Il conferimento di un incarico dirigenziale a termine

Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Sentenza 10 luglio 2020, n. 14814.

La massima estrapolata:

Il conferimento di un incarico dirigenziale a termine ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 24 del regolamento di organizzazione dell’ente e poi dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 44 del 2012, si innesta su un rapporto di lavoro subordinato già esistente ed in quanto equiparabile all’ipotesi della reggenza, o dell’esercizio di mansioni superiori, non determina la costituzione di un rapporto dirigenziale a termine assimilabile a quello con i soggetti non appartenenti ai ruoli dirigenziali della P.A. ex art.19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di rigetto della domanda di costituzione di un rapporto dirigenziale a tempo indeterminato, e di risarcimento del danno, per abusiva reiterazione di contratti a termine, proposta da un funzionario a seguito della cessazione dell’incarico dirigenziale a termine, già prorogato, disposta dall’Agenzia all’esito dell’annullamento del regolamento di organizzazione da parte del giudice amministrativo e della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 8 citato con sentenza n. 37 del 2015).

Sentenza 10 luglio 2020, n. 14814

Data udienza 11 febbraio 2020

Tag – parola chiave: Impiego pubblico – Impiegati dello stato – In genere personale dell’agenzia delle entrate – Funzionari con compiti dirigenziali ex artt. 24 del regolamento di organizzazione e 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012 – Natura dell’incarico – Costituzione di un rapporto dirigenziale a termine – Esclusione – Fondamento – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente

Dott. TRIA Lucia – Consigliere

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 15859-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 737/2017 del TRIBUNALE di SALERNO, depositata il 08/03/2017 R.G.N. 8047/2015;
avverso l’ORDINANZA della CORTE DI APPELLO di SALERNO, depositata il 26/03/2018 R.G.N. 716/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/02/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ STEFANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Salerno con ordinanza del 26.3.2018 dichiarava inammissibile – ex articolo 348 bis c.p.c. – l’appello proposto da (OMISSIS) – dipendente della AGENZIE DELLE ENTRATE con qualifica di funzionario – avverso la sentenza del Tribunale di Salerno in data 8 marzo 2017 n. 737, che aveva respinto le domande dal medesimo proposte avverso la revoca in data 25 marzo 2015 dell’incarico dirigenziale ricoperto dall’1 luglio 2010, disposta in esecuzione della sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015.
2. Il Tribunale esponeva che l’incarico dirigenziale era stato conferito ai sensi dell’articolo 24 del Regolamento di amministrazione della Agenzia delle Entrate, che consentiva di stipulare contratti a termine con funzionari della Terza area per coprire posizioni dirigenziali vacanti nelle more delle procedure concorsuali per la copertura del posto, previsione poi recepita dal Decreto Legge n. 16 del 2012, articolo 8, comma 24.
3. Osserva va che a seguito della dichiarazione di incostituzionalita’ della predetta norma di legge – e delle norme che ne avevano prorogato l’efficacia (Decreto Legge n. 150 del 2013, articolo 1, comma 14 e Decreto Legge n. 192 del 2014, articolo 1, comma 8) – la revoca dell’incarico dirigenziale era legittima.
4. L’espletamento di fatto delle mansioni dirigenziali da parte del funzionario era riconducibile alla ipotesi della assegnazione illegittima di un incarico superiore, di cui al Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 52 che comportava il diritto del dipendente a percepire il relativo trattamento retributivo, come nella specie incontestatamente avvenuto e non anche alla definitiva assegnazione dell’incarico.
5. Era infondata anche la richiesta volta al mantenimento dell’incarico fino alla scadenza originariamente prevista, in quanto la revoca dell’incarico a seguito della dichiarazione di incostituzionalita’ era non solo legittima ma anche doverosa. Cio’ escludeva qualsiasi responsabilita’ del datore di lavoro.
6. Era, altresi’, escluso l’obbligo di pagamento della indennita’ sostituiva del preavviso, che aveva per presupposto la esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato cessato per volonta’ di una di esse: nella fattispecie di causa il rapporto di lavoro subordinato in essere con la amministrazione era proseguito senza soluzione di continuita’.
7. Inoltre il ricorrente rivendicava la costituzione del rapporto dirigenziale o, in subordine, il risarcimento del danno – ai sensi del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 5, comma 4 bis.
