Il creditore che agisce per ottenere il pagamento di un importo a titolo di adempimento contrattuale

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|17 gennaio 2024| n. 1838.

Il creditore che agisce per ottenere il pagamento di un importo a titolo di adempimento contrattuale

Il creditore che agisce per ottenere il pagamento di un importo a titolo di adempimento contrattuale, per non incorrere in una dichiarazione di nullità della domanda giudiziale, è tenuto a indicare le circostanze da cui deriva l’inadempimento del debitore, non essendo sufficiente, stante la natura c.d. eterodeterminata della situazione soggettiva, la sola indicazione del diritto di credito, senza specificazione dei profili di fatto e di diritto da cui scaturisce il titolo alla prestazione di pagamento o di maggiore pagamento rispetto a quanto già percepito.

Ordinanza|17 gennaio 2024| n. 1838. Il creditore che agisce per ottenere il pagamento di un importo a titolo di adempimento contrattuale

Data udienza 7 novembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Obbligazioni in genere – Inadempimento – Responsabilita’ – Del debitore inadempimento contrattuale – Mera allegazione – Insufficienza – Conseguenze – Allegazione delle specifiche circostanze da cui l’inadempimento deriva – Necessità.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente

Dott. ZULIANI Andrea – Consigliere

Dott. BELLÈ Roberto – Relatore

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere

Dott. BUCONI Maria Lavinia – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22789/2017 R.G. proposto da:

Br.An., rappresentato e difeso dall’Avv. Al.La. presso il cui studio in Roma, via (…) è elettivamente domiciliato

– ricorrente –

contro

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avv.ti Pa.MA., El.La. e Se.CA. ed elettivamente domiciliato in Roma, via (…), presso il Coordinamento Generale Legale dell’Istituto

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2219/2017, depositata il 24/4/2017, NRG 5618/2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2023 dal Consigliere ROBERTO BELLÈ.

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RILEVATO CHE

1. la Corte d’Appello di Roma ha rigettato il gravame proposto da Br.An. averso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva dichiarato la nullità del ricorso di primo grado, con riferimento all’assunto del ricorrente – secondo quanto si legge nella sentenza qui impugnata – di avere percepito l’indennità di buonuscita, la pensione di vecchiaia e la pensione integrativa a carico del fondo integrativo impiegati dell’Inps in misura inferiore al dovuto, oltre alla pretesa di un importo per “chiusura posizione retributiva”;

la Corte territoriale riteneva che il ricorrente non avesse specificato le circostanze che avrebbero fondato i diritti rivendicati in causa, ritenendo che esse non potessero essere ritualmente desunte dalla documentazione depositata in atti;

peraltro, secondo la Corte d’Appello, sebbene la pronuncia di nullità del ricorso emessa in primo grado non fosse condivisibile, in quanto la parte, seppure genericamente, aveva indicato quale fosse l’oggetto della propria pretesa, la conseguenza non avrebbe dovuto essere la pronuncia invalidità del ricorso, ma il rigetto nel merito;

la Corte di merito affermava dunque la fondatezza del motivo volto a contestare la pronuncia di primo grado, ma riteneva che, per un verso, esso, stante la menzionata genericità, non consentisse l’accoglimento della domanda nel merito e per altro verso che, non potendosi disporre un mutamento in peius del dispositivo, si dovesse meramente rigettare l’appello e non si dovesse invece pronunciare il rigetto nel merito delle domande;

2. Br.An. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, resistiti da controricorso dell’INPS;

è in atti memoria del ricorrente;

