Il conferimento di un’azienda (o di un suo ramo)

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|19 ottobre 2021| n. 28787.

Il conferimento di un’azienda (o di un suo ramo) in una società costituisce una cessione d’azienda, che comporta per legge – salvo patto contrario – la cessione dei crediti relativi al suo esercizio, compresi i crediti d’imposta vantati dal cedente nei confronti dell’erario, sicché, ai fini dell’efficacia nei confronti di quest’ultimo, non occorre procedere alla notifica ai sensi dell’art. 69 del R.d. n. 2440 del 1923, discendendo i relativi effetti dall’adempimento delle formalità pubblicitarie presso il registro delle imprese, secondo quanto disposto in via generale dall’art. 2559 c.c.

Ordinanza|19 ottobre 2021| n. 28787. Il conferimento di un’azienda (o di un suo ramo)

Data udienza 11 maggio 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Iva – Cartella di pagamento – Recupero a tassazione – Cessione d’azienda – Conferimento di un’azienda o di un suo ramo in una società – Cessione dei relativi crediti – Inclusione dei crediti di imposta vantati nei confronti dell’erario – Efficacia – Notifica – Necessità – Esclusione – Effetti derivanti dall’adempimento delle formalità pubblicitarie presso il registro delle imprese

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere

Dott. PERRINO Anna Maria – Consigliere

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 21785-2015 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SRL, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS);
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 499/2015 della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA, depositata il 13/02/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/05/2021 dal Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA.

Il conferimento di un’azienda (o di un suo ramo)

FATTI DI CAUSA

All’esito di controllo automatizzato della dichiarazione presentata da (OMISSIS) s.r.l. per l’anno di imposta 2009, Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 36-bis, e Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54-bis, vennero recuperati a tassazione con cartella di pagamento per carenti versamenti IVA, complessivi Euro 350.031,00, oltre interessi e sanzioni.
Proposto ricorso dalla contribuente, la C.T.P. di Milano lo accolse con sentenza n. 440/9/13; la C.T.R. per la Lombardia, con decisione del 13.2.2015, confermo’ la prima sentenza, rigettando l’appello dell’Ufficio. Osservo’ in particolare il secondo giudice che il credito in questione era stato oggetto di cessione – nell’ambito del conferimento di ramo d’azienda effettuato il 19.12.2008 da (OMISSIS) s.r.l. (poi (OMISSIS) s.a.p.a.) a (OMISSIS) s.r.l. (poi (OMISSIS) s.r.l.) – proprio in favore dell’odierna controricorrente, sicche’ la pretesa fiscale era da ritenersi infondata.
L’Agenzia delle Entrate ricorre ora per cassazione, sulla base di cinque motivi, cui resiste la societa’ contribuente con controricorso, proponendo anche ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi.

 

Il conferimento di un’azienda (o di un suo ramo)

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale
1.1 – Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 1362 e 1363 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente si duole della totale obliterazione del tenore letterale della clausola di cui all’articolo 3 dell’atto di conferimento del 9.12.2008, a mente della quale restavano esclusi dal conferimento stesso tutti i crediti fiscali. L’aver ricostruito la comune volonta’ delle parti alla luce del solo comportamento fiscale successivo (ossia, la circostanza che la societa’ conferente non avesse utilizzato il credito IVA in discorso, ne’ l’avesse dichiarato) costituisce una violazione delle norme rubricate, perche’ il riferimento al comportamento successivo ha una valenza meramente sussidiaria.
1.2 – Con il secondo motivo, si lamenta erronea o falsa applicazione degli articoli 2697, 2727 e 2729 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente evidenzia che le circostanze utilizzate dalla C.T.R. a sostegno del preteso non utilizzo del credito da parte della conferente non sono gravi, precise e concordanti.
1.3 – Con il terzo motivo, si lamenta nullita’ della sentenza per violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 36, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4. La ricorrente lamenta la mera apparenza della motivazione.
1.4 – Con il quarto motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e del Regio Decreto n. 2440 del 1923, articolo 69, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente evidenzia che, poiche’ il conferimento di un ramo d’azienda determina la cessione del credito, occorre che detta cessione sia notificata all’Amministrazione finanziaria per poter spiegare effetto, accertamento del tutto omesso dal giudice d’appello, con conseguente erroneita’ della decisione, laddove s’e’ ritenuta sussistente ed efficace la cessione stessa.

