Il decreto di occupazione di urgenza di un fondo oggetto di contratto di affitto

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|13 marzo 2023| n. 7215.

Il decreto di occupazione di urgenza di un fondo oggetto di contratto di affitto

Il decreto di occupazione di urgenza di un fondo oggetto di contratto di affitto determina solo la sospensione dell’esecuzione di tale rapporto durante il protrarsi dell’occupazione, con la nascita in capo al conduttore, (il cui diritto di godimento non si è potuto esercitare sul bene locato per fatto imputabile all’ente occupante), del diritto di conseguire dal locatore, ai sensi dell’art. 1638 c.c., la mancata rendita realizzabile in base al contratto per tutto il periodo che va dall’immissione in possesso dell’occupante all’inizio dell’opera pubblica, che comporta la definitiva estinzione del diritto di godimento del fondo occupato e non più restituibile. L’indicato diritto dell’affittuario ex art. 1638 c.c.- poiché per il mancato godimento il proprietario-locatore riscuote, di regola, l’indennità di occupazione – si risolve nella pretesa di ottenerne per il periodo accennato il relativo importo, se ed in quanto riscosso dal locatore, depurato delle spese gravanti sull’affittuario, ivi compreso l’importo del canone di locazione.

Ordinanza|13 marzo 2023| n. 7215. Il decreto di occupazione di urgenza di un fondo oggetto di contratto di affitto

Data udienza 6 luglio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Espropriazione – Occupazione d’urgenza – Mancato reddito – Risarcimento danni – Art. 17 l. n. 865/1971

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente
Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 2550/2017 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati Nicola Belsito, e Antonio Cibelli, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Presidenza del Consiglio Dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato;
– intimati –
(OMISSIS), Commissario Delegato al Comprensorio (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 310/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, pubblicata il 10/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/07/2022 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

Il decreto di occupazione di urgenza di un fondo oggetto di contratto di affitto

RITENUTO

che:
(OMISSIS) – avendo premesso di essere conduttore di un terreno di proprieta’ della Parrocchia ” (OMISSIS)”, ubicato nel Comune di (OMISSIS) e coltivato a diverse qualita’ ortofrutticole, terreno oggetto di occupazione di urgenza posta in essere il 17 febbraio 2005 in virtu’ di decreto emesso dal Prefetto di Salerno il 20 dicembre 2004, il cui procedimento espropriativo si era concluso con decreto del Prefetto di Salerno del 27 febbraio 2011 convenne in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la anzidetta Parrocchia ed il Comprensorio (OMISSIS) e chiese il risarcimento dei danni: i) per il pregiudizio subito a seguito dell’occupazione d’urgenza, dal quale il concedente doveva tenerlo indenne, stante la sua qualita’ di affittuario; ii) per il mancato reddito, fino alla rimozione dei materiali ancora esistenti sul terreno con rivalutazione ed interessi, conseguenti alla realizzazione dei lavori nell’area assoggettata ad espropriazione. Chiese, inoltre, che venisse disposta con provvedimento d’urgenza la rimozione dei materiali abbandonati sull’area non asservita, riportandola allo stato vegetativo quo ante, con condanna dei convenuti alle spese di lite.
Il Tribunale di Salerno rigetto’ le domande per carenza di legittimazione passiva, accogliendo sul punto l’eccezione sollevata da tutti i plurimi convenuti.
La Corte di appello di Salerno, a seguito del gravame interposto da (OMISSIS), ha parzialmente riformato la prima decisione con la sentenza n. 310/2016.
In particolare, ha ravvisato la legittimazione passiva della Parrocchia e la ha condannata a risarcire (OMISSIS) per il mancato raccolto dei frutti pendenti, rigettando la domanda risarcitoria per mancata percezione del reddito da coltivazione proposta nei confronti della Parrocchia; ha confermato la pronuncia per difetto di legittimazione passiva in merito alle domande risarcitorie proposte nei confronti degli altri appellanti per il mancato reddito e per i danni per incoltivabilta’, derivante dall’abbandono sul fondo di materiale di risulta.
(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione con due mezzi, corroborati da memoria; la Parrocchia ha replicato con controricorso; la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha depositato mero atto di costituzione; il Commissario Delegato al Comprensorio (OMISSIS) e’ rimasto intimato.