8. Il richiamo alla disciplina del contratto a termine non era tuttavia pertinente. Nella disciplina del lavoro pubblico contrattualizzato l’incarico dirigenziale era per sua natura temporaneo, anche per i dirigenti di ruoto; pertanto la successione dei contratti per il conferimento di incarichi dirigenziali non configurava un abuso del contratto a termine.
9. I funzionari della Agenzia delle Entrate, revocato l’incarico dirigenziale temporaneamente ricoperto, non avevano cessato il rapporto di lavoro ma erano tornati a lavorare nelle proprie funzioni; non si trattava di rapporto di lavoro a termine ma di incarico provvisorio, che non modificava la struttura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro.
10. Veniva meno, pertanto, il fondamento di qualsiasi pretesa risarcitoria, mancando il presupposto, dedotto dal ricorrente, dell’abuso del contratto a termine.
11. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza del Tribunale (OMISSIS), articolato in sette motivi; la AGENZIA DELLE ENTRATE si e’ costituita con atto del 6 febbraio 2020 ai soli fini della partecipazione alla discussione orale. Il ricorrente ha depositato memoria.
12. Il PM ha chiesto il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato violazione della direttiva 1999/70/CE, anche in connessione con il Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articoli 16 e 52 censurando la sentenza per avere ritenuto inapplicabile la disciplina del contratto a termine e per avere ricondotto la vicenda di causa alla fattispecie dell’esercizio illegittimo di mansioni superiori.
2. Ha dedotto che gli incarichi erano stati conferiti ai sensi del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 19 – (disposizione richiamata nei contratti individuali di lavoro ed utilizzata nel Decreto Legge n. 16 del 2012, articolo 8, comma 24). Il conferimento di mansioni superiori, invece, si inseriva nel rapporto in corso attraverso un ordine di servizio, senza richiedere la stipula di un nuovo contratto.
3. Ha invocato a sostegno dell’inquadramento della vicenda nella fattispecie della abusiva reiterazione di contratti a termine il punto 4.2 della sentenza Corte Costituzionale n. 37/2015 e la ordinanza di questa Corte 11 settembre 2017 n. 21077, resa in sede di regolamento di competenza.
4. Ha altresi’ chiesto di rimettere alla Corte di Giustizia UE la questione pregiudiziale della applicabilita’ alla fattispecie di causa della direttiva 1999/70/CE.
5. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato violazione della clausola 5 della direttiva 1999/70/CE in connessione con il Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 5, comma 4 bis (poi Decreto Legislativo n. 81 del 2015, articolo 19).
6. Con il motivo si critica, il principio di inconfigurabilita’ nel pubblico impiego privatizzato della conversione, del rapporto a termine illegittimo in rapporto a tempo indeterminato, confermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 5072/2016.
7. Si evidenzia che il nostro ordinamento ha conosciuto plurimi provvedimenti di stabilizzazione e che, comunque, l’accesso al posto di lavoro a tempo determinato era avvenuto a seguito di selezioni effettuate pubblicamente ed aperte a tutti i funzionari. Richiamata la pronuncia della Corte Costituzionale n. 187/2016 – secondo cui la stabilizzazione operata nel settore scolastico dalla L. n. 107 del 2015 costituisce misura idonea a riparare all’abuso del contratto a termine – si assume ricorrere nella fattispecie di causa la medesima esigenza ripristinatoria.
8. Con il terzo motivo si deduce violazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36 sotto il profilo del risarcimento del danno.
9. Il ricorrente ha esposto di avere specificamente allegato il danno ulteriore rispetto a quello forfettizzato, secondo il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 5072/2016. In particolare, il fatto che la Agenzia delle Entrate per oltre quindici anni non avesse espletato alcun concorso per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti lo aveva privato delle chanches di essere assunto nel ruolo dirigenziale; si trattava di elevata probabilita’, posto che l’unico concorso indetto nell’anno 2010, ancora sub iudice, considerava tra i titoli, con un peso notevole, il periodo di svolgimento delle mansioni di dirigente. Ha altresi’ allegato di avere subito un danno da dequalificazione a seguito della revoca dell’incarico dirigenziale.
10. Si aggiunge che tale danno sarebbe configurabile, ai sensi del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36 indipendentemente dalla applicabilita’ della direttiva sul contratto a termine, trattandosi di contratti flessibili che trovavano la loro ragione nell’espletamento dei concorsi. Doveva pertanto applicarsi la L. n. 183 del 2010, articolo 32 – nella misura massima prevista – oltre al danno ulteriore.
