Corte di Cassazione, penale, Sentenza|11 marzo 2021| n. 9749.
Integra il delitto di crollo colposo di costruzione, totale o parziale, non qualsiasi distacco con caduta al suolo di singoli elementi costruttivi di un edificio, bensì il crollo che assuma la fisionomia del disastro, cioè di un avvenimento che, valutato “ex ante”, assume tale gravità da porre in concreto pericolo la vita delle persone, indeterminatamente considerate, in conseguenza della diffusività degli effetti dannosi nello spazio circostante, mentre non è necessaria una tale capacità diffusiva nè si richiede che dal crollo derivi un pericolo per un numero indeterminato di persone ai fini della configurabilità della contravvenzione di rovina di edifici. (Fattispecie relativa al crollo del corrimano-parapetto di uno scalone di collegamento tra il piano terreno ed il primo piano di un edificio all’interno del quale era in corso una festa, determinato dalla pressione della folla, cui seguiva il crollo della struttura, che colpiva alcuni partecipanti che si trovavano sotto la stessa nonché la caduta di numerosi avventori presenti, in quel momento sulla scala, in cui la Corte, in assenza di pregiudizi alla statica della costruzione e alle strutture portanti dell’edificio, ha ritenuto corretta la derubricazione dell’originaria imputazione di cui agli artt. 434 e 449 cod. pen. nella contravvenzione di rovina di edifici).
Sentenza|11 marzo 2021| n. 9749
Data udienza 11 dicembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Crollo colposo di edificio – Configurabilità in caso di concreto pericolo per la vita di un numero indeterminato di persone – Esclusione – Qualificazione del reato come rovina di edifici – Contravvenzione ex art. 676 c.p. – Lesioni colpose – Maturazione del termine di prescrizione – Estinzione dei reati – Annullamento senza rinvio
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIAMPI Francesco – rel. Presidente
Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere
Dott. NARDIN Maura – Consigliere
Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere
Dott. BRUNO Maria Rosaria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 17/09/2019 della CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Presidente Dr. CIAMPI FRANCESCO MARIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. MARINELLI FELICETTA, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione con conferma degli effetti civili.
Preliminarmente si dispone la sostituzione del relatore Dr. Pezzella visto il legittimo impedimento a partecipare all’udienza, con il Presidente Dr. Ciampi Francesco Maria. Viene depositata nomina a difensore di fiducia dall’avv. (OMISSIS) del Foro di Firenze, difensore e procuratore speciale della sig.na (OMISSIS), parte civile costituita nel suddetto procedimento nei confronti dell’imputato (OMISSIS), che deposita conclusioni scritte unitamente alla nota spese alle quali si riporta associandosi alle conclusioni del Procuratore Generale.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di FIRENZE in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che deposita conclusioni scritte unitamente alla nota spese, chiedendo che venga respinto il ricorso dell’imputato, con conferma delle statuizioni civili; inoltre deposita memoria difensiva di replica e nota giurisprudenziale alle quali si riporta.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di FIRENZE in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che depositando conclusioni scritte e nota spese insiste per la conferma della sentenza impugnata.
L’avv. (OMISSIS), deposita nomina a sostituto processuale dell’avv. (OMISSIS) del foro di FIRENZE difensore di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per i quali si riporta alle conclusioni scritte depositate in udienza unitamente alla nota spese; infine, deposita nomina a sostituto processuale dell’avv. (OMISSIS) del foro di FIRENZE difensore di (OMISSIS) unitamente alle conclusioni scritte e nota spese alle quali si riporta.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di FIRENZE in difesa di (OMISSIS), che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 29/6/2018 il Tribunale di Firenze, in composizione monocratica, dichiarata a norma dell’articolo 531 c.p.p. l’estinzione dei reati ascritti a (OMISSIS) ai capi C), D) E) commessi tra il 31.10.12 ed il 1.11.12 e del reato ascritto al capo F) all’originario coimputato (OMISSIS) commesso il (OMISSIS) e come modificato dal PM all’udienza del 28.3.2017 per l’intervenuta prescrizione degli stessi, condannava (OMISSIS), ritenuto il concorso formale tra il reato di cui al capo A) e ciascuno degli episodi lesivi di cui al capo B), alla pena di anni tre e mesi tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili, che provvedeva a liquidare, avendolo ritenuto responsabile:
A) del delitto p. e p. dall’articolo 449 c.p., in relazione all’articolo 434 c.p., perche’, avendo agito in qualita’ di amministratore unico della societa’ titolare della licenza ” (OMISSIS) S.r.l.” ed avendo in tale veste organizzato una festa per, la c. d. notte di Halloween, che si e’ svolta all’interno dell’edificio, denominato (OMISSIS) in (OMISSIS), per colpa consistita:
– nell’aver consentito l’ingresso di un numero di partecipanti macroscopicamente superiore al limite consentito e per la precisione per avere permesso l’ingresso, di circa 2.000 persone a fronte dell’autorizzazione di pubblico trattenimento rilasciata dal Responsabile del Servizio Autonomo di Polizia di (OMISSIS), in cui si da’ licenza per l’agibilita’ del complesso (OMISSIS) per una capienza massima di 600 persone (capienza complessiva di tutte le aree della struttura, comprese le pertinenze);
– nell’avere consentito che tali persone si assiepassero all’interno dei locali chiusi della struttura;
– nell’avere permesso che le persone presenti si accalcassero sullo scalone di collegamento tra il piano terreno ed il primo piano dell’edificio;
cagionava il crollo del corrimano-parapetto di tale scalone, per effetto della pressione determinata dalla folla, cui seguiva il crollo della, struttura, che colpiva alcuni partecipanti alla festa che si trovavano sotto la stessa nonche’ la caduta di numerosi avventori presenti, in quel momento sulla scala, alcuni dei quali riportavano le lesioni indicate nel capo seguente.
In (OMISSIS) nella notte tra il (OMISSIS).
B) Del delitto p e p. dall’articolo 81 c.p. e articolo 590 c.p., commi 1 e 2 per avere, per colpa consistita nell’avere tenuto la condotta di cui al capo A), cagionato alle sotto indicate persone offese le lesioni personali di seguito precisate:
– (OMISSIS), contusione spalla destra e frattura composta al quarto dito mano sinistra; malattia durata 45 giorni;.
– (OMISSIS), trauma cronico, malattia durata oltre 90 giorni;
– (OMISSIS), frattura mano destra, trauma cronico, malattia durata giorni 35;
– (OMISSIS), trauma cranico e contusioni multiple, malattia durata giorni 3;
– (OMISSIS) abrasioni e contusioni multiple, malattia durata giorni 5;
– (OMISSIS), frattura del setto ed ossa nasali, malattia durata giorni 87;
– (OMISSIS), fratture dentarie, trauma cranico ed ematomi, malattia durata 35 giorni;
– (OMISSIS), trauma commotivo, malattia durata giorni 27;
– (OMISSIS), trauma cranico, malattia durata giorni 35,
– (OMISSIS), frattura mano sinistra e trauma cranico, malattia durata giorni 41;
– (OMISSIS), trauma cranico con fratture, malattia con durata di giorni 242 e postumi con difficolta’ masticatoria e cicatrici con conseguente indebolimento di un organo ed effetto deturpante del volto;
– (OMISSIS), contusione all’anca ed alle gambe con malattia di giorni 37.
Con l’aggravante della gravita’ della lesione per le malattie superiori ai 40 giorni e della natura gravissima della lesione nei confronti di (OMISSIS).
In (OMISSIS) nella notte tra il (OMISSIS)
2. Sull’appello dell’imputato e dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), la Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 17/9/2019, liquidava a favore della parte civile (OMISSIS) a titolo di risarcimento del danno la somma di Euro 33.484 e confermava nel resto la sentenza appellata, condannando l’imputato al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute dalle parti civili per il grado d’appello.
3. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione il (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
In relazione ai reati di cui ai capi A) e B) e alle cause del crollo, con un primo motivo il ricorrente deduce erronea applicazione di legge penale in relazione agli articoli 40, 41, 434, 449 e 590 c.p., nonche’ carenza e illogicita’ della motivazione, travisamento del materiale istruttorio con riguardo al punto dove la sentenza ritiene causa del crollo del parapetto della scala la presenza di un numero di persone superiore alla capienza massima imposta dall’autorizzazione comunale.