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CONSIDERATO CHE

1. il primo motivo di ricorso afferma la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360, co. 1, n. 4 e 112 c.p.c.;

con esso il ricorrente sottolinea intanto l’ambiguità esistente tra motivazione e dispositivo della sentenza impugnata, in quanto, nel contesto della prima, si assume che il motivo di appello in ordine all’insussistenza di nullità del ricorso di primo grado sarebbe stato fondato, sebbene poi l’appello venga rigettato, il che potrebbe far ritenere, in mancanza di impugnazione per cassazione, il formarsi di giudicato sul rigetto nel merito, sottolineandosi peraltro che un tale rigetto nel merito sarebbe stato da considerare, in mancanza di impugnazione dell’INPS in secondo grado, viziato da ultrapetizione;

il secondo motivo di ricorso assume la nullità della sentenza e del procedimento, ex art. 360 co. 1, n. 4, 132, n. 4, 421 e 164 c.p.c., per non essersi concesso, in presenza di nullità del ricorso, il termine per la sanatoria della domanda ex art. 164 c.p.c. o per la regolarizzazione di atti e documenti ex art. 421 c.p.c.;

il terzo motivo è rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) degli artt. 414, co. 1, nn. 3 e 4, 421, 445 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. e con esso si afferma che le stesse argomentazioni rese dalla Corte d’Appello consentivano di affermare che il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado ben individuava l’oggetto della domanda;

in particolare, il motivo sostiene che le voci stipendiali di cui erroneamente la Corte territoriale aveva poi ritenuto la mancata indicazione erano individuabili attraverso la consulenza tecnica allegata, di cui era stato pretermesso l’esame, nonostante la giurisprudenza della S.C. consentisse di desumere l’oggetto del contendere dalla documentazione allegata al ricorso;

gli elementi stipendiali di rilievo erano individuati nel motivo di ricorso richiamando le voci fisse e continuative descritte nei cedolini stipendiali, cui si aggiungevano le indennità per ferie non godute, gli arretrati retributivi, gli effetti pensionistici della regolarizzazione retributiva sul valore dei buoni pasto erogati in corso di rapporto e ciò con riferimento sia al calcolo della pensione del fondo impiegati, sia per i riflessi sulla pensione VO, oltre che sull’indennità di buonuscita, senza contare che almeno avrebbe dovuto trovare ingresso nel processo la pretesa alla rivalutazione della pensione col coefficiente 2,60%, inspiegabilmente sostituito dall’INPS con l’indice del 1,60%;

in forza di quanto sopra, l’ammissione di c.t.u. avrebbe poi dovuto trovare ingresso – si sostiene nel motivo – attraverso l’esercizio dei poteri giudiziari officiosi, in modo da acquisire, anche in via c.d. percipiente, i dati necessari al decidere;

il quarto motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.) e con esso si fa leva sul fatto che la Corte territoriale abbia totalmente pretermesso di prendere in considerazione la consulenza tecnica allegata al ricorso di primo grado, con riferimento ad ogni singola spettanza rivendicata;

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2. data la stretta connessione delle questioni, i motivi vanno disaminati congiuntamente, secondo l’ordine logico-giuridico dei profili agitati in causa;

3. deve premettersi che la deduzione di questioni di rito, per quanto rispetto ad esse la S.C. sia anche giudice del fatto, necessita l’esplicitazione specifica e chiara del vizio, nonché l’indicazione di elementi idonei a suffragare in concreto la diversa soluzione processuale propugnata (Cass., S.U., 22 maggio 2012, n. 8077;

poi anche Cass. 8 gennaio 2020, n. 134; Cass. 24 dicembre 2021, n. 41465);

nel caso di specie vengono in gioco questioni di individuazione della domanda dispiegata che, avendo certamente i caratteri della richiesta di adempimento ad obblighi retributivi e previdenziali che si assumono non adempiuti o non esattamente adempiuti, necessitano per l’individuazione dell’oggetto del processo che siano chiari i profili di inadempimento addebitati alla controparte;

viceversa, ancora nel ricorso per cassazione, per quanto si sappia che oggetto di causa sono questioni su debiti retributivi residui, nonché sull’indennità di buonuscita ed i trattamenti pensionistici, resta non chiaro in qual modo fosse stato indicato – nel ricorso di primo grado – l’esatto tenore degli inadempimenti addebitati all’INPS, come datore di lavoro prima e come ente di previdenza poi;