11. I tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione sono infondati.
12. Essi muovono dall’assunto che il conferimento dell’incarico dirigenziale ai funzionari della Agenzia delle Entrate – originariamente previsto dall’articolo 24 del regolamento di organizzazione e successivamente dal Decreto Legge 2 marzo 2012, n. 16, articolo 8, comma 24, avvenga attraverso la instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a termine per l’esercizio delle funzioni dirigenziali.
13. In proposito occorre ricordare che:
– il Decreto Legislativo 30 luglio 1999 n. 300, che istituiva le Agenzie fiscali, all’articolo 71 stabiliva che il regolamento di amministrazione di ciascuna Agenzia fiscale determinasse le regole di accesso alla dirigenza;
– l’articolo 24 del regolamento di amministrazione della Agenzia delle Entrate consentiva alla Agenzia, sia all’atto del proprio avvio (comma 1) che in caso di vacanze sopravvenute e per inderogabili esigenze di funzionamento (comma 2), la copertura provvisoria delle posizioni dirigenziali vacanti – (previa specifica valutazione dell’idoneita’ degli aspiranti) – mediante la stipula di “contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari”, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti. Tale facolta’ era prevista fino all’attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza e, comunque, fino ad un termine finale predeterminato. Questo termine finale e’ stato di volta in volta prorogato, da ultimo “al 31 maggio 2012”.
– a seguito delle reiterate proroghe del termine, la giurisprudenza amministrativa – in particolare il TAR Lazio, Roma con sentenza 1 agosto 2011, n. 6884 – annullava la delibera del Comitato di gestione dell’Agenzia delle Entrate con la quale si disponeva la proroga del termine finale, nella fattispecie esaminata fino al 31 dicembre 2010. Il TAR considerava la previsione dell’articolo 24 del regolamento in contrasto con la disciplina generale di cui al Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articoli 19 e 52 in quanto consentiva l’affidamento di incarichi dirigenziali a funzionari privi della qualifica dirigenziale in assenza dei due presupposti della straordinarieta’ e della temporaneita’ richiesti dall’istituto della reggenza.
– nelle more del procedimento d’appello avverso la sentenza sopra richiamata il legislatore – con il Decreto Legge 2 marzo 2012, n. 16, articolo 8, comma 24, conv. in L. 26 aprile 2012, n. 44 – nell’autorizzare le Agenzie fiscali ad espletare le procedure concorsuali per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, da completarsi entro il 31 dicembre 2013 – faceva salvi i contratti stipulati in passato tra le Agenzie ed i propri funzionari. Inoltre consentiva ulteriormente alle Agenzie di attribuire incarichi dirigenziali ai propri funzionari nelle more dell’espletamento delle procedure di concorso, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, con durata fissata fino alla copertura del posto vacante.
– il termine del 31 dicembre 2013 fissato dal suddetto decreto legge e’ stato prorogato due volte: dapprima al 31 dicembre 2014 (Decreto Legge 30 dicembre 2013 n. 150, convertito in L. 27 febbraio 2014, n. 15, articolo 1 comma 14) poi al 30 giugno 2015 (Decreto Legge 31 dicembre 2014, n. 192 convertito in L. 27 febbraio 2015, n. 11, articolo 1 comma 8) pur aggiungendosi negli interventi di proroga che non era consentito il conferimento di nuovi incarichi oltre il limite complessivo di quelli attribuiti alla data del 31 dicembre 2013.
– il Consiglio di Stato, giudice d’appello avverso la pronuncia del TAR che annullava l’articolo 24 del regolamento di organizzazione (nonche’ avverso due ulteriori sentenze vertenti sulla medesima questione), rimetteva alla Corte Costituzionale la questione di legittimita’ della disposizione del Decreto Legge n. 16 del 2012, articolo 8, comma 24. Il giudice delle leggi dichiarava illegittime per contrasto con gli articoli 3, 51 e 97 Cost. tanto la norma censurata che le disposizioni di proroga sopra citate (sentenza della Corte Costituzionale 17 marzo 2015, n. 37).
– all’esito della dichiarazione di incostituzionalita’ il Consiglio di Stato confermava la pronuncia di annullamento dell’articolo 24 del regolamento di organizzazione (C.d.S., sentenza 06 ottobre 2015 n. 4641).
14. La premessa da conto della caducazione – all’esito del percorso sopra in sintesi delineato – delle norme, tanto di regolamento che di legge, poste a fondamento dell’esercizio delle funzioni dirigenziali da parte dei funzionari della Agenzia delle Entrate, quale l’odierno ricorrente.