Il ricorrente ricorda che, nell’atto di appello, anzitutto, si censuravano le conclusioni del Tribunale di Firenze in ordine alle cause dell’evento. Infatti il giudice di prime cure aveva ritenuto che la causa del ribaltamento del parapetto della scala fosse da ascriversi alle condotte contestate. all’imputato, ossia avere permesso che quella sera fossero presenti piu’ persone rispetto alla capienza massima consentita, che le persone si assiepassero all’interno dei locali e che si accalcassero sulla scala in questione (p. 2 appello difesa). Nell’atto di appello, invece, si sosteneva che la causa del ribaltamento del parapetto era da rinvenirsi nelle carenze strutturali dello stesso. In sintesi si osservava: che non solo il consulente della difesa, ma anche la P.G. e persino il consulente del pubblico, ministero avevano dichiarato che il parapetto aveva una resistenza scarsissima, tanto che sarebbero bastate venti persone a farlo ribaltare (p. 9 appello difesa); che nessun consulente era stato in grado di misurare l’entita’ della spinta orizzontale prodotta su quel parapetto dalle persone presenti quella sera (p. 6-7 appello difesa); che secondo il consulente della difesa quel manufatto aveva una resistenza compresa tra dieci e trenta kg/metro lineare (p. 8 appello difesa); che secondo la normativa di settore le strutture verticali (ringhiere, parapetti ecc..) che si trovano nei locali adibiti a pubblico spettacolo devono avere la resistenza di circa trecento kg/metro lineare; che secondo la letteratura scientifica piu’ accreditata una folla pressata contro un parapetto (che e’ sostanzialmente l’ipotesi accusatoria) esercita una forza pari a duecento kg/metro lineare, mentre quando la medesima folla cerca di allontanarsi dal parapetto puo’ generare spinte aggiuntive fino a trecento kg/metro lineare complessivi (p. 11-12 appello difesa); che proprio per tale motivo la normativa di sicurezza impone che le strutture verticali dei locali adibiti a pubblico spettacolo debbano avere la resistenza di trecento kg/metro lineare (p. 11-12 appello difesa); che, in definitiva, se quel parapetto avesse avuto la resistenza imposta dalla legge non si sarebbe ribaltato, a prescindere dal numero delle persone presenti e accalcate sulla scala stessa (p 12 appello difesa).
Ad avviso della Corte d’Appello “la ricostruzione prospettata dalla difesa non e’ condivisibile e pertanto gia’ la violazione del numero di seicento persone (in connessione con la violazione delle altre regole cautelari di cui ai punti successivi) ha sicuramente assunto efficacia causale sul crollo del parapetto” (p. 8 sentenza Corte d’Appello). In ogni caso, continua il giudice di secondo grado, anche a voler accogliere le doglianze difensive e dunque a voler ritenere che la causa del ribaltamento del parapetto fosse dipesa dalle carenze strutturali del manufatto, l’imputato dovrebbe comunque risponderne avendo egli firmato la relazione tecnica circa l’idoneita’ statica dei luoghi, relazione posta a corredo della domanda per ottenere l’autorizzazione all’esercizio dell’attivita’ di pubblico spettacolo; anzi, in tal caso “si potrebbe qualificare il comportamento del (OMISSIS) quale sconfinante nella colpa cosciente” (p. 8-9 sentenza Corte d’Appello).
Il ricorrente censura il punto della sentenza dove la Corte territoriale, disattendendo la tesi difensiva, ritiene che il sovraffollamento dei’ locali sia stato la causa del ribaltamento del parapetto. Evidenzia che i motivi a sostegno delle conclusioni della Corte fiorentina sul punto sono: a) che non e’ provata la trascurabile resistenza della scala, che, “pur inadeguata, qualche resistenza e’ certo che l’avesse” (p. 9 sentenza Corte d’Appello); b) che i calcoli effettuati dal C.T. della difesa potrebbero non essere esatti, visto che gli accertamenti tecnici sono stati svolti quando la balaustra era gia’ crollata (p. 8 sentenza impugnata); c) che la balaustra nel corso di precedenti eventi e quella sera stessa per alcune ore aveva tenuto (p. 8 sent.); d) che la prova controfattuale che porta la difesa (sarebbe crollata anche con poche persone) doveva essere posta in termini di certezza non in termini probabilistici (p. 8 sent.).
Ad avviso del ricorrente il primo argomento rivelerebbe la scorretta applicazione delle norme sulla causalita’, l’assoluto travisamento delle prove e l’illogicita’ della motivazione. Infatti, per poter affermare la responsabilita’ dell’imputato in relazione agli addebiti contestati, il giudice di merito avrebbe dovuto accertare che il parapetto ribaltatosi quella sera avesse non “una qualche resistenza pur inadeguata”, ma la resistenza imposta dalla legge o almeno una resistenza adeguata e che tuttavia si fosse ribaltato a causa delle condotte contestate all’imputato. Sostenere, invece, che il manufatto avesse una resistenza inadeguata significa non solo cadere in contraddizione (o il parapetto era resistente o non lo era), ma anche applicare erroneamente i principi in materia di causalita’ che impongono al giudice di compiere una selezione all’interno dei possibili fattori causali dell’evento, individuare quello che secondo la migliore scienza ed esperienza lo avrebbe causato e verificare la fondatezza dell’imputazione in relazione a quel determinato fattore causale. In questo caso il giudice di merito avrebbe dovuto prima stabilire che il parapetto fosse effettivamente resistente e poi eventualmente verificare se, a causa delle condotte colpose dell’imputato, quella sera fossero presenti allo spettacolo piu’ persone del consentito, se tali persone si fossero accalcate sulla scala e se tale sovraffollamento avesse prodotto la spinta necessaria a vincere la resistenza del parapetto cosi’ da farlo cadere. Invece la Corte fiorentina, ritenendo sostanzialmente irrilevante che quella scala fosse resistente o non lo fosse (“una qualche resistenza, pur inadeguata, e’ certo che l’avesse”), si sarebbe sottratta, dapprima, all’onere di individuare il fatto causale produttivo dell’evento e, successivamente, a quello di valutare se l’evento sia stato davvero la “conseguenza” delle condotte descritte nell’imputazione. Per di piu’ la Corte fiorentina mostrerebbe di avere completamente frainteso le prove assunte su questa tema. Infatti, non solo il consulente della difesa, ma persino il consulente del pubblico ministero ha affermato che sarebbero bastate venti persone affacciate a quel parapetto per farlo ribaltare (ud. 28.3.17, P. 193, all. 1). E anche l’Ing. (OMISSIS) dei Vigili del Fuoco ha confermato senza dubbio questa circostanza: “era una balaustra di tipo, non voglio dire decorativo, pero’ diciamo da una scarsissima resistenza”, e ancora “come resistenza… come dire, non allo scivolamento, ma alla rotazione, era praticamente inesistente perche’ e’ un colonnino semplicemente appoggiato” (ud. 28.3.17 P. 9899, all. 2).
Quanto al secondo argomento speso dalla Corte fiorentina, al ricorrente pare evidente l’illogicita’ della motivazione della sentenza impugnata: poiche’ e’ pacifico che la balaustra sia crollata nel corso della festa, e’ chiaro che tutti gli accertamenti tecnici effettuati dai consulenti, compreso ovviamente il consulente dell’accusa, sono stati svolti quando la balaustra era gia’ caduta. Non solo, la Corte traviserebbe del tutto il materiale istruttorio, perche’ nessun consulente ha dichiarato che la caduta del manufatto abbia inficiato la possibilita’ di effettuare accertamenti tecnici sulla resistenza dello stesso (e infatti la Corte non cita alcuna prova a sostegno della propria conclusione). Anzi, il consulente della difesa ha spiegato dettagliatamente il procedimento con il quale, partendo dalle caratteristiche dei materiali, dalle dimensioni e dal peso del manufatto, e’. riuscito a calcolare che il parapetto aveva una resistenza compresa tra dieci e trenta kg/metro lineare (cfr. ud. 1.3.18, p. 5-6, all. 3). Inoltre – prosegue il ricorso- il ct della difesa ha anche spiegato perche’ per svolgere questo calcolo non sono stati necessari altri accertamenti, chiarendo che ulteriori accertamenti sarebbero stati sostanzialmente inutili ai fini del processo perche’ avrebbero portato solo stabilire con maggiore precisione il valore della resistenza del manufatto, valore che pero’ sarebbe risultato comunque compreso nell’intervallo tra dieci e trenta kg/metro lineare. da lui individuato (ud. 1.3.18, p. 8-12, ali. 4). Pertanto per disattendere tali dati emersi dall’istruttoria la Corte d’Appello avrebbe dovuto offrire una motivazione adeguata e soprattutto suffragata da evidenze scientifiche di segno contrario, qualora vi fossero.