 

Il conferimento di un’azienda (o di un suo ramo)

1.5 – Con il quinto motivo, si denuncia nullita’ della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. e del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 36, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, giacche’ – venendo in contestazione l’indebito utilizzo di un credito IVA – occorre previamente accertare se detto credito sia o meno sussistente. Ne deriva che la sentenza e’ nulla nella parte in cui omette ogni valutazione su tale necessario thema decidendum, in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ovvero per totale mancanza di motivazione, ove dovesse ritenersi che una tale valutazione sia stata effettuata per implicito.
Ricorso incidentale
1.6 – Con il primo motivo, la societa’ si’ duole della violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articoli 10 e 11, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la C.T.R. rigettato l’eccezione d’inammissibilita’ dell’appello dell’Agenzia delle Entrate per difetto di sottoscrizione dell’atto da parte del Direttore Provinciale titolare e per non essere stata prodotta delega di firma, stante l’avvenuta sua contestazione.
1.7 – Con il secondo motivo, si deduce violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 53, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la C.T.R. respinto l’eccezione di inammissibilita’ dell’appello dell’Agenzia, perche’ totalmente privo di specificita’.
2.1 – Devono in primo luogo affrontarsi, per ragioni di pregiudizialita’ logico-giuridica, il terzo e il quinto motivo del ricorso principale, con cui si denuncia la nullita’ della sentenza per difetto di motivazione e la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Essi sono infondati.
Infatti, la C.T.R., seppur con motivazione succinta, ha dato sufficientemente conto dell’iter logico-giuridico posto a base della decisione, avendo affermato che il credito IVA per cui e’ processo era da ritenersi ricompreso nel conferimento d’azienda (e quindi con essa pervenuto alla societa’ conferitaria), occorrendo riferirsi alle risultanze oggettivamente rilevabili dal comportamento fiscale delle parti contrattuali. Ha cosi’ evidenziato che la riprova che il credito in discorso fosse stato effettivamente conferito (e quindi che la odierna controricorrente ne fosse divenuta titolare) poteva riscontrarsi nella circostanza che detto credito, evincibile dalle liquidazioni IVA 2008 della conferente, non fosse stato utilizzato in compensazione, e che nel 2009 non risultava essere stato riportato a nuovo.
Si tratta, dunque, di motivazione certamente rispondente al “minimo costituzionale” (v. Cass., Sez. Un., n. 8053/2014), anche in relazione all’accertamento circa la sussistenza del credito stesso, specie ove si consideri che le contestazioni mosse al riguardo dall’Agenzia delle Entrate – da quanto consta dagli atti – concernono la sola titolarita’ del credito e non anche la sua esistenza, mai messa in dubbio.
3.1 – Il primo motivo e’ inammissibile.
Infatti, e’ noto che “La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non puo’ limitarsi a richiamare le regole di cui agli articoli 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiche’ quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicche’, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (Cass. n. 28319/2017), il che e’ quanto, in definitiva, e’ avvenuto con la proposizione della censura in esame.
D’altra parte, contrariamente all’assunto della ricorrente, nell’interpretare la clausola in questione la C.T.R. non ha affatto obliterato il suo significato letterale, ma ha ritenuto di dover procedere alla scansione di ulteriori criteri interpretativi, con tipico apprezzamento di merito, non censurabile in questa sede se non sotto il profilo motivazionale (censura che tuttavia – come s’e’ visto poc’anzi – e’ da considerarsi comunque infondata, per come proposta). E’ stato infatti condivisibilmente affermato che “Costituisce questione di merito, rimessa al giudice competente, valutare il grado di chiarezza della clausola contrattuale, ai fini dell’impiego articolato dei vari criteri ermeneutici; deve escludersi, quindi, che nel giudizio di cassazione possa procedersi a una diretta valutazione della clausola contrattuale, al fine di escludere la legittimita’ del ricorso da parte del giudice di merito al canone ermeneutico del comportamento successivo delle parti” (Cass. n. 5624/2005).
Infine, non va sottaciuto che – al contrario di quanto sostenuto dall’Agenzia – il criterio del riferimento al comportamento successivo tenuto dalle parti dopo la conclusione del contratto non ha affatto natura sussidiaria; si e’ infatti ritenuto, con valutazione che il Collegio pienamente condivide, che “Nell’interpretazione del contratto, che e’ attivita’ riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimita’ solo per violazione dei canoni ermeneutici o vizio di motivazione, il carattere prioritario dell’elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell’articolo 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volonta’ dei contraenti; pertanto, sebbene la ricostruzione della comune intenzione delle parti debba essere operata innanzitutto sulla base del criterio dell’interpretazione letterale delle clausole, assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico di cui all’articolo 1363 c.c., che impone di desumere la volonta’ manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi, altresi’, conto del comportamento, anche successivo, delle parti” (Cass. n. 20294/2019; Cass. n. 13595/2020).
4.1 – Il secondo motivo e’ anch’esso inammissibile.