il ricorso di cassazione afferma (pag. 9) che era stato dedotto “quali fossero le proprie mansioni lavorative”, che erano stati prodotti i “cedolini di pagamento degli emolumenti pensionistici chiedendone la rideterminazione secondo quanto indicato nelle conclusioni sopra trascritte”, che era stata allegata al ricorso “la diversa ed inferiore somma liquidatagli per i medesimi titoli” ed infine, ma senza specificazione, “gli elementi retributivi non valutati dall’istituto convenuto per il calcolo della pensione”;

poi ancora a pag. 17 si fa riferimento ad elementi stipendiali fissi e continuativi descritti nei cedolini stipendiali “ai quali si aggiungono: l’indennità per ferie non godute, gli arretrati retributivi, gli effetti pensionistici della regolarizzazione retributiva sul valore dei buoni pasto” ed infine (pag. 20) che era in atti consulenza (di parte) esplicativa delle modalità di calcolo;

si tratta di affermazioni di taglio narrativo e comunque ancora generiche, che non riportano i passaggi del ricorso introduttivo e – nel caso – della perizia di parte, utili ad evidenziare con chiarezza quale fosse stato l’inadempimento addebitato alla controparte attraverso l’atto iniziale del giudizio e quindi la causa petendi;

tutto resta dunque rimesso alla ricostruzione dei singoli profili che è contenuta nella sentenza impugnata;

tuttavia essa (pagg. 4 e 5 della sentenza di appello), rispetto alle singole prestazioni (differenze retributive; indennità di buonuscita; differenze pensionistiche), riporta una descrizione del ricorso di primo grado che non consente di ritenere la ritualità dell’originaria domanda;

infatti, la stessa Corte d’Appello dà atto che mancavano nel ricorso le indicazioni degli errori commessi, dei principi e delle regole violate e dei criteri di quantificazione delle diverse somme e che la deduzione della erronea applicazione di un coefficiente di rivalutazione (pensionistico) era priva di indicazioni sulle ragioni che avrebbero imposto di considerare un dato più favorevole e su come esso potesse essere ricavato;

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indubbiamente, la Corte d’Appello erra, ponendosi in contrasto con la giurisprudenza di questa S.C. (Cass. 22 marzo 2018, n. 7199; Cass. 21 settembre 2004, n. 18930), quando afferma che ad integrare il contenuto della domanda non potrebbero concorrere i dati ricavabili dai documenti prodotti con il ricorso introduttivo;

va tuttavia rilevato che neppure il ricorso per cassazione, come si è detto, riporta con specificità e chiarezza il tenore del ricorso di primo grado, sotto il profilo della denuncia in esso contenuta di errori commessi nella determinazione dei trattamenti;

inoltre, non risultando riportati nel ricorso per cassazione gli specifici ed espliciti passaggi della consulenza di parte, resta impedita la precisa ricostruzione, sulla base dell’impugnazione, del nesso logico che necessariamente sarebbe dovuto intercorrere tra le deduzioni contenute nel ricorso introduttivo di primo grado ed i ragionamenti peritali in ipotesi idonei ad integrare il contenuto del primo, al fine di una valida introduzione del processo attraverso il coordinamento e la combinazione tra i due atti;

4. su queste basi vanno ritenute errate le conclusioni secondo cui quella verificatasi sarebbe stata una genericità destinata a riverberarsi sull’accoglibilità nel merito della domanda, in quanto, se la genericità è – come è secondo quanto descritto dalla stessa Corte territoriale – tale da non consentire di individuare i comportamenti che si addebitano al debitore e da cui deriva l’inesatto adempimento, quello che manca è un elemento essenziale per l’individuazione della causa petendi, che non può consistere nella sola affermazione del diritto ad una prestazione (v. anche Cass. 16 marzo 2018, n. 6618);