Anche il terzo argomento, cioe’ che la tesi della difesa sarebbe smentita dalla circostanza che la scala aveva resistito durante le precedenti serate e anche quella sera per qualche ora, paleserebbe ad avviso del ricorrente l’illogicita’ della motivazione e, il travisamento del compendio istruttorio. Infatti, ad una serie di prove scientifiche (la consulenza della difesa e, sul punto, anche la consulenza del pubblico ministero e gli accertamenti dell’Ing. (OMISSIS) dei Vigili del Fuoco) che hanno dimostrato la scarsissima resistenza del manufatto, la Corte d’Appello contrappone “evidenze empiriche” (il parapetto non si era ribaltato fino a quel momento) senza peraltro spiegare per quali ragioni queste ultime sarebbero piu’ affidabili di calcoli ingegneristici basati su misurazioni e accertamenti condotti da esperti della materia. Per di piu’ l’impugnata sentenza sarebbe anche contraddittoria rispetto a se stessa perche’, quando sostiene che comunque sussisterebbe la responsabilita’ dell’imputato per aver omesso le verifiche statiche della balaustra (sempre p. 9 sentenza Corte d’Appello), di fatto finirebbe per fornire lei stessa evidenze empiriche a riprova della fondatezza della tesi scientifica sulla scarsissima resistenza del parapetto.
Infine, anche il quarto argomento della Corte territoriale evidenzierebbe, ad avviso del ricorrente, il malgoverno dei principi in materia di causalita’, nonche’ il fraintendimento del compendio istruttorio e l’illogicita’ della motivazione. Infatti, contrariamente a quanto sostiene l’impugnata sentenza, la prova della indifferenza del numero di persone rispetto al crollo della balaustra e’ stata posta dal consulente della difesa in termini di assoluta certezza scientifica, mentre semmai e’ proprio il giudice di secondo grado che non ha ancorato il proprio convincimento ad alcuna base scientifica, tanto che poi ha introdotto il tema secondo cui la responsabilita’ dell’imputato sussisterebbe anche a voler ritenere causa dell’evento il difetto strutturale del manufatto. Il consulente della difesa, prosegue il ricorso, si e espresso in termini di certezza scientifica (si rimanda, ad esempio, alla pagina 7 della sua consulenza, dove egli osserva come bastano “alcuni semplici calcoli ingegneristici di tipo quantitativo” per rendersi conto “di come la balaustra stessa fosse assolutamente inadeguata a resistere anche alle piu’ piccole azioni orizzontali e quindi inidonea a qualsiasi uso” (all 5) E ancora alle pagg. 5 e 6 della propria consulenza il Prof. Ing. Trombetti scrive che le conclusioni del collega (la scala aveva una scarsa resistenza, ma e’ crollata a causa del sovraffollamento) non si basano su calcoli ingegneristici, ne’ su alcuna prova sperimentale, “non si comprende pertanto sulla base di quale considerazione ingegneristica l’Ing. Campedelli basi le affermazioni contenute nelle conclusioni secondo cui una folla abnorme avrebbe provocato il crollo della balaustra” (all. 5).
Infine, a pag. 10, dove parla di “appurata scarsa resistenza alle spinte orizzontali della balaustra” (all. 5). Tutte affermazioni che egli ribadisce con pari grado di certezza anche nelle conclusioni del proprio elaborato (all. 6). E anche nei corso del proprio esame dibattimentale egli ha spiegato le ragioni scientifiche che lo hanno portato a sostenere che quella balaustra aveva una resistenza pari ad un valore compreso tra dieci e trenta kg/metro lineare, mentre la normativa impone una resistenza pari a circa trecento kg/metro lineare per le strutture verticali (ringhiere, parapetti ecc..) che si trovano nei locali adibiti a pubblico spettacolo (cfr. ud. 1.3.18, P. 6-7, all. 3; si veda anche sul punto p. 11 consulenza Di Giorgi Campedelli, all. 7).
Il consulente ha poi affermato – prosegue il ricorso- che se quella scala avesse avuto la resistenza imposta dalla legge non si sarebbe certamente ribaltata, a prescindere dal numero delle persone presenti all’interno dell’edificio e sul manufatto stesso (v. ud. 1.3.18, p. 6-7, all. 3). Egli ha illustrato che tale conclusione si puo’ trarre facilmente dalla lettura dei piu’ accreditati studi sulle spinte prodotte dalle folle di cui il principale e’ il volume “Introduction to Crowd Science” del Prof. G. (OMISSIS), (OMISSIS) (cfr. consulenza Prof. Ing. (OMISSIS), P. 7-9, all. 5, e P. 32-33, all. 8). Secondo tali studi quando la folla e pressata contro una superficie verticale (come un parapetto o una ringhiera) essa esercita una forza pari a circa duecento kg/metro lineare, se invece se ne allontana la spinta puo’ arrivare fino a circa trecento kg/metro lineare ed e’ proprio per questo che: “le balaustre, ancorche’ di una scala, vengono progettate per quelle che sono le spinte massime che su di esse vanno ad esercitarsi” (ud 1.3.18, p 38-39, all. 9, nonche’ p 32 consulenza Prof Ing. (OMISSIS), all 8).
Ebbene, la Corte territoriale, in primo luogo, non avrebbe spiegato quali sarebbero le ragioni che a suo dire farebbero dubitare della fondatezza scientifica della ricostruzione del consulente della difesa. In secondo luogo, e in ogni caso, la Corte avrebbe dovuto indicare in base a quali elementi sarebbe possibile dire che la tesi della difesa non sarebbe stata posta in termini di certezza, visto che si tratta di conclusioni derivanti da accertamenti scientifici condotti da un esperto di comprovata esperienza, suffragati da calcoli e misurazioni e supportati dalla piu’ accreditata letteratura scientifica in materia.
Sempre in relazione ai capi a) e b) dell’imputazione e ancora sulle cause del crollo e sulla relazione di idoneita’ statica dell’edificio, si propone una ulteriore censura lamentando erronea applicazione degli articolo 597, 521 e 522 c.p.p. e degli articoli 40, 41, 434, 449 e 590 c.p., nonche’ illogicita’ della motivazione e travisamento del materiale istruttorio con riguardo al punto dove la Corte ritiene che, anche qualora la causa del crollo fosse da rinvenire nelle carenze strutturali del parapetto, sussisterebbe comunque la responsabilita’ dell’imputato e cio’ non costituirebbe una violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
Il ricorrente evidenzia come, ad avviso della Corte territoriale, quand’anche si volesse ritenere che la balaustra in questione avesse avuto una resistenza scarsissima e che dunque cio’ abbia causato il ribaltamento, tuttavia la responsabilita’ dell’imputato sussisterebbe lo stesso. Infatti, ricorda la Corte fiorentina, la concessione dell’autorizzazione per lo svolgimento di eventi di pubblico spettacolo presso (OMISSIS) era stata subordinata alla presentazione di una perizia tecnica di idoneita’ dei locali, per la redazione della quale l’imputato si era rivolto all’Ing. (OMISSIS) (assolto dal Tribunale di Firenze, pronunciamento non appellato dal pubblico ministero, ne’ dalle parti civili). Pertanto, prosegue il giudice di secondo grado, poiche’ “la perizia allegata alla richiesta di autorizzazione redatta dal (OMISSIS) e firmata anche dal (OMISSIS) attestava l’idoneita’ statica e l’adeguatezza a contenere seicento persone nell’intera struttura”, allora la dichiarata e non fondata idoneita’ della struttura “e’ da riportare al (OMISSIS) che aveva commissionato la relazione tecnica”, il quale dunque “aveva maggior consapevolezza e contezza di un’area di rischio piu’ ampia rispetto a quella coperta dalla regola cautelare posta dall’autorita’ amministrativa sulla base di dati inesatti” (p. 6-7 sentenza Corte d’Appello; in definitiva “si potrebbe qualificare il comportamento del (OMISSIS) quale sconfinante nella colpa cosciente” (p. 9 sentenza Corte d’Appello) e cio’ non violerebbe neppure il principio ex articolo 521 c.p.p. di correlazione tra accusa e sentenza, avendo l’imputato concorso a porre la regola cautelare in termini di inefficienza rispetto alla medesima area di rischio che avrebbe dovuto prevenire (p 8 sentenza Corte d’Appello).