 

Il conferimento di un’azienda (o di un suo ramo)

Ancora di recente (Cass. n. 9059/2018) e’ stato ribadito che “In tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalita’ nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, e’ tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positivita’ parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, e’ doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi”.
Orbene, premesso che la ricorrente neanche articola qualsivoglia argomento a sostegno della pur denunciata violazione o falsa applicazione della regola sul riparto dell’onere probatorio (articolo 2697 c.c.), donde l’inammissibilita’ della relativa censura in re ipsa, si osserva che quanto ai criteri legali di valutazione della prova presuntiva, che anch’essi sarebbero stati violati dalla C.T.R., l’Agenzia stessa omette di censurare – e di spiegarne adeguatamente le ragioni – in cosa il giudice d’appello avrebbe errato nell’effettuare la doverosa valutazione di sintesi degli elementi indiziari; come si deduce dall’insegnamento sopra richiamato, al fine di censurare efficacemente in sede di legittimita’ la violazione degli articoli 2727 e 2729 c.c. non e’ infatti sufficiente la mera deduzione della carenza, in ciascun elemento indiziario, dei requisiti di gravita’, precisione e concordanza, cio’ non potendo di per se’ escludere che essi (cumulativamente considerati) costituiscano idoneo sostegno al libero convincimento riservato al giudice di merito. Da quanto precede discende, dunque, l’inammissibilita’ del motivo per difetto di specificita’.
5.1 – Infine, il quarto motivo e’ inammissibile per novita’, ed e’ comunque infondato.
Da quanto evincibile dagli atti, il problema della presunta necessita’ di notificare la cessione del credito fiscale (in quanto ricompreso nel conferimento del ramo d’azienda), ai sensi del disposto del Regio Decreto n. 2440 del 1923, articolo 69, comma 1, non risulta mai affrontato nel giudizio di merito, e non consiste in una mera questione di diritto, implicando un accertamento in linea di fatto; deve pertanto applicarsi il principio secondo cui “Qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimita’, onde non incorrere nell’inammissibilita’ per novita’ della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa” (Cass. n. 32804/2019).
In ogni caso, la censura e’ comunque destituita di fondamento. Sulla questione dell’efficacia della cessione dell’azienda (o di un suo ramo) riguardo al credito IVA, e’ stato in verita’ di recente affermato da questa stessa Sezione che “In caso di cessione dell’azienda, il credito IVA relativo all’azienda ceduta puo’ essere escluso dalla cessione del compendio aziendale, essendo la disciplina prevista dagli articoli 2558, 2559 c.c. derogabile per volonta’ delle parti, salva la notifica, ai fini della opponibilita’ della cessione all’amministrazione finanziaria, della cessione del credito IVA a termini del Regio Decreto n. 2440 del 1923, articolo 69, comma 1, in deroga al disposto di cui all’articolo 2559 c.c. Ne consegue che, nell’ipotesi in cui il credito IVA sia stato escluso dalla cessione dell’azienda, il cedente e’ legittimato a richiederne il rimborso, ove ne sussistano presupposti” (Cass. n. 33965/2019).