5. non è dunque in sé errato quanto afferma il primo motivo di ricorso, quando sostiene che su tali basi un rigetto nel merito, quale prospettato dalla Corte territoriale, finirebbe per pregiudicare il ricorrente oltre il dovuto, potendosi rischiare la formazione di un giudicato sull’assenza di ulteriori diritti creditori;

6. è invece errato il diverso assunto – per certi versi comune alla Corte territoriale ed al primo motivo del ricorso per cassazione – secondo cui ad impedire una pronuncia di merito stesse il fatto che il giudice di secondo grado non avrebbe potuto riformare “in peius” la pronuncia del Tribunale che aveva ritenuto la nullità del ricorso, anche – si dice nel ricorso per cassazione, ma evidentemente quello è anche il senso della pronuncia di appello – per la mancanza di impugnazione dell’INPS;

se infatti il giudice di prime cure dichiara la nullità del ricorso, la Corte d’Appello che ritenga tale pronuncia infondata, è tenuta a pronunciare nel merito, senza con ciò esorbitare dai limiti della petizione e senza bisogno di impugnazione della parte convenuta, in quanto la pronuncia di merito in tal caso riguarda la pretesa attorea e dunque discende de plano dall’avere chi agisce impugnato la statuizione di invalidità in rito della domanda, senza che si possa parlare di reformatio in peius, perché non può mai essere tale, ove si ritenga la domanda validamente introdotta, la decisione sull’oggetto del contendere, che è invece proprio quanto domanda, in tale contesto, l’attore-appellante;

7. ciò precisato, l’errore decisivo della Corte territoriale è però, come si è detto, un altro e consiste nel non avere essa ritenuto, coerentemente alle proprie premesse ricostruttive, la invalidità in rito della pretesa esercitata, confermando pienamente la sentenza di primo grado;

ne deriva che ricorre nel caso di specie l’ipotesi di cui all’art. 384, u.c., c.p.c., in quanto il dispositivo di appello è conforme a diritto e solo va corretta la motivazione della sentenza impugnata, da aversi come conferma tout court della pronuncia di nullità del ricorso di cui al primo grado, senza quindi preclusioni di giudicato rispetto al merito;

8. neanche può trovare accoglimento la censura rispetto alla mancata applicazione dell’art. 164 c.p.c., in quanto la denuncia in appello dell’inosservanza di tale dinamica di sanatoria presuppone che, eccepita la nullità, fosse stata chiesta già al Tribunale la concessione del corrispondente termine (Cass. 17 gennaio 2014, n. 896), profilo su cui il ricorso per cassazione nulla dice, sicché l’esito non poteva che essere quello di una pronuncia in rito di accertamento del vizio del ricorso introduttivo (ancora Cass. 896/2014 cit.);

così come è evidente che non può essere rimessa ad un’attività istruttoria, come la c.t.u., l’individuazione degli elementi essenziali

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ad indicare l’oggetto della pretesa esercitata, nei termini necessari alla comprensione da parte del giudice ed al contraddittorio;

9. in definitiva, il ricorso va rigettato, pur se attraverso correzione, nei termini di cui sopra, della motivazione resa in appello;

10. le spese seguono la soccombenza;

11. va anche espresso, in continuità con la citata Cass. 6618/2018, il seguente principio: “il creditore che agisca per ottenere il pagamento di un importo a titolo di adempimento è tenuto, per la valida formulazione della domanda giudiziale, a indicare le circostanze da cui deriva l’inadempimento del debitore, non essendo sufficiente, stante la natura c.d. eterodeterminata della situazione soggettiva, la sola indicazione del diritto di credito, senza specificazione dei profili di fatto e di diritto da cui scaturisce il titolo alla prestazione di pagamento o di maggiore pagamento rispetto a quanto già percepito”;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2024.

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