Al contrario, per il ricorrente, anzitutto la conclusione della Corte fiorentina violerebbe il principio del divieto di reformatio in peius enunciato dall’articolo 597 c.p.p. Infatti, il giudice di prime cure aveva, sia pure in un obiter dictum, escluso la responsabilita’ dell’imputato (OMISSIS) in relazione a tale profilo: “il rimprovero mosso al (OMISSIS) non e’ di aver omesso la verifica dell’idoneita’ statica, rimprovero che andrebbe mosso invece al (OMISSIS)” (p. 15 sentenza Tribunale di Firenze).
Pertanto, in assenza di gravame da parte del pubblico ministero o delle parti civili, alla Corte d’Appello era precluso formulare un giudizio di responsabilita’ dell’imputato con riguardo alla inidonea staticita’ della balaustra.
Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dall’impugnata pronuncia, a fronte della contestazione di avere colposamente causato il crollo del parapetto di una scala per aver permesso l’ingresso a piu’ persone rispetto alla capienza massima dei locali, consentito che le stesse si assiepassero nei locali chiusi e si accalcassero sulla scala, ritenere l’imputato responsabile per aver “asseverato” l’idoneita’ statica del manufatto che invece non sarebbe stato idoneo, integrerebbe proprio la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui agli articoli 521 e 522 c.p.p. per piu’ ragioni.
In primo luogo, sarebbe pacifico che si tratta di un fatto non solo diverso, ma, si potrebbe dire, persino antitetico. Infatti, l’originaria imputazione presuppone proprio cio’ che la “nuova” contestazione nega, ossia che il parapetto fosse resistente e che si fosse ribaltato a causa del sovraffollamento permesso dall’imputato. Pertanto, certamente nella specie non potrebbe certo affermarsi, come invece fa l’impugnata sentenza, che il diverso addebito fosse in qualche modo ricompreso nell’imputazione originaria, visto che il nuovo addebito (la scala non aveva alcuna resistenza) e’ appunto incompatibile con il vecchio (la scala resisteva ma si e’ ribaltata a causa dell’eccessivo sovraffollamento). D’altra parte -prosegue il ricorso- ormai pacificamente si ritiene che sussista la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di incompatibilita’ ed eterogeneita’, verificandosi un vero e proprio stravolgimento dei termini dell’accusa, a fronte dei quali l’imputato e’ impossibilitato a difendersi (il richiamo e’ a Sez. 1 n. 28877/2013).
In secondo luogo, si evidenzia che non solo l’imputazione, ma anche tutta l’istruttoria si e’ sviluppata unicamente attorno al tema del sovraffollamento e della sua incidenza causale sull’evento, mentre mai e’ stato neppur indirettamente imputato al (OMISSIS) di avere colposamente asseverato la staticita’ del manufatto, come agevolmente puo’ apprezzarsi dalla semplice lettura della sentenza di primo grado: “il rimprovero mosso al (OMISSIS) non e’ di aver omesso la verifica dell’idoneita’ statica, rimprovero che andrebbe mosso invece al (OMISSIS)” (p. 15 sentenza Tribunale di Firenze), ossia al tecnico incaricato di svolgere gli accertamenti in ordine alla staticita’ delle strutture dell’edificio.
In definitiva non vi e’ dubbio per il ricorrente che, nella specie, la condanna per il fatto diverso di aver asseverato la staticita’ dell’edificio rappresenta una paradigmatica ipotesi di condanna “a sorpresa” con conseguente nullita’ della, sentenza sul punto.
Si aggiunge poi che, anche a non voler ritenere sussistente la violazione degli articoli 597, 521 e 522 c.p.p., la sentenza impugnata meriterebbe di essere censurata per violazione di legge e travisamento del compendio istruttorio, oltre che per l’illogicita’ della motivazione.
Quanto alla violazione di legge perche’, esattamente come ha sottolineato il tribunale, la responsabilita’ per avere asseverato la conformita’ alla normativa di sicurezza e la staticita’ dell’edifico non puo’ certo essere imputata al privato, ma semmai al professionista incaricato di compiere tutti gli accertamenti del caso. D’altra parte, la firma del privato, accanto alla firma del tecnico in calce alla relazione di idoneita’ statica dei luoghi, e’ richiesta perche’ l’atto deve essere allegato alla domanda per ottenere l’autorizzazione allo svolgimento di attivita’ di pubblico spettacolo; ma certo al privato, che non ha competenza tecniche, non possono essere imputati eventuali errori od omissioni di natura tecnica che sono riferibili unicamente all’ingegnere incaricato. Ne’ gli si puo’ imputare di aver omesso le verifiche tecniche successive perche’ a norma dell’articolo 141 reg. esec. della Legge di Pubblica Sicurezza (Regio Decreto 6 maggio 1940, n. 635) si tratta di un adempimento di esclusiva competenza della commissione comunale preposta al rilascio dell’autorizzazione, non certo del privato (si veda anche consulenza Ing. (OMISSIS), p. 10, all. 10).
Inoltre, e in subordine, ad avviso del ricorrente si deve censurare anche il travisamento della prova e la carenza della motivazione laddove la Corte territoriale non ha indicato quali sarebbero gli elementi di prova dell’elemento soggettivo del reato.
Infatti, proprio perche’ l’imputato si era affidato ad un tecnico, la Corte avrebbe dovuto almeno spiegare come avrebbe potuto l’imputato accorgersi dell’errore tecnico compiuto dall’Ing. (OMISSIS) e dunque avere contezza dell’instabilita’ del parapetto di quella scala. E cio’ specie alla luce della circostanza – indicativa anche del travisamento del materiale probatorio da parte del giudice di secondo grado – che, da una parte l’istruttoria ha acclarato che si trattasse di un “vizio non immediatamente riconoscibile (all’apparenza la balaustra risulta infatti solida e massiccia” (pag. 10 consulenza Prof. Ing. (OMISSIS), ali. 5), e dall’altra che nemmeno la competente Commissione Comunale incaricata di esaminare la pratica ha mosso alcun rilievo sul punto.
Sempre in relazione ai capi a) e b) dell’imputazione, si lamenta con il terzo motivo di ricorso l’erronea applicazione degli articoli 40, 43, 434, 449 e 590 c.p. nonche’ carenza e illogicita’ della motivazione, contraddittorieta’ rispetto al materiale istruttorio con riguardo al punto della sentenza relativo alla funzione della regola cautelare la cui violazione si contesta all’imputato.
Rileva il ricorrente come, secondo il Tribunale di Firenze l’evento in concreto verificatosi costituisce la concretizzazione del rischio che la regola cautelare della capienza massima e’ preposta ad evitare (p. 16 e 18 sentenza del Tribunale).
Nell’appello si lamentava, invece, che tale conclusione da parte del Tribunale sarebbe assertiva, non avendola il primo giudice ancorata ad alcun dato normativo, scientifico, empirico, ne’ ad alcun eventuale riscontro istruttorio. Anzi, si sosteneva, l’istruttoria aveva dimostrato proprio il contrario, ossia che la regola della capienza massima e’ posta unicamente a presidio del rischio di cedimento delle strutture orizzontali degli edifici (pavimenti, solai, ascensori ecc..), non delle strutture verticali, il cui rischio di ribaltamento e’ invece tutelato dalla normativa di sicurezza che impone di dotare di una determinata resistenza questo tipo di manufatti (p. 15-19 appello difesa).
La Corte d’Appello concorda con il Tribunale, osservando che secondo la difesa, poiche’ quella scala si sarebbe potuta ribaltare a prescindere dal numero di persone, allora la regola cautelare della capienza “non sarebbe atta quindi ad impedire eventi come quello che si e’ verificato, a (OMISSIS), bensi’ sarebbe preposta ad evitare il cedimento delle strutture orizzontali (pavimenti, solai) e non anche di quelle verticali” (pag. 7 sentenza Corte d’Appello).
