02/2020, Rv. 278719; Sez. 2 n. 10255 del 29/11/2019, Rv. 278745- 06; Sez. 4, n. 49392 del 23/10/2018, Rv. 274040 – 01).
2. Il ricorso e’ inammissibile.
2.1. Entrambi i motivi di ricorso sono versati in fatto e finalizzati a una rivalutazione delle prove.
Peraltro manifestamente infondati sono gli assunti difensivi sulla insussistenza dell’elemento oggettivo del reato di atti persecutori, perche’ i fatti si sono svolti nell’arco della stessa mattinata e consumati nello stesso luogo.
Correttamente sul punto la Corte territoriale ha richiamato i principi affermati dalla consolidata giurisprudenza di questa Sezione: integrano il delitto di atti persecutori anche due sole condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la “reiterazione” richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale (ex multis, Sez. 5, Sentenza n. 33842 del 03/04/2018, Rv. 273622).
Ne’ possono aversi dubbi nella specie sul fatto che le singole condotte dell’imputato oggetto della decisione, sebbene reiterate in un arco di tempo ristretto, siano caratterizzate da autonomia e siano state la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice (si veda pag. 3 della sentenza impugnata), cosi’ da escludersi che possa configurarsi la fattispecie meno grave di cui all’articolo 612 c.p..
E, in proposito, va ricordato che il delitto di cui all’articolo 612 bis c.p. e’ integrato anche da “minacce” o “molestie”, che rientrano tra gli elementi caratterizzanti la fattispecie e, pertanto, assorbe il delitto di cui all’articolo 612 c.p., purche’ le minacce – come nella specie- siano state poste in essere nel medesimo contesto temporale e fattuale integrante la condotta di atti persecutori.
2.2. Ne’ e’ fondato il rilievo della difesa sul fatto che i giudici di merito abbiano violato i principi di diritto sopra evidenziati, valorizzando anche condotte dell’imputato estranee al capo di imputazione e oggetto di altro procedimento.
Tale valutazione e’ stata operata correttamente sia nella sentenza di primo grado che in quella di appello (che ha fatto rinvio alla prima) all’esclusivo fine di evidenziare come il (OMISSIS) sia da tempo impegnato a perseguitare la moglie, tanto che in precedenza era stato sottoposto anche alla misura cautelare del divieto di avvicinamento, mentre in conseguenza delle condotte oggetto della imputazione e’ stato arrestato.
2.3. Come si e’ visto, e’ lo stesso capo di imputazione che, oltre a precisare che le condotte poste in essere nello stesso giorno sono state piu’ d’una, reiterate ed autonome, da’ conto del fatto che esse si sono inserite in una ulteriore sequenza di atti di minaccia e molestia che erano stati posti in essere in precedenza in danno della moglie: “…con condotte reiterate minacciava e molestava…anche tramite la piattaforma “whatsapp”, minacce di ritorsioni e di morte del seguente tenore: “non ho pieta’, ricordati sei morta….morta…morta…sono pronto, vado a (OMISSIS) in galera…usciro’ e avro’ un ultimo impegno nella mia vita…uccidere ancora…non dimentico…finche’ la morte mi trovera’…. vi spellero’ come serpenti” e simili, recandosi altresi’ presso l’abitazione della persona offesa e della figlia minore, tentando di entrare all’interno esclamando le seguenti parole: “Ti ammazzo, sei una ciuccia cazzi, ti spello viva” e rimanendo poi ad attenderla in strada sotto l’abitazione, il tutto facendo seguito ad altre condotte aggressive e minacciose e violando il provvedimento di divieto di avvicinamento alla persona offesa gia’ emesso dal Tribunale di Velletri in data 21 novembre 2018 per il reato di maltrattamenti in famiglia, ingenerando cosi’ un perdurante e grave stato di ansia e di paura e il fondato timore per l’incolumita’ personale e di propri familiari con alterazione delle abitudini di vita”.
Cio’ non influisce affatto sull’autonomia delle condotte indicate nel capo di imputazione per la configurabilita’ della fattispecie contestata, ne’ implica la ricorrenza di una ipotesi di bis in idem. Il delitto di atti persecutori e’ reato abituale e di danno, che si consuma con la realizzazione di uno degli eventi alternativi previsti dall’articolo 612-bis c.p., conseguente al compimento dell’ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualita’ del reato.
Nel caso di contestazione cosiddetta aperta la consumazione del reato puo’ farsi coincidere con la pronunzia della sentenza di primo grado, ma cio’ solo laddove i nuovi fatti, successivi a quelli accertati prima dell’esercizio dell’azione penale, siano emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale (Sez. 5, n. 17350 del 20/01/2020, C., Rv. 279401; Sez. 5, n. 6742 del 13/12/2018, D., Rv. 275490; Sez. 5, n. 22210 del 03/04/2017, C., Rv. 270241).
Peraltro, va precisato che nell’ipotesi di “contestazione aperta”, il giudizio di penale responsabilita’ dell’imputato puo’ estendersi, senza necessita’ di modifica dell’originaria imputazione, anche a fatti verificatisi successivamente alla presentazione della denunzia-querela e accertati nel corso del giudizio, non determinandosi una trasformazione radicale della fattispecie concreta nei suoi elementi essenziali, tale da ingenerare incertezza sull’oggetto dell’imputazione e da pregiudicare il diritto di difesa (Sez. 5, n. 15651 del 10/02/2020, T., Rv. 279154).
Nella specie, come affermato anche dallo stesso ricorrente, al momento delle pronunzia impugnata in questa sede, non era ancora intervenuta una sentenza relativa alle altre condotte poste in essere dal (OMISSIS) in danno della moglie e della figlia.
E’ allora evidente che non ricorra alcuna preclusione ex articolo 649 c.p.p. nella valutazione delle condotte oggetto della imputazione.
Questa Corte ha gia’ avuto modo di evidenziare che il delitto di atti persecutori, proprio in quanto reato necessariamente abituale, non e’ configurabile solo in presenza di un’unica, per quanto grave, condotta di molestie e minaccia, neppure unificando o ricollegando la stessa ad episodi pregressi oggetto di altro procedimento penale attivato nella medesima sede giudiziaria, atteso il divieto di “bis in idem” (Sez. 5, Sentenza n. 48391 del 24/09/2014, Rv. 261024 – 01).
Orbene, come si e’ detto, nella specie i giudici di merito hanno correttamente rilevato che si e’ in presenza di piu’ condotte gravi e reiterate di minaccia e si sono limitati a valutare anche le pregresse e diverse condotte del (OMISSIS), oggetto di altro processo, cui ha fatto riferimento anche il ricorrente senza, pero’, precisare che vi sia coincidenza tra i fatti e se sia intervenuta una sentenza di primo grado.
3. Alla pronuncia di inammissibilita’ consegue ex articolo 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione del tenore delle questioni dedotte, appare equo determinare in Euro 3000,00.
La parte civile non ha richiesto la condanna del (OMISSIS) alla rifusione delle spese sostenute.
Va disposto l’oscuramento dei dati.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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