15. La questione sulla quale questa Corte e’ ora chiamata a pronunciarsi consiste nello stabilire:
– se tra le parti di causa sia intercorso un rapporto di lavoro subordinato a termine con mansioni dirigenziali (illegittimo, per quanto sopra esposto);
– o, piuttosto, se il conferimento dell’incarico dirigenziale sia avvenuto non gia’ in forza di una (nuova) assunzione a termine come dirigente ma come incarico accessorio al rapporto non- dirigenziale, gia’ in corso tra le parti a tempo indeterminato.
16. La ratio dubitandi deriva dalla lettera tanto del regolamento di organizzazione della AGENZIA DELLE ENTRATE, articolo 24, che del Decreto Legge 2 marzo 2012, n. 16, articolo 8, comma 24 (come vigente prima della dichiarazione di incostituzionalita’) laddove dispongono la stipula di “di contratti individuali di lavoro a termine” (cosi’ il regolamento di amministrazione, articolo 24) ovvero di “contratti di lavoro a tempo determinato” (cosi’ il Decreto Legge n. 16 del 2012, articolo 8).
17. Va al riguardo evidenziato come sotto questo profilo l’istituto sia nato con una connotazione distinta rispetto all’ipotesi della reggenza da parte di un funzionario di un ufficio dirigenziale temporaneamente vacante, fattispecie che non prevedevi ne’ la stipula di un contratto individuale di lavoro ne’ il riconoscimento al funzionario-reggente del medesimo trattamento economico dei dirigenti di ruolo.
18. Di qui la tesi di parte ricorrente secondo cui si tratterebbe di una particolare vicenda di assunzione come dirigenti – con rapporto di lavoro subordinato a termine – di soggetti estranei ai ruoli dirigenziali della amministrazione, ipotesi riconducibile alla fattispecie generale di cui al Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 19, comma 6.
19. Tale tesi non puo’ essere condivisa alla luce della analisi complessiva del testo e della ratio delle disposizioni.
20. L’articolo 24 del regolamento di organizzazione della AGENZIA DELLE ENTRATE non prevedeva la stipula di un contratto di lavoro subordinato “dirigenziale” ma, piuttosto l’investitura dei propri “funzionari” a ricoprire provvisoriamente l’incarico (articolo 24, comma 1 del regolamento). Coerentemente con tale impostazione non era prevista la collocazione del funzionario, per il periodo di durata dell’incarico, in aspettativa senza assegni, come invece disposto dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 19, comma 6, in caso di stipula di un rapporto di lavoro dirigenziale con un soggetto non appartenente ai ruoli dirigenziali delle pubbliche amministrazioni.
21. Il conferimento dell’incarico e’ avvenuto, in sostanza, con le medesime modalita’ con le quali viene conferito l’incarico al dirigente di ruolo, sul presupposto di un rapporto di lavoro subordinato gia’ esistente ed in esecuzione di quest’ultimo (e non con la creazione di un nuovo rapporto di lavoro).
22. La stessa giurisprudenza amministrativa (TAR sent. n. 6884/2011; Cds. sent. n. 4641/2015 citate) ha ricondotto la fattispecie di cui all’articolo 24 del regolamento di organizzazione della AGENZIA DELLE ENTRATE alla ipotesi della assegnazione di mansioni superiori e della reggenza e non gia’ alla costituzione di un rapporto di lavoro subordinato dirigenziale a termine, Decreto Legislativo n. 165 del 2001, ex articolo 19, comma 6.
23. Analogamente il Decreto Legge n. 16 del 2012, articolo 8, comma 24, prevedeva testualmente: che la stipula del contratto di lavoro a tempo determinato da parte della Agenzia delle Entrate era strumentale ad “attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari” (e non a costituire nuovi rapporti di lavoro dirigenziale a termine); che era riconosciuto lo stesso trattamento economico dei dirigenti “ai funzionari cui e’ conferito l’incarico” (l’incarico di natura dirigenziale era dunque abbinato alla qualifica di funzionario).
24. Anche la Corte Costituzionale nel dichiarare la norma costituzionalmente illegittima ha affermato che essa aveva contribuito “all’indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori” (punto 4.5 sentenza n. 37/2015).