La Corte territoriale paleserebbe non solo il malgoverno dei principi in materia di imputazione colposa dell’evento del reato, ma anche l’evidente carenza motivazionale e il palese fraintendimento dell’istruttoria e anche dei motivi d’appello.
In primo luogo, infatti, a fronte di uno specifico motivo di gravame, la Corte di secondo grado avrebbe dovuto spiegare perche’ ritiene che la regola cautelare della capienza massima sarebbe posta a presidio del rischio di ribaltamento delle strutture verticali degli edifici.
L’omissione sarebbe tanto piu’ rilevante se si considera che e’ stato per primo il consulente del pubblico ministero, di cui si ricordano in ricorso le dichiarazioni rese all’udienza del 28/3/2017, a osservare che il rispetto del numero massimo di persone rileva solo per la tenuta delle strutture orizzontali e non certo per quelle verticali come i parapetti.
Si tratterebbe di un aspetto centrale che rivelerebbe la scorretta applicazione degli articoli 43, 434, 449 e 590 c.p., poiche’, se scientificamente non vi e’ alcun legame tra il numero di persone presenti in un determinato luogo e il rischio di cedimento delle strutture verticali, allora il crollo di quest’ultime non rappresenterebbe la concretizzazione del rischio che la norma cautelare della capienza massima e’ preposta ad evitare e dunque nessun giudizio di responsabilita’ puo’ essere formulato nei confronti dell’odierno imputato per aver eventualmente fatto entrare piu’ persone rispetto al massimo consentito e/o per averne permesso l’assembramento.
Il dato scientifico -prosegue il ricorso- e’ poi corroborato anche da evidenze empiriche perche’ e’ chiaro che il numero di persone pressate necessario a riempire ogni spazio di una scala interna di un edificio e’ sicuramente inferiore al numero massimo di persone ammesse nello stesso edificio. Quindi, anche rispettando il numero massimo di avventori, negli edifici entrerebbe certamente un numero di persone tale da poter “riempire” una scala interna e dunque, seguendo l’impostazione accusatoria, tale da farla ribaltare. Prendendo il caso di specie, certamente sulla scala che poi ha ceduto vi erano molto meno di seicento persone.
Cio’ dimostrerebbe proprio che gia’ sul piano astratto la regola cautelare della capienza massima non atterrebbe in alcun modo al rischio di ribaltamento delle strutture verticali, perche’, appunto, anche rispettandola, il numero di persone ammesse negli edifici sarebbe sufficiente a farne ribaltare le strutture verticali, senza che il garante abbia di fatto la possibilita’ di governare un tale rischio. Inoltre la Corte d’Appello traviserebbe non solo la consulenza dell’Ing. (OMISSIS), ma anche il motivo di appello della difesa su questo tema.
Infatti, si rileva in ricorso che la difesa non aveva certo sostenuto (come invece la Corte d’Appello ritiene, fraintendendo, che la difesa abbia fatto) che siccome, secondo le conclusioni del proprio consulente, quel parapetto si sarebbe ribaltato a prescindere dal rispetto del numero massimo di persone, allora cio’ significherebbe che tale regola cautelare e’ posta a presidio del rischio di caduta delle sole strutture orizzontali. La difesa (e il ricorrente richiama le pagine da 15 a 19 dell’atto di appello) aveva invece sostenuto (e lo rimarca anche in questa sede) una cosa diversa, ossia che, a fronte di evidenze scientifiche inequivocabili (tanto che “provengono” anche dal consulente del pubblico ministero) che mostrano come la regola della capienza massima degli edifici non abbia alcuna attinenza col rischio di ribaltamento delle strutture verticali, ma solo di cedimento di quelle orizzontali, nella specie l’imputato doveva essere assolto perche’ il ribaltamento del parapetto non rappresenta la concretizzazione del rischio che la regola cautelare e’ preposta a scongiurare.
Sarebbe allora evidente il vizio di motivazione, in quanto l’argomento della difesa non viene respinto nel merito (come sarebbe stato se la Corte d’Appello avesse spiegato perche’, a suo dire, la regola cautelare in oggetto sarebbe posta a presidio del rischio del ribaltamento delle strutture verticali), ma stravolgendone il contenuto, dicendo cioe’ che sarebbe la conseguenza delle conclusioni del consulente della difesa. D’altra parte, si faceva altresi’ notare nell’appello senza che la Corte di secondo grado abbia speso parola sul punto, cosi’ ricostruito il rapporto tra regola cautelare e rischio di cedimento del parapetto, il garante si troverebbe, stavolta si’, nelle condizioni di poterlo governare, realizzando una scala rispettosa della resistenza imposta dalla normativa; mentre, se si segue l’impostazione accusatoria, si deve concludere che egli si troverebbe nell’impossibilita’ pratica di farlo, visto che il ribaltamento di un parapetto ben puo’ essere causato dalla spinta di un numero di persone inferiore a quello della capienza massima.
Con il quarto motivo di ricorso, incentrato sull’inquadramento giuridico del fatto, si lamenta l’erronea applicazione degli articoli 434 e 449 c.p., con riguardo al punto della sentenza ove la Corte territoriale ritiene sussistente la fattispecie delittuosa di crollo colposo di edificio.
Secondo la Corte d’Appello sussiste il delitto di cui agli articolo 434 e 449 c.p. perche’ l’evento potenzialmente poteva sviluppare una maggiore e ben piu’ grave pericolosita’ e diffusivita’ “per tutti i soggetti presenti quella sera, nella quale, si ripete, era in corso una festa aperta al pubblico” (p. 10 della sentenza impugnata).
Invece, prosegue la Corte territoriale, “per configurarsi la fattispecie della contravvenzione di cui all’articolo 676 c.p. infatti sarebbe bastato il solo elemento del crollo senza ricorrere alla potenziale diffusivita’ degli edifici e alla pericolosita’ per i presenti, elementi che invece ricorrono nel caso di specie” (sempre pag. 10).
Ebbene, per il ricorrente gli argomenti della Corte territoriale paleserebbero la scorretta applicazione degli articoli 434 e 449 c.p., unita alla carenza della motivazione sul punto.
Si rileva che il giudice di merito, di fatto, sostiene che, poiche’ si trattava di una festa aperta al pubblico e vi era il pericolo per un buon numero di persone, allora il delitto sarebbe integrato, visto che e’ proprio l’elemento del pericolo per le persone a caratterizzare il delitto a dispetto della contravvenzione. Ma -si obietta in ricorso – anzitutto e’ pacifico che il delitto in questione si applica solo allorquando il crollo abbia interessato strutture essenziali dell’edificio e abbia dunque assunto proporzioni tali da mettere in pericolo la vita e l’incolumita’, non di dieci, cinquanta o cento persone presenti nel luogo ove si verifica, ma di un numero indeterminato di persone. In altri termini, trattandosi di delitto contro l’incolumita’ pubblica, il reato in questione presuppone l’attitudine del crollo a propagarsi rapidamente, cosi’ da mettere a rischio la collettivita’. D’altra parte, si ricorda che questa Corte di legittimita’ ha ormai definitivamente chiarito che il concetto di crollo di una costruzione puo’ effettivamente riguardare anche solo una parte della stessa, non essendo necessario che interessi l’intero fabbricato, ma tuttavia e’ comunque necessaria la disintegrazione delle strutture essenziali, non essendo sufficiente il mero distacco di singoli elementi costruttivi se la struttura essenziale non risulta compromessa (il richiamo e’ alla sentenza n. 10162/1994). Mentre nella specie e’ crollata solo una parte di una scala, senza che vi fosse il pericolo che il crollo potesse propagarsi al resto della struttura cosi’ da metterle a rischio la stabilita’ complessiva.
Non solo, la Corte territoriale non avrebbe considerato che l’articolo 676 c.p., comma 2 prevede proprio l’ipotesi che dal crollo derivi pericolo per le persone.
Ne consegue che, ai fini dell’integrazione della fattispecie delittuosa e contrariamente a quanto sembra ritenere la Corte, non e’ sufficiente che il crollo di un edificio abbia comportato rischi per l’incolumita’ delle persone.