Il decreto di occupazione di urgenza di un fondo oggetto di contratto di affitto

CONSIDERATO

che:
1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’articolo 1638 c.c., e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Il ricorrente si duole che la Corte di appello, pur avendo accolto in parte la sua domanda, relativamente ai frutti pendenti, non la abbia accolta in toto, con riferimento al mancato reddito arrecato con l’occupazione da ragguagliare agli interessi sul valore di esproprio del bene fino a quando quest’ultimo non fosse stato effettivamente corrisposto.
1.2. Il motivo e’ fondato e va accolto.
1.3. Non puo’ revocarsi in dubbio – ne da’ conferma la stessa sentenza impugnata – che con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado l’ (OMISSIS) abbia chiesto, oltre al danno per la mancata raccolta dei frutti pendenti, anche il risarcimento del danno per il mancato reddito, fino alla rimozione dei materiali residuati dai lavori eseguiti sul fondo espropriato. In separato giudizio, l’istante richiese l’indennita’ aggiuntiva L. n. 865 del 1971, ex articolo 17. Nell’atto introduttivo, fermo il petitum composto dalle due voci suindicate, la causa petendi della domanda proposta contro la Parrocchia, proprietaria del fondo concesso in affitto all’ (OMISSIS), non era stata chiaramente formulata, ma nelle note ex articolo 183 c.p.c., comma 6, “l’attore precisava che la evocazione in giudizio della Parrocchia trovava la sua ragione nel rapporto contrattuale di affitto di fondo rustico esistente tra quest’ultimo e l’ (OMISSIS), e nel conseguente obbligo del concedente di tenere indenne l’affittuario da qualsiasi pregiudizio, come (n.d.r. ma non soltanto) la perdita dei frutti pendenti in ragione del procedimento espropriativo”. La precisazione della domanda – cui la parte e’ legittimata ex articolo 183 c.p.c., comma 6 – ha riguardato, dunque, la sola causa petendi, che e’ stata precisata nei confronti della Parrocchia, ferma restando il petitum originario, non modificato, che riguardava, non solo i frutti pendenti, ma anche il “mancato reddito”, rientrante nel “qualsiasi pregiudizio” che, secondo la prospettazione attorea, la proprietaria Parrocchia era tenuta ad indennizzare. La stessa Corte d’appello ha citato la sentenza, secondo cui l’indennita’ aggiuntiva – oggetto di diverso giudizio – riservata al coltivatore, commisurabile al valore agricolo e a carico dell’espropriante, e’ da intendere comprensiva di qualsiasi voce di danno determinato dal dover abbandonare il fondo espropriato, onde il pregiudizio legato alla perdita dei frutti pendenti esistenti al momento dell’occupazione, e le pretese relative alla stessa indennita’ di occupazione, potranno esser fatti valere, semmai, esclusivamente nei confronti del proprietario concedente, in forza del rapporto contrattuale che costituisce legittimo titolo di godimento in capo al coltivatore (Cass. n. 238/2007). Sotto tale profilo, va rilevato che il fondo in questione era stato oggetto di occupazione di urgenza dapprima, poi di esproprio. Orbene, il decreto di occupazione di urgenza di un fondo oggetto di contratto di affitto determina solo la sospensione dell’esecuzione di tale rapporto durante il protrarsi dell’occupazione, con la nascita in capo al conduttore, (il cui diritto di godimento non si e’ potuto esercitare sul bene locato per fatto imputabile all’ente occupante), del diritto di conseguire dal locatore, ai sensi dell’articolo 1638 c.c., la mancata rendita realizzabile in base al contratto per tutto il periodo che va dall’immissione in possesso dell’occupante all’inizio dell’opera pubblica, che comporta la definitiva estinzione del diritto di godimento del fondo occupato e non piu’ restituibile. L’indicato diritto dell’affittuario ex articolo 1638 c.c., poiche’ per il mancato godimento il proprietario-locatore riscuote, di regola, l’indennita’ di occupazione – si risolve nella pretesa di ottenerne per il periodo accennato il relativo importo, se ed in quanto riscosso dal locatore, depurato delle spese gravanti sull’affittuario, ivi compreso l’importo del canone di locazione (Cass. n. 1694/1983). Nella specie, l’ (OMISSIS) ha chiesto, nell’atto di citazione, entrambe le voci di danno (frutti pendenti e mancato reddito per il periodo di occupazione – sentenza, fol. 2), ha poi precisato la causa petendi specificando che agiva in base al contratto di affitto con la Parrocchia – lasciando inalterato il petitum, e si e’, altresi’ lamentato – nella stessa memoria ex articolo 183 c.p.c. – del fatto che la proprietaria aveva riscosso l’indennita’ temporanea, in parte non dovuta, poiche’ dovuta all’affittuario.