25. La qualificazione della vicenda di causa come illegittimo conferimento di incarichi dirigenziali a funzionari non e’ contraddetta, diversamente da quanto assume l’odierno ricorrente, dalla ordinanza di questa Corte, sez. VI, 11 settembre 2017 n. 21077. Ivi la Corte, chiamata a regolare la competenza in un giudizio nel quale vari funzionari delle agenzie fiscali incaricati di svolgere funzioni dirigenziali avevano denunciato, come nell’odierna vicenda, il ricorrere di una successione abusiva di contratti a termine, ha dato rilievo nella sua decisione al petitum sostanziale senza esprimersi, in ragione dei limiti del suo giudizio, sul fondamento della domanda.
26. Devono conclusivamente rigettarsi i primi tre motivi di ricorso per la infondatezza del loro presupposto ovvero la avvenuta stipula di un contratto di lavoro dirigenziale a termine, ribadendosi che tra le parti e’ intercorso un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con qualifica di funzionario. Da tale interpretazione della normativa interna deriva la manifesta infondatezza della istanza di rinvio pregiudiziale al giudice dell’Unione della questione di compatibilita’ delle disposizioni in esame con la direttiva sul contratto a termine.
27. Con il quarto motivo si impugna la sentenza del Tribunale per violazione dell’articolo 1218 c.c., in connessione con il Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1 (ora Decreto Legislativo n. 81 del 2015, articolo 19).
28. In via gradata, si evidenzia che i funzionari della Agenzia delle Entrate si trovavano al momento della revoca in una situazione di proroga dell’incarico sino all’esito delle procedure concorsuali per la assunzione dei dirigenti e che, pertanto, era loro dovuta la differenza tra gli emolumenti percepiti e quelli che sarebbero spettati in caso di naturale scadenza del rapporto di lavoro dirigenziale. Si assume che a seguito della sentenza della Corte Costituzionale pur essendo impedita la costituzione di nuovi rapporti di lavoro dirigenziale rimanevano validi ed efficaci gli impegni gia’ assunti.
29. Si osserva che, in ogni caso, la nullita’ del contratto era riconducibile esclusivamente alla AGENZIA DELLE ENTRATE, per non avere bandito i concorsi nonche’ per essersi avvalsa dei rapporti a termine anche in pendenza della questione di costituzionalita’; si assume, pertanto, che la dichiarazione di incostituzionalita’ non costituiva un fatto imprevisto, tale da liberare la amministrazione dall’obbligo di risarcire il danno conseguente alla anticipata risoluzione degli incarichi.
30. Il motivo e’ infondato.
31. All’esito dell’annullamento del regolamento di amministrazione, definitivamente confermato dal Consiglio di Stato e della dichiarazione di incostituzionalita’ del Decreto Legge n. 16 del 2012, articolo 8 correttamente la amministrazione ha disposto la cessazione dell’incarico, non ricorrendo una fattispecie di revoca ma di legittimo rifiuto a dare ulteriore esecuzione ad un rapporto nullo.
32. La giurisprudenza di questa Corte, infatti, e’ ormai consolidata nell’affermare che la natura privatistica degli atti di gestione dei rapporti di lavoro di cui al Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 2, non consente alle Pubbliche Amministrazioni di esercitare il potere di autotutela, che presuppone la natura amministrativa del provvedimento e l’esercizio di poteri autoritativi; e’ stato, pero’, aggiunto che, qualora l’atto adottato risulti in contrasto con norma imperativa, l’ente pubblico, che e’ tenuto a conformare la propria condotta alla legge, nel rispetto dei principi sanciti dall’articolo 97 Cost., ben puo’ sottrarsi unilateralmente all’adempimento delle obbligazioni che trovano titolo nell’atto illegittimo ed in tal caso, al di la’ dello strumento formalmente utilizzato e dell’autoqualificazione, la condotta della P.A. e’ equiparabile a quella del contraente che non osservi il contratto stipulato, ritenendolo inefficace perche’ affetto da nullita’ (ex aliis Cass. 23/10/2017, n. 25018; Cass. 26.2.2016 n. 3826; Cass. 1.10.2015 n. 19626; Cass. 8.4.2010 n. 8328; Cass. 24.10.2008 n. 25761 quest’ultima in tema di revoca di inquadramento illegittimamente attribuito).
33. Ne’ puo’ configurarsi una responsabilita’ della pubblica amministrazione, che ha agito in forza di una disposizione regolamentare fatta salva con norma di legge (Decreto Legge n. 16 del 2012, articolo 8, comma 24), per l’epoca anteriore alla dichiarazione di incostituzionalita’ della stessa norma di legge. Invero l’efficacia retroattiva delle sentenze dichiarative dell’illegittimita’ costituzionale di una norma se comporta che tali pronunce abbiano effetto anche in ordine ai rapporti di lavoro svoltisi precedentemente – (eccettuati quelli definiti con sentenza passata in giudicato e le situazioni comunque definitivamente esaurite) – non vale a far ritenere illecito il comportamento realizzato, anteriormente alla sentenza di incostituzionalita’, conformemente alla norma successivamente dichiarata illegittima, non potendo detto comportamento ritenersi caratterizzato da dolo o colpa (per tutte cfr. Cassazione civile sez. lav., 07.10.2015, n. 20100).