Ed e’ anche per questo che costituisce ormai principio consolidato che il delitto non sussiste quando il crollo mette in pericolo solo le persone presenti all’interno di un edificio, per quante esse possano essere e a prescindere dalla gravita’ delle possibili conseguenze del crollo stesso. Infatti, proprio perche’ si tratta di una fattispecie posta a tutela della pubblica incolumita’, “il delitto puo’ ravvisarsi soltanto quando il pericolo, derivante dal crollo della costruzione entro le mura perimetrali, possa diffondersi in direzione dello spazio circostante investendo persone diverse da quelle che, in numero determinato, abitano l’edificio” (il richiamo e’ a Sez. 4 n. 40729/2015), circostanza che pacificamente nella specie non ricorre, avendo la condotta esposto a pericolo solo alcuni tra i partecipanti alla festa.
Ancora con riferimento ai capi a) e b) dell’imputazione, con il quinto motivo di ricorso si lamenta inosservanza degli articoli 64, 65, 66 e 503 c.p.p. ed erronea applicazione dell’articolo 139 c.p.p., con riguardo al punto dove la Corte d’Appello ritiene utilizzabili le dichiarazioni rese dall’imputato durante il proprio esame nonostante siano stati omessi gli avvisi di rito e con riguardo al punto dove, secondo la Corte, il verbale manoscritto e la trascrizione prevalgono sulla registrazione fonografica ai fini della prova che tali avvisi siano stati dati.
Ricorda il ricorrente come, in sede di gravame nel merito, avesse lamentato che il tribunale di primo grado aveva utilizzato ai fini del decidere anche le dichiarazioni rese dall’imputato nel corso del proprio esame, nonostante, si osservava, egli non avesse previamente ricevuto gli avvisi previsti dalla legge. Si allegava anche il file originale della registrazione audio dell’udienza, dall’ascolto del quale chiaramente risultava come gli avvisi non gli fossero stati dati.
Pertanto, si sosteneva, il fatto che a pagina 9 della trascrizione (all. 12) il tecnico redattore avesse trascritto “il giudice da’ all’imputato tutti gli avvisi di rito di cui all’articolo 64 e 66 c.p.p.” doveva ritenersi un mero errore materiale, probabilmente derivante dalla dicitura gia’ presente nel modulo utilizzato dal redattore (p. 21 appello difesa).
Ad avviso della Corte d’Appello “non vi sono motivi per disattendere la veridicita’ del verbale manoscritto nella parte riassuntiva fidefacente, stante l’espresso rimando contenuto nel testo manoscritto redatto dal cancelliere d’udienza” (p. 5 sentenza Corte d’Appello).
In sostanza secondo la Corte, visto che nel verbale manoscritto il cancelliere aveva annotato “segue verbale fonoregistrato” (all. 13), allora e’ sicuramente vero quanto e’ scritto nella trascrizione, ossia appunto “il giudice da’ all’imputato tutti gli avvisi di rito”
Ebbene, ad avviso del ricorrente, tale affermazione contrasterebbe con il disposto dell’articolo 139 c.p.p., secondo cui il verbale riassuntivo prevale sulla riproduzione fonografica solo quando questa manchi o non sia intellegibile. E un’interpretazione siffatta contrasterebbe, oltre che con il diritto, anche con i canoni della logica, in quanto, se dall’audio risulta che gli avvisi sono stati omessi, l’indicazione contraria contenuta in un modulo sarebbe da imputarsi a mero errore materiale e in ogni caso non potrebbe certo essere il rinvio secco operato dal manoscritto alla trascrizione a renderla “vera” rispetto all’audio originale.
Pertanto, la sentenza impugnata meriterebbe di essere annullata anche sul punto, atteso che la stessa Corte d’Appello ricorda come tali dichiarazioni da parte del Tribunale siano state oggetto di molteplici confutazioni nel merito, confutazioni che anche il giudice d’appello fa proprie (pagg. 5-6 sentenza Corte d’Appello).
Con il sesto motivo di ricorso, si lamenta illogicita’ manifesta della motivazione e contraddittorieta’ della stessa rispetto al compendio probatorio, con riguardo al punto dove la sentenza ritiene accertata la presenza di piu’ di seicento persone nonostante gli elementi probatori contrari o almeno discordanti emersi in dibattimento.
Secondo la Corte territoriale le prove del fatto che quella sera fossero presenti piu’ di seicento persone consisterebbero nel rinvenimento da parte della P.G. di biglietti e drink card recanti numeri superiori a seicento e nelle testimonianze delle persone Presenti. Invece, la difesa si sarebbe basata sulle affermazioni contraddittorie dell’imputato e sul “richiamo a testimonianze dal contenuto approssimativo” (pag. 5 della sentenza impugnata).
Inoltre, aggiunge la Corte territoriale, e’ vero che “capienza massima consentita” significa numero di persone che possono essere ammesse contemporaneamente all’interno dei locali, tuttavia nella specie l’affermazione della difesa che all’interno dei locali nello stesso momento vi fossero meno di seicento persone sarebbe “mera affermazione difensiva sprovvista di ogni appiglio probatorio” perche’ nessuno degli addetti alla sicurezza aveva dei contapersone, dunque nemmeno l’imputato “poteva coltivare una simile certezza” (pag. 6 della sentenza impugnata).
Per il ricorrente ancora una volta l’impugnata sentenza traviserebbe il compendio probatorio e l’appello della difesa, offrendo inoltre una motivazione intrinsecamente contraddittoria.
Secondo la tesi proposta in ricorso, anzitutto viene ritenuta inconferente l’affermazione che la difesa nel relativo motivo di appello si sarebbe basata anche sulle dichiarazioni dell’imputato, visto che nell’atto di appello non solo non se ne e’ fatto riferimento (p. 22-24 appello difesa), ma anzi se ne chiedeva l’inutilizzabilita’ per i motivi sopra esposti.
Inoltre, la conclusione che l’impugnata sentenza trae dal rinvenimento di alcuni biglietti e di alcune drink card confliggerebbe con quanto emerso dall’istruttoria.
Quanto ai biglietti, si evidenzia in ricorso che e’ emerso, prima di tutto, che e’ perfettamente lecito, ed e’ la prassi per promuovere l’evento, che venga messo in vendita un numero di tagliandi superiore alla capienza massima (cfr. esame funzionario SIAE, ud. 12.6.18, p. 9-10, all. 14). E’ poi anche emerso che i biglietti erano stati stampati in successione tutti insieme e poi distribuiti ai PR a blocchi, affinche’ li vendessero ai potenziali avventori della festa.
Quindi, per ipotesi, se fosse stato veduto un solo biglietto e fosse stato venduto dal PR che aveva ricevuto i biglietti dal numero duecentouno al numero trecento, alla festa sarebbe stata presente una sola persona seppur con il biglietto numero duecentouno. In generale, dunque, in casi come questo, la circostanza che una persona abbia il biglietto numero duecentouno non significa che siano stati venduti anche i biglietti dal numero uno al numero duecento (cfr. esame funzionario SIAE, ud. 12.6.18, p. 13, all. 15). E, quanto alle drink card non e’ affatto emerso (e infatti la Corte non cita alcun ipotetico passo dell’istruttoria sul punto) che ogni persona potesse avere al massimo una e una sola drink card, pertanto il numero delle drink card ben poteva essere superiore a quello delle persone presenti. D’altra parte, e’ fatto notorio che in tutte le discoteche e i locali del mondo vi sono persone in possesso di due, tre o piu’ drink card a testa che vengono consegnate loro dall’amico PR, dal buttafuori e via dicendo. E, infatti, in conclusione, la stessa P.G. ha affermato che non e’ stato possibile acclarare in modo certo il numero delle persone presenti.