 

Il conferimento di un’azienda (o di un suo ramo)

Ritiene al riguardo la Corte che, quanto agli effetti della cessione d’azienda nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, detto principio costituisca in realta’ un obiter dictum, eccedente la necessita’ logico-giuridica della decisione e come tale non vincolante (Cass. n. 11160/2004; Cass. n. 23635/2010; Cass. n. 1815/2012; Cass., Sez. Un., n. 23397/2016). Infatti, nella specie il giudice di merito aveva accertato che il credito IVA richiesto a rimborso dal cedente dell’azienda non era stato ricompreso nella cessione, ritenendo dunque la sua legittimazione e argomentando ad abundantiam che – a riprova della sua esclusione – non risultava neanche che la cessione dello stesso credito IVA fosse stata notificata all’Amministrazione, Regio Decreto n. 2440 del 1923, ex articolo 69; pertanto, nell’economia della decisione in discorso, la questione della notifica all’Amministrazione era del tutto avulsa dalla materia del contendere, essendosi nel resto ritenuto (del tutto condivisibilmente) che, nell’ambito della cessione d’azienda, le parti possano convenzionalmente escludere uno o piu’ cespiti aziendali, compreso il credito IVA, con conseguente piena legittimazione del cedente rispetto alla richiesta di rimborso.
Cio’ posto, ritiene la Corte come, in caso di conferimento di azienda o di ramo d’azienda, trovi piena applicazione – anche riguardo al credito IVA – la regola generale sulla cessione d’azienda di cui all’articolo 2559 c.c., secondo cui la cessione dei crediti inerenti all’azienda ceduta (o al suo ramo) ha effetto nei confronti del debitore, pur in mancanza di accettazione o di notifica, dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel R.I.; pertanto, trattandosi nella specie di conferimento di ramo aziendale successivo all’entrata a regime del R.I. (1 gennaio 2004), e non essendovi questione sull’adempimento pubblicitario in discorso, la cessione del credito IVA per cui e’ processo non era comunque soggetta ad alcuna notifica nelle forme del Regolamento di contabilita’ dello Stato (in senso conforme, di recente, Cass. n. 20415/2018, in fattispecie anteriore alla stessa attuazione del R.I., in continuita’ con Cass. n. 6578/2008 e Cass. n. 8644/2009). Atomizzare gli adempimenti conseguenti alla cessione dell’azienda, distinguendoli a seconda della natura dei cespiti, finirebbe infatti con lo svilire l’unitarieta’ della fattispecie negoziale, caratterizzata dal lato oggettivo, per costante giurisprudenza, dall’essere l’azienda una universalita’ di beni ex articolo 816 c.c. (v., ex multis, Cass. 20191/2007). Non occorre dunque – il che vale, a maggior ragione, dopo l’attuazione del R.I. – notificare all’Amministrazione nelle forme di cui all’articolo 69 cit. un separato atto ricognitivo di un effetto (la cessione del credito) che interviene ope legis (articolo 2559 c.c.), ove il credito fiscale sia inerente all’azienda o al ramo aziendale oggetto della cessione o del conferimento.
Puo’ dunque affermarsi il seguente principio di diritto: “Il conferimento di un’azienda (o di un suo ramo) in una societa’ costituisce una cessione d’azienda, che comporta per legge – salvo patto contrario – la cessione dei crediti relativi al suo esercizio, compresi i crediti d’imposta vantati dal cedente nei confronti dell’erario, sicche’, ai fini dell’efficacia nei confronti di quest’ultimo, non occorre procedere alla notifica ai sensi del Regio Decreto n. 2440 del 1923, articolo 69, discendendo i relativi effetti dall’adempimento delle formalita’ pubblicitarie presso il registro delle imprese, secondo quanto disposto in via generale dall’articolo 2559 c.c.”.
6.1 – Il ricorso incidentale resta conseguentemente assorbito.
7.1 – In definitiva, il ricorso principale e’ rigettato, l’incidentale e’ assorbito. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale. Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite, che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario in misura del 15%, oltre accessori di legge.

 

Il conferimento di un’azienda (o di un suo ramo)

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