34.Con il quinto motivo il ricorrente lamenta violazione degli articoli 1218 e 2118 c.c. sotto il profilo del diritto al preavviso, assumendo che la risoluzione non poteva avvenire che nel rispetto del termine di preavviso, non potendo porsi a carico del lavoratore le conseguenze di una situazione di illegittimita’ determinata dal datore di lavoro.
35. Il motivo e’ infondato.
36. Correttamente la sentenza impugnata ha evidenziato che un diritto al preavviso puo’ sussistere in caso di risoluzione unilaterale di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato laddove nella fattispecie di causa l’unico rapporto di lavoro subordinato in essere, per quanto sopra si e’ argomentato, non e’ mai stato interrotto e l’incarico a termine e’ cessato in ragione della sua nullita’.
37. Con il sesto motivo si deduce violazione dell’articolo 112 c.p.c. per non essersi la Corte d’appello pronunciata, con l’ordinanza ex articolo 384 bis c.p.c., sulle domande risarcitorie svolte nel ricorso originario, reiterate in appello.
38. Il motivo e’ inammissibile.
39. Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 02/02/2016, n. 1914 pur riconoscendo l’impugnabilita’ ex articolo 111 Cost. dell’ordinanza resa ai sensi degli articoli 348 bis e ter c.p.c. per vizi propri, consistenti in violazione della normativa processuale, hanno precisato che non tutti gli errores in procedendo astrattamente ipotizzagli con riferimento ad una decisione giurisdizionale sono compatibili con la peculiare disciplina introdotta dagli articoli 348 bis e ter citati e che, d’altro canto, non sempre avverso tali errori il ricorso straordinario si rivela l’unico rimedio esperibile.
40. Per quanto qui rilevante, si e’ osservato che nell’ipotesi di ordinanza ai sensi dell’articolo 348 ter c.p.c., in cui non e’ possibile una pronuncia di inammissibilita’ dell’impugnazione per mancanza di ragionevole probabilita’ di accoglimento se non in relazione a tutti i motivi d’appello (ed a tutti gli appelli proposti avverso la medesima sentenza), non risulta neppure configurabile una omessa pronuncia riguardo a singoli motivi di appello, potendo eventualmente porsi (nei limiti e nei termini in cui sia consentito dalla legislazione vigente) soltanto un problema di motivazione della decisione – necessariamente complessiva – assunta.
41. Nella specie, dunque, la dedotta violazione procedurale non e’ neppure astrattamente ipotizzabile.
42. Con il settimo motivo si impugna la sentenza d’appello per violazione dell’articolo 342 c.p.c., censurando l’ordinanza della Corte territoriale per avere ritenuto l’appello inammissibile sul rilievo che non erano state indicate le modifiche da apportare alla sentenza di primo grado.
43. Il motivo e’ inammissibile.
44. Giova puntualizzare che la ordinanza ex articolo 348 ter c.p.c. non puo’ essere pronunciata – ai sensi del comma 1 della medesima norma – se non “fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilita’ o l’improcedibilita’ dell’appello” sicche’ laddove con T ordinanza venga dichiarata la inammissibilita’ dell’appello essa si qualifica, nella sostanza e nonostante le forme adottate, come sentenza di carattere processuale, impugnabfle con ricorso ordinario in cassazione (si veda Cass. SU. n. 1914/2016 citata).
45. Nella fattispecie di causa, tuttavia, la Corte territoriale non ha dichiarato inammissibile l’appello per difetto di specificita’ ma per mancanza di una ragionevole probabilita’ di essere accolto; in sostanza la affermazione, in apertura della ordinanza, che la impugnazione dell’appellante era “al limite della ammissibilita’”, e’ rimasta un obiter dictum, privo di ogni rilievo nel successivo sviluppo motivazionale.
46. Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.
47. Le spese di causa, liquidate nel dispositivo con riferimento alla sola attivita’ di discussione orale della causa, seguono la soccombenza.
48. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni pec dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (che ha aggiunto il comma 1 quater al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 1.500 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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