Per di piu’ la Corte incorrerebbe anche nel vizio di illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione. Da un lato, infatti, si richiama alle testimonianze delle persone presenti che hanno dichiarato che vi fossero piu’ di seicento persone, dall’altro ritiene “dal contenuto approssimativo” le testimonianze dei due buttafuori, che, invece, avevano dichiarato che alla festa erano presenti sicuramente meno di seicento persone (cfr. verbali di sommarie informazioni acquisiti all’udienza del 95.17, all. 16), senza spiegare perche’ ritiene affidabili le prime e non le seconde, visto che si tratta comunque di valutazioni “a occhio” da parte dei presenti alla festa. Per di piu’ la sentenza impugnata parrebbe contraddirsi, perche’, da una parte, ritiene acclarata la presenza di piu’ persone rispetto al consentito, dall’altro pero’ sostiene che, sebbene sia vero che la capienza massima si riferisce solo al numero limite di persone presenti contemporaneamente nei locali chiusi del Castello, tuttavia non sarebbe stata fornita dalla difesa la prova certa che all’interno dell’edificio vi fossero meno di seicento persone. Infatti tale prova si baserebbe solo sulle valutazioni” a occhio” dei presenti, dal momento che i buttafuori non avevano un contapersone.
Sarebbe evidente la contraddizione: se non e’ possibile avere la certezza matematica di quante persone fossero presenti contemporaneamente nei locali chiusi (perche’ nessuno aveva un contapersone), allora sarebbe altrettanto impossibile avere certezza di quante persone in totale fossero presenti alla festa, visto -che anche la prova- di questo elemento si basa sulle impressioni dei presenti e non su dati oggettivi.
Con il settimo motivo di ricorso si fa questione in punto di trattamento sanzionatorio.
In primis, il ricorrente deduce erronea applicazione degli articoli 81, 133, 434, 449 e 590 c.p., in ordine agli aumenti di pena per il delitto di lesioni colpose.
Il procedimento seguito dal giudice per la determinazione del trattamento sanzionatorio sembrerebbe non tenere conto dei parametri normativi indicati in rubrica. Infatti, il giudice non avrebbe tenuto conto che il legislatore, all’articolo 590 c.p., comma 4 ha inteso dettare dei criteri speciali per il concorso formale di lesioni colpose inferte a piu’ soggetti. In tal caso appunto si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione piu’ grave, aumentata fino al triplo purche’ la pena finale non superi gli anni cinque di reclusione.
Ora, e’ vero che nella specie si tratta di un concorso formale tra piu’ lesioni e il diverso reato contestato al capo A, onde il punto di partenza del procedimento di calcolo viene individuato in un reato diverso dalle lesioni. Tuttavia, dal momento in cui il giudice ha ritenuto di applicare un aumento di quattro mesi per le lesioni gravissime avrebbe dovuto contenere i successivi aumenti per le lesioni gravi invece di aumentare ulteriormente di ben tredici mesi.
In definitiva il corretto governo del principio dettato dall’articolo 590 c.p., comma 4, unito anche al rispetto del criterio di proporzionalita’ che deve guidare il giudicante nella scelta del quantum di pena da applicare per i vari aumenti in ragione della gravita’ concreta di ogni reato, avrebbe dovuto portare il giudice di merito, secondo il ricorrente, ad infliggere per le lesioni gravi una pena inferiore e dunque ad applicare una pena finale sensibilmente inferiore.
In secondo luogo si deduce erronea applicazione degli articoli 62-bis e 133 c.p. e carenza della motivazione, con riguardo al punto dove il giudice di secondo grado non motiva in ordine alla scelta di respingere i motivi d’appello sulla eccessivita’ della pena e sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente fa presente che nell’appello aveva lamentato, in particolare, che la determinazione della pena base in misura distante dal minimo edittale non teneva conto del fatto che in concreto i danni alle persone offese sono stati (fortunatamente) contenuti, dell’incensuratezza dell’imputato, del fatto che si tratti di un soggetto dalla inesistente capacita’ a delinquere, del suo contegno processuale per essersi anche sottoposto all’esame; circostanze che avrebbero, quanto meno, meritato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Va preliminarmente osservato in relazione al capo A) che si appalesa fondato il quarto motivo di ricorso con cui si denuncia l’erronea applicazione della legge penale quanto all’inquadramento giuridico della contestata fattispecie delittuosa. Al (OMISSIS) e’ stato addebitato il delitto di cui agli articoli 434 e 449 c. p. ed e’ stata ritenuta sussistente la fattispecie delittuosa di crollo colposo di edificio.
La doglianza in merito alla qualificazione giuridica del fatto, sollevata dal ricorrente e’ infatti condivisa dal Collegio, che ritiene che l’originaria imputazione sia effettivamente da ricondurre alla meno grave ipotesi contravvenzionale prevista dall’articolo 676 c.p., comma 2.
Va richiamata, in proposito, la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale per configurare il delitto di crollo colposo e’ necessario che il crollo assuma la fisionomia del disastro, cioe’ di un avvenimento di tale gravita’ da porre in concreto pericolo la vita delle persone, indeterminatamente considerate, in conseguenza della diffusivita’ degli effetti dannosi nello spazio circostante (ex plurimis, vedasi questa Sez. 4, n. 35684 del 05/07/2018, Rv. 273412; n. 18432 del 1/04/2014, Papiani ed altri, Rv. 263886).
Ai fini dell’integrazione del reato di cui agli articolo 434 e 449 c.p., per crollo di costruzione, totale o parziale, deve intendersi la caduta violenta ed improvvisa della stessa accompagnata dal pericolo della produzione di un danno notevole alle persone, senza che sia necessaria la disintegrazione delle strutture essenziali dell’edificio (cosi’ Sez. 4, n. 2390 del 13/11/2011 in cui la Corte ha ritenuto la sussistenza del reato in presenza del distacco completo, su una linea lunga circa 150 metri, del rivestimento di mattoni che rivestiva la parete esterna di un edificio scolastico).
Nel delineare la differenza rispetto all’ipotesi contravvenzionale di cui all’articolo 676 c.p. questa Corte di legittimita’ ha precisato che nel delitto di crollo colposo si richiede che il crollo assuma la fisionomia del disastro, cioe’ di un avvenimento di tale gravita’ da porre in concreto pericolo la vita delle persone, indeterminatamente considerate, in conseguenza della diffusivita’ degli effetti dannosi nello spazio circostante; invece, per la sussistenza della contravvenzione di rovina di edifici non e’ necessaria una tale diffusivita’ e non si richiede che dal crollo derivi un pericolo per un numero indeterminato di persone (cosi’ la sopra citata Sez. 4, n. 18432 del 1/4/2014 in cui la Corte ha qualificato l’originaria imputazione di cui agli articoli 434 e 449 c.p., riferita ad un caso in cui si era verificato, durante lavori di straordinaria manutenzione, il crollo del solaio, senza interessamento delle strutture portanti e senza danni alle persone, nella contravvenzione di cui all’articolo 676 c.p., comma 2). Era stato anche precisato, in una precedente pronuncia, che il concreto pericolo per la pubblica incolumita’ deve essere valutato ex ante (Sez. 1, n. 47475 del 29/10/2003, Bottoli ed altri, Rv. 226459). Muovendo dai dati fattuali cosi come accertati, si e’ altresi’ statuito (Sez. 4 n. 11771 /1997 rv. 210152) che non qualsiasi distacco “con caduta al suolo di singoli elementi costruttivi” di un edificio integrava il crollo con “fisionomia” di un disastro di proporzioni notevoli e tale da mettere in pericolo una cerchia indeterminata di persone. Si e’ quindi ritenuta la sussisteva oggettiva del delitto nel caso specifico esaminato, in cui si verifico’ il crollo di un’ampia porzione delle facciate tergali di due fabbricati e di settori di vari solai ai piani, cui seguirono lesioni di altri edifici ed instabilita’ della stessa piazza e pericolo non solo degli abitanti degli edifici, ma anche di una squadra di operai e di persone indeterminate che si trovavano nei paraggi. Si e’ altresi’ ritenuta necessaria, agli effetti della sussistenza del delitto di crollo di edificio, la “ricorrenza di un giudizio di probabilita’ relativo all’attitudine di un certo fatto a ledere od a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone anche se appartenenti a categorie determinate”. Una volta accertata “l’effettivita’ della capacita’ diffusiva del nocumento” (e quindi il “pericolo per la pubblica incolumita’ derivante dal diffondersi del crollo nello spazio circostante” -Sez. 1 n. 47475/2003, Rv. 226459). Nella specie e’ da escludersi che l’evento verificatosi (crollo del corrimano-parapetto dello scalone di collegamento tra il piano terra ed il primo piano dell’edificio) abbia assunto le proporzioni come sopra delineate dalla giurisprudenza. Il crollo in questione ha infatti interessato esclusivamente una parte (peraltro limitata) interna al fabbricato, senza neanche causare pregiudizi alla statica della costruzione o interessamento delle strutture portanti dell’edificio. Non pare quindi che, anche con valutazione ex ante, potessero prospettarsi pericoli per l’incolumita’ per un numero indeterminato di persone quali passanti, operai impiegati nei lavori, ecc..