La Corte d’appello dovra’, quindi, riesaminare questa domanda risarcitoria alla luce dei principi ricordati, avendo diritto l’istante al riconoscimento anche del danno da mancata percezione del reddito per il periodo di occupazione, sub specie di indennita’ di occupazione.
2.1. Con il secondo motivo si denuncia la mancata applicazione degli articoli 2049 e 2051 c.c., e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Il ricorrente si duole che sia stata respinta la domanda risarcitoria relativa al danno che assume essere stato arrecato al fondo in maniera definitiva, a causa della residuata incoltivabilita’ di parte dello stesso.
La censura e’ rivolta alla statuizione con cui la Corte di appello ha ritenuto che la pretesa risarcitoria fatta valere per la mancata percezione del reddito per l’incoltivabilita’ del fondo, a causa dei materiali ivi abbandonati dopo l’esecuzione dei lavori, era estranea al procedimento espropriativo e che il proprietario concedente e l’amministrazione espropriante non erano legittimati passivi, perche’ erano estranei all’attivita’ materiale di abbandono dei materiali da costruzione sul suolo in questione, trattandosi di fattispecie inquadrabile nell’ambito di applicazione dell’articolo 2043 c.c., in quanto fatto illecito ascrivibile, nella stessa prospettazione dell’attore, al fatto del terzo.
A parere del ricorrente, la decisione e’ errata, perche’ era ravvisabile la specifica responsabilita’ dell’autorita’ espropriante rispetto al comportamento della ditta esecutrice dei lavori, se non come responsabilita’ diretta, almeno come responsabilita’ indiretta e solidale con l’appaltatore in ragione dei compiti di controllo gravanti sull’autorita’ espropriante, alla quale era stato segnalato il danneggiamento, in ragione della incoltivabilita’, e che avrebbe potuto agire in regresso nei confronti dell’appaltatore.
2.2. Il secondo motivo e’ fondato.
2.3. Il ricorrente si e’ doluto del fatto che l’ente espropriante ebbe ad affidare l’esecuzione dei lavori, conseguenti all’esproprio, ad una ditta appaltatrice, che lascio’ sul terreno de quo detriti e materiali di risulta, che lo hanno reso in parte incoltivabile.
Considerato che l’affittuario e’ terzo rispetto al rapporto tra l’amministrazione committente i lavori e la ditta appaltatrice, trova applicazione il principio di recente affermato, secondo il quale “In tema di appalto, la consegna del bene all’appaltatore non fa venir meno il dovere di custodia e di vigilanza gravante sul committente, sicche’ questi resta responsabile, alla stregua dell’articolo 2051 c.c., dei danni cagionati ai terzi dall’esecuzione dell’opera salvo che provi il caso fortuito, quale limite alla detta responsabilita’ oggettiva, che puo’ coincidere non automaticamente con l’inadempimento degli obblighi contrattualmente assunti nei confronti del committente bensi’ con una condotta dell’appaltatore imprevedibile e inevitabile nonostante il costante e adeguato controllo (esercitato – se del caso – per il tramite di un direttore dei lavori).” (Cass. n. 7553/2021) a cui la Corte di appello, ove ricorrenti i presupposti di fatto, dovra’ dare applicazione.
3. In conclusione, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Salerno in diversa composizione per il riesame alla luce dei principi espressi, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente grado.

P.Q.M.

– Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Salerno in diversa composizione, anche per le spese.

 

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