5. L’affermata qualificazione giuridica dei fatti in termini di reato contravvenzione impone preliminarmente di verificare se alla data della odierna udienza, sia interamente decorso il termine massimo di prescrizione (anni cinque) cui bisogna por mente in applicazione degli articoli 157 e 161 c.p.. Analoga verifica deve essere compiuta in relazione all’ulteriore reato (lesioni colpose plurime) contestato al capo B) per cui il termine massimo di prescrizione e’ pari a sette ani e mezzo.
Ritiene il Collegio che – avuto riguardo al tempus commissi delicti (1 novembre 2012) ed al ritenuto titolo del reato, questo sia ormai estinto per maturata prescrizione, pur avuto riguardo ai periodi di sospensione disposti dal Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, articolo 83, commi 4 e 9 (nella specie la trattazione del procedimento era stata originariamente fissata per l’udienza del 21/4/2020, poi era stata rinviata ad una successiva udienza, prima dell’odierna trattazione.
Tanto premesso, occorre verificare se, avuto riguardo ai motivi dedotti dal ricorrente in relazione alle argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello di Firenze nell’impugnata sentenza, il ricorso proposto presenti profili di inammissibilita’ per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perche’ basato su censure non deducibili in sede di legittimita’, tali, dunque, da non consentire di rilevare l’intervenuta prescrizione (posto che si tratterebbe di causa originaria di inammissibilita’). Orbene, richiamando l’esposizione riassuntiva delle censure dedotte ed in relazione a quanto in prosieguo si dira’, deve concludersi che il ricorso non presenti connotazioni di inammissibilita’ essendo fondati, non solo sulla prospettazione di meri vizi motivazionali, ma soprattutto sull’articolazione della presunta violazione degli articoli 40 e 43 c.p.. Le doglianze si risolvono in un’ approfondita confutazione delle tesi accusatorie, recepite da entrambi i Giudici di merito, con specifico riferimento alle tematiche della ricorrenza del nesso di causa e dei contestati profili di colpa generica. Per altro verso, non sussistono tuttavia le condizioni di legge per l’applicabilita’ dell’articolo 129, comma 2, anche per quanto di seguito si dira’ nell’esaminare la fattispecie ai fini civilistici.
E’ noto, infatti, sotto un profilo d’ordine generale e sistematico, che in presenza di una causa estintiva del reato, e’ precluso alla Corte di cassazione un riesame dei fatti finalizzato ad un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione con riferimento sia alle valutazioni del compendio probatorio che al controllo della intrinseca logicita’ e coerenza dell’iter argomenta-tivo seguito dai giudici di merito. Il sindacato di legittimita’ ai fini dell’eventuale applicazione dell’articolo 129 c.p.p., comma 2 deve essere circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la conclusione puo’ essere favorevole all’imputato nel solo caso in cui la prova dell’insussistenza del fatto o dell’estraneita’ ad esso risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilita’ di nuove indagini e di ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l’operativita’ della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui e’ intervenuta, non puo’ essere ritardata: qualora, dunque, il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall’articolo 129, l’esistenza di una causa di non punibilita’ piu’ favorevole all’imputato, prevale l’esigenza della definizione immediata del processo. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, qualora gia’ risulti una causa di estinzione del reato, addirittura la sussistenza di una nullita’ (e pur se di ordine generale) non e’ rilevabile nel giudizio di cassazione, “in quanto l’inevitabile rinvio al giudice di merito e’ incompatibile con il principio dell’immediata applicabilita’ della causa estintiva” (in tal senso, ex plurimis: S.U. n. 1021 /2001; S.U. n. 35490 /2009).
6. L’impugnata sentenza deve essere pertanto annullata senza rinvio, ai fini penali, essendo i reati di cui all’articolo 676 c.p., comma 2, cosi’ riqualificata l’originaria imputazione e di cui all’articolo 81 c.p. e articolo 590 c.p., commi 1 e 2, estinti per prescrizione. La declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione comporta la necessita’ di esaminare le doglianze del ricorrente ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.
Le stesse appaiono fondate sotto piu’ profili: in primo luogo il ricorrente ha posto in evidenza come il profilo di colpa descritto nel capo di imputazione (aver colposamente causato il crollo del parapetto per aver permesso l’ingresso a piu’ persone rispetto alla capienza massima dei locali) sia ben diverso da quello per cui e’ intervenuta l’affermazione di penale responsabilita’ (omessa verifica della idoneita’ statica). Sul punto deve tuttavia escludersi che sussista la dedotta violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui agli articoli 521 e 522 c.p.p..
Ed invero alla luce dei principi della giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr. n. 103 del 2010) e della Corte di Strasburgo, sussiste diversita’ del fatto contestato, ma non e’ il caso che ci occupa- nonche’ violazione del principio di correlazione, qualora il fatto sia mutato nei suoi elementi essenziali, cosi’ da provocare una situazione di incertezza e di cambiamento sostanziale della fisionomia dell’ipotesi accusatoria, capace di impedire o menomare il diritto di difesa (cfr. SSUU n. 31617 del 26 giugno 2015, Lucci, Rv. 264438)
Va tuttavia rilevata in aderenza alle doglianze del ricorrente, assorbenti in relazione agli ulteriori motivi di ricorso, la contraddittorieta’ della motivazione circa il fatto che il (OMISSIS) fosse ad effettiva conoscenza che la relazione tecnica che accompagnava la sua richiesta di autorizzazione contenesse una falsa rappresentazione dell’adeguatezza della struttura (cfr. pag. 6 “l’imputato aveva piena conoscenza….” E pag. 9 “il (OMISSIS) ha firmato…” ma non credo la relazione, e comunque l’asseverazione e’ del tecnico, lui puo’ avere firmato per quanto riguarda la richiesta di autorizzazione” e con riferimento alle effettive cause del crollo.
Appaiono comunque altresi’ fondate le doglianze del ricorrente in ordine al cd. principio della causalita’ della colpa, secondo cui “il rimprovero colposo deve riguardare la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l’esigibile osservanza delle norme caute/ari violate. Dal che si profila il versante piu’ oggettivo della colpa, nel senso che, per potere affermare una responsabilita’ colposa, non e’ sufficiente che il risultato offensivo tipico si sia prodotto come conseguenza di una condotta inosservante di una determinata regola cautelare… ma occorre che il risultato offensivo corrisponda proprio a quel pericolo che la regola cautelare violata intendeva fronteggiare. Occorre, cioe’, che il risultato offensivo sia la concretizzazione del pericolo preso in considerazione dalla norma cautelare; ovvero, in altri termini, che l’evento lesivo rientri nella classe di eventi alla cui prevenzione era destinata la norma cautelare. Si evidenzia cosi’ la cd. causalita’ della colpa e cioe’ il principio secondo cui il mancato rispetto della regola cautelare di comportamento da parte di uno dei soggetti coinvolti in una fattispecie colposa non e’ di per se’ sufficiente per affermare la responsabilita’ di questo per l’evento dannoso verificatosi, se non si dimostri l’esistenza in concreto del nesso causale tra la condotta violatrice e l’evento”(cfr.Sez. 4 -, n. 27242 del 16/09/2020, Rv. 279536). Applicando detti principi al caso di specie va rilevato come da entrambe le sentenze di merito emerga a riguardo un evidente deficit motivazionale in ordine al comportamento effettivamente rimproverabile al (OMISSIS), alla regola cautelare violata ed ai suoi rapporti con l’evento in concreto verificatosi.
7. Ne consegue l’annullamento anche ai fini civili della impugnata sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello (cfr. Sez. 4 -, n. 13869 del 05/03/2020, Rv. 278761) cui.
P.Q.M.
Annulla agli effetti penali la sentenza impugnata per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione, riqualificato il fatto di cui al capo A) nell’ipotesi contravvenzionale di cui all’articolo 676 c.p., comma 2.
Annulla la medesima sentenza agli effetti civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello cui demanda anche la regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimita’,
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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